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Autore: Ginny Jane    17/07/2015    3 recensioni
Tutti facciamo progetti: che siano per mantenere il nostro mondo in equilibrio o per abbatterlo e crearne uno nuovo....più semplicemente, per costruire le nostre vite. Ma quando le premesse cambiano? Quando risvolti inattesi trasformano il Sogno in un Incubo? La vita, poi, va dove vuole.
Di ritorno dalla Svezia, dopo il Terrore, Fersen si scontra con un una Francia cambiata, ma il cambiamento potrebbe essere molto più profondo di quanto si aspetta: che cosa ne è stato di Oscar? I loro mondi potranno coincidere ancora, come in passato, o si muovono ormai su orbite sfalsate?
Ecco la continuazione di "Sul muretto", che ne è diventato il primo capitolo, che alterna momenti comici e riflessioni tendenti al tragico, con la complicità di qualche piccolo personaggio nuovo. Mi sento in dovere di avvertire che il Fersen da me creato ha preso una piega un po' OOC. Spero che vi piaccia!
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: questo primo capitolo è già stato pubblicato,, come one shot, in separata sede

Sul muretto

Il conte osservò la villa sulla riva del mare, una dimora che aveva di certo visto periodi migliori, periodi di splendore. Dall'altura su cui lui si trovava appariva un'incrostazione bianca, allungata, e dalla forma irregolare a causa del crollo del tetto di un'intera ala, evidentemente ora dismessa, inserita nel paesaggio come qualcosa di organico, di naturale. Come una piuma sfuggita ad un gabbiano, rimasta intrappolata fra il verde dei cespugli, a pochi metri dall'acqua.
 

La Normandia. Nonostante avesse viaggiato molto durante la giovinezza, Fersen non vi si era mai recato. E ora quel paesaggio sereno e rigoglioso che trasmetteva tranquillità era un balsamo gradito ad un uomo che aveva visto troppi orrori: la guerra in America, la rivolta (o rivoluzione, come poi l'avevano chiamata) a Parigi. O meglio: la promessa di un balsamo, che solo la persona che vi abitava avrebbe potuto somministrargli.
 

Una volta che la famiglia reale aveva lasciato Versailles per Parigi, costretta dal popolo, aveva dovuto andarsene: la sua persona era parte integrante di tutti i vizi e le oscenità che si attribuivano alla regina. Avrebbe voluto restare con lei, ma avevano concordato che la sua presenza sarebbe servita solo a soffiare sul fuoco della rabbia popolare, a dare la definitiva conferma delle voci che giravano apertamente da anni. A metterla ulteriormente in pericolo.

Era tornato in Svezia, da li aveva assistito al massacro della maggior parte della classe aristocratica francese, da cui si era salvato praticamente solo chi era scappato per tempo: un orrore indescrivibile a cui il resto d'Europa aveva dovuto assistere impotente. La sua Antonietta.... Ma non voleva pensarci.

Le idee rivoluzionarie si erano estese, strisciando come serpenti per tutto il continente, indifferenti ai confini dei regni: come se questi fossero muretti di pietre, le idee democratiche e sovversive passavano fra le crepe. E sebbene le varie rivolte che erano scoppiate erano per lo più state sedate, nessun nobile europeo si sentiva più a suo agio, sicuro della sua posizione, nessun re tranquillo ora che per la seconda volta nella storia il principio di autorità era stato completamente ribaltato ed un re era stato sottoposto a processo e giustiziato. Persino nella sua Svezia sembravano iniziare i problemi, nessuno avrebbe saputo dire se erano destinati ad avere un seguito.....
 

Fersen era stanco. Stanco di essere se stesso, stanco di essere solo. Per questo aveva fatto carte false (letteralmente) per attraversare i confini della “repubblica” e giungere fino li, dove sperava di ritrovare uno sguardo amico, dopo tanto odio e tanto disprezzo. Oscar.

Quando aveva saputo che si era unita al popolo si era risentito, come tutti del resto. Ma era stato informato degli sforzi che aveva fatto per convincere i giurati a votare contro la condanna a morte del re, prima, e della regina, poi...e del modo in cui si era esposta per cercare di rintracciare i principi, una volta che erano stati fatti sparire nelle viscere di Parigi. Ma era stato inutile: nessuno di quelli che avevano tentato era riuscito ad avvicinarli, o quanto meno ad avere informazioni chiare...e figuriamoci a farseli affidare come aveva disperatamente cercato di fare lei.

Ora che il Terrore sembrava sul punto di soffocarsi da solo, ora che gli stessi “terroriste” venivano sottoposti ad esso, il conte Fersen aveva avuto il coraggio di cercare la sua vecchia amica, l'ultimo legame che gli era rimasto con la Francia che aveva amato. Con la donna che aveva amato.

 

Aveva saputo che si era ritirata a vita privata in un possedimento di famiglia in Normandia, che chissà come era riuscita a conservare. L'aveva rintracciata ed ora sedeva, da parecchi minuti, su un muretto di sassi e calce che segnalava il confine della grande proprietà, a pensare ad un modo per farle la proposta che aveva in mente senza rischiare di offenderla o di sembrare completamente cretino. Non aveva mai avuto difficoltà con le parole, né con le donne in generale. Ma era difficile trovare un modo per chiedere la mano di una donna che aveva rifiutato.

Doveva sposarsi al più presto: questioni di equilibrio politico interno avevano reso indispensabile la nascita di un erede.

Non aveva smesso di amare Antonietta, questo no. Anzi, sposare quella che era stata la sua unica vera amica gli sembrava un modo per rispettarne la memoria. Ma come poteva spiegarle che, essendosi confrontato davvero con l'orrore della vita durante quegli anni, era giunto alla conclusione che un matrimonio fondato sul rispetto e l'amicizia era quanto di meglio potesse chiedere? L'unica alternativa che gli sembrava percorribile? E così avrebbe rimediato in un colpo alla necessità di sposarsi e al senso di colpa che lo colpiva allo stomaco ogni volta che pensava a come l'aveva trattata. Avrebbe potuto farla felice...non escludeva la possibilità che l'amicizia che le portava, con il matrimonio e col tempo, avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di più.

Non era uno sciocco: si rendeva conto che i sentimenti di lei potevano essere cambiati. Quei sentimenti che lui aveva calpestato con una dose relativamente buona di noncuranza, forse erano morti quel giorno. Forse non avrebbe voluto nemmeno aprirgli la porta. Forse...

Ma l'aveva voluto, aveva potuto leggere il desiderio nei suoi occhi durante quel ballo. Ed erano stati amici, davvero, in senso profondo. Forse si sarebbe resa conto anche lei che non avrebbe guadagnato nulla a restare sola, soprattutto per orgoglio; ad invecchiare sola, che la solitudine uccide....
 

Perso com'era nei suoi pensieri, il conte Hans Axel von Fersen non si accorse subito del bambino che gli si stava avvicinando, correndo da un cespuglio all'altro per restare nascosto e fargli un agguato (o almeno questa era la sua intenzione). Ma anni di servizio militare non erano passati in vano: notando un movimento il conte si alzò di scatto, per poi rivolgere al moccioso niente più che uno sguardo infastidito e voltarsi a riprendere le redini del cavallo, deciso a porre fine alla meditazione ed incamminarsi verso la villa.

-Chi siete?! Dove credete di andare?!- risuonò una vocina acuta, piuttosto buffa nel cercare di adottare un tono minaccioso.

-Chi sono e dove vado non ti deve interessare. Vedi di andartene: non ho pazienza, oggi, per i bambini-

Per nulla intimorito dal tono scorbutico, il ragazzino gli sbarrò il passo, e in quel momento Fersen si accorse che brandiva uno spadino di legno.

-Invece sì! Io abito qui, voi no: questo è il prato della mia casa, dovete chiederlo a me, o al mio papà, se ci potete camminare!- e, per darsi un tono con un frase “da grande”, aggiunse - Questa è proprietà pirvata! No....privata!-

Ora, che la rivoluzione avesse diffuso concetti giuridici di vario genere, a proposito e a sproposito, fra il popolo, era certo. Ma dal modo in cui aveva parlato, il moccioso sembrava vagamente istruito, ed era sorprendente sentire parlare così un popolano così....piccolo. Perché era piccolo: non gli avrebbe dato più di cinque anni.

-Abiti qui, eh? E chi saresti?- Vestiti semplici e di buona fattura, ma sporchi di terra e strappati. Capelli corvini, occhietti verdi dallo sguardo pestifero, specialmente ora che si preparava a dare battaglia. L'aria di essere un bambino sano e nutrito adeguatamente. Gli ricordava qualcuno....ma non avrebbe saputo dire chi....

-Io non ti dico come mi chiamo, perchè tu non mi avete detto come vi chiamate. E se non me lo dite vi sfido a duello!-

L'uomo non poté trattenere un breve riso, poi con un tono di voce ingentilito dalla simpatia che, in fondo, quel mocciosetto gli aveva suscitato col suo bel discorso disse: -Ebbene, non sarebbe regolare sfidarmi a duello prima di conoscere il nome. Ma posso dirtelo: io sono il conte Hans Axel von Fersen. Sono amico della padrona di questa villa e sono venuto a farle visita. Quindi cerca di non mancarmi più di rispetto. Ora dimmi, se abiti qui devi essere figlio di qualcuno della servitù. Ti dispiacerebbe dirmi chi è tuo padre? E già che ci sei, come ti chimi?-

La risposta che aspettava tardò ad arrivare: il bambino aveva aperto la bocca alla parola “conte” e non l'aveva più richiusa. Se Fersen si aspettava che il motivo di quegli occhi verdi sgranati fosse un timore reverenziale suscitato dalla sua presentazione fu presto smentito: dopo qualche attimo il piccolo scoppiò in una risata cristallina: -Ha ha! Conte? Che buffo! Ma non lo sapete che i titoli noboliari non ci sono più?-

Il conte rimase spaesato: – In Svezia sì! Grazie a Dio il mio titolo è ancora valido nel mio paese...- ma intanto pensava: “Ecco, l'ho fatta grossa! E' sicuramente figlio di giacobini: ora correrà al paese a dare l'allarme, che un reazionario si aggira da queste parti”. Prima che avesse deciso se smentire l'affermazione precedente o tuffarsi ad acchiappare il marmocchio questi continuò, con orgoglio maggiore di quello che aveva espresso il conte: – Ah! Comunque io mi chiamo Pierre, e il mio papà è il cittadino André Grandier, e se siete in visita....credo che vi do il permesso di passare, però vi accompagno io, così vi controllo: perché il mio papà non c'è, e io devo proteggere la casa e la mamma....e i cavalli...e il fienile...- si perse nell'enumerazione dei suoi presunti compiti, che evidentemente era convinto facesse tanto più effetto quanto più era lunga. Intanto Fersen si era illuminato: André, ma certo! Avrebbe dovuto capirlo: quel bambino era la sua miniatura. Non sapeva che si fosse sposato, o che comunque avesse avuto un figlio..ma d'altra parte, perché avrebbe dovuto saperlo? Aveva trovato con fatica informazioni su madamigella Oscar, non gli era certo venuto in mente di chiederne sul su servo. Gli faceva piacere, però. E così si spiegava finalmente la presenza del marmocchio: Oscar era sempre stata molto buona con il suo attendente, evidentemente lo aveva mantenuto al suo servizio pur spostandosi in Normandia e gli aveva concesso di allevare il figlio nella sua casa. “Probabilmente la madre è una cameriera, sarà anche lei al servizio qui?” si chiese con scarso interesse.

-Conosco bene tuo padre! Sarò contento di vederlo. Ma credo che tu sia davvero troppo borioso per quanto s'addice ad un servetto, ne parlerò con lui e con la tua padrona.-

Un dubbio.

L'ombra di un dubbio, suscitata dallo sguardo un po' perplesso del bambino. Un'ombra troppo fugace per afferrarla, per individuare la domanda che gli era passata come un lampo davanti agli occhi della mente.... Ci rinunciò: -Adesso andiamo, se vuoi venire con me, perché mi hai fatto già perdere troppo tempo-

E così dicendo si incamminò verso la casa bianca con il bambino che gli trotterellava a fianco, grattandosi la testa leggermente confuso: chi era adesso questa padrona? a cui quello doveva dire che cosa?

Era contento però: quell'uomo gli aveva chiesto di suo padre e lo avrebbe salutato. Le poche persone eleganti che aveva incontrato chiedevano sempre della mamma, parlavano solo con lei come se il papà non esistesse, a volte non lo salutavano neanche. E di sicuro non salutavano lui, Pierre. Primo fra tutti il nonno, che a quanto ricordava aveva visto una volta sola...

In fondo, non gli dispiaceva quel tipo che aveva trovato sul muretto.

   
 
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