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Autore: Lady Warrior    19/07/2015    1 recensioni
LA STORIA PARTECIPA AL CONTEST "THE ANCIENT TALES" INDETTO DA TSUNADE E INU CHAN
Evan è un evocatore: è capace di richiamare a sè persone ed entità di qualsiasi tipo che si trovano a grande distanza da lui, tuttavia non può evocare i morti, ed è questo che si profilava di fare quando ha attraversato le porte dell'Inferno, in cerca di una leggendaria Fonte in grado di resuscitare le anime dei defunti. Il suo unico desiderio era riportare sulla terra la moglie defunta. tuttavia scoprirà che non c'è via d'uscita dagli inferi, e nel suo tentativo di attraversarli rivivrà la sua storia d'amore.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A voyage into the hell
 
 
La storia partecipa al contest “the ancient tales” di Tsunade e Inu Chan
 
 
 
Pacchetti scelti:
Blu: Evocatore 
Sleipnir "L'insegna nascosta, visibile solo ad un occhio attento, nascondeva un posto segreto che conoscevano in pochi." 
 
 
 
Chi l’avrebbe detto che ella fosse la morte? Evan aveva viaggiato sino alle porte dell’Inferno, le aveva aperte e si era addentrato in quel luogo buio e dannato per trovarla. Ed eccola lì, una sensuale signora dai mossi capelli bruni, che indossava un aderente e succinto vestito viola. La mano sinistra impugnava una spada di ferro, incantata, che emanava scintille blu, mentre sul palmo della destra era poggiato un tenebroso teschio. Chissà cosa rappresentava: era forse simbolo della sua prossima vittima? Le sue due paia di ali erano distese, tenute leggermente a distanza dal cupo trono su cui ella sedeva, un trono alto, nero, su cui erano scolpiti scheletri terrificanti, del tutto simili a quelli che ricoprivano la terra sotto il trono. Evan rimase stupito da quella visione: non aveva mai visto donna più bella, affascinante e sensuale durante la sua vita, e sì che di donne ne aveva conosciute molte, dalle giovinette timide ma audaci alle signore ormai non più troppo giovani; ma ecco, quella donna, quella figura femminile era ciò che di più bello e terribile Evan avesse mai visto, poiché in lei bellezza e oscurità si fondevano in perfetta armonia. Evan osservò le rosse e morbide labbra serrate della donna, e non poteva far altro che restare immobile dinnanzi a lei.
D’un tratto ella lanciò in alto il teschio, che roteò per aria, fino a ricadere di nuovo sulla mano aggraziata della donna.
-Sei il primo vivente che è riuscito ad arrivare nella mia dimora. Qui c’è posto solo per i morti, non puoi attraversare questa casa da vivo- disse la donna, con una voce agghiacciante che risuonò in tutto l’antro, facendo tremare gli scheletri adagiati sul terreno.
-Ma la vera domanda che assilla la mia mente- proseguì senza che Evan potesse proferir parola –É un’altra. Perché sei venuto fin qui, nel luogo dal quale tutti vogliono rifuggire? Quale audacia o folle pazzia ti ha spinto volontariamente nelle braccia della morte?-
Evan voleva risponderle, spiegarle tutto, ma rimaneva ammutolito, non potendo distaccare lo sguardo da quella creatura.
-Io non desidero la morte- riuscì a dire –Sono qui per realizzare il mio sogno-
-Ormai è tardi. Da qua non si può uscire- disse la donna, sollevandosi per aria con un battito d’ali. Aveva raggiunto il soffitto dell’antro. Fece una capriola per aria, poi velocemente atterrò davanti all’uomo, in ginocchio.  Da quella posizione Evan poteva vedere meglio la perfezione delle sue forme. La donna si alzò e chiuse le ali, iniziando a volteggiare intorno all’uomo, come una belva attorno alla preda.
Fu così che Evan si rese conto di quanto stupido e incosciente fosse stato. Di quanto irrealizzabile fosse il suo sogno. Non poteva sconfiggere quella donna dai capelli di tenebra, perché lei era la Morte, la sadica, dolce, inattesa, terrificante, scabrosa morte, che portava ogni anima via con sé. La osservò e si rese conto, per la prima volta da quando era rimasto intrappolato dalla sua bellezza, che era stata lei a togliergli Prim, era stata lei a tagliare il sottile filo che separava la vita dalla morte di sua moglie. Le altre donne che Evan aveva frequentato non erano state altro che un’immagine di lei, un qualcuno in cui cercarla: in ogni donna che aveva posseduto aveva cercato Prim, perché tutte le sue amanti non erano state che un surrogato di lei. Così aveva cessato di cercare la donna nel volto e nel corpo delle altre, e aveva tentato un altro approccio. Lui era un evocatore. Un evocatore del Primo Ordine, la classe dei più abili maghi votati a questa disciplina. Era riuscito persino ad evocare un grifone vicino a lui da miglia e miglia di distanza. Aveva evocato le anime maledette, quelle a cui la morte aveva sottratto la vita ma non aveva permesso loro di scendere agli inferi, perché queste persone erano innocenti assassinati brutalmente e senza motivo, che anelavano solo vendetta, e lui le aveva aiutate. Essere evocatore non significava poter resuscitare i morti anche solo per un lasso di tempo, ma poter materializzare esseri viventi che si trovavano anche a grande distanza.
Quindi, come ogni suo simile,  non era mai riuscito a evocare un defunto. Nessun evocatore di qualsivoglia ordine aveva mai portato a termine l’impresa. Evocare un morto era impossibile, e ritenuto fuorilegge: chi vi tentava veniva additato come Negromante, e la punizione era la morte, una morte atroce. Al sospettato venivano amputati i quattro arti, mozzata la lingua, e infine, veniva tagliata la testa. Nessuno desiderava più una nuova Venuta dei Morti. Ma essa non era avvenuta a causa di evocatori e negromanti come tutti credevano, no, era accaduta a seguito di una colluttazione di forze magiche che avevano permesso ai morti di uscire dall’inferno per qualche giorno, tuttavia era credenza che i negromanti avessero contribuito a ciò.
Evan aveva deciso per la via della negromanzia. Non voleva una seconda Venuta dei Morti, no. Non desiderava evocare defunti per invadere il mondo. Voleva soltanto evocare sua moglie, darle un’altra possibilità, e dare alla loro bambina quella figura materna che le era sempre mancata.
Ma in quel momento, sentendo la morte così vicina, a due passi da lui, si rese conto che avrebbe fallito, e avrebbe lasciato sua figlia sola al mondo.
-Voglio mia moglie. Ti prego. Sono venuto qui per trovare un modo per liberarla dal mondo dei morti. Se riuscissi a comprendere il passaggio che lega questo mondo al mio, e non parlo del sentiero al Centro del Mondo, una via mediante la quale evocare Prim, una Fonte che si dice sia celata qua dentro, potrei riaverla con me-
La morte iniziò a ridere, con una risata così glaciale da far accapponare la pelle. Batté le ali e svolazzò accanto a Evan, appoggiando il mento sulla sua spalla.
-è per questo che sei giunto sin qui? Sei patetico. Pensi che io provi pietà per te? Ho tolto la vita a innocenti, colpevoli, uomini, donne e bambini. Ora lancerò per aria questo teschio e davanti a me si profilerà il volto della mia prossima vittima, secondo un ordine casuale delle cose. Pensi di poter evocare tua moglie? Non vi riuscirai, e anche se tu lo facessi otterresti solo una donna sofferente, che vorrebbe solo ritornare da dove è venuta. Non puoi restituire la vita ai defunti. Nessuno può. Nemmeno io. Perché se fosse così, l’ordine dell’universo verrebbe alterato. Esiste un equilibrio, mio caro, un equilibrio che non possiamo modificare. È l’equilibrio della vita e della morte. Io e la Vita spesso ci scontriamo, e talvolta quella dolce e delicata fanciulla dai capelli color oro riesce anche a sconfiggermi, ma nessuna delle due avrà mai una vittoria totale, perché se ciò accadesse l’equilibrio verrebbe destabilizzato, e allora né morte né vita esisterebbero più, solo dolore, e oblio-sussurrò la Morte al suo orecchio, poi, come predetto, lanciò il teschio per aria. Esso roteò, roteò, fino a ricadere sul palmo della sua mano e prese la forma del corpo di un cacciatore. Aveva circa quaranta anni. Forse una famiglia.
-Vedi, lui è la mia prossima vittima. Adesso chiuderò gli occhi e farò un paio di giravolte su me stessa, poi una bestia selvatica lo attaccherà e lo ucciderà, la sua anima giungerà fin qui e attraverserà la sala mentre il suo corpo verrà a far compagnia agli altri scheletri. È così che funziona. Io agisco sotto ordine del caso. Non scelgo le mie vittime. Detto questo, chiuse gli occhi e fece due fulminee giravolte su se stessa. Evan vide attraverso la nuova forma del teschio un grande lupo attaccare il giovane e sbrandellarlo. Ben presto una forma eterea giunse fin lì, attraversò la stanza, e uno scheletro si materializzò vicino ad Evan.
-Vedi?- disse la Morte, poi, con l’indice sinistro, toccò la tempia di Evan, che ebbe un sussulto.
 
Una ragazza dai grandi occhi marroni lo stava guardando, sorridente. Aveva tra le braccia un cestino di vimini pieno di ciliegie rosse, che contrastavano col vestito bianco. La sua chioma ondulata era libera al vento. Il mare dietro di lei era una distesa blu che all’orizzonte si confondeva con il cielo, mentre il sole tramontava illuminando la distessa acquea.
-Cosa stai facendo?- chiese la fanciulla, curiosa, emettendo poi una risata cristallina. Osservò Evan, inclinando la testa di lato, incuriosita dagli strani movimenti del ragazzo. Evan roteò la mano, tenendo il palmo aperto verso l’alto, chiude gli occhi e subito dopo rivolse lo sguardo al cielo, fissando un punto impreciso. Vi fu un barlume di luce, poi uno sciame di farfalle comparì dinnanzi a lui, e iniziò a volare tra i capelli della fanciulla, rendendo la sua figura ancora più bella e dolce.
La ragazza rise e fece una giravolta, sorpresa.
-Come hai fatto?- gli chiese.
-Sono un evocatore. Studio alla scuola in città-
La ragazza ammutolì e guardò per terra, poi riprese a parlare.
-Io mi chiamo Prim-
Evan la guardo, sorpreso.
-Io Evan. Non hai paura?-
-Perché dovrei?-
-La gente fugge dinnanzi a me, quando vede cosa so fare. Pensa che io possa evocare i morti, ma non è vero! Per colpa di stupide leggende vengo emarginato per ciò che sono-
Prim adagiò il cesto di ciliegie a terra, ne prese una e la offrì al ragazzo. Evan la prese tra il pollice e l’indice e la addentò, gustando il sapore dolce.
-Cosa ci fai in riva al mare con un cesto di ciliegie?-
-Sono andata a coglierle al frutteto di mio zio, ma è lontano. La via più breve è questa. Devo costeggiare il mare. Oh, il sole è tramontato, devo andare!- disse la ragazzina, sorridendo un’ultima volta.
Evan la osservò correre via a bocca aperta. Non era fuggita davanti a lui, e gli aveva parlato. Sentì il suo cuore battere. Sorrise. Doveva avviarsi alla scuola. Era tardi anche per lui.
 
La Morte allontanò il dito dalla tempia dell’uomo.
-Che storia comune. Mi immaginavo qualcosa di diverso-
-Purtroppo non tutte le storie d’amore possono essere originali- disse Evan.
La Morte batté le ali e si sedette sul suo trono, chiudendo gli occhi.
-A cosa ti serve la spada?- le chiese Evan.
-A combattere contro la Vita e a punire i demoni disubbidienti-
Evan tacque. Cosa aspettava ad ucciderlo? Non poteva difendersi. La donna stava giocando con lui per puro divertimento, per poi porre fine alla sua esistenza.
Evan indietreggiò un poco. Doveva fuggire da quel luogo, doveva ritornare da sua figlia. Le aveva promesso che sarebbe ritornato, e ci aveva anche creduto, ma era stato uno sciocco. Cercò di non pensare all’ipotesi di dover morire, ipotesi molto concreta. Sua figlia sarebbe rimasta sola: non aveva nessuno. Probabilmente sarebbe diventata un’altra bambina orfana che affollava le strade della capitale, sarebbe morta di fame, oppure, se sarebbe riuscita a vivere, avrebbe condotto una vita misera e squallida per poter sopravvivere, e sarebbe stata solamente colpa sua. Era questo quello che avrebbe voluto Prim? Certamente no. Le aveva promesso in punto di morte che si sarebbe preso cura della loro bambina, e invece in quel momento si stava rendendo amaramente conto che non aveva mantenuto la promessa.
Osservò la Morte. Pareva distratta, stava giocherellando con quel teschio. Indietreggiò allora ancora un poco, cercando di non far rumore, fino a che non riuscì a nascondersi dietro un antro. Allora iniziò a correre lungo tutto il corridoio, disperatamente, in direzione della via d’uscita. Trovava alquanto strano e sospetto che la Morte non lo ostacolasse, e che anzi, lo lasciasse andare, ma nel suo cuore era ancora viva la speranza di poter fuggire e rivedere sua figlia. Si arrampicò su per le rocce che formavano il dirupo sul fondo del quale v’era lui. Rischiò varie volte di cadere, ma la forza della disperazione gli permise di arrivare fino in cima. Poteva vedere la luce del sole. Ancora qualche metro e sarebbe stato libero. Corse come non aveva mai fatto in vita sua.
Ancora qualche passo.
Ancora qualcuno.
Stava per uscire quando di colpo l’antro si chiuse, e Evan andò a cozzare contro la roccia, cadendo per terra.
Udì una risata glaciale.
-Davvero pensavi di potermi sfuggire?- disse la Morte.
Evan batté i pugni contro la pietra, ferendosi le nocche, e poi tutte le dita. Infine, piangendo, si accasciò al suolo.
 
-Scacchi? Non so giocarci, Prim!- esclamò Evan, prima di bere un sorso della bevanda che aveva ordinato. La piccola taverna nella quale si trovavano era situata vicino alla porta est della capitale. L’oste era un amico del padre di Evan, e lo ospitava sempre volentieri, nonostante fosse un evocatore. Il ragazzo si guardò attorno. I quadri polverosi e malconci adornavano le pareti gialle. Sui tavolini disposti in fila erano sedute varie persone: gli affari della taverna andavano a gonfie vele, nonostante non fosse esattamente un locale raffinato e di lusso. Evan posò lo sguardo su due uomini che si stavano litigando per una partita a carte. Uno accusava l’altro di aver imbrogliato, e l’altro negava fortemente con la testa, dicendo che era una persona onesta.
Evan focalizzò la sua attenzione su Prim, che aveva un’espressione annoiata.
-Allora, mi ascolti? Ti sto spiegando le regole, Evan. Non essere sempre così distratto!-
-Ti ascolto, madamigella- disse lui, facendola arrossire.
Erano diventati subito amici. Tutte le sere si vedevano di nascosto e parlavano del più e del meno: Evan aveva scoperto che il padre di Prim era un fabbro, perciò sin da piccola la ragazza aveva visto ogni sorta di armi, e si era appassionata all’utilizzo delle spade. Aveva due sorelle e due fratelli: la sorella più grande era incinta, e tutti speravano in un maschietto, mentre quella più piccola era ancora in fasce. I sue due fratelli erano entrambi più grandi di lei: uno era sposato da molto tempo e l’altro era deceduto in una battuta di caccia. Le piacevano molto i gatti. Ne aveva uno tutto nero di nome Zanna, chiamato così perché aveva un canino solo. Ma Evan aveva capito da molto tempo che ciò che provava per lei non era solo amicizia. Era qualcos’altro. Era amore. Perché altrimenti provava un nodo allo stomaco non appena la vedeva e pensava sempre a lei? Non glielo aveva mai detto, celava il suo amore nel buio, ma l’amava. Non voleva confessarglielo: da una parte temeva di non essere ricambiato, dall’altra, se anche lei provava per lui il medesimo sentimento, Evan sapeva che la sua famiglia mai le avrebbe permesso di frequentare un evocatore, o peggio ancora, di sposarlo, e la avrebbe lasciata sola e allontanata di casa. E lui non voleva questo per lei.
-Hai capito, adesso?- chiese Prim. Evan annuì, seppure in realtà non avesse compreso niente di ciò che lei aveva detto.
Prese un pedone a caso e lo mosse due caselle avanti.
Prim sospirò.
-Evan! Non lo vedi? Così la mia regina mangerà il tuo alfiere! Usa il cervello, Evan!- lo rimproverò la ragazza.
 
 
“Usa il cervello, Evan. Usa il cervello, Evan” quelle parole gli rimbombavano nella mente come se le avesse appena udite.
“Usa il cervello, Evan”. L’uomo strinse i pugni e cercò di pensare a qualcosa.
-Ma certo- sussurrò.
-Mi puoi sentire?- urlò, riferendosi alla Morte.
-Ma certo. Sono dietro di te-
Evan si voltò. La figura sinuosa della sua nemica era dietro di lui, seduta sulla roccia che formava il dirupo.
-Credi di farmi paura? Ti sbagli-
La Morte alzò un sopracciglio, e lo guardò.
-Abbiamo un cavaliere senza macchia e senza paura…- disse, per scherno.
-No. Io ho paura. E ho anche qualche macchia. Ma non è questo il punto. Tu non mi spaventi. E sai perché? Perché non puoi uccidermi. Nemmeno con quella spada-
-E perché?- chiese la morte, fingendo di non essere colpita dalle sue parole.
-Il perché, me lo hai spiegato tu. Non hai vittime specifiche: ti limiti a lanciare per aria quel teschio e a riprenderlo, e lui designerà la tua vittima. Lui e solo lui, in ordine casuale. Sai cosa vuol dire? Che prima che determini la mia morte passerà molto tempo. Ci sono miliardi di combinazioni, e solo poche di esse mi vedono come la tua prossima vittima. Ho tempo. Tempo per capire e fuggire di qui-
-Magari uscirai veramente. E verrai ucciso da qualcosa là fuori grazie al mio teschio-
-Sarò comunque il primo uomo ad essere andato all’inferno ed essere tornato indietro-
La morte tacque. Pareva delusa. Non pensava che lui potesse essere arrivato ad una conclusione simile, e per colpa sua. Si accarezzò i capelli neri, poi, indispettita, lanciò in alto il teschio che prese le sembianze di una giovane donna. La sua anima arrivò quasi subito agli inferi passando attraverso il corpo di Evan.
L’evocatore lanciò un’ultima occhiata alla morte e le passò accanto, poi scese dal dirupo sul quale era salito per arrivare sin lì. Arrivò davanti al grande trono e guardò i teschi. Visto che doveva restare all’inferno e da vivo, voleva quantomeno vedere sua moglie per l’ultima volta, almeno il suo viaggio non sarebbe stato del tutto vano. Ingoiando la saliva e tentando di non guardare in basso, iniziò ad attraversare l’antro ricoperto di teschi. Ad ogni suo passo udiva gli scheletri scricchiolare e i suoi piedi affondavano tra i resti.
-Vuoi trovare tua moglie? Non ci riuscirai. E ricordati che non è cosa usuale per i morti vedere un vivo. Se riuscirai a vedere tua moglie, non so quale sarà la sua reazione. I vostri mondi sono diversi, lontani, inconciliabili- disse la Morte.
Evan non le prestò ascolto e continuò il suo cammino, notando che la Morte lo stava seguendo sorvolando i teschi.
 
Evan camminava da solo ai margini del bosco, pensando a Prim. Il suo cuore batteva per lei, e provava nei confronti della ragazza un grande sentimento d’amore misto a un forte desiderio. I suoi pensieri erano sempre rivolti a lei, al suo volto, al suo splendido sorriso, al suo corpo desiderabile… voleva passare la sua vita con lei. Era una certezza. Tuttavia non poteva. Non voleva allontanarla dalla sua famiglia, e di conseguenza farla soffrire. Udì dei passi dietro di lui. Si voltò di scatto.
Era Prim, che gli stava sorridendo. Aveva raccolto i capelli in una coda di lato.
-Prim, cosa ci fai qui?- chiese Evan.
-Ti seguivo-
-Perché?- chiese il ragazzo.
-Perché- disse Prim, avvicinandosi a lui e stringendogli le mani –Perché non voglio più trascorrere un singolo attimo senza di te, Evan. Io ti amo. Ti ho sempre amato dal nostro primo incontro. Amo il tuo bel volto, amo il tuo timido sorriso, i tuoi capelli mai in ordine, amo le tue mani ruvide e le tue braccia muscolose, amo il tuo modo di pensare e di agire, amo il modo in cui mi guardi e le parole che mi rivolgi. Evan, io desidero trascorrere la mia vita con te e solo con te. Non voglio più esitare- disse lei.
Evan rimase allibito. Restò a bocca aperta, osservando i grandi occhi marroni della ragazza, sorridenti come sempre. Quindi anche lei lo amava. Una parte di Evan era pazza di gioia. Avrebbe desiderato abbracciarla, baciarla, fuggire via con lei, ma l’altra parte di lui non voleva, perché sapeva che Prim avrebbe sofferto.
-Prim, anche io ti amo. Il mio cuore ha battuto per te sin dal primo istante che ti ho visto, e sei sempre stata l’unica donna per me. Ho trascorso giorni e notti a pensare a te, ma ecco, non possiamo stare insieme. Prim, hai pensato alla tua famiglia? A come potrebbe reagire? Non voglio allontanarti dai tuoi cari, voglio che tu sia felice- disse Evan.
-Ma la mia felicità sei tu- rispose la ragazza, e si avvicinò a lui.
Prima che Evan potesse rendersene conto, le labbra della ragazza si avvicinarono alle sue, e le sfiorarono in un dolce e delicato bacio, che Evan aveva da molto desiderato. Posò le mani sui fianchi della ragazza, delicatamente, come se fosse un fiore. Dopo un lasso di tempo che al ragazzo parve infinito, Prim si allontanò.
-Andiamo subito- disse lei.
-Dove?-
-Dai miei genitori. Ti presenterò a loro. Sono sicura che saranno felici!-
-Prim…-
-Conosco i miei genitori, Evan. Non amano quelli come te, ma ti accetteranno per il mio bene!-
-E se ti obbligassero a scegliere tra me e loro?-
-Non lo faranno. Significherebbe che non mi vogliono bene: se ami una persona non la costringi a scegliere -
Evan tacque. Non voleva instillare dubbi nella ragazza, ma sapeva cosa sarebbe accaduto.
 
Prim. In ogni gesto che faceva si ricordava di lei e del loro amore. Tutto le ricordava lei.
Era quasi arrivato alla fine dell’antro. Davanti a lui si profilavano vari tunnel che conducevano in grotte situate ancora più in profondità. Se voleva trovare Prim doveva avviarsi nel tunnel giusto: di certo non tutti conducevano ad un unico luogo. Ma qual era la retta via? Quale strada doveva percorrere?
Il tunnel all’estrema sinistra era molto stretto e alto, quello al centro era il più ampio di tutti, mentre quello a destra era così piccolo che Evan avrebbe dovuto procedere gattoni per attraversarlo. Nell’osservarli, non riusciva a trovare nessun indizio, niente che gli ricordasse Prim: d’altronde, molti defunti erano passati di lì.
-La cosa si fa interessante- commentò la Morte –forse potrei aiutarti-
-Perché lo faresti?- chiese Evan, scettico.
-Come hai detto tu, non posso avere la soddisfazione di ucciderti. La mia spada serve soltanto a far rigare dritto i miei sottoposti e a combattere la Biondina, su di te non avrebbe effetto. Finché il mio teschio non sentenzierà la tua dipartita, potrei divertirmi nel vederti girovagare disperatamente nella mia dimora-
-Non mi parevi della medesima opinione poco fa-
-Infatti. Ma ho cambiato idea. Non puoi uscire da qui, quindi non porterai ai vivi la descrizione di questo luogo. In più, io mi divertirò-
-Perché mi hai permesso di entrare?- chiese Evan, improvvisamente.
-è curioso che un uomo desideri inoltrarsi in questo luogo. Volevo conoscerti, desideravo vedere un vivente soffrire e impazzire nel tentativo di uscire da questo luogo, nel quale egli stesso aveva bramato venire-
-E come vorresti aiutarmi?-
-Con un indizio. Usa il cervello, Evan. Ti ricorda qualcuno?-
-Leggi i miei pensieri?-
La morte annuì leggermente col capo.
-Ma ritorniamo all’indizio- disse poi –Dicembre 492-
“Dicembre 492” pensò Evan. Cosa significava?
-Precisamente, 10 Dicembre 492- disse la morte.
 
 
-Sono sicura che i miei genitori ti accoglieranno a braccia aperte, come un figlio, Evan-
Il ragazzo tacque. Tanto valva tentare, ma gli si spezzava il cuore nel pensare a ciò che sarebbe accaduto. Non poteva nascondere chi era: il tatuaggio degli evocatori era vivido sul dorso della sua mano destra, non avrebbe potuto nasconderlo.
Evan osservò gli abitanti della casa da dietro la finestra. Prim doveva aver avvisato la sua famiglia che avrebbe presentato loro il suo fidanzato: una signora dai capelli grigi raccolti in una crocchia stava pulendo minuziosamente un logoro tavolino di legno, mentre una ragazza, probabilmente la sorella di Prim, stava cullando un neonato, e una bambina di circa un anno stava gattonando per la casa. Il fratello di Prim e suo padre erano seduti compostamente.
La fanciulla aprì la porta e l’attenzione della sua famiglia ricadde su di lei.
-Come vi ho detto, mi dispiace avervi mentito, avervi raccontato di andare dallo zio quando invece non era vero, ma non volevo che mio fratello mi accompagnasse mentre…- disse Prim, e arrossì. Evan adorava quando lo faceva.
-Mentre mi incontravo con lui. Posso giurarvi che non abbiamo fatto niente. Ad ogni modo, vi presento Evan, l’uomo che amo-
Evan si fece coraggio, emise tre profondi respiri e poi entrò.
All’inizio nessuno si accorse di nulla.
-Un bel ragazzo- affermò la madre di Prim, ancora risentita per il suo comportamento.
-Già. Ma prima di sposare mia figlia necessita la mia approvazione- disse il padre di Prim, tendendogli la mano.
“Ecco il momento della verità” pensò Evan, guardando l’uomo esitante. Tremando, gli strinse la mano. L’uomo non parve aver visto il tatuaggio.
-Guarda, padre! Ha un… un qualcosa sulla mano destra!- esclamò il fratello di Prim.
L’uomo allora abbassò lo sguardo, e indietreggiò di colpo, pulendosi la mano ai pantaloni.
-Padre, non è carino!- esclamò Prim, contrariata.
Brutta mossa.
-Non è carino?- tuonò l’uomo –Tu ci hai mentito! Hai mentito alla tua famiglia! Sei un fallimento, Prim. Ci hai portato in casa uno di quei… di quei rinnegati! Un evocatore! Fallo uscire da qui!-
-Io lo amo-
-Che cosa ho sbagliato con te? Ti prego, dimmi che non ti sei unita a lui-
-No, padre. Non l’ho fatto- rispose la ragazza, flebilmente.
-Allora puoi ancora decidere. Chi sceglierai? Lui, o la tua famiglia? Se sceglierai lui, tu non sarai più mia figlia e dovrai andartene oggi stesso da questa casa- disse l’uomo.
“Lo sapevo” pensò Evan. Vide Prim arretrare, spaventata, mentre lacrime trasparenti le solcavano il volto che egli aveva sempre visto gioioso. Non poteva permettere che soffrisse. Non a causa sua.
-Prim- le disse –Resta con loro. Tu meriti qualcuno migliore di me. Qualcuno che sia accettato dalla tua famiglia, io non voglio allontanarti da lei, Prim. Io ti amo e voglio per te solo il bene, e se questo è lontano da me, allora… allora ti dovrò lasciar andare- disse.
Prim scosse la testa, spaventata.
-No, no! Cosa potrei avere di meglio? Cosa c’è di migliore dell’amore? Il mio cuore appartiene a te e solo a te, Evan. Io ti amo, e se devo rinunciare alla mia famiglia per te, lo farò- disse la ragazza.
-Prim, ti prego…-la implorò Evan, inutilmente.
-Ho preso la mia decisione- rispose la ragazza –E mi dispiace per voi. Pensavo che mi amaste in quanto vostra figlia, ma, ahimè, mi sono sbagliata. Spero vi rendiate conto del vostro errore, in futuro. In caso contrario, penso sia meglio per me allontanarmi da simili persone, incapaci di provare amore e pietà- disse Prim, poi aprì la porta di casa e uscì per sempre.
Evan la raggiunse.
-Non lo dovevi fare. Adesso come faremo? Sono un bravo evocatore, ma per ora non sono in grado di offrirti una vita agiata e felice-
-La mia felicità è ovunque ci sia tu. Non ho mai aspirato ad una vita ricca, solo ad una piena d’amore-
Evan sospirò.
-Sarà una vita difficile- le disse, prendendole le mani e stringendole al suo petto.
-Lo so. Non sempre la via più facile è quella giusta, a volte bisogna percorrere la strada più difficile, dove devi faticare, sudare, e magari procedere a carponi, brancolando nel buio, perché solo così si può trovare la luce- disse Prim.
 
 
Evan lanciò un’occhiata alla galleria di destra. Doveva passare di lì, ne era sicuro. Si inginocchiò, e si avviò carponi.
Il tunnel era completamente buio, ed Evan dovette procedere a tentoni. Mentre cercava la via, nell’oscurità, si sentì cadere.
Per un attimo ebbe paura, poi atterrò su un terreno soffice. Evan si sedette e scosse la testa: si trovava su una sorta di enorme fungo verde. Lentamente scivolò giù e atterrò sul terreno nero con venature rosse, terrificante. Davanti a lui varie centinaia di anime fluttuavano confusamente.
Chiuse gli occhi, e un ricordo riaffiorò alla mente.
 
 
Evan si voltò. Davanti a lui camminava quello che per lui pareva un miraggio. In realtà, tutta la situazione gli pareva un sogno. Era riuscito ad avere molti ingaggi e a procurare una vita abbastanza agiata a lui e a colei che sarebbe diventata sua moglie. E non era tutto: fra pochi mesi la loro famiglia si sarebbe allargata. Poteva benissimo scorgere il ventre leggermente pronunciato dai suoi vestiti.
Aveva evocato varie farfalle e insetti colorati per l’occasione. Rendeva il tutto più romantico. Prim, vestita con un abito candido e lungo, gli si stava avvicinando, all’apice della felicità. Si pose accanto a lui e gli lanciò un’occhiata gioiosa. Ben presto sarebbero diventati marito e moglie.
 
 
Evan camminò tra le anime, che lo guardavano, spaesate. Alcune avevano le sembianze di persone anziane, altre di uomini grandi e forti, altre ancora di giovani fanciulle, altre di ragazzi e altre di bambine.
 
 
-Spingi, Prim! Spingi!- disse la levatrice.
-Non ce la faccio. Evan, non ce la faccio!- protestò la ragazza, madida di sudore, stringendo la mano del marito per farsi coraggio.
-Forza, Prim, devi farcela. Conosceremo nostro figlio. Nostro figlio, ci pensi? Fino a pochi mesi fa era solo un sogno-
-Evan, non ce la posso fare- si lamentò Prim, priva di forze. La gravidanza era iniziata bene, ma poi la ragazza aveva iniziato a diventare febbricitante, e il medico aveva detto che c’erano possibilità di aborto. Nonostante tutto, Prim ce l’aveva fatta, aveva portato in grembo il loro bambino sino a quel momento. Evan, però, aveva sempre avuto paura. Prim era senza forze, aveva perso il carattere gioioso e positivo di un tempo, era sempre stanca e malata. Una parte di lui, che cercava di reprimere, gli diceva che probabilmente la ragazza non ce l’avrebbe fatta a reggere lo sforzo.
-Prim, sei una donna. È nella natura di una donna dare alla luce un figlio. Ce la farai, Prim- disse Evan, baciandole la mano.
Prim gridò e lanciò un lamento. Poi chiuse gli occhi e boccheggiò, cercando di spingere il bambino.
-Brava, Prim, brava! Forza, così!- urlò la levatrice.
Prim lanciò un ultimo grido, poi si udirono le urla di un neonato. Evan voltò lo sguardo e il suo cuore si riempì di gioia.
-è una femmina, complimenti- disse la levatrice, mostrando la bambina.
-è bellissima- disse Evan, emozionato con le lacrime agli occhi. Poi guardò Prim, e fu allora che si rese conto. La luce di vitalità che sempre era brillata nei suoi occhi si stava spegnendo. La ragazza era riuscita a malapena a sorridere, e stava guardando la bambina.
-Prim, è una femmina. Devi decidere tu il nome, ricordi il patto?- disse Evan, con voce tremante.
Prim aprì la bocca a fatica.
-Vita- disse. –Vita, si chiamerà così-
-Un bel nome- commentò la levatrice, e Evan si accorse che era diventata improvvisamente cupa.
Prim sorrise, poi, per un attimo, quella luce di felicità e voglia di vivere brillò un’ultima volta nei suoi occhi.
-Vita, mi dispiace. Io… io ti amo. Io ho dato la vita perché tu potessi vedere la luce. Lo sento, sento che mi sto allontanando da voi, sento voci cantare, vedo una luce, una grande luce, Vita. Ma soprattutto, vedo te. Vita, sono felice di morire dopo averti visto. Sei bellissima. Abbi cura di tuo padre, è un tipo strano, ma è buono. Gli mancherò, ma ci sarai tu. Hai i suoi stessi occhi. Ti voglio bene. Mi dispiace non poterti veder crescere, non essere con te ad ogni tuo compleanno, non poter vederti sorridere, lasciarti al mondo senza poterti proteggere. Scoprirai che questo mondo è molto brutto, a volte, ma grazie a persone buone come tuo padre, può diventare migliore. Vita, promettimi che ti impegnerai per renderlo un luogo più bello. Promettimi che sorriderai sempre, in ogni istante, perché la vita è un grande dono, e bisogna essere felici. La vita è il dono che ti faccio io. Promettimi che piangerai poco, e quando lo farai, che non sprecherai le tue lacrime: molte persone non ne sono degne. Evan, ti amo. Sono felice si morire al tuo fianco, mi sembra tutto più bello. Tu, e nostra figlia. Parlale di me, ti prego, raccontale del nostro amore, e dille che la amo, e che sempre veglierò su di lei. Promettimi che le sarai sempre vicino nei momenti di gioia e nei momenti di tristezza e dolore. Amala, Evan, proprio come hai amato me, perché in lei c’è una parte di me. Evan, ti amo, e ho trascorso una vita stupenda grazie a te, e sono felice di averla vissuta. Grazie per aver contribuito a rendere la mia esistenza meravigliosa, grazie di avermi insegnato l’amore, grazie per essermi stato accanto, grazie di avermi amato. Promettimi che sarai felice, anche senza di me- sussurrò, prima di chiudere gli occhi.
Evan urlò.
-Prim, Prim, non mi abbandonare. Ti prego, no. Ti prego. Ti amo, non mi lasciare. Guarda, guarda nostra figlia…-
-Addio, Evan- sussurrò la donna, donandogli un ultimo sorriso, mentre la piccola Vita iniziava a piangere, quasi avesse compreso che la madre era morta.
Evan guardò il volto di Prim. Sorrideva. Era morta con un sorriso, un sorriso che aveva donato a lui per l’ultima volta.
 
 
La vide molto presto. Non poteva non riconoscerla. Un’anima, in disparte, lo stava osservando con un misto di terrore e disperazione. Evan si pentì di essere giunto fin lì, ricordandosi le promesse fatte alla moglie in punto di morte. Aveva lasciato sola la loro piccola, ma lo aveva fatto a fin di bene.
L’anima di sua moglie gli si avvicinò. Evan udì una voce nella sua mente.
-Evan, cosa hai fatto? Perché sei qui? Tu non sei morto!-
-Volevo trovare una via per riportarti in vita, o almeno ti condurre la tua anima nel mondo dei vivi, e averti vicina, volevo che nostra figlia potesse vedere sua madre. Mi chiede spesso di te, e io…-
-Evan! Sei uno stupido! Non puoi portarmi dai vivi! E non potrai tornare indietro nemmeno tu. La nostra piccola, nostra figlia…-
-Mi dispiace, Prim. Io volevo solo renderla felice- disse Evan, con voce tremante.
-Non puoi riportarmi in vita, amore. È impossibile. Supponiamo poi che tu riesca ad uscire di qui e ad essere in grado di evocare la mia anima: credi per caso che nostra figlia sia felice? Vedrebbe solamente il fantasma di sua madre, e ne sarebbe spaventata. Io sarei obbligata a rimanere in casa, lontano da tutti, perché chi vorrebbe conoscere un fantasma? Chiunque avviserebbe le guardie e a quel punto esse tenterebbero di ucciderti e porterebbero via nostra figlia, e io sarei condannata a vagare nel mondo per l’eternità, lontana dagli uomini, lontana da te, e senza poter vedere mai più la nostra bambina. Evan, questo è il mio mondo, ormai. Ed è l’ora che tu ritorni nel tuo, anche se purtroppo temo che non ci riuscirai- disse Prim.
Evan guardò in terra, rammaricato. Sua moglie aveva ragione. Aveva compiuto quel lungo viaggio fino al centro del mondo solo per finire i suoi giorni agli inferi, senza poter più vedere sua figlia…
 
 
Era quasi un mese che Evan cavalcava quasi senza sosta. Chi lo vedeva, pensava che dovesse far fronte a un pericolo incombente, e la realtà non distava molto da tale supposizione. Evan stava cavalcando verso l’inferno. Nessuno avrebbe mai voluto farlo, ma lui desiderava trovare un modo per riportare sua moglie nel mondo dei vivi, evocando la sua anima. Stava tentando l’impossibile, ma voleva riuscirci. Desiderava che sua figlia avesse una madre. Aveva letto molti libri, ed era venuto a conoscenza che negli inferi avrebbe trovato una Fonte che gli avrebbe permesso di evocare i defunti. Certo, l’autore del libro non era affidabile, ma Evan aveva deciso di tentare comunque. Era quasi giunto alla foresta al centro del Mondo. Scese da cavallo. Doveva solo cercare l’entrata. Nessuno vi era riuscito prima di quel momento: lui forse sarebbe stato il primo e l’unico a compiere tale impresa, andare nel regno dei morti e ritornare indietro.
Girò intorno a un grande albero dalle immense radici. Fu così che la vide. Fra due radici vi era un entrata sotterranea, dinnanzi alla quale v’era un cartello. L'insegna nascosta, visibile solo ad un occhio attento, nascondeva un posto segreto che conoscevano in pochi, anzi, nessuno. La scritta sul cartello era incomprensibile, scritta in una lingua antica, da tempo dimenticata, ma Evan era certo: quella galleria portava all’inferno.
Così si fece coraggio ed entrò. A poca distanza da lui v’era un burrone. Doveva stare attento, se non voleva morire nella caduta. Senza nemmeno guardarsi indietro, cercò di calarsi giù, appoggiando i piedi su alcune sporgenze. Fortunatamente, riuscì a raggiungere il termine del burrone senza ferite.
Proseguì nell’antro con una sensazione di paura strisciante, fino a che non la vide: una sensuale signora dai mossi capelli bruni, che indossava un aderente e succinto vestito viola. La Morte.
 
 
-Il nostro evocatore ha avuto fegato. Sai, non sono una persona sensibile e romantica, le storie d’amore mi fanno venire il voltastomaco. Tuttavia, siete riusciti quasi a commuovermi. Complimenti- commentò la Morte, che li stava guardando giocherellando col teschio.
-Evan, fuggi. Non so come tu possa fare, forse troverai una galleria che porta in superficie. Evan, lo devi fare per me e per Vita- lo pregò Prim.
-Ti amo, Prim- sussurrò lui.
-Anche io- rispose lei.
Evan si voltò in direzione della Morte.
-Ti prego, fammi uscire-
-Non ci penso proprio. Mi avete quasi commosso, ma non ti farò uscire da qui- disse la Morte.
Evan stava quasi per disperarsi, quando una grande luce balenò dinnanzi a lui. Una fanciulla dai lunghi capelli biondi raccolti in una treccia e vestita di bianco era apparsa davanti a lui.
-Sei venuta per intercedere a favore dell’evocatore che ha violato ogni regola?- disse la Morte.
-La storia del nostro Evan mi ha toccato il cuore. Ho deciso di dargli una seconda possibilità, a patto che non tenti di ritornare più in questo luogo, se non da morto- disse l’altra.
-Lo prometto, Signora- disse Evan, inchinandosi.
-Oh, ti prego. Lui è nel mio mondo, e sono io a decidere se possa uscire o meno- protestò la Morte, a denti stretti.
-Si vedrà- rispose la bionda, sfoderando una candida lama e scagliandosi contro la Morte.
Fu così che iniziò un duello tra la Vita e la Morte. La fanciulla bionda parve perdere all’inizio: la potenza degli attacchi della mora erano più potenti. Tuttavia, dopo qualche minuto, la Vita riuscì a prendere il controllo della situazione, e sferrò un attacco di luce che riuscì ad accecare l’avversaria per qualche secondo, che le fu fatale: con un fendente la Vita riuscì a farla inginocchiare e a vincere il duello.
-In un duello tra la vita e la morte, io, la Vita, ho vinto e ti ordino di chiudere gli occhi- disse la fanciulla bionda, rivolta ad Evan.
Il ragazzo guardò Prim un’ultima volta, poi chiuse gli occhi, con l’immagine di lei nella mente.
 
-Papà, papà! Dove sei stato? La tata era preoccupata!- squillò la vocina di una bambina.
Evan aprì gli occhi. Si trovava a casa sua, nella camera di sua figlia.
-Vita!- esclamò, correndo incontro alla bambina e abbracciandola. –Vita, mi sei mancata-
-Anche tu, papà. Non tornavi più: ho avuto paura, papà, ho avuto paura di rimanere sola. Non te ne andare più. Non voglio perdere anche te- disse la bambina, affondando il viso nel petto del padre.
-No, Vita, non me ne andrò. Mai più. Volevo… non importa. Sono tornato, per te. Ti sarò sempre vicino- sussurrò Evan, all’orecchio della bambina. Non se ne sarebbe veramente più andato.
Chiuse gli occhi, e, per un attimo, gli parve di vedere il volto di Prim che gli sorrideva.
 
   
 
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