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Autore: BlackPaperMoon    21/07/2015    0 recensioni
Dopo l'esperienza di una vacanza all'estero, trascorsa nella meravigliosa città di Londra, lascio che siano le parole scritte a parlare per la mia bocca, esprimendo ciò che non ho avuto il coraggio di dire a parole. Ho condiviso momenti fantastici, stupendi, tristi, laceranti. Ho provato una marea di emozioni e ho trovato persone fantastiche, che hanno avuto il coraggio di sostenermi e affiancarmi nonostante tutto.
In questi quindici giorni sono cresciuta grazie a loro.
Questo è il mio ringraziamento.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Divento nostalgica di fronte agli addii.
Mi fanno sentire tanto vuota e impotente.
Poiché di fronte a questa distanza immensa io non posso far altro che alzare le mani al cielo.
Mi disarma senza compiere alcun gesto.
Lottare sarebbe vano.
Ma seppur distanti, confido nella forza dei nostri legami. Di quei pochi attimi vissuti insieme.
E se anche dovessimo perderci, sono certa che ognuno di noi porterà nel cuore un ricordo stupendo do quest'esperienza.
Dimenticherete i nomi, le facce, magari le cose che ci siamo detti, ma non il bene che ci siamo voluti, non il bene che ci siamo fatti. Quella sensazione che abbiamo provato stando insieme, condividendo questi momenti rimarrà sempre viva, come una scintilla.
Ho paura della solitudine, mi terrorizza.
Perché io so come ci si sente a stare da soli. Con voi questo strano pensiero di non essere al mio posto raramente l'ho percepito. Mi avete fatto sentire a mio agio con ogni parola e piccolo gesto, e vi ringrazio. Grazie perché una parte di me é cresciuta con voi in questa vacanza. Ci sono tante cose che non ci siamo detti, per mancanza di occasioni, per paura che gli altri potessero guardarci con occhi diversi. Vi confesso che passavo -e passo- la mia vita passivamente, con apatia, a chiedermi se davvero valga la pena di respirare. Le persone che ho accanto non sempre ci sono per me,e questo sentirmi in bilico in un vortice d'incertezza mi ha sempre fatto stare male. Al punto da portarmi a tacere il dolore che a volte provo, convinta che nessuno mi capisca, o che a nessuno interessi capirmi. Non affronto i problemi, io li evito. Aggiro l'ostacolo come un atleta a una gara. Mi rifugio nelle cose che amo e che mi fanno stare bene, per scordare i pensieri e i malumori, per dimenticarmi che il dolore esiste. E questo metodo ha funzionato talmente bene fino ad oggi che mi sono convinta di essere diventata talmente forte da non provare più niente. Ho temuto di aver perso la mia eccessiva sensibilità, ho temuto di non essere più in grado di affezionarmi morbosamente a nessuno. Ho temuto di essere stata condannata a vivere una vita poco interessante, priva di colori, che avrei guardato scorrermi sotto il naso distrattamente e senza badarci più di tanto. Facevo scivolare i giorni, i mesi, gli anni. Addosso al mio corpo dall'espressione impassibile e menefreghista. Quanto tempo ho sprecato a chiedermi cosa vivessi a fare, quale fosse lo scopo della mia esistenza se nessuno - o pochi - ricambiavano il mio affetto, mi apprezzavano, riconoscevano il mio impegno. 
Poi sono arrivata qui.
Ho pianto come una fontana per cose che credevo di aver superato da una vita. E mi sono sentita infantile e stupida, mentre nella mente mi ripetevo il motivo di quei copiosi singhiozzi.
Nonostante questo, qualcuno ha avuto il coraggio di starmi vicino pure in questo caso, di sopportare le mie lamentele, il mio pianto. 
Mi sono resa conto di quanto debole in realtà io sia, di quanto il dolore serva anche se per piccolezze, di come qualsiasi piccola cosa ci faccia stare male.
Beh, in questi quindici giorni sento - o almo spero - di essere cresciuta nell'animo almeno un minimo rispetto a prima.
E in quelle lacrime ho riconosciuto la me stessa che avevo perso. Ho rivisto la ragazza sensibile che sono e che mi ero dimenticata di essere. Ho sentito il cuore far male e esultare per piccoli gesti, ho apprezzato fino al più insignificante dei dettagli.
Ho ricominciato ad essere ciò che avevo smesso di essere.
Non so se sia un bene o un male.
Se la vecchia me sia meno pesante di quella nuova. So solo che non mi pento di essere stata male. Non mi pento di aver pianto, di essermi confidata, di aver provato a sistemare le cose da me.
Perché in quel momento io stavo crescendo, perché in quel momento mi sono sentita viva. E sembrerà pazzo e folle, ma se il dolore mi ha aperto gli occhi allora allargo le braccia e lo accolgo. Io sono qui, prendimi, devastami.
Tutto questo mi ha dato la forza di comprendere quanto soffrire sia necessario.
Quanto scappare sia inutile.
Quanto si apprezzi il sereno dopo la pioggia.
Bisogna reagire, a denti stretti.
E questo l'ho imparato qui, quando sono rimasta sola e qualcuno mi ha teso inaspettatamente la mano pur ricordandosi a mala pena il mio nome.
È bellissimo.
Spero solo di continuare per questa strada, di mettere in pratica quanto imparato.
Spero solo non sia un pensiero di passaggio.
Per quanto io tema il rientro a casa, per quanto io mi senta perennemente ignorata dall'umanità, e bene che affronti anche questo problema.
Mi sento come un soldato che rientra dalla guerra, o che va in guerra, dipende dalla prospettiva con cui si guarda le cose.
Grazie per tutti i nostri momenti insieme.
Avrei voluto tenervi di più con me, in questa vita spoglia ci vorrebbero più persone come voi.
Ma poi ehi, com'è che si dice?
Questo non è un addio, se il nostro legame è forte.
Questo è un arrivederci.
E io voglio crederci fermamente in questo "arrivederci".
Vi voglio bene ragazzi.
- Claudia.
  
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