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Autore: cartacciabianca    22/01/2009    0 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Con le spalle al muro








Elena camminava col mento al petto, senza guardare in faccia nessuno, e senza permettere a nessuno di farlo.
Il suo pugno destro era stretto attorno al ciondolo di sua madre.
Pensò che non aveva mai conosciuto Alice di persona, e senza mai sapere il perché, suo padre, oltre che tenerle nascosto molte altre cose, non gliene aveva mai parlato. Fino a qualche anno prima credeva di non aver mai avuto una madre.
La novella che più la turbava, che la lasciava col fiato sospeso e con le spalle al muro era quella di avere un “fratello”, chissà dove, disperso tra la folla che abitava le mura della fortezza, uno tra i tanti Assassini che la abitavano.
Marhim la stava aspettando con le mani giunte dietro la schiena, come a nasconderle qualcosa. Le sorrise sereno quando la ragazza gli si fermò a pochi passi.
Prima di parlare si schiarì la voce, così da attirare gli occhi azzurri distratti di lei su di lui.
-Che coincidenza, non è vero?- si beffò.
-Posso vedere la mia stanza?- domandò lei pacata, con voce morta.
Marhim ritrasse il suo sorriso. –Ma certo- disse –seguimi-.
La condusse alle gradinate che portavano al picco della torre.
Le dimore si trovavano un piano sopra l’infermeria, ed erano una moltitudine di corridoi spaziosi,  arredati di tappeti e cuscini.
-Qui- intraprese Marhim mentre le faceva strada. –abitano gli Assassini più esperti, i loro alloggi sono stretti perché non vi passano molto tempo, poiché impegnati altrove e spesso molto lontano da Masyaf. Non molte volte ti capiterà di incontrare la stessa faccia due volte di seguito in un solo anno, qui i membri vanno e vengono. Vanno e vengono…- ripeté malinconico.
Elena lo seguiva e taceva, lo seguiva e taceva.
-Al piano sotto a questo teniamo i più giovani, i novizi come direbbero alcuni di queste stanze-.
Qualcuna delle camere che davano sul corridoio erano aperte, e non appena la ragazza vi lanciò un occhiata dentro vide erano vuote o molto buie.
Per il resto, quella sembrava l’ala della fortezza davvero meno frequentata, così desolata e silenziosa che Elena sentiva i suoi e i passi di Marhim perdersi nell’enormità del piano.
Raggiunsero una piccola saletta comune nella quale sfociavano altri corridoi. Al centro della sala, spostava verso la parete, era infossata una stretta scala di pietra.
Si disse che dormire in quel luogo abbandonato e inquietante sarebbe stata una delle sue più grandi sfide.
Elena lo seguì sulle gradinate, e si ritrovarono in una sottospecie di soffitta.
Il pavimento era in legno pregiato e tirato a lucido.
Era una piccola stanza tonda dalla quale si allungavano diversi atri, ciascuno dei quali era decorato in diverso modo, con differenti arredamenti e tappezzeria.
Armadi, arazzi, tappeti dei colori più vivaci. E anche tavoli, e tantissimi cuscini ammassati al centro della sala a formare un piccolo salottino da terra.
Le finestra davano sul panorama ad alta quota, ed erano immense vetrate dalle quali passava continuamente una freschissima brezza. Le tende erano di un colore così chiaro che sembravano trasparenti, ed ondeggiavano come le onde del mare.
Elena alzò il viso, meravigliata. –Sei sicuro che…-
-Un tempo qui abitavano loro- disse Marhim facendo qualche passo avanti, anche lui estasiato. –A noi non era permesso entrare, a nessuno che non fosse Adha o una Dea era permesso assaporare il profumo di queste stanze- aggiunse prendendo un grosso respiro.
Marhim camminò su e giù per la stanza. –Sono contento di aver ricevuto l’onore di accompagnarti fin qua su. Mi sarei aspettato che il Maestro ne incaricasse Adha, ma a quanto pare questo luogo ha perso la sua autorità…- mormorò affranto. –è un peccato-.
Elena si avvicinò ad uno dei diversi ingressi. Portavano a delle stanze, altre decine di stanze.
–Quante erano prima di me?- chiese  tenendo una mano sulla bocca e l’altra che stringeva il ciondolo.
Marhim continuò a fare il giro del salone. –Una ventina, forse di più, nei migliori anni della setta. Parlo di prima che cominciasse la guerra, prima della prima Crociata. Non saprei come raccontarti di più, se sei curiosa dovresti chiedere ad Adha. Lei…-.
-Sai qualcosa di una certa Elika?- domandò all’improvviso.
Marhim si voltò verso di lei. –Come sai quel nome?- e le venne incontro.
-Ecco… me ne ha parlato il Maestro- balbettò, e fu lieta che Marhim non si accorse della bugia.
-Allora, se te ne ha parlato lui…- il ragazzo tornò ad ispezionare.
-Veramente ha accennato questo e altri nomi. Chi era?-.
-Elika fu una delle ultime assassine che lasciò la setta. Il suo nome non è poi così pieno di storia, parliamo di non più di qualche anno fa, piccola!- rise.
-Già, ma ogni Assassina qui sembra essere una leggenda- lei guardò fuori dalla finestra, sospirando.
-Non una leggenda- la corresse brutalmente Marhim.
Lei si voltò sospettosa.
-Ma una minaccia. A Masyaf e nella confraternita non c’era assassino che non le temesse e le amasse al tempo stesso-.
-Che intendi?- Elena sfiorò con la mano il vetro dell’unica finestra chiusa.
-Al Mualim aveva un rigido codice a riguardo. Le donne nella setta d’accordo, ma al fine che nessuna di loro avesse rapporti con altri assassini. Le ragazza non erano mai viste di buon occhio per questo, sempre piene fino al collo della loro bellezza, arma che usavano contro le loro vittime. Poi arrivò Alice, e tuo padre, da ingenuo…- alzò le spalle.
-Mio padre non era un ingenuo!- sbottò lei con un balzo in avanti.
-Non negare l’evidenza, Elena- sbuffò il ragazzo. –Avanti, lo sai benissimo che non era altro che un pazzo. Se Al Mualim costituì quel codice, ci sarà stato un motivo. E nessuno qui dentro vuole che la storia si ripeti. Prova a pensarci, Elena, prova a pensare quando nessuno ti scollerà gli occhi di dosso e alla fine ti ritroverai…-.
-No, non farò la fine di mia madre. Kalel mi mandò qui affinché io potessi imparare, e saldare la catena che Alice aveva spezzato. Ancora non ne sono certa, ancora non so come farò, con l’aiuto di chi…-.
-Visto?- lui le venne più vicino. –Credo che tu sia ancora in tempo per andartene, per lasciare le cose come stanno e come sono andate. Per farti una vita altrove-.
-Non mi sei d’aiuto…- confessò lei sedendosi tra i cuscini.
Marhim sobbalzò. Aveva disubbidito all’incarico che Tharidl Lhad gli aveva affidato: guidare ed essere sempre presente ad Elena.
-Hai ragione, scusa- lui le si sedette accanto. –Perdonami, stavo solo riflettendo ad alta voce-.
-Non fa nulla- borbottò la ragazza giocherellando con la collana. –tanto dovrò farci l’abitudine prima o poi. Come hai detto tu, mi staranno addosso, chi con le buone e chi con le cattive intenzioni-.
-Sono qui apposta. Il Maestro mi ha dato il compito di assisterti in tutto ciò. Sono stato sollevato dai miei precedenti incarichi perché lui crede nel destino che ci ha fatti incontrare sul ciglio di quella strada. A dire il vero, fu Halef a notarti per primo, ma sostituisco mio fratello per via dei suoi itinerari con gli Angeli-.
-Itinerari con chi?- domandò aggrottando la fronte.
-Halef sta imparando l’arte dell’omicidio da poco. Ora segue alcuni degli “Angeli” i così detti più esperti assassini per imparare da loro. È una cosa che un giorno dovrai sperimentare anche tu- sorrise.
-Davvero? Nel senso, devo seguirti mentre…-.
-No!- scoppiò a ridere lui. –Non me, e sicuramente non oggi. Il Maestro ti affiderà uno dei mastri assassini della setta, ma con molto giudizio. Sa che la scelta di chi ti metterà al fianco cambierà per sempre il tuo modo di agire, di pensare, di uccidere-.
-Mi spaventi-.
-Era quello che volevo- rispose divertito.
Elena tacque e si guardò attorno, ma sentiva gli occhi di Marhim ancora su di lei.
-Un certo Adel deve aver portato qui dei vestiti che Adha…-.
-Lo so, ma ora non ti serviranno-.
Elena abbassò lo sguardo. –Posso immaginare perché?-.
-Sono i resti più integri delle ultime divise femminili che sono rimaste. Quando l’ultima Assassina lasciò la confraternita, i loro vestiti furono bruciati, e ci mancava poco che anche questa stanza, completamente in legno, non prendesse fuoco- Marhim si stiracchiò alzandosi.
-So che sono parecchi giorni che te ne stai chiusa nell’infermeria, ed onestamente, le assassine erano celebri per il loro buono odore- rise.
-E pensare- disse lei sollevandosi – che credevo fosse una mia impressione- si annusò i vestiti e arricciò il naso.
-Avvertirò Adha che sei qui. Lei si occuperà del resto-.
Marhim fece per scendere le scale, ma Elena lo fermò chiamandolo.
Lui si voltò attento. –Sì?- le chiese, come se non stesse aspettando altro.
-Dove posso trovarti?-.
Le labbra dell’assassino si allungarono in un sorriso. –Sarò ad aspettarti alla fine delle scale. da lì ti mostrerò il resto del palazzo- poi scomparve di sotto.
Elena si affacciò alla finestra, e il ciondolo le scivolò dalla tunica andando a pendere sul vuoto dello strapiombo.
La vista era davvero mozzafiato.
Stormi di colombi si rincorrevano nel cielo e il vento le scompigliava i capelli.
Chissà, pensò, tutto sommato le piaceva quel posto. Aveva una stanza enorme tutta per lei, e già si era fatta degli amici. Forse non c’erano così tanti lì dentro che la volevano morta o darle fuoco assieme a dei vecchi vestiti.
Curiosò per le stanze e si accorse che c’erano due vaste biblioteche, una quindicina di camere con letti a soppalco e tre bagni muniti di lussureggianti vasche in marmo.
Eccome se quel posto le piaceva!
Entrò in una delle stanze da letto e vide che diversi scaffali correvano lungo le pareti. In fondo, coperta da spesse tende di lana per trattenere il calore in inverno, c’era una finestra chiusa. Aveva scelto la stanza più buia e polverosa nella quale ficcare il naso, e si disse se non fosse proprio quella la più interessante.
C’era un piccolo scrittoio e alcune cassapanche. I letti in totale erano quattro, e tutti lasciati in disordine coperti da vecchie federe ingiallite e cuscini sgonfi. C’era un armadio a parete completamente vuoto, e diversi tomi erano sparsi per il pavimento.
Le condizioni delle altre camere erano più o meno simili, forse sarebbe toccato proprio a lei rimettere ordine.
Ragnatele argentate si allungavano agli angoli del tetto, e non mancavano gli scricchiolii del pavimento.
Andò verso la finestra e scostò le tende. Un alone di polvere si diffuse per la stanza, mentre la luce dava nuovi colori alle pareti.
Il vetro era appannato e graffiato, nella parte in alto a destra era scheggiato. La vista dava all’interno della fortezza, precisamente affacciava sul cortile di addestramento, ma molto più in alto.
Da lì si vedeva tutta Masyaf, arroccata sulla collina, e oltre. Elena poté vedere delle rovine alla fine della strada che portava fuori città, e poi le lande desertiche e asciutte che andavano all’orizzonte.
-Sono contenta che ti piaccia questa stanza-.
Elena si voltò.
Adha era in piedi sull’uscio e la guardava sorridendo.
La ragazza, sorpresa, fece qualche passo indietro. –Era la stanza di qualcuno che ho per caso già sentito nominare?- chiese divertita.
-Alice amava condividere questa stanza con se stessa- proferì Adha.
Elena scorse che due ragazze si spostavano velocemente da una camera ad un’altra con in grembo asciugamani di seta.
Elena capì che era il momento di fare un bel bagno.
-Tu l’hai conosciuta, giusto?- di fece avanti e lasciò la stanza.
Adha richiuse la porta alle sue spalle. –No, poiché in quegli anni fossi solo una bambina e non abitavo ancora a Masyaf. Ma le ultime gesta di tuo padre ho avuto modo di assisterle- le disse accompagnandola nel bagno.
Le pareti e il pavimento erano di marmo, e negli appartamenti delle Dee ce n’erano due di sale che possedevano al centro una grossa vasca bianca. L’acqua era stata portata lì con dei cestelli vuoti che erano adagiati in un angolo. C’era della schiuma, dalla quale si levava una nuvola di fumo di condensa. Doveva essere bollente, si disse.
Le damigelle poggiarono gli asciugamani ai bordi della vasca e lasciarono la stanza. Adha le andò dietro fermandosi all’ingresso. Si voltò verso di Elena, che si guardava attorno pronta a cominciare.
-Quando avrai finito, Marhim avrà l’incarico di mostrarti il palazzo prima che faccia buio. I vestiti puliti sono su quella mensola vicino alla finestra, se hai bisogno di aiuto, le mie compagne ti assisteranno. Hai tutto il tempo, fai con calma, addormentati anche se vuoi…- le mormorò ridendo. Poi uscì.
Elena si spogliò del tutto ed entrò tra la schiuma senza pensarci due volte. Sprofondò fino al naso nell’acqua, sorpresa di quanto la vasca fosse profonda.
La collana le pendeva sul petto, l’accarezzò con due dita guardandola commossa. Sentì lo sporco scivolarle via mentre s’insaponava i capelli con uno speciale trattamento che aveva trovato lì accanto.
Aveva un profumo dolce e zuccheroso, non ne andò matta ma le parve anche l’unico a disposizione.
Seguì il consiglio di Adha e provò a chiudere gli occhi.
Sembrava di vivere in un luogo lontano, ma più bello di un sogno dove profumi sensazioni e sentimenti dolorosi e antipatici si sostituivano letteralmente ai desideri e ai pensieri vuoti. Quei pensieri che sgombrano la mente da altri pensieri, che la liberano e la trasportano via, via, via…

Un campanile rovinato dagli anni suona la sua campana e i corvi neri si levano nel cielo stridendo la loro musica. Sulla piazza c’è un gran silenzio, mentre la gente alza gli occhi all’uomo morto appeso alla forca. Il suo corpo è immobile e sbiadito, le sue mani sono legate dietro la schiena.
Elena è tra la folla, si guarda attorno senza fare nulla, rimane immobile e non riesce a controllare i suoi movimenti. Sta guardando verso il palco, verso il cadavere dell’uomo.
È Kalel.
Il laccio che stringe la gola di suo padre sta per staccargli la testa per quanto è stretto, mentre le guardie sotto di lui ridono a crepapelle.
Un arciere la vede e le lancia contro una freccia. Tutto accade in una decina di secondi.
Un uomo vestito di una lunga tunica bianca le si para davanti e devia la freccia che colpisce il suo guanto rivestito di placche di ferro. L’uomo estrae dei coltellini da lancio, e l’arciere sul tetto si accascia al suolo.
Le guardie li accerchiano entrambi, mentre la folla fugge spaventata.
L’uomo sfodera la spada e con pochi colpi le elimina senza fatica. La piazza rimane deserta e silenziosa, mentre i corvi vanno ad a cibarsi della carne di Kalel.
L’uomo si gira, è celato da un cappuccio, ma prima che lei potesse dire altro, si volta e sfugge nell’ombra di un vicolo.
Elena guarda suo padre, un assassino e poi una vittima.

Una lacrima le solcò il viso poggiando i piedi fuori dalla vasca.
Afferrò un asciugamano abbastanza lungo e se lo legò attorno al corpo, con gli occhi ancora umidi.
L’acqua era diventata fredda, e fuori dalle finestre il sole cominciava a scendere sulla valle.
Andò verso la vetrata e afferrò i suoi nuovi vestiti, stringendoli al petto lasciò il bagno.
-E così le ho detto che non doveva piangere, anzi, avrebbe potuto passare con lui anche…- una delle due damigelle l’aveva vista uscire dal bagno ed era scattata in piedi, mentre l’altra continuava a farneticare guardando altrove.
-Alzati, stupida!- le sottinse la prima.
-Oh, Dea- l’altra si sollevò all’istante.
Elena le guardò sorridendo e asciugandosi gli occhi. –Ho terminato, grazie…- disse andando verso una delle stanze che le due avevano messo in ordine da poco.
Le ragazze si catapultarono rosse in volto nel bagno e cominciarono a sbrigare le diverse faccende.
Elena si chiuse la porta alle spalle, e i suoi occhi tornarono di nuovo umidi.
Provò a ripensare alle parole di Tharidl, che senza esitare le aveva detto che piangere non le sarebbe servito a nulla. Doveva essere forte, ma improvvisamente nuove domande le assalivano la mente, senza darle tregua.
Doveva essere forte per lei? O per non mostrarsi debole agli altri?
I vestiti che Adha le aveva fatto portare erano completamente diversi da quelli che aveva portato per tutta la giornata.
Erano meno insoliti, più semplici come quelli che portavano le sue assistenti.
Era un vestito fino alle caviglie dello stesso marrone chiaro dei suoi capelli, con un innocuo spacco laterale, che andava coperto da un mantello a maniche lunghe verde scuro, munito di cappuccio. C’erano degli stivali leggeri e una fascia da legare in vita rosso porpora.
In fine, sullo scrittoio trovò alcuni piccoli accessori come cerchietti, mollettoni, e vari bracciali. Poi dei guanti e anche delle forcine.
Si legò i lunghi capelli castani in una coda alta e indossò come sopra il vestito anche la mantella.
Nella stanza, addossato alla parete e intarsiato di ricami d’orati, c’era un magnifico specchio alto poco più di lei. Si ammirò, ma per nulla soddisfatta.
Aveva la faccia appesa di sempre, le solite occhiaie e già non ne poteva più di sentirsi così… stanca senza aver fatto nulla tutta la giornata.
Bussarono alla porta.
-Mia signora Elena, Marhim chiede di voi- disse una damigella, appena affacciata nella camera.
Elena si stirò le pieghe dell’abito e andò verso l’ingresso.
La ragazza si fece da parte per farla passare, ed Elena vide Marhim che l’aspettava vicino alle scale.
-Eccoti- sorrise lui. –Adha mi ha mandato ad accertarmi che non ti fossi davvero addormentata nella vasca- rise rimanendo al suo posto.
-Veramente è successo- rispose lei andandole incontro.
-Bene, e cosa hai sognato?- chiese divertito.
Insieme si avviarono sui gradini, lei lo seguiva.
-Lascia stare…- mormorò.

Passando per i corridoi delle dimore degli Angeli, Elena ne contò qualcuno.
Erano uomini alti, giravano col cappuccio sempre abbassato e non la guardavano neppure. Marhim, al contrario, doveva inchinarsi e se loro non facevano nulla di risposta, proseguivano dritto.
Lì il rispetto del superiore doveva essere tutto, si disse la ragazza. Il Credo di un assassino davvero si basava sull’onore di ciascun individuo e sulla sua anima che non doveva mai essere infangata da nessuno e da se stessi. Così le disse Marhim mentre scendevano le scale per raggiungere il livello dell’infermeria.
-Credo che tu conosca bene questo posto- disse lui indicando il grosso portone di legno sempre socchiuso.
-Sì- rise lei.
-Allora proseguiamo-.
Marhim le fece strada fino al piano inferiore.
-Qui- sussurrò scostando appena la porta. –ci sono i piccoletti- sorrise facendosi da parte affinché Elena potesse lanciare appena un’occhiata.
I bambini che abitavano quella stanza non erano bambini, ma piccoli adulti.
Dalle età più tenere a quelle più mature, i visi rosei e bellissimi, pieni di vita e gioiosi nel bene e nel male, ma anche quieti, tranquilli e silenziosi. Erano seduti attorno ad un assassino che stava leggendo loro un vecchio libro.
La sala era ampia, e davvero spaziosa. C’erano dei cuscini, alcuni tavoli e finestre decorate da tende molto spesse.
Se aguzzava l’udito, Elena riusciva a cogliere la voce soave con la quale l’uomo narrava ai bambini la novella.
-… una torrida giornata per correre nel deserto, ma doveva raggiungere la destinazione nel nome del suo Dio, compiere la sua missione per salvare il suo popolo. Arsuf non era distante, pensò il cavaliere bianco…-.
-Andiamo- le fece Marhim richiudendo la porta. –Un giorno avrai più tempo da dedicarli- riprese le scale.
-Davvero?- domandò commossa lei.
Così piccoli, così innocenti, e già con la missione di uccidere…
Marhim si voltò. –Adha vuole che tu l’aiuti in alcune faccende all’interno della fortezza, e tra di queste ci saranno parecchi culetti da lavare…- sogghignò il ragazzo ricominciando a scendere.
-Cosa?!- balbettò incredula lei.
-Vedrai, ti piacerà-.
Elena le andò dietro recuperando la distanza. –Stai scherzando, vero?-.
-D’accordo, non dovrai occuparti tu del bagno, ma sicuramente avrai le mani impegnate- borbottò.
-Ma scusa, quando comincerò a…- Elena era confusa.
Marhim soffocò una risata. –Stiamo parlando della stessa cosa, o no?-.
-Non lo so, è per questo che…-.
-Elena- lui la guardò negli occhi. –Per ora il mio consiglio per te è lasciar fare tutto al Maestro e Adha. Sono loro che daranno parola per te quando verrà il momento. Non assillarti su cosa succederà dopo, o cosa è successo, pensa solo a quello che sta succedendo-.
-Ottimo- commentò. –ma sarò in grado di attenermi?-.
-Questo dipende da te!- rise il ragazzo.
Entusiasta e preservando le sue insicurezze per quando si sarebbe trovata di fronte al Maestro, Elena lo seguì in un corridoio all’altezza del terzo piano.
-Queste sono le sale che collegano la cucina e i saloni di ritrovo. È qui che generalmente la gente di Masyaf si riunisce per occasioni importanti, feste e celebrazioni varie-.
Erano tante sale quante le dita di una mano. L’una collegata all’altra da un corridoio controllato da guardie.
Nel salone principale, Marhim indugiò per qualche minuto.
Il soffitto era alto e si contavano le facciate di diversi balconi. C’era un piccolo palco di pietra rialzato da terra di pochi metri ed era molto vasto. Seguiva tutta la parete ovest della stanza ed era addobbato di ampie vetrate luminosissime, soprattutto quando la luce del sole era calante come in quel momento.
-In questa stanza il Maestro assegna i gradi di un assassino, ne proclama la sua maturità o…- il suo sguardo esitò sulla mano della ragazza.
Elena la ritrasse. –che c’è?- chiese turbata.
-Nulla, avanti- disse riprendendo a camminare. –Ci sono molte altre stanze da vedere-.
Si diressero di un piano ancora sotto, e trovarono quell’ala del palazzo molto frequentata.
Una piccola biblioteca si trovava accanto allo studio del Maestro, dove Tharidl le aveva parlato la prima e la seconda volta, ma la vera fonte di saggezza di Masyaf si trovava al secondo piano.
Enormi scaffali si allungavano per metri e metri quadrati di marmo colorato, mentre arazzi e stendardi ornavano i parapetti dei soppalchi che vi affacciavano.
Gli assassini e i “saggi” (gli uomini compagni del Maestro e suoi discepoli) trottavano da una parte all’altra, ma nonostante i bisbigli, nella biblioteca era re il silenzio.
-Qui vengo spesso- disse ad un tratto Marhim. –ovviamente contro la volontà dei miei insegnanti di armi- allungò le labbra in un sorriso. –non sono poi un tipo fisico quanto sembro- aggiunse.
-Ti piace leggere?- chiese la ragazza allungando una mano verso lo scaffale vicino.
Afferrò uno dei tomi e ne sfogliò le prime pagine.
Erano scritti a mano, in una calligrafia ordinata ed elegante. C’era un tratto di penna differente da capitolo a capitolo, segno che più uomini avevano lavorato allo stesso racconto.
-Moltissimo, e vedo che anche tu hai buoni gusti!- le venne vicino guardando dove la ragazza cercava di decifrare la scrittura in latino antico.
-Uno dei migliori- disse lui guardandola. –Molti dei libri che vedi in quest’ala della biblioteca sono biografie degli assassini del passato. Biografie, ed autobiografie. Ognuno di noi, se l’autore voleva, poteva aggiungere alla biografia qualche appunto. Eravamo molto aperti in materia un tempo. Fu quando venne Al Mualim che le cose cambiarono, ma non dispiace a molti. La gente di Masyaf era angosciata dalla guerra, i nostri fratelli passavano molto tempo in “impieghi” e nessuno aveva tempo per nessuno. È stato davvero un duro colpo per queste pareti, che senza le testimonianze del passato, non potranno garantirci per il futuro…-.
-Quindi non c’è la biografia di nessuna assassina, qui?- sbottò tristemente.
-Esatto- sospirò lui.
Lei rimise il libro al suo posto e lanciò un’occhiata più distante, dove un assassino era seduto ad un tavolo intento nello studio. –Ci sono degli esami teorici da passare, per essere uno di voi?- chiese indicando il ragazzo che trascriveva da un libro ad un quaderno.
-No- scosse la testa Marhim. –Ma l’entrata nella setta non è libera a tutti- lui seguì lo sguardo di lei.
L’assassino studioso alzò gli occhi e li vide.
In u primo momento Elena guardò altrove, poi notò che Marhim stava salutando il compagno con la mano.
-Molti di noi- riprese Marhim ammirando lei. - non aspirano alla carriera di assassini, ma a quella di saggi o scrittori. Devi sapere che Masyaf nasce nella sua storia prima di tutto come città di enorme saggezza e ricchezza culturale. Solo di seguito i nostri predecessori crearono tutto il resto-.
-Interessante- le sfuggì di bocca in un tono annoiato che non avrebbe voluto esprimere, ma Marhim la fulminò lo stesso con un’occhiataccia.
-Sei distante dalle materie che non comportano l’uso di una spada, o hai del risentimento personale?- domandò curioso.
-Mio padre non ha mai perso tempo in questo…- mormorò fievole.
-Capisco- Marhim si passò una mano tra i capelli portandoseli indietro. –Continuiamo?-.
La ragazza annuì e tornarono da dove erano venuti.

Al primo piano, il meno esteso, c’era una vasta cucina e una sala nella quale erano seduti ai tavoli alcuni assassini.
In fin dei conti era quasi ora di cena, ed Elena non aveva toccato cibo da prima di lasciare Acri, sempre che qualcuno non l’avesse imboccata nel sonno.
Marhim la condusse direttamente nelle cucine.
Una stanza vuota e buia illuminata solo, per un taglio di luce, da un lucernario nella parete sopra il forno.
-Hmm- fece Marhim. –è strano, qui dovrebbero esserci…-
Non terminò che nella cucina fecero il loro ingresso tre donne.
Erano vestite più o meno come Elena, che subito le guardò mentre mettevano mani al forno e agli impasti per preparare la cena.
La sala si riempì di farina che svolazzava da parte a parte e dell’odore delle fiamme che ardono la brace.
-Marhim, levatevi dai piedi- disse una mentre si lanciava nelle dispense a recuperare alcune grosse bacinelle di legno.
-Vieni- le disse lui prendendola per la mano. –qui potrebbe succederci qualcosa di molto spiacevole-.
La trascinò fuori dalla cucina e insieme, mano nella mano, si trovarono nella sala comune sotto gli sguardi di una quindicina di assassini.
Elena fece un passo alla sua sinistra scollandosi dal ragazzo.
Lui si schiarì la voce, ed Elena si sentì le guance esplodere.
-Posso lasciarti solo un momento?- domandò Marhim senza guardarla.
-Certo- balbettò lei timidamente.
Elena lo guardò allontanarsi sulle scale a due gradini alla volta verso il piano di sopra.
Restò con le spalle alla parete per diversi minuti, nell’attesa che qualcuno le gridasse qualcosa.
Molti nella sala la fissavano con rabbia, si disse che altri non sapevano chi fosse, e ne rimase consolata.
Quei pochi che le mettevano paura bastavano a lasciarla in disparte, sola con se stessa nella penombra. Anche con quei vestiti simili a quelli delle donne che lavoravano come servette gli Angeli la guardavano con stizza. Chiamarli Angeli non era più tanto appropriato…
Improvvisamente, mentre due assassini parlavano tra di loro, uno dei due proruppe a voce troppo alta. –Non è morto. Corrado lo farà giustiziare, sono io che devo occuparmi della questione-.
-Zitto, non vedi che ti ha sentito?- lo rimproverò l’altro assassino.
Elena cercò di sembrare distratta, ma dalla curiosità cercò di avvicinarsi.
Come avrebbe potuto ingannare due assassini esperti? I due lasciarono la sala, ma quando le passarono ai fianchi, uno di loro gli diede una spallata che ci mancava poco non la spedisse a terra.
Fu sul punto di piangere, quando a darle la forza di trattenersi fu il fatto che gli altri presenti la stavano guardando.
Allora Elena fece quello che non avrebbe mai fatto, ma che si costrinse a fare per sembrare il meno “debole” possibile.
Andò dritta verso il tavolo che i due avevano lasciato e vi si sedette.
Tutti la guardarono sbigottiti.
Sicuramente era una scena che non si sarebbe vista tutti i giorni, si disse notando che le tremavano le mani per l’attenzione che aveva attirato. Forse qualcuno avrebbe avuto il coraggio di dirle in faccia quanto fosse sbagliata la sua presenza lì, ma nessuno si era fatto avanti, pensò.
Si guardò attorno, scrutando uno per uno i ragazzi e gli uomini che la circondavano.
Mai in tutta la sua vita si era sentita tanto a disagio. Come le persone che la guardavano, ora non poteva fare a meno di prendersela ancora una volta con se stessa.
-No, lasciatela stare! Ragazzi!- sentì una voce familiare, ma non poté voltarsi che due giovani le furono ad entrambi i lati.
-Guarda, guarda…- disse il primo alitandole addosso.
Elena fece per alzarsi, ma l’altro l’afferrò per il braccio tirandola di nuovo a sedersi con una forza disumana. Le scappò un mugolio di dolore.
Per quanta potenza le aveva scaricato addosso, alla ragazza parve essersi rotta l’osso. Eppure, il suo aggressore non mostrava alcun segno di sforzo. –Dove vai di bello?- le chiese poi lo stesso che l’aveva ferita.
Elena si massaggiò il polso. –Vi prego- balbettò, e ascoltò il suo cuore moltiplicare i battiti ad ogni respiro. I polmoni in fiamme e la gola secca.
-Sentitela, piccolina indifesa- blaterò quello alla sua destra.
-Vi prego!- le fece il verso quello a sinistra.
Elena trattenne le lacrime.
I due non dimostravano più della sua età, ma celati sotto il cappuccio e col buio che calava sulla fortezza, tutto le pareva oscuro e malsano, oltre che arrogante e pronto ad attaccarla. –per favore- ripeté.
-Come possiamo darle il benvenuto?- domandò quello di destra all’amico.
-Non so- fece il compagno. –Forse non le hanno ancora tagliato il dito, potremmo farlo noi!-.
Elena sobbalzò sbarrando gli occhi. –dito?- tirò su col naso.
I due risero malignamente.
-Sai che non sei niente male- disse uno avvicinandosi e annusando il suo profumo. –Una volta erano tutte così?- chiese all’altro.
-E che ne so io, scusa? Ti sembro più vecchio di Tharidl, forse?- rise lui.
L’altro continuava a fissarla. –quanti anni hai detto di avere?-.
-Non l’ho detto…- mormorò la ragazza, in preda al panico.
-Sembra così piccola, ma anche così…- il ragazzo alla sinistra allungò una mano verso di lei, ed Elena d’istinto si scansò a destra, finendo tra le braccia dell’altro assassino.
-Allora fai sul serio! Gnam!- disse quello che la stringeva a sé.
Elena non riuscì a divincolarsi, e senza accorgersene stava cominciando a gridare.
-Basta, stupidi!-
I due assassini si alzarono smettendo di ridere.
C’era un gruppo di ragazzi in un tavolo all’angolo della sala. Dalla mischia si levò in piedi un assassino che veniva verso di loro.
Elena si spostò scivolando sulla panca il più lontano possibile.
Con entrambe le mani giocherellava con la collana di sua madre.
Si voltò appena il sufficiente per vedere i due che l’avevano infastidita beccarsi un bel rimprovero.
L’assassino indossava una veste più che familiare, ed Elena non si sarebbe mai scordata di lui.
Era Rhami.
-Siete dei deficienti, andate a scassare bottega altrove! È così che avete rispetto per voi stessi e per gli altri?-.
-Dai Rhami, volevamo solo giocarci un po’, nulla di serio!- solo a quel punto Elena si accorse che uno di loro aveva un accento tutt’altro che sobrio.
-Le persone non sono giocattoli- sbottò Rhami. –o anche io potrei giocare con le vostre vite come voi avete fatto con lei!-.
Nel bel mezzo della conversazione, dalla scalinata comparve Marhim, che subito si guardò attorno sospettoso. –Ma che succede?- chiese avvicinandosi ai tre.
Rhami si fece da parte guardando la ragazza all’angolo del tavolo.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi Elena, senza aggiungere nulla, lasciò la sala correndo.

-Elena!-
La ragazza continuò dritta su per le scale, superando Adha che non aveva fatto in tempo a riconoscerla.
Elena andava di corsa, due gradini alla volta, verso le sue stanze.
Senza fermarsi di fronte a niente e nessuno, senza riprendere fiato che già le mancava, correva e correva.
Ad un tratto, fissandosi i piedi che ormai andavano da soli sulle gradinate, andò a sbattere contro qualcosa di solido, ma allo stesso tempo caldo e da un lato soffice.
Riacquistando a fatica l’equilibrio, alzò gli occhi e vide l’imponente presenza di un assassino che dimostrava il massimo del rango.
-Io… io!- provò a dire qualcosa, ma le riuscì più facile aggirarlo e continuare per la sua strada.
L’uomo l’afferrò saldamente per il braccio, lo stesso braccio che aveva dolorante, e la tirò nuovamente giù sul suo stesso gradino.
Adha correva verso di loro tenendosi i lembi del vestito con due mani. –Grazie, Altair- disse la donna fermandosi.
Elena distolse lo sguardo, e quel piccolo gesto la costrinse a stringere i denti quando l’assassino irrobustì la presa sulle sue ossa. –Mi fai male!- non poté trattenersi.
Adha e l’assassino la guardarono sarcasticamente sorpresi.
-Davvero, Altair, non spezzarle un braccio proprio ora- Adha spostò lo sguardo dalla ragazza all’assassino e dall’assassino alla ragazza.
Elena vide che l’uomo la fissava mentre la presa sul braccio si allentava.
-Posso lasciartela?- domandò lui.
Improvvisamente Elena aveva già sentito quella voce! Ma certo, si disse. Era l’assassino che stava leggendo la favola ai bambini! Non poté crederci.
Tanta delicatezza con i più piccoli, e dimostrava una brutalità esagerata con tutto il resto. Distaccato, austero, Altair scese le scale e scomparve nell’ombra.
Adha le venne più vicina. –Posso sapere cosa è successo? Cos’erano quelle grida, si è sentito per tutta la fortezza!- le disse sgomentata.
Elena tacque, ma Adha le prese il mento tra le mani fredde. –Elena, se è successo qualcosa devi dirmelo, anche perché Marhim non ha assistito, a quanto pare, e nessun altro può garantire per te! Avanti!-.
-Non è successo nulla, sono io che faccio la solita esagerata e sono una calamita per i pazzi! Due della Confraternita stavano “giocando” e Rhami è intervenuto, stop- disse in un fiato.
Adha ritrasse le braccia lentamente. –sai i nomi di costoro?- chiese.
Elena scosse la testa continuando a tenere il broncio.
- Va’ di sopra, me ne occupo io. Ne parlerò col Maestro e faremo il possibile, ma devi stare attenta a quello che fai, credo che Tharidl te l’abbia già detto- disse in tono premuroso.
La ragazza quella volta annuì, e tirò su col naso.
- L’unica cosa che non devi fare- aggiunse Adha prima di scendere. –è piangere. Se sapranno che sei debole, tutto precipiterà in pochi istanti. Elena, nessuno ti obbliga, ma è un tuo dovere verso te stessa, tua madre e tuo padre, che avrebbero voluto questo per te-.
Adha lasciò quelle parole sospese nel vuoto delle scale.
Elena aveva colto poco il loro significato, distratta dalle poche ore che mancavano al suo appuntamento con Elika.


   
 
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