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Autore: Stregatta    21/01/2009    6 recensioni
- Credo di essere la reincarnazione di una rockstar appartenente al periodo del Glam Rock.-
Il dottor Mosley guardò quella pallida, minuta figuretta rannicchiata informalmente sulla poltrona : le ginocchia puntute ben strette al petto e trattenute dalle braccia esili, gli occhi verdi fin troppo grandi che lo fissavano con eccezionale fermezza.
Nonostante l’esperienza accumulata con gli anni, di fronte a certi soggetti non poteva fare a meno di meravigliarsi.
Genere: Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brian Molko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: tutto ciò è una pura trasposizione in chiave sovrannaturale di una mia teoria delirante riguardo la persona di Brian Molko: ergo, è tutto incredibilmente falso e follemente mio xD! E inoltre... Vedete per caso una finestrella per il PayPal in questa pagina web? No, vero? Ecco, allora andate tranquilli xD!

Comunque, piccola precisazione: il David che ad un certo punto (ed in maniera assolutamente peculiare) potrete rinvenire all'interno della narrazione è David Bowie u_u E' un dato di importanza non fondamentalissima, ma io lo specifico per personale pignoleria (l'ho infilato solo perchè si parla pur sempre di Glam Rock... E anche perchè Bowie è il bene anche nei suoi cammei <3).
E ora vi lascio in pace xDDDDD... Enjoy!


Man Anachronism




Il dottor Mosley lasciò planare il foglio sulla superficie lucida dello scrittoio in mogano, osservandolo atterrare con un fruscio su altre carte ordinatamente impilate su di esso.
Lo studio quel giorno era tetro, triste. Forse dipendeva dal temporale.
Ogni tanto qualche lampo illuminava l’ambiente, come il flash di un fotografo, ma per il resto al di là del vetro c’era solo una ricca gamma di sfumature di grigio, dall’antracite dell’asfalto stradale al lilla plumbeo delle nubi temporalesche.
Era una giornata da spendere a casa, e questo forse lo aveva capito anche il paziente che aveva disdetto il suo appuntamento all’ultimo minuto : persino la sua segretaria non se l’era sentita di sfidare il proprio raffreddore, esponendolo ad un simile nubifragio.
E chi se la sentiva di darle torto, si disse il dottor Mosley, cercando il fazzoletto nella tasca della giacca per soffiarsi il grosso naso arrossato.
Con quella sinusite che si ritrovava, l’unico posto al quale anelava era quello accanto al caminetto del suo appartamento, a sorseggiare il latte e cognac preparatogli dalla moglie.
Starnutì, l’ennesimo starnuto di quella tremenda giornata, e attraverso il sonoro “etciù” che era fortunatamente riuscito a soffocare nel fazzoletto udì un colpo leggero alla porta dello studio.
L’uomo attese qualche secondo, ma non sentì altro.
Meraviglioso, ci mancavano solo le allucinazioni uditive.
Era proprio ora di piantare baracca e burattini, e correre a casa.
Mentre si stava alzando con cautela sulle sue ginocchia gravate dal peso degli anni e del ventre prominente, un colpo più forte risuonò nella stanza.
C’era proprio qualcuno.
Stringendo senza un perché il lucente tagliacarte posto ad uso decorativo sulla scrivania, l’uomo esclamò : - Avanti!-
Il pomello ruotò, scattando seccamente subito dopo, e la porta si schiuse lasciando entrare il visitatore inatteso.
Un ragazzo dall’apparente età di vent’anni, basso e piuttosto magro, con uno strambo caschetto di capelli neri ad incorniciargli il viso pallido e delicato.
Un giubbotto imbottito nero punteggiato di macchioline scure di pioggia gli pendeva largo attorno al corpo smilzo, rivestito di una maglietta e di pantaloni stretti, entrambi dello stesso color carbone.
Un personale piuttosto stravagante, senza alcun dubbio.
Il giovane alzò lo sguardo sul volto del dottor Mosley, indicando vagamente un punto dietro di sé : - Il portoncino era aperto… Non ho suonato per questo.-
Quel portoncino doveva essere riaggiustato da secoli, pensò il più anziano accigliandosi.
Poi, recuperando l’abituale aplomb, sorrise bonariamente al nuovo arrivato : - Non si preoccupi… Anzi, si sieda.-
Invece della sedia che l’uomo gli aveva implicitamente offerto, il ragazzo puntò deciso una delle due poltrone in pelle dello studio, accoccolandosi su di essa con disinvoltura e appendendo allo schienale il giubbotto.
Stupito, il dottor Mosley commentò : - Ah… Va bene.-
Si sedette dietro la scrivania, ed attese che il ragazzo esplicitasse il motivo per il quale si era recato da lui.
Non ricordava di averlo mai visto prima, e la sua voce gli era sconosciuta.
- Posso togliermi le scarpe?-
L’uomo si destò dalle proprie congetture. – Come, prego?-
- Posso togliermi le scarpe? Non vorrei rovinare la pelle.- spiegò il giovane, battendo un colpetto sul bracciolo della poltrona sulla quale si era comodamente rannicchiato.
Sempre più perplesso, il dottor Mosley acconsentì con un breve cenno del capo.
Mentre il suo ospite si affaccendava silenziosamente a slacciarsi gli anfibi, lo psicanalista lo scrutava apertamente, senza resistere alla propria curiosità.
Quando l’operazione fu completata, il ragazzo finalmente degnò di un minimo d’attenzione l’interlocutore, sospirando : - Ok… Veniamo al dunque.-
Il più anziano poggiò gli avambracci sul ripiano dello scrittoio, incoraggiandolo : - Mi dica.-
- Credo di essere la reincarnazione di una rockstar appartenente al periodo del Glam Rock.-
Il dottor Mosley guardò quella pallida, minuta figuretta rannicchiata informalmente sulla poltrona : le ginocchia puntute ben strette al petto e trattenute dalle braccia esili, gli occhi verdi fin troppo grandi che lo fissavano con eccezionale fermezza.
Nonostante l’esperienza accumulata con gli anni, di fronte a certi soggetti non poteva fare a meno di  meravigliarsi.
Sfilandosi accortamente gli occhiali e stringendo i polpastrelli di pollice e indice contro l’attaccatura del naso, lo psicanalista cercò di non sembrare troppo scettico – o derisorio : - E in base a cosa lo ritiene, signor…-
- Molko.- annuì il giovane, riavviandosi poi i capelli scivolatigli di fronte agli occhi. – Mi chiamo Brian Molko.-
- Bene. Dicevo… - commentò il dottor Mosley, alzandosi dalla scrivania con lentezza ponderata e iniziando a misurare il pavimento dello studio a grandi passi.
- … cosa le fa pensare di racchiudere in sé lo spirito di una rockstar defunta, signor Molko?-
Il giovane strinse gli occhi, come fosse irritato dalla lieve irriverenza del tono adottato dal medico, e replicò : - Se mi promette di ascoltarmi senza pregiudizi e senza gironzolare per la stanza, le racconterò tutto.-
Aveva un bel caratterino, lo scricciolo.
Divertito da quella considerazione, e tutto sommato dalla situazione in toto, il dottor Mosley si accomodò sulla poltrona posta in posizione speculare rispetto a quella occupata da Brian, invitandolo con un cenno della mano ad iniziare il proprio racconto.
Posando i piedi a terra, il giovane restò per qualche secondo in silenzio, raccogliendo probabilmente le idee delle quali servirsi allo scopo di suffragare la propria tesi.
Sorrise, ironico. – Mi sa che sarà una storia lunga.-
Lo psicanalista scrollò le spalle. – L’importante è che sia anche interessante.-
Gli occhi del ragazzo riflessero il bagliore di un lampo improvviso al di fuori delle finestre.
- Non credo che la deluderò, in quel senso.-


- Non disperdetevi, ragazzi! Rimanete dove gli insegnanti possano vedervi!-
- Porca miseria… Ma pensano davvero che siamo tanto stupidi da perderci dentro al teatro?- commentò Miles Davidson, dando di gomito al ragazzo accanto a lui.
Brian fulminò il compagno con un’occhiata gelida, distanziandosi cautamente da lui.
- Oh, scusa… Tu sei quello che non vuole essere toccato da noi comuni mortali.- lo apostrofò sarcastico Miles, passandosi una mano grassoccia fra i ricci capelli rossi e muovendo qualche passo in avanti per ascoltare di cosa la professoressa discorresse.
-… un teatro molto famoso, che ha ospitato nel corso degli anni le esibizioni di diversi grandi artisti…-
L’enorme facciata dell’edificio si articolava in piccole guglie sottili ed arzigogolate, il quale ruolo  appariva esclusivamente volto a creare un effetto di lussuosa solennità, ma apparendo agli occhi di Brian solo come pesanti ed eccessivamente vistose.
In fin dei conti si trattava di un teatro, che bisogno c’era di attribuirgli quell’aria da chiesa barocca?
Il gruppo della sua classe si incamminò lentamente verso l’entrata ; percorsero due rampe di eleganti scale in marmo bianco, prima di arrivare alla sala dei concerti.
- … e questa è la famosa sala, della quale le mai abbastanza decantate qualità di rifrazione del suono…-
… contribuivano a propagare l’irritante voce dell’insegnante in tutto il luogo.
Distratto dalla solitaria esplorazione che stava portando avanti, Brian si ritrovò di fronte al palcoscenico in penombra, attratto dalle cortine di polveroso velluto porpora tirate ai lati di esso, dalla nappe dorate che pendevano alle loro estremità.
Senza motivo, posò un piede sul primo dei sei scalini che portavano sul palco, riflettendo vagamente sulle centinaia di calzature famose e meno famose che avevano calcato la scena del  posto in questione ; in quel momento si sentì afferrare da quattro mani energiche e decise.
- Che diavolo…!- proruppe in un urlo soffocato di sorpresa, ricevendo come risposta due risolini maliziosi.
- Tranquillo, non ti facciamo nulla…- sussurrò una voce che Brian riconobbe proprio come quella di Miles Davidson, e un'altra ancora  fece eco : -… ma pensavamo che ti sarebbe piaciuto esibirti davanti a noi, cara la nostra primadonna snob del cazzo…-
Lo avevano trascinato sul palco, spintonandolo e ridacchiando divertiti della sua palese irritazione.
- Davidson! Ramsay! Molko! Che state facendo?-
I due giovani energumeni si bloccarono, congelati dal richiamo perentorio della professoressa, e quasi in coro mugugnarono sommessamente : - Scusi, prof…-, iniziando a scendere dal palco.
- Ehi… Ma che gli prende?-
- Starà male?-
- Ma no, sarà uno dei suoi attacchi di protagonismo…!-
L’insegnante della classe si avvicinò al palco, ammutolendo con un cenno della mano i commenti degli alunni e domandando con tono circospetto : -… Molko? Che succede?-
Ma Brian non rispose.
In seguito di quell’esperienza avrebbe ricordato solo qualcosa legato… Ad un gran rumore in testa, e ad una grande luce proveniente dal soffitto.
Applausi? Erano applausi quelli?
Mentre cercava di vederci chiaro in quella faccenda, non riusciva a muoversi dalla posizione centrale che aveva assunto sul palcoscenico.
I piedi si erano fatti di piombo, la fronte si era imperlata di sudore freddo.
Poi, senza un perché, sorrise, e di fronte agli sguardi sconvolti dei compagni di scuola e della professoressa si piegò in avanti in un profondo ed aggraziato inchino.

Il dottor Mosley fissò il giovane, meditando sul racconto appena conclusosi.
- Ebbene?- sillabò alla fine, stiracchiandosi appena appena le gambe .
Riuscì a guadagnarsi un’altra occhiataccia da parte di Brian : - “Ebbene” cosa, scusi? Non le sembra un fenomeno un po’ strano?-
Ridacchiando, lo psicanalista si passò una mano sulla fronte, replicando : - Potrebbe essersi trattato di un attacco di panico, di un abbassamento di pressione…-
- Ma io ho sentito gli applausi!- protestò con veemenza Brian, enumerando con le dita : - Gli applausi, il riflettore, l’inchino… Ho sentito tutto come se fosse… Familiare, ed estraneo al tempo stesso.-
Ributtandosi all’indietro contro lo schienale della poltrona, il ragazzo affermò con tono quasi di sfida : - Pensi quello che vuole, ma io non ero più io, dottore. C’era qualcun altro, con me. E non mi riferisco a quei decerebrati dei miei compagni di classe.-
- Senta, signor Molko… Io sono qui per aiutarla, ok?- cercò di ammansirlo il dottor Mosley, nonché di farlo ragionare : -… ma un singolo episodio risalente ad una gita scolastica al liceo non può veramente…-
- Un singolo episodio? Pensa davvero che la faccenda sia tanto semplice?- lo interruppe Brian, sfoderando un sorrisetto sarcastico e furbo.
- C’è dell’altro?- si informò il più anziano dei due, nonostante non fosse più tanto sicuro di voler avere a che fare con quel piccolo folle scalzo e scorbutico che si ritrovava in studio.


- Devi proprio uscire con Patsy, stasera?- mugolò frustrato Brian all’indirizzo di Barry, che stava finendo di innaffiarsi con la sua colonia preferita in camera sua.
Il fratello gli gettò una breve occhiata, prima di passarsi la lingua sugli incisivi con il naso a pochi centimetri dallo specchio dell’armadio : - Mi spiace di lasciarti da solo con mamma e papà stasera, ma ho promesso a Patsy che l’avrei portata in un posto speciale…-
Non sapendo bene cosa fare, Brian si gettò a peso morto sul letto di Barry, chiudendo gli occhi e pronunciando indifferente : - Ah, vale a dire che stasera andrete fino in fondo.-
L’altro arrossì, sempre rimirandosi allo specchio : - … forse, forse.-
Abbracciandosi strettamente il cuscino Brian si tirò a sedere, esclamando indignato : - Non posso credere che stasera dovrò starmene in casa a far finta di essere felice di dividere il tetto con loro quando voi due vi darete alla pazza gioia!-
- Magari se avessi degli amici con cui uscire il venerdì sera non saresti costretto a cotanto abominio…- ribattè pungente Barry, e Brian incassò senza proferir parola, ben sapendo che il fratello non aveva tutti i torti.
Nonostante ciò, quest’ultimo gli si avvicinò, chinandosi a sollevargli il mento con un dito e sorridendo : - Ehi… Ti prometto che se stasera le cose andranno in porto con Patsy domani festeggeremo con un uscita fra soli uomini, intesi?-
- Va bene… - acconsentì fievole Brian, mentre dopo avergli assestato un buffetto sulla testa Barry usciva dalla stanza per andare in garage a prendere la macchina.

Sua madre era giù in soggiorno a guardare un film, suo padre stava leggendo nel suo studio.
Che magnifico ritratto familiare, pensò Brian leggermente sprezzante, salendo le scale per andare in bagno.
Ecco, la prospettiva di stare a mollo per mezz’ora in una profumata nuvola di bollicine e acqua calda non era per niente sgradita.
Si svestì velocemente, e aprì il rubinetto della vasca da bagno.
Mentre aspettava, si guardò allo specchio con attenzione acuita dalla voglia di trovare un passatempo decente.
Si passò le dita sugli zigomi, scrutando il colore delle proprie iridi attentamente, disegnandosi con un dito il profilo del naso fino ad atterrare sulla fossetta al di sotto di esso, proprio sopra le sue labbra.
Distolse lo sguardo dal suo riflesso a fatica per controllare il livello dell’acqua.
Perfetto… Mancava solo il bagnoschiuma.
Aprì l’armadietto accanto allo specchio, e il suo sguardo fu attirato dalla familiare vista di un astuccio color azzurro penetrante.
Lo afferrò e fece scorrere la zip, svelandone il contenuto.
Il beauty-case di sua madre.
Subito riconobbe il rossetto color carminio che soleva darsi sulle labbra tutti i giorni  – tranne la domenica, perché andare a messa con le labbra rosse era irrispettoso.
Curioso, Brian roteò la base del tubetto, osservando il cilindro consumato di cosmetico venir fuori dalla sua custodia di plastica.
Era un bel colore.
Il ragazzo avvicinò il naso all’oggetto.
Aveva anche un buon odore, un odore che non aveva mai sentito,  forse perché soffocato dal pessimo profumo francese che sua madre amava tanto – o forse perché erano anni che lei non gli dava un bacio.
Si guardò di nuovo allo specchio, e considerò di aver ripreso la forma della bocca proprio dall’ “adorata” genitrice.
E come se fosse un gioco, un divertissement come un altro, Brian vi passò il rossetto con cura, ma con aria assente e gesto meccanico, che sapeva di routine consolidata.
In virtù di quel senso di già vissuto, rovistò nel beauty-case, trovando una matita nera e il tubetto del mascara e cominciando a pittarsi gli occhi con tranquilla professionalità, canticchiando qualcosa nel frattempo.
Quando ebbe finito la sua opera, il volto che gli si presentò davanti gli diede un senso di vertigine.
- Non piacerà al pubblico… - mormorò affranto allo sconosciuto nello specchio.
- E non piacerà neanche a lui… A lui non piace tutto questo nero.-
Si accorse di stare piangendo solo quando vide l’estraneo con le guance inzuppate di mascara colato.


- Mi sta dicendo di non aver riconosciuto il suo volto?- articolò confuso il dottor Mosley, e Brian lo corresse atono, lo sguardo fisso in un punto imprecisato della stanza : - No… Non era proprio la mia faccia. E tutto quello che riuscivo a fare era piangere, e dirmi che a lui tutto quel trucco scuro attorno agli occhi non sarebbe mai piaciuto…-
- “Lui” chi?- chiese lo psicanalista, sempre più perplesso di fronte agli sviluppi che stava prendendo quella stramba storia.
Brian gli puntò di nuovo gli occhi verdi addosso, rispondendo quieto : - Lui… David.-

Era in ritardo, come sempre.
Il solitario palcoscenico del teatro navigava in un buio denso ed avvolgente, ed un solo, bianchissimo fascio di luce si preoccupava di discioglierne la cupa omogeneità.
Un pianoforte a coda era tutto ciò che faceva compagnia ad un uomo, ritto ed immobile.
Avvicinandosi percorrendo lo stretto sentiero fra le poltroncine della platea, Brian si sentì rabbrividire.
L’uomo lo guardava con vuota impassibilità, le braccia conserte e la testa inclinata da un lato in un gesto che sarebbe potuto risultare quasi vezzoso, se non fosse stato accompagnato da uno sguardo tanto rigido nella propria freddezza.
Brian salì le scale che portavano sul palco cautamente, come se il minimo rumore prodotto da un suo passo potesse provocare una reazione inconsulta da parte dell’altro.
- Una primadonna. - scandì quest’ultimo all’improvviso, scuotendo il capo senza smettere di fissare il giovane, che lo ricambiò con un silenzio confuso.
- … sei una dannata primadonna in tutto e per tutto, compresa questa tua abitudine di farti attendere.-
Allora aveva ragione prima… Era davvero in ritardo.
… per cosa, però, rimaneva un mistero.
- Mi spiace, David.- si sentì mormorare Brian, quasi non riconoscendo la propria voce.
Quel timbro suonava estremamente familiare al suo orecchio, nonostante fosse certo di non averlo mai sentito prima.
E però era suo. Indubbiamente suo.
- Ti prego…- lo motteggiò David con tono languido, gli occhi rivolti al cielo. -… le scuse proprio non ti si addicono.-
Sedendosi al piano, David gli voltò le spalle, iniziando a suonare.
Conosceva quel motivo. O forse no.
Forse Brian non lo conosceva… L’altro sì.
Ed infatti le parole che gli sovvennero erano talmente nuove e fruste allo stesso tempo che si sentì preda di un capogiro, cercando con tutte le forze di non svenire.
David se ne accorse, e smise di suonare.
- Che ti succede? Stai male?-
Senza attendere una replica l’uomo si alzò in piedi, raggiungendo Brian e sorreggendolo per le spalle.
- Ehi? Va tutto bene?-
Brian riuscì ad annuire debolmente, ancora frastornato.
Si sentiva stanco, all’improvviso, e avvertiva una sensazione sorda non riconducibile a niente che avesse già sperimentato in passato risalirgli dal ventre ad ondate regolari.
Poi quella sensazione fu cancellata - o almeno messa da parte - da un'altra ancora, ben più piacevole.
Se sentirlo suonare era stato stordente, baciare David era come tornare a casa e trovarla a soqquadro.
Era ancora il posto caro di sempre, ma ogni oggetto aveva perso la propria posizione di partenza, andando a far parte di un caos indistinto e disturbante.
Nonostante ciò, Brian rispose al bacio come era solito fare – cioè, come era solito fare l’altro.
Le mani di David intanto erano risalite lungo i suoi avambracci, portando con loro la stoffa della camicia adorna di fronzoli che indossava il ragazzo e arrotolandola grossolanamente poco sopra i suoi gomiti.
Interruppe il suo bacio, e afferrò un polso di Brian, esponendo l’interno del suo braccio alla luce dei riflettori.
Incuriosito, anche il giovane si sporse a dare un’occhiata a quanto messo in mostra dall’altro.
L’incavo dei suoi gomiti era liscio, bianco, tranne per le sottili striature blu delle sue vene sotto l’epidermide sottile… E due puntini rossi, uno a poca distanza dall’altro.
David non disse nulla. Scosse il capo, sospirando, e rimise le maniche della camicia al loro posto.
Mentre questi si dirigeva dietro le quinte del palcoscenico, quasi fondendo la propria figura nel buio di esse, Brian gridò : - Sto cercando di smettere… David! David, sto cercando di smett…!-
Poi il dolore all’addome cancellò ogni sua volontà di richiamare a sé il compagno ; si accasciò a terra, digrignando i denti e gemendo debolmente.
Quel male tremendo adesso aveva un nome : astinenza.



- Questo è stato il risultato della mia prima e ultima seduta d’ipnosi.- terminò il racconto con piglio asciutto Brian.
Si alzò,  mettendosi a cercare qualcosa nelle tasche del giubbotto ; tirò fuori un pacchetto di sigarette, e dopo che glielo ebbe chiesto il dottor Mosley accordò il permesso al ragazzo di fumare.
Mentre Brian soffiava una nuvola di fumo con metodica accuratezza, l’anziano psicanalista cercava invano delle risposte all’enigma che quel suo improvvisato paziente era venuto a fornirgli in quel giorno di pioggia.
Una reincarnazione… Ma lui a quelle cose non aveva mai creduto!
Eppure, quel testardo ragazzino era riuscito a mettergli in testa strani concetti e strane domande alle quali sentiva di non poter dare una risposta razionale.
Nonostante ciò, decise di dar voce alla più semplice di esse : - Come mai “prima e ultima”?-
Brian si sporse a scuotere la cenere dalla sommità della sigaretta nel posacenere che l’altro gli aveva fornito : - Perché ho avuto paura. Più paura di quanto credessi.-
Continuò, pensoso : - E poi… Non lo so. Non credo che il senso di queste esperienze sia guardare al passato dell’altro… Ma al futuro. Il mio futuro.-
Probabilmente notando l’espressione poco convinta del dottore, Brian spiegò con calma : - Vede, io ho intenzione di mettere su una band. Ho due amici… Non vedono l’ora di iniziare a fare qualcosa di serio, come me. Mi sono rotto dei localini dove ti pagano in consumazioni. Voglio sfondare, voglio essere qualcuno. Perché, vede, io credo che l’altro aspiri a questo. Credo voglia tornare sul palco…-
Spiaccicò il mozzicone con il pollice contro il fondo del posacenere, abbassando il tono di voce : -… magari da David.-
- Dunque… Non intende cominciare un trattamento…?- mormorò il dottor Mosley, e Brian sorrise : - No.-
- Ma perché allora è venuto a raccontarmi questa storia, se non desiderava il mio consulto?- sbottò irritato lo psicanalista, sentendosi preso in giro ; in tutta risposta, Brian scoppiò in un’allegra risata : - Perché se lo raccontassi a Stef o Steve mi prenderebbero per matto! E visto che lei – e gli altri suoi colleghi ai quali ho confessato il mio “segreto” - con i matti siete abituati a trattare, non ho paura di sfogarmi. Perché ogni tanto ne ho bisogno… È come se mi portassi addosso un peso, e devo parlarne con qualcuno, a volte.-
Infilandosi il giubbotto ancora umido, Brian si congedò cortesemente : - La ringrazio di averci ascoltato. Non so se l’altro sia d’accordo, ma io l’ho trovata molto disponibile e gentile… Non come quello che mi aveva proposto l’elettroshock, per dire!-
Infilando l’uscio, si voltò un’ultima volta per dire : -… e ascolti la radio, nei prossimi mesi… Potrebbe captare una voce familiare, chissà.-
Il dottor Mosley restò con gli occhi incollati alla porta dello studio per molto tempo, prima di alzarsi ed infilarsi il soprabito in tutta fretta, desideroso di tornare a casa al più presto.
Ne aveva abbastanza della sua professione, per quel giorno.

   
 
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