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Autore: Letsneko_chan    18/07/2015    0 recensioni
Il silenzio della notte fu bruscamente interrotto da un urlo disperato.
Dalla foresta adiacente al tempio si alzò uno stormo di uccelli e le loro figure nere si stagliarono all'improvviso contro la luna.
All'interno del tempio, sede dell'oracolo di Raxum – il più importante del regno – una luce multicolore illuminava la selva di colonne del pronao. Proveniva dalla sala più interna del tempio ed era prodotta da un globo luminescente sospeso a mezz'aria.
In terra era disegnato un cerchio, in cui erano scritte parole in una lingua sconosciuta ai più; poco lontano da esso giaceva un corpo privo di sensi, mentre una figura femminile gli stava accanto. Quest'ultima teneva in mano il globo, accarezzandolo di tanto in tanto con le dita.
[...]
«Nascerà nella Notte colei che le terre di Iktali alla rovina condurrà».
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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il demone della notte 2

Capitolo II

 

 

Dalla cima di una collina poco distante da Ysame, stagliata contro la luce rossa del tramonto, una donna aveva osservato il villaggio crollare pietra dopo pietra.

Era rimasta impassibile quando le avevano annunciato la fuga di Tairan: ovunque quello si andasse a nascondere, lei lo avrebbe trovato.

Aveva mutato espressione solo per un attimo quando uno spirito del ghiaccio le aveva portato come prigioniero il governatore di Ysame.

Non appena quello aveva accennato alla resistenza dell'uomo, lei era andata su tutte le furie, facendo scomparire lo spirito.

Notò con piacere che Isgar, inginocchiato davanti a lei con le mani legate dietro la schiena, tremava.

Si abbassò per accarezzargli una guancia ma l'uomo si ritrasse, guardandola con aria truce.

«Non sei in grado di nuocermi, Isgar. Lasciati coccolare un po'» gli disse la donna scoppiando poi a ridere.

Isgar abbassò lo sguardo: la sua unica speranza di salvezza l'aveva riposta in Tairan e pregò gli dei che il sovrano si fosse messo in salvo.

Si pentì immediatamente della preghiera: osservò inorridito e impotente come una moltitudine di spiriti appena evocati si lanciasse alla ricerca di Tairan. Solo allora, si ricordò che i demoni avevano la facoltà di leggere nella mente.

«Sei stato allevato da Iagei, vero?»

Isgar annuì.

«E cosa sai dell'arte dell'evocazione?»

«Poco, a dire il vero. Anni fa ero in grado di evocare gli spiriti di base, la classe più debole. Ma con il passare degli anni ho preferito dare più spazio alla politica, seguendo la strada che mio padre aveva tracciato per-».

«Non mentirmi! – la donna lo colpì con forza al volto – Ti sei nascosto dietro una pila di fogli, per rimpinzarti ai banchetti e per fare una vita comoda, lontana dalle forze del male. Voi umani siete così stupidi!»

Isgar abbassò lo sguardo.

«Brucia sapere la verità. Vero, Isgar, figlio di Iagei? Tuo padre volle tenerti lontano da me ma ha fallito nella sua impresa: guardati. Sei qui, ferito e sottomesso a me. Per quanto tempo avevi intenzione di nasconderti da me?»

La donna lo costrinse ad alzare il viso.

«Ignorava il fatto che avessi lanciato una maledizione anche su di te: lui sarebbe vissuto fino alla Notte. Al contrario, per te, il tempo di cent'anni sarebbe equivalso a trenta. Pensavi che non mi fossi accorta di quel goffo bambino che correva attraverso la foresta mentre questa moriva?»

Isgar scosse la testa.

«Ti do la possibilità di aiutare Tairan. Puoi evocare un solo spirito che lo soccorra».

L'uomo alzò la testa, spalancando gli occhi.

«Non... Non evoco uno spirito da anni...»

La donna rise.

«Sarà un bello spettacolo vederti fallire».

«Se si tratta di aiutare Tairan non fallirò».

La donna lo slegò mentre un ghigno le tagliava in due il volto.

«Ricordi il mio nome?»

«Nyris, la distruttrice».

Quella annuì.

Era rimasta uguale alla prima volta che Isgar l'aveva vista: lunghi capelli neri incorniciavano il viso, di un candore troppo irreale per essere umano. Rabbrividì, ripensando a come si era sentito osservato da quegli occhi gialli mentre correva attraverso la foresta.

Si rivide bambino: ogni notte si addormentava tra le lacrime, pregando che quel segno nero che aveva sul braccio – una catena di anelli concentrici – sparisse per sempre, liberandolo da quel legame.

Chiedeva insistentemente ai maghi corte di aiutarlo ma loro si limitavano a scacciarlo come un insetto: soltanto un vecchio generale venne in suo aiuto, consigliandogli di non ribellarsi al potere che aveva in sé.

Ripensò anche al suo primo incontro con Tairan: il giovane principe l’aveva scambiato per una ragazzina, invitandolo a ballare. Ignorando che fosse l’erede al trono, Isgar, in preda all’imbarazzo, gli aveva scagliato contro uno spirito del fuoco, suscitando l’ilarità dei presenti. Tairan non si era scomposto più di tanto, facendo solo un commento sconsolato sul fatto che gli aveva appena bruciacchiato il vestito preferito.

Isgar sorrise: da quel giorno, si era completamente affidato a Tairan e pian piano si era dimenticato il mondo carico di magia di Raxum. Tuttavia, la catena di anelli continuava a esistere, facendo in modo che la maledizione si attuasse.

Nonostante avesse giurato a Tairan completa fedeltà e la sua lealtà verso il principe non fosse messa in discussione da nessuno, Isgar non aveva mai trovato il coraggio di raccontare a Tairan per quale motivo era arrivato malconcio nella capitale.

Isgar si asciugò una lacrima che non era riuscito a trattenere mentre ripensava a quel tempo.

Mormorò qualcosa, tenendo le mani a forma  di coppa. Una luce rossa nacque tra esse, continuando a ingrandirsi. Isgar la lasciò libera di fluttuare nell’aria e pian piano prese la forma di un giovane.

«Va da Tairan, dimostragli che la mia lealtà non conosce confini!» gli gridò mentre quello si allontanava.

«Un esempio patetico di lealtà. Non ti servirà a nulla: i miei spiriti sono molto più forti del tuo».

«Hai rubato il potere a mio padre».

Nyris rise, guardandolo con disprezzo.

«Sarà un piacere torturarti e rubarti la vita».

 

Isgar riaprì gli occhi a fatica: provò a portarsi una mano alla testa – quel dolore non gli dava tregua – ma notò con orrore che era legato a una colonna.

Sentiva freddo: per quanto tempo era rimasto svenuto nella neve dopo che era stato colpito alla testa? Tanto, poiché i vestiti erano ancora bagnati.

Si guardò intorno, riconoscendo a tratti la sala in cui tante volte aveva giocato o ascoltato le lezioni del padre che cercava di insegnargli l’arte dell’evocazione.

Sorrise mesto vedendo che il braciere tanto amato da Iagei campeggiava ancora sul fondo della sala: la stessa sfera multicolore vi trovava posto, lanciando bagliori sulla parete vicina. L’unica cosa che era cambiata era la tonalità dei colori: se li ricordava brillanti, portatori di luce; in quel momento, invece, apparivano cupi, come se il Male li avesse corrotti con le sue tenebre.

La fissò a lungo, ripensando ai tempi in cui ogni così sembrava così tranquilla: quella calma apparente nascondeva eventi terribili da cui Iagei voleva tenere lontano il figlio, nella speranza che potesse un giorno occupare il posto del padre.

Ma le circostanze gli avevano portati a vedere i loro progetti sgretolarsi giorno dopo giorno: Iagei aveva fallito nello sconfiggere Nyris, Isgar aveva abbandonato gli studi dell’evocazione per dedicarsi alla politica, ritenendola un’attività più sicura. Entrambi si erano affidati a Tairan, convinti che il re potesse cambiare la situazione: tuttavia Isgar sentiva le sue convinzioni vacillare, come se neanche la speranza riposta nel sovrano potesse cambiare la situazione.

«Le Terre di Iktali sono destinate a sprofondare nelle tenebre, non lo pensi anche tu, Isgar?»

«Non la penserò mai come te».

«Usi quel tono sprezzante ma non puoi fare assolutamente niente per fermarmi: il tuo sovrano se l’è data a gambe, abbandonandoti a Ysame. E tu sei qui, prigioniero nel luogo che era la tua casa».

Isgar non rispose, continuando a guardare male Nyris.

Quella donna, nella sua malvagità, aveva un fascino cui era quasi impossibile resistere e l’ormai decaduto governatore di Ysame doveva appellarsi a tutte le sue forze per non esserne sopraffatto.

«Lo so che mi desideri, Isgar. Leggo i tuoi pensieri contrastanti però, se ci rifletti bene, arriverai alla conclusione che sarebbe molto più vantaggioso per te lasciarti andare».

«E tradire la parola data a Tairan? Mai».

«Pensaci: ti lascio un giorno di tempo. Domani mi darai una risposta».

 

Isgar passò una notte insonne, combattuto tra due pensieri contrastanti. Temeva la morte e il concedersi a Nyris l’avrebbe salvato da essa. Tuttavia, non voleva tradire la parola data a Tairan: lui, che gli aveva posto la corona sul capo, che l’aveva sostenuto in ogni decisione non poteva mettersi gettare via così la parola data!

Tormentato nell’animo, Isgar lasciò che le lacrime sgorgassero. In lontananza sentiva l’orologio ad acqua segnare il tempo: ogni cosa lì lo riportava al passato, impedendogli di fermare il pianto.

«Patetici. Siete una razza patetica. Così legati al passato da non riuscire a cambiare radicalmente il futuro. Chiamate noi demoni nella speranza che le vostre menti siano liberate dai lacci del passato…»

«Basta! Vattene! Mi hai dato tempo fino a domani!» urlò Isgar.

Nyris parve interdetta: non si aspettava una tale reazione da parte dell’uomo.

Si allontanò in silenzio e il fruscio dell’abito fu l’unico rumore che Isgar sentì prima di cadere in un sonno agitato.

Frammenti di ricordi popolarono i suoi incubi e la mattina seguente, Isgar si svegliò più tormentato che mai.

La catena che spiriti e famigli formavano intorno alla colonna si ruppe solo per lasciar passare Nyris e lo spirito della Morte.

Isgar osservò con disgusto la dimostrazione di potere che Nyris gli stava offrendo: riconobbe alcuni spiriti che erano stati evocati dal padre e ciò contribuì solo a far aumentare la sua rabbia.

«Qual è la tua decisione, Isgar, figlio di Iagei?»

L’uomo alzò la testa e alcune ciocche gli ricaddero scomposte sulla fronte.

«Resterò fedele a Tairan. Fino alla morte».

Nyris strinse i pugni: quell’uomo – così come suo padre – rischiava di farle perdere la pazienza.

«Con il fuoco hai aiutato Tairan. Per mezzo del fuoco morirai».

Rivolse a Isgar uno sguardo di sfida e si sentì sollevata nel vedere la paura farsi strada nell’animo del prigioniero.

«Le tue ultime urla risuoneranno nel cratere di Kecycira. Là dove si dice che sia scomparso L'Ultimo Drago tu perirai».

Isgar ascoltò con il terrore negli occhi il canto intonato dagli spiriti. La sentenza pronunciata da Nyris portava con sé una morte atroce: ricordava ancora le urla disperate di un uomo gettato vivo in quel vulcano. Quanti pensavo che quella fosse una morte indolore e rapida si sbagliavano: una lunga sofferenza precedeva il momento in cui – solo se uno era fortunato – prendeva fuoco e bruciava fino alla morte.

«Non avrò il piacere di strapparti la vita con le mie stesse mani ma vederti tormentato dall’elemento cui sei più legato sarà soddisfacente lo stesso».

La risata con cui Nyris finì il discorso fece gelare il sangue nelle vene a Isgar che abbassò il capo, lasciando che una lacrima gli rigasse il viso.

«Perdonami, Tairan…»

«Sei patetico».

 

Kecycira era l'unico vulcano delle Terre di Iktali: da tempo immemorabile faceva da scenario a svariate leggende, la più famosa delle quali riguardava l'Ultimo Drago. Si diceva che quello avesse scelto Kecycira come dimora nel sonno eterno.

Ma Isgar sembrava completamente dimentico di quella leggenda: pensava solo alla morte imminente.

Il terrore gli attanagliava le membra e solo la salda presa dello spirito della Morte sul braccio gli impediva di cadere a terra quando, ad ogni passo, sentiva le gambe cedere.

Isgar aveva paura.

E lo spirito della Morte lo sapeva.

Aveva torturato il suo prigioniero a lungo prima di costringerlo a prendere la via più impervia, in modo da aumentare il tempo che lo separava dalla morte. Lo spirito si fermò solo quando giunse sulla vetta del vulcano.

Fece cenno a Isgar di avvicinarsi: quello, tremando, lo raggiunse sul bordo al cratere.

«Osserva il panorama: guarda a cosa hanno portato le tue azioni e quelle di tuo padre!»

Isgar osservò inorridito la piana che si estendeva a Nord del vulcano, campo di una sanguinosa battaglia.

Aguzzando la vista, vedeva interi villaggi e città in rovina: tra essi, riconobbe il cumolo di pietre che una volta era Ysame.

Il tempio di Raxum, una macchia bianca nel mezzo della foresta, era ben visibile.

Un improvviso alito di vento scompigliò i capelli a Isgar, facendolo tornare alla realtà. Non poté trattenere una lacrima: lo splendore di quelle terre era ormai un ricordo lontano.

Guardò in basso, scrutando la lava che ribolliva nel cratere; istintivamente, fece un passo indietro, cadendo rovinosamente a terra.

«Hai paura della morte, Isgar?»

«Sì» ammise l'uomo.

Lo spirito ghignò.

«È più piacevole vedere spirare coloro che mi temono. Hanno espressioni così terrorizzate che ripagano tutti gli anni che ho dovuto aspettare per strappare loro la vita!»

Isgar non rispose, limitandosi a guardare le pietre. Un singhiozzo gli scosse le spalle e ben presto l'uomo era diventato preda del pianto.

Lo spirito lo guardò con disprezzo, alzandolo poi di peso. Lo trascinò fin sull'orlo del cratere, nonostante quello si dimenasse cercando di scappare.

«Hai segnato il tuo destino, Isgar! Non puoi più sfuggirmi!»

Lo spirito lasciò la presa sul braccio e Isgar si rannicchiò, rimanendo chiuso nel suo silenzio.

«Hai un ultimo desiderio?»

«Sì».

«Allora parla».

«Al momento della sua morte... Vorrei che Tairan diventasse uno spirito. So che avete quest'intenzione per me».

Lo spirito parve divertito e poco dopo scoppiò a ridere.

«Cosa c'è di tanto divertente?»

«È impressionante quanto voi umani siate stupidi: voler continuare un legame anche oltre la morte è un modo per soffrire in eterno. Ma adesso basta! È ora che il tuo destino si compia!»

Isgar si trascinò a fatica sull'orlo del cratere: la lava ribolliva, formando grosse bolle incandescenti che esplodevano in pochi secondi.

Si voltò verso lo spirito: teneva la testa china e le mani congiunte. Mormorava una preghiera, indubbiamente rivolta a Nyris.

Vedendo la reticenza di Isgar, gli si avvicinò con aria minacciosa, facendolo arretrare finché all'uomo non mancò la terra sotto i piedi.

Isgar si aggrappò a una roccia, in un ultimo, disperato tentativo di salvarsi dalla morte.

Lo spirito gli rivolse un’occhiataccia. Incurante delle sue preghiere e delle sue lacrime, lo costrinse a precipitare nel vuoto.

L’uomo chiuse gli occhi, precipitando nel vuoto. Chiese un’ultima volta aiuto prima di cadere nella lava.

Lo spirito rimase immobile, in piedi sul bordo, ascoltando le urla di dolore di Isgar e osservandolo agitarsi.

Seguiva con lo sguardo i suoi disperati movimenti: Isgar si contorceva, invocando la morte. Sicuramente il dolore per l’uomo era insopportabile: quella razza così debole non poteva sopravvivere a tanto!

Quando lo raggiunse l’ennesimo urlo, lo spirito voltò le spalle, scendendo lungo il sentiero.

«Addio, Tairan. Spero che tu possa perdonarmi…» riuscì a mormorare Isgar prima che le fiamme avvolgessero il suo corpo, ponendo fine alle sue sofferenze.

   
 
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