PROLOGO:Diario di una pazza.
Giorno 13
E
come sempre rimanevo l’ultima.L’ultima del corso
degli eventi,l’ultima presa in
considerazione,l’ultima speranza.
Eppure
tutte le volte che tentavo di alzare un dito qualcuno arrivava,
“Cosa devi
fare?” chiedeva.
Ero stata
incaricata io di fare certi esperimenti.Non gli
adulti che mi stavano attorno.Io.
E mi
sostituiva.
Sono una
bambina,non una stupida.Sono una scienziata,non
una semplice allocca.
E ora ci
ritroviamo tutti infettati.Per colpa loro.
Sbuffo.Gli
altri nella stanza mi osservano.Loro stanno
peggio di me e chiusa qui dentro non
posso far altro che osservarli morire
in santa pace.
La malattia
si trasmette,non sappiamo come,ne cosa
porterà.Sappiamo solo che è lo zero negativo a
portarla e a sua volta ne è
immune.Io sono zero negativo.
“Tu
sei l’ultima risorsa” mi aveva detto il
caposala.Sempre l’ultima.
E da giorni
ero diventata anche l’ultima speranza.
“Signorina”
mi dice l’uomo in tuta appena entrato.Le
precauzioni per sopravvivere:una tuta,una cella di isolamento.
“Arrivo”
sussurro e mi
alzo.Entro nella cella di vetro,fatta apposta delle mie
dimensioni,piccola e trasportabile.
Altri esami e
poi? Non avevano ancora trovato nessuna
risposta e non l’avrebbero trovata mai.
Il segreto
della malattia non è su di me,ma su di loro.Gli
uomini e le donne deliranti e accasciati al suolo nella cella.
Ma
analizzarli era troppo pericoloso,non per me.Ma per
loro ero come sempre solo una bambina,nonostante le mie
lauree.Nonostante
capissi perfettamente ogni singola cosa che pronunciavano davanti a
quelle
macchine.
Sbuffo.Il
dottore mi guarda e sorride “Abbiamo quasi
finito” mi dice.Lo fisso.Sembro così stupida?
Forse
è così.
Sono
l’ultima credo.L’ultima zero negativo per
fortuna.Probabilmente anche l’ultimo zero in tutto il nostro
mondo.
Ritorniamo
nella cella,saluto i miei compagni.
Lo zero
negativo era l’obbiettivo della nostra ricerca e
la causa del loro male.Loro erano entrati in contatto con il liquido
direttamente.Io no.Troppo protettivi.Ero solo la
fornitrice del sangue
per loro. Puha.
Li guardo.Tre
persone.Due uomini e una donna.La donna è
quella che ha reagito meglio.
Indago sul
loro corpo per capire cosa potrebbero
avere.Neanche un segno,un graffio.
I loro volti
straziati e stanchi.Non capisco.
E la cosa mi
da fastidio mi alzo e inizio a girare per la
stanza.
Nervosa.
Si,sono nervosa e mi succede sempre quando non capisco qualcosa.
Poi sono
stanca e questa segregazione mi pesa.
Mi risiedo e
mi appoggio.
Mi guardo
intorno un attimo:pareti bianche leggermente
illuminate dalle lampade penzolanti dal soffitto.
La luce ci fa
male,io la detesto da sempre eppure sono il
suo esempio migliore.
Distolgo lo
sguardo da tutto.Gli occhi iniziano a
chiudersi.Sono stanca e non sopporto più questa situazione.
Urlo.Improvvisamente.Le
sirene si accendono,una luce rossa
invade la stanza.
I miei coinquilini
aprono improvvisamente gli
occhi,come non facevano da giorni.I loro occhi sono come i miei.Ne
rimasi
rapita e non riuscii a distogliere lo sguardo.
Poi entrarono
i medici guardarono me che urlavo ancora e
gli altri.I loro occhi non li videro però,erano celati da
una sottile palpebra
argentea.
“Stanno
diventando come me” penso,poi li guardo nella loro
costante e persistente smorfia di dolore “Ce la
faranno?” mi chiedo e subito il
buio riempì anche la mia mente
Giorno 19
Sono appena
tornata dalle analisi.Come al solito i
progressi sono pochi e impercettibili ai loro occhi,ma io ho capito
cosa è la
malattia.
Se avessi li
strumenti potrei curarla,ma non me li danno.
“Sei
ancora piccola,cara” dicono.Rido;l’isteria
è la moda
del momento o almeno così reagisco io.Dagli altri neanche un
rumore e i medici
si sono abituati ai miei improvvisi sbalzi di umore.
Come ogni
giorno osservo la donna.
È
la più interessante,l’unica che rimane accucciata
con
espressione pacata.L’unico prova che ho per adesso sono i
loro occhi.
Nient’altro.
Arriva
l’uomo con il cibo. “Che schifo!Non ne posso
più”
inizio ad urlare.
“Voglio
uscire” e rido,rido,rido.
Il mio viso
d’angelo non si addice al mio demonio
interiore.
Mi sedano
ancora.Ma a me non fa più effetto.
Il mio sangue
mi rende immune a ogni cosa.Ogni.Cosa.
Sbuffo e mi
siedo.Ingurgito con ribrezzo un poco della
cena.
Anche gli
altri si muovono e mangiano in silenzio la
propria.
Piango
perché è così che succede ormai da
qualche giorno.
E
sbuffo,rido,urlo e non mi fermo.Più.
Chiudo gli
occhi e penso a come potrebbe diffondersi la
malattia.
“Un
percorso si compie passo dopo passo” diceva il mio
maestro.
Sorrisi a
occhi chiusi ripensando a lui.Al suo volto scuro
e al suo sguardo caldo.Lui credeva in me.Lui mi assomigliava ed era
totalmente
diverso.
Bevo la
bevanda che mi danno e con fatica la mando
giù.Sono schizzinosa e questa roba è delle
peggiori.
Guardo il
dolce e mi sembra che si muova,rabbrividisco.
Da qualche
giorno i medici non sono più quelli
dell’ospedali.
Loro mi hanno
detto che eravamo infettivi.
Lo so,lo
sapevo fin dall’inizio.L’inizio della fine.
Così
ci hanno spostato in una base militare e i medici
sono soldati con pochi concetti e niente basi.
Mi sdraio
sotto la coperta,ho la schiena a pezzi.
Un uomo ci
guarda,un soldato.Capì che avevamo finito e
perciò si veste e viene a recuperare il nostro pattume.
Poverino.Poverino.Poverino.
Lo guardo,non
ha neanche il coraggio di guardarmi.Povero
piccolo.
Sghignazzo e
lui si volta.
“Che
hai?” gli urlai contro.Lui mi guarda
impaurito;sarà
il mio visino d’angelo,ma di sicuro non si aspettavano una
reazione e un
energia da una come me.
E invece io
sono Lucifero.La moglie,per favore.Sghignazzo
ancora,mentre lui si volta e se ne va.
“Ciao,ciao”
gli faccio ironica con la mano.
Sono
così divertenti,rido.
Meglio
dormire prima di diventare isterica.Sghignazzo
ancora e poi poso il viso sul cuscino.
Notte mondo
di merda.A domani.Buona notte a
tutti.Sghignazzo.
Hahahaha.E
non mi fermo più.
Giorno 23
E
così è morto.Il secondo dopo il povero
soldato.Tutta
colpa mia.
Ho trovato
anche la seconda risposta di conseguenza.
Finalmente.Purtroppo per loro e per tutti questi uomini non mi ascoltano.
Sono
egocentrici,sadici e narcisisti.Non sanno tutto loro.
Il periodo di
isteria è passato.Da giorni.
Dalla prima
morte.
Era sera
quando successe;eravamo tutti rannicchiati pronti
a morire,ops,dormire.
E lui
è entrato,la donna finì di mangiare e sputo
sangue
nella minestra.
Lui prese il
piatto e lo toccò.Passarono qualche giorno e
lo rinchiusero con noi.
Io lo
guardavo : era spaventato,impaurito,un animale in
gabbia.
Sono stanca.
“Che gruppo sanguigno sei?” chiedo con un
filo di voi.Lui mi fissa.
“AB”
dice,mi guarda ancora.Nel giro di un attimo stramazza
a terra.
Nei miei
coinquilini scoppia il panico:urla,graffi,calci.
Il tenente
che si occupava del nostro controllo rientrò.Li
sedò.
“Come
mai non urli o non ridi?” mi chiese poi,mentre
aspettava che i soldati portassero al centro carbonizzazione il corpo
esanime.
“è
passata.Io sono sana.Di mente e di corpo” Lui mi
guardò
esterrefatto dalla mia risposta.
“Un
pazzo dice sempre di essere sano,una malato continua a
ripetere di star bene” mi sussurra prima di uscire.
No.Non sono
pazza.Solo stanca.Neanche malata.
La differenza
è che io non sono mai stata malata.Mai.Io
sono sbagliata,ma non malata.Non sbagliata in quel senso.Sbuffo e mi
accascio,dormo.
Da giorni
ripenso a quel dì in qui la porta della verità
mi si aprì.Penso a quel tenente,avrà meno di
vent’anni.Io ne ho…..quattordici
credo.Il suo viso mi torna in mente e le sue parole.
Sono tornati
a riprendere l’altro corpo.La donna lo guarda
scivolare via,non piange e non dice nulla.Non lo conosceva
così bene oppure no?
Nella
disperazione
è lo spirito di sopravvivenza a prendere il
sopravvento.
Appena uscito
guarda me e io guardo lei.L’altro uomo si
accascia e piange,in silenzio.
Mentre io
scrivo,scrivo e scrivo.Questo diario di una
pazza.
I soldati ci
guardano da dietro un vetro.Oh,c’è anche
lui.Sorrido,mi sorride.
Arrossisco.E
mi guardo nuovamente intorno,prima che il
sonno mi rapisca.
Giorno 25
Da qualche
giorno mi hanno messo in una stanza
diversa.Sempre bianca.Sempre spoglia.
Gli unici
arredamenti sono un letto,un tavolo con sedia e
un armadietto.
Ora sono
sdraiata sul letto.Lenzuola bianche come tutto il
resto.
Lo
guardo,mentre entra.
“Heyla
tenente” dico in segno di saluto.Lui per scherzo fa
il saluto militare.
Il suo viso
lo tradisce,o forse sono io che riesco a
identificare le persone.
“Ne
è morto un altro?” chiedo. Annuisce e abbassa lo
sguardo.
Si siede al
tavolo. “Aiutaci” dice “Sono comunque
umani”
“Che
gruppo sanguigno è la donna?” chiedo seria.
“A”
risponde.
Lui
è l’unico che mi crede.Lui che non sa nulla di me.
“Eterozigote?”
“Non so” Mi guarda pensoso.
“Se
è eterozigote ha qualche probabilità di
sopravvivere”
spiego.
Lo zero deve
annientarsi da solo.Io morirò per mano mia o
sua?
L’assassino,l’ordinatore
della malattia,il mio
burattinaio.
Sbuffo e lui
sorride.
“Vuoi
qualcosa da leggere?” Faccio segno di no con la
testa.
Sono pronta a
partire.Non ho più motivo per restare.È un
buon amico,ma non un motivo sufficiente.E poi ho la mia missione.Sbuffo
ancora.
Lui
l’ha capito credo;non dice niente però.O forse si
lascia ingannare dal mio aspetto.
“Scusa”
ripeto mentalmente “Scusa so che ti farò
male”.
Non ho il coraggio di ripetere ad alta voce queste parole;non sono mai
stata
così imprudente,né emotiva.
Si alza,deve
andare.Mi saluta e esce da quella porta.
Io mi alzo.La
mia fuga sta per iniziare.