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Autore: Follow The Sun    22/07/2015    2 recensioni
Una ragazza giunse al bancone, alla destra di Michael, e lui la osservò bene, e forse giurò che quella fosse stata la cosa più bella che avesse visto quella sera. Vedeva in lei quell'allegria che per tutta la sera non aveva avuto e che desiderava tanto avere.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questa breve One-Shot alla mia carissima amica Beatrice (anche se so che preferisce essere chiamata Bea) che oggi compie gli anni. La dedico a lei perché per me, lei, c'è sempre stata anche in alcuni dei momenti più difficili della mia adolescenza, facendomi sorridere e soprattutto facendomi stare meglio. Abbiamo sclerato insieme, nonostante la distanza (anche se non molta) e la mia insanità mentale lol.
Hey Bea, spero ti piaccia. Ah, e tanti auguri ;).
 
 
 
English Love Affair - A Powder White Complexion. 
 
La musica e le luci colorate, un rumore assordante, gente che balla, bottiglie che girano. Non esiste forse sensazione migliore di quella di essere sé stessi nonostante la gente tutt'intorno, la consapevolezza di non essere giudicati, la noncuranza di ciò che sta accadendo al di fuori di un locale a dir poco rumoroso. 
Ragazze che escono, ragazzi che entrano, il dj cambia canzone e un boato si alza nell'aria pesante già presente da molto, troppo, tempo. Anche l'odore nauseante di sudore sembra essere scomparso dai sensi dopo al terzo bicchiere.
Non ci si può facilmente riconoscere in mezzo a quel trambusto, sarà forse perché le luci sono troppo basse, o forse perché, in effetti, nessuno si conosce davvero e tantomeno si ha voglia di conoscersi.
 
Ma non tutti hanno la stessa voglia di divertirsi in mezzo alla folla. Magari qualcuno preferirebbe starsene seduto sopra al proprio divano a leggere un libro con una tazza di caffè in mano, mentre si ascolta della buona musica, o magari si vorrebbe uscire a fare una passeggiata sulla spiaggia, o nel parco.
Non è facile sapere cosa fare nei sabato sera, ci sono volte in cui si vorrebbe stare da solo, ma non si vuole deludere i propri amici, e ci si ritrova ad essere seduti davanti al bancone di quello che è un pub affollato, puzzolente e decisamente sporco.
 
Michael si trovava in quella precisa situazione, sapeva di non essere ancora abbastanza grande per bere gli stessi alcolici dei suoi amici, e sapeva bene di essere astemio; non avrebbe mai bevuto niente di tutto quello che si trovava davanti a lui.
Sapeva che sarebbe dovuto rimanere a casa a bere caffè per non addormentarsi troppo presto, e sapeva che non avrebbe trovato compagnia per tutta la serata.
Si girò per cercare Ashton con lo sguardo, ma non lo trovò. 
Forse aveva il presentimento che si sarebbe alzato da un momento all'altro per tornare a casa, ma si trattenne.
Mentre era concentrato sul da farsi, un faro del palco gli illuminò il volto, e forse per lui fu una sorta di vera e propria illuminazione.
Forse avrebbe dovuto fare come i suoi amici, buttarsi nella mischia e ballare, ballare e ballare fino allo sfinimento. Ma sapeva che non era ciò che voleva.
Michael voleva, forse, essere altrove e non trovarsi in uno stato emotivo tra il buttarsi nella mischia e l'andarsene via- da solo.
 
Si girò ancora sullo sgabello, incontrando lo sguardo vigile del barista che sembrava pronto a interagire non appena Michael avesse solo mosso di poco le labbra. A Michael davano un po' fastidio quei baristi insistenti che pensavano sempre e solo ai soldi, voleva solo stare tranquillo senza che nessuno lo disturbasse o lo obbligasse a fare qualcosa.
 
Appoggiò i polsi al bancone, abbassando lo sguardo sui suoi nuovi pantaloni neri e notò con grande delusione che una macchia di chissà qualche cocktail era finito proprio su quelli e si poteva notare più che bene.
Sospirò, sapendo che dopo aver notato quella macchia, non sarebbe più stato in grado di pensare ad altro.
 
Ma non fu così.
 
Una ragazza giunse al bancone, alla destra di Michael, e lui la osservò bene, e forse giurò che quella fosse stata la cosa più bella che avesse visto quella sera. Vedeva in lei quell'allegria che per tutta la sera non aveva avuto e che desiderava tanto avere.
 
«Un Mojito, per favore» sentì provenire dalla ragazza.
Michael sorrise a quelle parole, probabilmente lui, al posto della ragazza, avrebbe ordinato una Coca Cola o qualcosa di analcolico e leggero.
 
Rimase fermo a guardare come il barista armeggiava con armonia il bicchiere e le varie bottiglie, e sorrise quando arrivò il momento di infilare anche il simpatico ombrellino tra il ghiaccio, nel bicchiere.
Abbassò di nuovo la testa, venendo a contatto un'altra volta con il pensiero dei suoi pantaloni macchiati.
Ma mentre alzava la testa per assistere alla consegna del Mojito, notò con piacere che la ragazza lo stava osservando.
Cercò, con molta difficoltà, di sembrare tranquillo e a suo agio, ma non ci riuscì.
 
La ragazza lo osservò senza dare nell'occhio ancora per un po', prima di andarsene a testa bassa con il suo Mojito tra le mani.
 
Michael era rimasto esterrefatto da quell'incontro di sguardi. Pensò che fosse inusuale per una ragazza carina come quella andarsene in giro per un locale vestita con un paio di jeans chiari e una felpa che era il doppio di lei. Forse Michael ne rimase affascinato proprio per quel piccolo particolare.
 
Poco dopo, Michael si rese conto che quella piccola macchia sui pantaloni non avrebbe fermato la scia di pensieri che gli attraversavano la mente, e decise così di alzarsi dal suo sgabello, uscire dalla discoteca e di sedersi tranquillo da qualche parte. 
Gli piaceva molto il buio, e soprattutto gli piaceva da impazzire osservare le stelle, ma ben presto cominciò a rendersi conto che il buio, visto dalla sua prospettiva, faceva più paura anche delle sedici chiamate perse di sua madre il giorno di Halloween di qualche anno fa. 
Michael, spesso, pensava di vedere delle ombre camminare davanti a lui, di fianco a lui, oppure sopra, ma sapeva che era tutto il frutto della sua immaginazione; purtroppo, però, la sua convinzione non lo aiutò a superare l'ansia del momento. 
Non sapeva se improvvisare una corsa verso la sua macchina, o ritornare subito dentro al locale divenuto come per magia silenzioso.
Scelse la prima opzione, non sapendo più che altro fare, e senza accorgersene si ritrovò davanti presto a guidare affannosamente nelle strade libere e spericolate della periferia di Londra.
 
Quando fu finalmente davanti al portone di casa si guardò attorno, preoccupato, sentiva come se qualcosa, o qualcuno, lo stesse seguendo.
 
«No, no. Devo stare tranquillo.» pensò più volte, mentre cercava con i polpastrelli la chiave giusta per aprire la porta.
«Dannazione.» esclamò, portando una mano ad asciugarsi la fronte imperlata di un leggero strato di sudore.
 
Aveva lasciato la chiave del portone nel cruscotto della macchina di Ashton.
 
Imprecò più volte, prima di rendersi conto che non avrebbe risolto nulla. Non poteva di certo svegliare i suoi vicini per una sciocchezza simile! O forse poteva…
Fece scorrere gli occhi su tutti i nomi presenti accanto ai bottoncini.
 
D. Johnson 
Si fermò a pensare a lungo. Ma gli sembrò inadatto chiamare il proprietario di casa in un orario così spropositato.
 
O. Hudson
L'ultima arrivata, una ragazzina alle prese con gli esami di maturità e che camminava sempre a testa bassa. Anche quella gli sembrò inadatta.
 
C. Smith
La dolce vecchietta del piano inferiore. Michael la adorava, ogni martedì gli portava sempre un cesto di biscotti al cioccolato e, se andava bene, anche una torta. Fu tentato nel schiacciare quel dannato bottone, ma non ne fu capace.
Si sentiva inutile.
 
«Voglio solo entrare in casa mia.» sussurrò a denti stretti, piagnucolando un po'. Piagnucolare era tipico di Michael, quando non otteneva ciò che voleva, era come un piccolo bimbo viziato. 
Sentì alcuni passi, poi una luce chiara e potente gli arrivò negli occhi.
 
‘Il semaforo fantasma?!’ pensò, incredulo ma spaventato.
 
«Ragazzo, che stai facendo qui?» un agente della polizia lo stava osservando dalla testa ai piedi con una torcia in mano.
Michael sospirò di sollievo, e spiegò l'accaduto all'agente, che pian piano si faceva sempre più disponibile e amichevole. Giurò di non essersi mai sentito così al sicuro.
 
«Quindi non so a chi rivolgermi, signore.» concluse.
«Ragazzo, non hai niente di cui preoccuparti. Sono i tuoi vicini di casa, non dei leoni pronti a sbranarti.» spiegò l'uomo, mantenendo l'ironia nell'ultima frase anche nella sua risata potente.
L'agente osservò Michael ancora per alcuni minuti, prima di sospirare e di avvicinarsi al portone.
«Suono io, va bene?» il viso di Michael si illuminò come per magia, e per un secondo immaginò i suoi spiriti inesistenti come angeli alati e con la faccia di quell'agente di polizia.
 
Poco dopo il padrone di casa era già davanti al portone con una faccia terrorizzata a causa dell'uomo in divisa blu.
 
«La ringrazio agente, la ringrazio davvero tanto.» ripeté, sventolando su e giù le mani giunte.
«Non c'è di che. Ma la prossima volta sta’ più attento, ci siamo capiti?» diede una forte pacca sulla spalla a Michael, tanto forte da fargli perdere l'equilibrio; dovette appoggiarsi allo stipite del portone per non cadere.
«Certo agente, la prossima volta starò più attento.» recitò, ma una delle poche cose che Michael sapeva su se stesso era che l'attenzione non era il suo forte, ed era sicuro che quella non sarebbe stata la prima e ultima volta.
 
Salì le scale senza farsi vedere dal padrone di casa, che se ne stava su una poltrona in vimini nel sottoscala polveroso a fumare una pipa, e con ansia palpabile aprì la porta di casa, la quale provocò un leggero cigolio che fece stringere i denti a Michael.
 
«Casa dolce casa.» esclamò quando il suo fondoschiena incontrò il tessuto morbido del materasso posto al centro della camera da letto.
 
Quella di Michael non era una vera e propria casa, sembrava per lo più un accampamento per profughi o, se visto da un altro punto di vista, un asilo nido prima dell'orario di chiusura. Casa sua era un vero e proprio disastro. A volte si chiedeva perché non si desse da fare nel metterla in ordine, ma il tutto stava nella sua pigrizia. L'ordine e la pulizia non facevano al caso suo.
A parte l'ordine, però, il bi locale di Michael non era affatto male e a lui quello spazio andava più che bene.
 
Sospirò, prima di alzarsi e chiudere la porta a chiave.
«Uno, due e tre.» recitò mentre faceva scattare la serratura. Sempre tre scatti.
Poi si mise comodo sul letto coprendosi un poco con il lenzuolo e osservò la pioggia cadere, fuori dalla sua finestra.
Pensò che forse era il caso di chiudere tutto quanto per fare in modo che la pioggia non entrasse in casa, ma era davvero molto stanco. E poi si sa, Michael sapeva essere molto pigro e svogliato a volte. 
 
Passarono alcuni minuti prima che a Michael venne di nuovo in mente la ragazza della discoteca. Sorrise, ripensandoci. 
«Era davvero molto carina.» pensò.
Ma non ne era davvero sicuro.
Sì, insomma, l'aveva vista solo di sfuggita in faccia e non era neanche sicuro che fosse bella o per lo meno attraente, ma sapeva che qualcosa in lei era diverso. Diverso dalle sue amiche, diverso dalle sue compagne di classe, diverso dalle ragazze che sono entrate nella sua vita prima di lei.
 
Si addormentò, senza più pensare a quella ragazza tanto misteriosa e desiderata, ma giurò a se stesso che se l'avesse rivista, avrebbe fatto qualcosa.
 
[…]
 
La mattina seguente si svegliò di buon umore, si preparò la sua tazza di tè non troppo caldo e uscì a prendere il giornale. Michael pensava che nell'aria ci fosse qualcosa di strano, quel giorno era troppo soleggiato, e troppo sole in una giornata di metà primavera non portava mai bene.
Ovviamente le strade erano affollate e Michael pensò che la gente, per andare in giro così lentamente la domenica mattina, non aveva proprio niente da fare. Ma Michael non sapeva che lui era uno di quelli, anche lui non aveva proprio un bel niente da fare.
 
Arrivò in edicola, salutò il gentile signore al di là dello scaffale e comprò il suo giornale fresco di stampa.
«La regina appare in vestaglia sopra ad un balcone del palazzo reale in pieno pomeriggio, delirio tra i turisti.» lesse attentamente, cercando di non ridere.
Il solo pensiero della regina in vestaglia gli fece spuntare un accenno di sorriso in volto.
«Un altro carico di petrolio andato disperso nelle acque dell'Oceano Atlantico.» sbuffò e arrotolò il giornale tenendolo sempre in mano. Le notizie sul giornale quel giorno gli apparvero più noiose del solito, ma non gli andava di comprare qualcos'altro di più interessante, desiderava solo andarsene a casa a poltrire. 
Michael amava poltrire più di ogni altra cosa.
 
Attraversò la strada quando il semaforo divenne verde e camminò fino al cancello sempre aperto di casa sua.
 
«Ora che sei qui verrò a farti visita più spesso.» Michael notò due ragazze parlare davanti al portone, così attese dietro alla siepe del muretto che se andassero tutte e due.
«Ci vediamo, Olly.» urlò una delle due ragazze.
Michael sapeva che la nuova arrivata, la ragazzina del piano di sopra, si chiamasse Olly, così sembrò sollevarsi nel sentire il suo nome. Era salvo.
«Tornerai presto, Rose?» chiese Olly.
Michael non poté vederlo, ma la ragazza che nel frattempo si stava avvicinando sempre di più al cancello, alzò un poco le spalle. 
Camminava all'indietro, Rena, senza spostare gli occhi dal corpo ormai cresciuto di sua sorella minore. Quando arrivò al grosso cancello di metallo, però, notò qualcuno concentrato nel nascondersi fra le foglie della siepe ben potata.
Rena ridacchiò.
«C'è per caso un tesoro nascosto lì in mezzo?» ironizzò.
Michael sobbalzò all'istante, allontanandosi dal suo precedente nascondiglio e andando a sbattere contro a un bidone dell'immondizia che cadde dopo svariati dondolii.
«Io non mi stavo- non mi stavo nascondendo.» recuperò il suo giornale, anche lui caduto a terra, e attraversò il cancello superando la ragazza.
Rose aveva l'impressione di aver già visto quel ragazzo, ma non ci pensò a lungo. Michael pensava alla stessa cosa, ma non si arrese.
«Buongiorno Michael.» Olly mise in scena una presuntuosa corsetta in direzione dei due ragazzi e si affiancò alla sorella maggiore.
«Buongiorno signorina Hudson.» Michael arrossì. Si sentì una stretta allo stomaco quando giunse alla conclusione che la sorella maggiore fosse la ragazza della discoteca. Avrebbe voluto fare i salti di gioia, arrampicarsi sugli alberi e fare almeno un paio di capriole, se solo ne fosse stato capace, ma si trattenne e si limitò a sorridere, arrossendo un'altra volta.
«Lei è mia sorella- oh no, corri Rose, è arrivato l'autobus!» Olly spinse la più grande giù per il marciapiede e l'abbracciò; successivamente la vide scomparire sull'enorme autobus rosso.
Michael ne approfittò per correre in casa senza destare sospetti, avrebbe voluto anche lui abbracciare la ragazza misteriosa, ma non ne aveva il coraggio.
 
Solo una cosa gli rimase incisa nella testa, il mucchio di libri che si intravedevano nella grossa borsa di tela
Si chiese se quella ragazza fosse un topo da biblioteca o se solo le piacesse leggere libri. A Michael piacevano molto i libri, ne leggeva a migliaia. In realtà lavorava in una biblioteca, quindi non avrebbe potuto odiarli per niente al mondo.
 
Corse su per le scale, aprì la porta di casa sua e ci si fiondò dentro. Pensò che forse gli incontri con quella ragazza non fossero del tutto casuali, e che magari il destino gli stava dicendo qualcosa. Michael non credeva molto a superstizioni o cose del genere, ma Rose era pur sempre una ragazza molto bella e su questo non poteva dire nulla.
Forse le piaceva. Si sentì all'improvviso come se fosse ritornato alle medie, quando appena si vedeva una ragazza carina, ci si precipitava a fare colpo, e ciò che ferì nel profondo Michael, fu il pensiero che lui non aveva mai rimorchiato. Nessuna ragazza lo aveva mai guardato come se fosse la cosa più bella del mondo, nessuna aveva mai provato vero interesse verso di lui, non aveva mai festeggiato il San Valentino con una persona speciale. E si maledisse per essere cresciuto come un nerd ossessionato dalle tinte sgargianti e dalla musica punk, anche se Michael, in sé, non aveva proprio niente di punk.
 
Accese la televisione e nel frattempo, mentre ascoltava le notizie del telegiornale, si preparò un toast al formaggio. Cucinare non era mai stato il suo forte. 
«Forse dovrei andare a fare la spesa.»
Mentre i toast cuocevano, si buttò sul divano, il quale scricchiolò rumorosamente. Forse oltre al dover fare la spesa, doveva rinnovare l'arredamento di casa sua.
 
Ashton:Ma dove sei finito ieri sera? Ti abbiamo cercato praticamente ovunque.
 
Michael fece una smorfia nel ricevere quel messaggio dal suo migliore amico. Gli aveva chiesto davvero il motivo per il quale se n'era andato?
Scosse la testa e rispose svogliatamente.
 
Michael:Ero stufo di stare al bancone da solo e me ne sono andato. Sai, pensavo fosse una serata tra amici. 
Rispose, offeso.
 
Sì, perché Michael, anche se non sembrava, era un tipo che si offendeva per tutto. Sempre ad essere troppo permaloso e lunatico, ma sapeva anche provare forti sentimenti altruistici per gli altri, quando voleva.
 
Ashton:Ti prego, dimmi che non te la sei presa. Ti va se oggi ci vediamo? Domani lavoro e non possiamo uscire, poi viene Lucy a casa mia per tutta la settimana e sarà un casino uscire di casa con lei.
 
Michael, per un primo momento, pensò di dare al suo amico una risposta negativa, però ci ripensò un po' e decise che se non voleva passare la domenica come un eremita, in casa da solo a mangiare toast al formaggio, doveva uscire a fare qualcosa. Così rispose di sì, ed Ashton ne fu più che contento.
 
Si incontrarono nel pomeriggio per bere un caffè e per parlare un po'. Michael sembrava particolarmente interessato alla conversazione, tanto che arrivò a fare una domanda.
 
«Ieri sera ho conosciuto una ragazza.»
 
Ashton sorrise e lo intimò a continuare.
Michael amava quando qualcuno si interessava a lui, ai suoi pensieri e alle sue scelte.
 
«Beh, è… bellissima» fu l'unica cosa che riuscì a dire, preso dal panico e con la faccia che gli andava a fuoco.
«Come si chiama? Forse la conosco» Ashton si prese il mento fra le dita e aspettò, curioso, una risposta.
«Rose, credo. Ho scoperto che è la sorella della mia vicina di casa» Michael si sentì avvampare ancora di più. Non voleva entrare troppo nel dettaglio, anche se in verità amava il fatto che Ash fosse così curioso.
«Ah allora vi siete scambiati i numeri di telefono» constatò ovvio il ragazzo più grande, appoggiandosi contro allo schienale della sedia.
Michael sobbalzò, sentendosi sbiancare per ciò che aveva appena detto l'amico.
 
“Certo che no!” Pensò.
 
«No, Ash. Non le ho ch-» cercò di giustificarsi, ma l'amico lo interruppe.
«Se ti sei fatto scappare un'altra bella ragazza, sappi che non ti aiuterò» detto ciò incrociò le braccia al petto e finse un broncio.
«Non ho bisogno del tuo aiuto. Questa è diversa» si fermò per bere l'ultimo sorso del suo caffè, poi si alzò.
«Ti va una partita a FIFA?»
Ashton accettò.
 
Michael non era un fenomeno a giocare ai videogames, ma adorava farlo. 
Ciononostante perse per ben tre volte contro Ashton, che ad ogni goal se la rideva a più non posso. 
«Devo smetterla di invitarti a casa mia per giocare ai videogiochi» il ragazzo dai capelli neri - rigorosamente tinti - stappò un'altra bottiglia di birra, stando attento a non farsela prendere dal suo migliore amico.
«Se no non sarei tuo amico» disse, e si mise a ridere.
Michael alzò gli occhi al cielo e sospirò, poi offrì una birra anche al ragazzo ancora seduto sul tappeto, davanti alla tivù.
 
[…]
 
«Buongiorno vita» si lamentò Michael spegnendo la sveglia. 
Lunedì era arrivato, e con lui anche un'altra settimana lavorativa. Ma nonostante tutto egli amava il suo lavoro e non lo avrebbe cambiato per niente al mondo. Lì, infatti, in biblioteca, aveva conosciuto un sacco di persone interessanti, proprio come Ashton.
 
Si spostò le lenzuola dal corpo, sbadigliando, e constatò per l'ennesima volta che fosse ingiusto svegliarsi così presto. Ormai lo sapevano anche i sassi che, per Michael, le ore prima delle nove sembravano solo un mito, una leggenda, una storia lontana.
 
Si alzò, sbadigliando ancora, barcollò fino al bagno e accese la luce, notando subito il suo riflesso nello specchio, ma non ci diede troppo peso dato che era ancora in uno stato di dormi-veglia.
Passò i successivi dieci minuti a spazzolarsi i denti con una lentezza impressionante, poi si sbrigò a vestirsi per non fare tardi al lavoro. In realtà non aveva poi così tanta fretta, ma sapeva che se fosse arrivato in biblioteca prima delle dieci, avrebbe avuto modo di parlare con la vecchietta che passava sempre di là per dare da mangiare ai gatti randagi. 
Indossò i suoi soliti jeans neri, una maglietta grigia e un cappellino dello stesso colore dei pantaloni, poi uscì di casa senza dimenticarsi però di mettersi le All Star total black ai piedi.
 
Camminò fino alla fermata dell'autobus, che sarebbe passato a momenti, e si mise gli occhiali da sole per coprire i suoi occhi stanchi.
Mentre stava per riprendere in mano il cellulare e far finta di leggere o scrivere chissà cosa, la sua attenzione fu catturata da una ragazza familiare, quella ragazza.
Michael sembrò impazzire, per un attimo il sonno se n'era andato, sparito. Tutto ciò che riusciva a pensare era:“che cosa devo fare?”
L'autobus passò in quel preciso istante, salvando per un pelo la sanità mentale del ragazzo, che subito si precipitò all'interno del mezzo. 
Egli non si accorse, però, che dall'entrata anteriore era entrata quella stessa ragazza.
 
Scese alla fermata subito dopo Berners Place e la Rose fece lo stesso, e fu in quel momento che Michael si accorse, di nuovo, di lei.
Sentì una strana connessione fra di loro, come se non fosse stato solo il destino a farli incontrare per la terza volta.
 
“Wow, è già la terza volta” pensò Michael sentendo una strana sensazione all'altezza del petto. 
Rose, anche lei un po' sconcertata, cercò di imitare un sorriso tranquillo mentre cercava con gli occhi qualcosa per cui valeva la pena distrarsi. 
 
Così, Michael inclinò in basso un angolo della bocca e fece finta di essere maledettamente in ritardo, quando in realtà erano solo le dieci meno un quarto.
Camminò a passo svelto per alcuni metri, finché la biblioteca tanto familiare e tanto amata non gli si presentò davanti, e proprio in quel momento un paio di dita incartapecorite e fragili gli toccarono la spalla.
 
«Salve giovanotto, sei in anticipo anche oggi, sai? Ho portato un paio di biscotti per te e per i tuoi amici amanti della lettura, li vuoi?» chiese gentilmente, mostrando un generoso pacco di biscotti alle gocce di cioccolato. Michael annuì senza perdere un secondo e ringraziò l'anziana donna, poi si allontanò per aprire la biblioteca e starsene tutto il giorno seduto dietro al bancone a leggere un buon libro.
 
Entrò e fece il giro di tutti gli scaffali per controllare che fosse tutto al suo posto, poi si dedicò all'apertura delle persiane.
Scelse un libro a caso nella sezione “fantasy” e lesse la trama, sembrava convincente. 
Si sedette, perciò, dietro al bancone a leggere, finché a mezzogiorno, orario di pausa, Ashton apparve con del cibo cinese in due enormi buste, seguito da Calum che si lamentava di come lo prendevano sempre in giro quando entrava nei ristoranti cinesi; lo ripeteva sempre: lui non era cinese. 
 
Il pomeriggio passò normalmente. Bambini con le loro madri facevano avanti e indietro dal reparto ‘prime letture’ al bancone, e nonostante, a volte, fosse un po' stressante, Michael non si lamentava mai.
 
Verso le sei del pomeriggio, in vista dell'orario di chiusura, Michael chiuse tutte le persiane e controllò ancora tutti gli scaffali, tendendo a mente quali libri erano stati presi in prestito quel giorno.
 
Stava per prendere le chiavi dalla scrivania, pronto ad andarsene, quando la campanella della porta d'ingresso tintinnò, svelando l'entrata di un cliente.
 
«Mi dispiace, stiamo chiudendo» affermò con voce davvero dispiaciuta.
 
Michael, vedendo che il cliente non rispose, si girò incuriosito e si rese conto di aver appena compiuto una di quelle figuracce che gli rimarranno impresse nella mente a vita.
 
Rose sorrise e si avvicinò al bancone, estraendo dalla borsa alcuni libri per porgerli poi al ragazzo.
 
«Devo restituire alcuni libri» disse.
Michael li esaminò attentamente come fossero diamanti, e quando notò che lei era un ritardo per la consegna, non ebbe il coraggio di dirle nulla.
«So che sono in ritardo con la consegna, ma quando finisco un libro di solito mi piace rileggerlo più volte, e mi dimentico di consegnarlo» arrossì nell'ammettere quel suo modo di essere così sognatrice e ripetitiva, mentre il ragazzo la osservava forse ancora più rosso in viso.
«Non c'è problema. Tutti i sognatori sono ben accetti qui dentro.»
E per la prima volta, Michael, aveva detto la cosa giusta.
 
«Allora sapresti consigliare un buon libro ad una sognatrice come me?»
  
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