Storie originali > Comico
Segui la storia  |       
Autore: atticus    16/07/2015    1 recensioni
Questa storia è dedicata al professore arrestato per reato di salutare esuberanza, passione e dedizione nell'insegnamento, vitalità negli occhi mancanti di parecchie diottrie; umorismo nero, bianco, giallo, monocromatico, violaceo, daltonico; autoironia feroce su un volto sereno, bontà d'animo incalzata dalle ONG, magnetismo letterario, conversazioni accese e illuminanti, voce calda e placida, sobrietà allucinante, clemenza spaventosa, nerdosità cinquantenaria; malattia rara e poco infetta del "fare del bene e ricevere malgrado qualche non voluto e inaspettato 'alimortaccitua, te vuoi movere?!?'", nudità cranica e deforestazione parziale della capoccia, con cui dà testate al Ministro dell'Istruzione (e che è, mai mader hu crai II?); abilità olimpica nel riemergere in un mare di merda, curiosità puerile, omicidio di materie grige aggravato, lacrime coccodrillesche dinanzi a film lacrimosi, eccessiva idolatria di Pennac e Bradbury, adocchiamento furtivo e collezionismo folle di libri indifesi, impeccabile modestia, puntuale alleanza con Massimo Gramellini per avviare il progetto “Gemellaggio di scrittori separati dalla nascita”, fine a distruggere i libri “brutti” e restaurare una grammatica traviata, violata, profanata, ostracizzando il po' accentato, proscrivendo il cancerogeno "se avrei", esiliando Fabio Volo. Si narrano le gesta di questo scellerato.
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il piacere di tradurre
Il professor Gonella, seduto con la schiena dritta, come sorretto da un filo, ruminava formule matematiche mischiate a rapidi e sfuggenti pensieri che attraversavano la sua materia grigia. Con una penna dal tappo consunto, simile a un’opera di Alberto Burri, tastava ripetutamente, a ritmo incessante, la fronte e i cavi nervosi, e vagava privato della retta via nel compito dello studente medio, arrangiandosi con un foglio intestato degli esercizi. Dall’apertura della bocca venne scagionato un profondo sospiro, forse il quinto della serie che ebbe origine sessanta minuti prima. Più gli anni passavano e più si accorgeva che negli studenti – almeno quelli a cui sprigionava la potenza della matematica – accresceva il piacere sadico nel confondere i professori come lui ( con altrettanti diottrie in meno) attraverso testi aramaici, kanji, geroglifici, alfabeti cirilici e qualunque tipo di scrittura sconosciuta all’uomo in questione.
«Ma che c’è scritto qui…?» era la formula fissa, ripresa lessicale appartenente al formulario tipico del professore in preda alla disperazione, che l’uomo aveva ripreso più volte, senza incontrare ostacoli nello sfogliare le frangi della memoria. «Santo cielo.» il professor Gonella, seppur laureato in Biologia (ambito, enim, scientifico) in passato non aveva assistito alle lezioni universitarie inerenti al “deciframento di eventuali geroglifici generati da dottori”. Forse avrebbe dovuto essere conforme ai propri doveri, perché in questo momento non sarebbe stato martellato dal mal di testa...e da impronunciabili ingiurie e parolacce liberatorie. Mauro – sì, il professore di sesso maschile medio può chiamarsi anche in un altro modo oltre a “Marco”- gettava occhiate furtive alla scalinata in miniatura costituita dai suoi libri. I suoi libri. Che meritavano di sostituire certi “libri” - il riferimento alle solite storielle erotico-nonsense-pornografico tra la tipa scema e brontolona e il figaccione ( non di intelletto) è assolutamente casuale, come gli incidenti che ne hanno provocato l'origine – nelle vetrine di profumate librerie. Scriveva per puro piacere personale, perché quando un'idea attraversava come un proiettile nel cranio la passerella dei suoi pensieri, camminando e sculettando alla Beyoncé, la rincorreva in sella alla sua bicicletta, finché non l'acciuffava, la metteva in un sacco e la riversava su un foglio di carta o sulla tastiera del computer.
«TU. STAI. QUA.» le ordinava con un tono perentorio. Ma questa era talmente veloce che nell'arco di poco tempo (nelle condizioni più drammatiche anche in un secondo) si liberava dalle puntine che l'avevano impalata sul banco da lavoro e fuggiva sotto gli occhi interdetti del professore. Allora questo si lasciava cadere sulla poltrona con uno sbuffo e cogitava intensamente per ritrovare di nuovo l'ispirazione. Che ebbe per creare i quattro rettangoli tridimensionali apparentemente innocui che gli erano costati un travaglio. Erano letteralmente suoi figli, generati con la sola forza del pensiero e una gravidanza maschile (che si poteva dire, in queste condizioni, esistere). Aveva prima domandato al figlio Luca “Che cosa vorresti fare da grande?” con seguente delusione per la risposta “Il calciatore, papà”, ma quando gli altri quattro risposero che sarebbero stati motivo di lode al padre perché l'avrebbero reso a lungo ricercato per “tentato omicidio” intellettuale di innocenti lettori, imputato di un processo per “strage culturale” e soprattutto, “arma di distruzione di massa”, non ebbe più dubbi riguardo all'autenticità dei pargoletti.
«Assomigliano proprio al papà!» esclamava una dolce vecchina dal viso solcato dalle rughe, «Sembra di assistere all'evoluzione dell'uomo!» affermava conciso il collega Ferri, quando il professore portò i quattro figli ad esplorare la chiesa in cui il padre dettava versi biblici in matematichese e spargeva acqua santa a infami errori di calcolo.
E il professore concordava con un cenno del capo, orgoglioso e con le lacrime agli occhi.
E quando una classe oltrepassava gli ultrasuoni, talvolta lo precedevano i quattro figli, che sollevavano un velo d'ebbrezza sugli alunni, inebetiti e zittiti dalle loro parole, scandite con intensità impressionante.
«Ed ecco la dedica più lunga al mondo...» come effetti dell'oppio: euforici, immuni a qualunque dolore, prossimi ad entrare nel cast dei Fantastici Quattro come Torce Umane, sintomi dello zarro italiano e un filo argentato di bava che pende dal lato della bocca.
«Oggi favola triste triste con finale spiazzante...» ora Jacopone da Todi ( e forse anche Guido Cavalcanti imiterebbe il gesto) muterebbe il suo pensiero. No, non è sufficiente che le vene assorbano un dolore come quello della Madonna perché si raggiunga Dio.
Li ha spiazzati tutti.
«La storia di Jack dai Due Sorrisi, il serial killer di emozioni» non una mosca che disegna una circonferenza nell'aria, oppure se c'è, crepa per la mancanza d'aria; il fiato sospeso dei giovani alunni che svengono uno dopo l'altro per la tensione dovuta alla terrificante spugna dei sentimenti. Non dormiremo questa notte. Aspetteremo che Jack ci privi persino dei muscoli facciali e avremo il catwalk tutto nostro, ragazzi.
Cinquanta sfumature di interiezioni ed esclamazioni di ammirazione miste a colpi di tosse raggiungono il soffitto in breve tempo e l'aula risuona anch'essa orgogliosa.
E per concludere, una lettura di congedo. La sua preferita in assoluto. Ray Bradbury – mediante la voce baritonale del professore - fa camminare “il pedone” sui corpi degli alunni ( nemmeno i piccoli “Fantastici Quattro” possono evitarlo. “Questo è il mondo in cui spalerete la vostra stessa cacca, egregi figli”)che fungono da strisce pedonali, e li annienta, atterrisce, incita al servizio militare.
Papà, perché il mondo mi sembra una montagna di merda?
Ma cristosanto Michi, chi (beep) ti ha insegnato 'sta parola?!?! E comunque ho fatto la stessa domanda al nonno tanto tempo fa, ma non ha saputo rispondermi. Era troppo occupato a scalare.
La passeggiata del pedone ha termine, come l'agonia dei poveri diavoli. Il suono della campanella annuncia la Liberazione, fatto che si ripete in cicli regolari nei giorni lavorativi, ma i glutei piani degli studenti non ne vogliono sapere di staccarsi dalle sedie lignee. Ora sono membri ufficiali del circolo vizioso.
«Sono fiero di me stesso.» diceva il professore tra le labbra con voce flebile e prossima alla commozione.
Quando l'occhio ricadde sul foglio che in tutta la sua magnificenza giaceva immobile sulla scrittoio e che da un momento all'altro sembrava chiedergli di ritrarlo come una delle sue ragazze francesi, espanse e sgonfiò in modo fanciullesco la bocca come un palloncino. Strinse le labbra in un sorriso ironico e ritrovò la sensazione della penna tra le dita.
Ora armeggiava goffamente con la lente di ingrandimento, scortata da un vecchio baule ibernato nella polvere, e si sentiva come un paleontologo alla scoperta di fossili e resti archeologici. A differenza di Howard Carter, non avrebbe scoperto la tomba di un giovane faraone, ma avrebbe tranquillamente potuto individuare un codice, essere contattato dall'esercito ed essere riconosciuto dai media come un secondo John Nash (dopo aver acquisito la cittadinanza italiana e ottenuto una cattedra in una scuola media).
«Basta. A questo qui rispondo a suon di alfabeto cirilico e ideogrammi, poi vediamo se prova solo ad immaginare ciò che ho passato!» esclamò con voce baritonale, battendo un pugno sulla scrivania, che trasmise le scosse attorno gli oggetti che l'abitavano.
Al professore piaceva essere teatrale.
E si mise a ridere come un pazzo.
«Ma ssèi shhemmmo?» sembravano comunicargli con aria arruffata gli occhi ambrati di Millo, il gatto, «Miao miao miao miao??»
Mauro decise di ignorarlo e lo corruppe con un croccantino.
«Su, fai il tuo dovere.» disse più a se stesso che al micio e, ricomponendosi, riprese l'atto di tradurre molteplici versioni numeriche. Dei veri e propri codici da sbloccare.  

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Comico / Vai alla pagina dell'autore: atticus