La routine dei sopravvissuti
Una
sagoma scura si stava avvicinando ai due con passo irregolare, quasi
claudicante. Quando finalmente uscì dall'ombra
dell'edificio, mise
in mostra il suo orribile aspetto: sia il volto che il corpo erano
deformi e coperti di pus, mentre dalla bocca grondava sangue di
origine sospettabile.
La
ragazza aumentò la presa sulla sua pistola fino a far
diventare
bianche le nocche.
«Cosa
facciamo?» chiese all'uomo accanto a lei.
«Non
ne ho idea» rispose, facendo scattare il caricatore nel
fucile. «Non
credo che comunque attaccarlo si una buona idea: probabilmente
è in
branco e sparando li attireremmo tutti quanti da noi.»
«Giusto»
disse, mentre un poco promettente sorriso le nasceva sul volto. Si
mise dei guanti bianchi e al posto della pistola impugnò un'ascia.
L'uomo sbuffò sonoramente, ma lei aveva già
iniziato a correre con
l'arma stretta tra le mani; in poco fu vicina all'essere e con un
balzo gli affondò la lama nel collo, decapitandolo quasi
totalmente,
tanto che quello cadde a terra e un fiotto di liquido scuro scuro e
maleodorante iniziò a uscirgli dalla gigantesca ferita.
La
ragazza stava ancora ammirando il suo lavoro, quando l'altro le si
avvicinò con la mano a tapparsi il naso e una smorfia
schifata. Lei
se ne accorse e rise.
«La
mia cara vecchia Ferro degli dei non manca un
colpo» disse,
lanciando uno sguardo fiero all'ascia. «L'ho sempre detto che
è
molto più fico maneggiare una spada che una
pistola.»
L'uomo
scosse la testa. «Tu e la tua fissa per le armi siete
incomprensibili.»
«Però
devo dire che anche maneggiare un arco non è male; voglio
dire, i
miei gusti sono molto classici» insistette convinta, ma
ricevette
solo un'alzata di occhi al cielo.
Rise
ancora. «Oh, andiamo, ti prendo in giro,
papà» disse, tirandogli
un'amichevole gomitata su un fianco.