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Autore: cchimin    21/07/2015    4 recensioni
Nel 2044 bastano tre parole per fermare il cuore di un comune cittadino. Tre parole soltanto, che durante il corso della storia hanno cambiato moltissimo di peso e significato. Raphael ha venti anni da un millennio, due secoli e ottantacinque anni e sembra che la sua vita stia per finire proprio quando dire pubblicamente "Sono un vampiro" non è molto diverso dal suicidio.
Genere: Drammatico, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fu probabilmente l'ironia della sorte a costringermi a vivere proprio in quel luogo. Nonostante il fatto io abbia avuto sufficiente tempo a disposizione per esplorare ogni angolo, anche quello più remoto, del mio pianeta, il giorno nel quale dovetti trasferirmi nella ex-Area 51 ci poggiai il piede la prima volta in tutta la mia esistenza. All'inizio fu una sensazione nuova che mi dette per molto tempo un po' di inquietudine, ma dopo sì e no tre mesi iniziai ad abituarmici. Non era da me, devo ammetterlo. Con il tempo cercavo sempre di non legarmi a nulla, di non dare nessuna delle caratteristiche del mondo che mi circondava per scontate perché potevano scomparire in un battere di ciglia, o almeno così mi sarebbe sembrato. Ciò che gli uomini vedevano come duraturo, per me a volte durava solamente tre secondi.
Questa volta, la possibilità di dover morire in quel posto si faceva spazio tra tutti i miei pensieri e con ogni giorno occupava un territorio più esteso della mia mente. Non sapevo ancora a causa di che cosa - non ero in grado di stabilire se la mia fine sarebbe stata la fame, un agente naturale esterno o la razza umana - ma le mie ossa sentivano quella mancanza di stabilità precedente ogni catastrofe che io ebbi mai modo di apprezzare con i miei stessi occhi. Ne avevano viste abbastanza, perciò credevo proprio di potermi fidare, almeno questa volta.
Volevo amare l'ultimo posto sulla Terra che avrebbe dovuto accogliere la mia esistenza. Era molto diverso dalla regione della Francia nella quale nacqui nel lontano ventotto giugno del 751 e anche da Salmontiaco, dove morì definitivamente la mia forma umana per dare un'altra possibilità alla mia anima, il quattro dicembre del 771. A volte riuscivo ad ignorare i millenni che separavano me dalle generazioni affamate, rinchiuse tra mura trasparenti nelle lontane città, ma spesso mi sentivo vecchio, troppo vecchio. Il peso sulla mia schiena era enorme e a volte rimpiangevo il fatto che il mio organismo non potesse sentire nient'altro se non la fame o la sazietà. Purtroppo, ultimamente la prima era il tema principale della mia vita e di quelle dei miei simili, della nostra piccola comunità. In qualche modo, l'immagine della morte non mi spaventava più di tanto: forse perché avevo vissuto abbastanza, magari più del dovuto. C'erano soltanto altri tre sopravvissuti vecchi come me e pensare che una volta eravamo milioni faceva davvero riflettere sulla natura degli uomini, artefici dello scempio.
L'Area 51 era stata sottoposta ad una tragedia di sostanze radioattive almeno una ventina di anni fa, quando ancora l'economia mondiale non era del tutto prosciugata da risorse. Nonostante il tempo passato, il terreno risentiva ancora enormemente di tutte le conseguenze di questo fatto e sicuramente non avrebbe avuto effetti positivi su qualsiasi essere umano che avrebbe provato ad avvicinarsi. Anche se non avevamo mai fatto delle prove - a differenza loro, non volevamo crearci dei problemi da soli - giravano ancora le storie delle persone che ci persero la vita, le loro voci come vive di nuovo ogni volta che il vento si alzava dalla parte del lago, probabilmente dimezzato di dimensioni rispetto a quindici anni fa. Attorno al territorio che comprendeva lago e pianura, il tutto di circa 23.800 chilometri quadrati, si estendeva filo spinato messo lì anni fa, ormai arrugginito e strappato in alcune parti da chissà quali esseri viventi o forze della natura. Non era la migliore difesa se messa a confronto con ciò che la tecnologia riuscì ad inventare qualche decennio fa, per poi perdere con la stessa velocità, ma in realtà non ci serviva nemmeno quella: solo un suicida avrebbe provato ad avventurarsi nel nostro territorio, e noi ormai avevamo imparato che gli uomini al riparo delle capsule trasparenti erano troppo attaccati alla vita, perché magari finalmente avevano appreso qualcosa, anche se solo dopo aver ridotto l'intero pianeta ad una misera condizione, quasi paragonabile a quella del Medioevo. Le uniche città rimaste erano distanti l'una dall'altra chilometri, distanze non percorribili in un solo giorno: tra di loro c'era il nulla, se non strade abbandonate e per metà distrutte, resti di grandi e memorabili città come Los Angeles, New York, San Francisco, che nei miei ricordi erano ancora degne di tali nomi, spazi vuoti dove una volta ci furono uomini, donne, bambini e vampiri, tutti in pace con sé stessi, nessuno nascosto, impaurito, minacciato dal governo. Ora le leggi sembravano non esistere quasi più e le comunità si dovevano arrangiare come potevano per non cadere stremate per terra, vittime di scontri interni che avrebbero peggiorato ulteriormente la loro situazione economica, ormai così povera da non poter permettere nemmeno la produzione artificiale di ossigeno, la cui scarsità era il motivo di tutte le trasformazioni che io vidi essere messe in atto con i miei stessi occhi. L'importante era non oltrepassare la cupola, non danneggiare le uniche piante rimaste attorno alle quali si era sviluppata la "civiltà" e non fidarsi di nessuno.
La maggior parte di noi era a conoscenza di tutti questi particolari solo grazie agli occhi degli altri. C'era un gruppo di noi, chiamati i Cacciatori, che di tanto in tanto si avventurava nelle lontane regioni dove ancora si poteva trovare del cibo. Ce lo riportavano a distanze di tempo irregolari e in quantità che non erano mai date per certe, come tutte le altre cose della nostra esistenza. Era un compito che si potevano permettere non solo quelli più coraggiosi, ma anche solo quelli dotati di speciali capacità: quindi, di solito, quelli che si erano cibati di recente e avevano ottenuto dalle Entità qualche aiuto sotto forma di possibilità di spostarsi più velocemente, maggiore resistenza, calo più lento di sazietà o, in casi estremi e molto rari, capacità di teletrasporto. Per questo a volte erano chiamati i Prescelti, ma non sempre tornavano e noi non potevamo mai sapere che fine avessero fatto.
Parlando di Entità, il loro rapporto con il mio popolo non sembrava per niente cambiato durante tutti questi anni. I più giovani non lo vedevano e si trovavano sempre a lamentarsi che non ci volevano aiutare - a quel punto io rispondevo che non l'hanno mai voluto, perché semplicemente non era il loro compito. Non avevano nessun interesse nella nostra esistenza su uno dei tanti pianeti dotati di vita e dovevamo essere grati se di tanto in tanto sembravano guardarci da qualche punto in alto. Io le ho sempre percepite lontane, indifferenti, occupate in compiti ben più importanti della salvaguardia di una Terra sottoposta al potere deteriorante dei suoi stessi abitanti. All'inizio convincersi a credere in questo invece che ad un Dio onnipotente e benevolo, il quale era visto in tutto dalla mia forma umana, mi creò dei problemi, ma se la verità ti viene stampata in faccia tutto il tempo prima o poi la accetti. Il genere umano è sempre stato solo e ha sempre voluto un amico immaginario per tenergli compagnia. Tuttavia, non ero amaro per questo.
Il ruolo di Cacciatore quindi faceva il giro tra di noi e spettava sempre all'ultimo che si era cibato. Proprio per questo, io cominciai ad evitare di ritrovarmi ultimo in fila quando scoprii che mi stavano cercando. Gli uomini mi volevano e io non avevo intenzione di avvicinarmi.


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