Mamma
L’eco dei singhiozzi pervade l’aria, ne è satura ormai. Nulla più può sfuggire all’ oscurità che calda come il fiato di una bestia famelica e assassina ti mozza il fiato e tramuta il muscoli in acciaio e le ossa in gesso. Le nubi grigie galoppano all’orizzonte, c’è odore di tempesta. È solo, il rombare dei tuoni al di fuori di esso non può penetrare la barriera che avvolge nel silenzio la sua mente, il giallo acceso dei fulmini non può turbare la sua vista annebbiata, fissa in un punto. Le ginocchia piegate sulla ghiaia iniziano a sanguinare , doloranti. Il peso del corpo e la lunga corsa le hanno provate, ma non si rialza, rimane lì, immobile, in quel lugubre prato ad aspettare la pioggia, continuando imperterrito a guardare i piccoli fiumiciattoli di sangue che inesorabili imbrattano il bianco innaturale delle sue mani creando intricati disegni vermigli che il colore del’ cielo in tempesta sembra tingere di pece. Non si accorge dei passi, no, non sente le voci, no. Sussurrano, urlano, parlano; e cosa dicono poi, il suo nome “Marco” “Marco” “Marco”.Se solo il cielo potesse fare più rumore, se solo il vuoto che lo circonda potesse esplodere e con un tonfo sordo inghiottirle nel nulla di quel mondo, del suo mondo, che lo avvolge come una coperta di lana calda e scura, una coperta troppo fredda, come dimenticata fuori nel davanzale sotto il cielo traforato di stelle in una gelida notte d’inverno che non può scaldare il corpo stanco. Improvvisamente due braccia l’avvolgono, lo stringono al petto, è accogliente, il suo primo pensiero. Un fuoco vivo arde al suo interno e si espande sciogliendo la nebbia dei suoi occhi che tornano finalmente a vedere il mondo. Il ritmo della musica del suo cuore spazza via la tempesta e torna a vivere. Il caldo abbraccio continua in un prato verde punteggiato di teneri e tenaci fiori che profumano di affetto e finalmente tutto sembra normale.
Tutte è come nei suoi sogni immagina essere la normalità di un affetto.
Grazie mamma.