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Autore: Steffa    23/01/2009    5 recensioni
Avrebbe voluto sussurrare un "Ti amo", Roy l'avrebbe udito, ne era certo, nonostante la distanza, il suo stupido Taisa l'avrebbe percepito.
Certo che quel cielo era veramente d'un azzurro intenso, proprio come quello che copriva Reesembool.
Certo che quel sole era veramente accecante, forse avrebbe potuto ferirgli gli occhi.
Ma poco per volta, si sentì sempre più leggero, che stesse cominciando a volare?

Dedicata a _BellaBlack_, anche se è tremendamente triste, per ringraziarti di farmi sempre sorridere con le tue storie! ^^
Genere: Drammatico, Song-fic, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Inside My Mind



Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi

Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente

Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve



Non ricordava quanto tempo fosse trascorso da quando avevano abbandonato l'ultimo avamposto alleato per dirigersi attraverso la tundra verso il confine.
I passi si susseguivano uno dopo l'altro in un movimento che era divenuto da molto automatico, nonostante le forze lo stessero abbandonando lentamente, continuava ad andare avanti mentre i sensi intorpiditi non gli inviavano più le informazioni necessarie.
Non sentiva più i brividi di freddo dovuti dalle gelide correnti e dalla neve che imperterrita continuava a scendere silenziosa dalle nubi bianche.
Tutto era bianco li intorno, la terra ed il cielo si confondevano in un orizzonte invisibile mentre per camminare si rischiava d'affondare fino a metà polpaccio nella neve fresca.
Essere la retrovia dell'esercito non era esattamente quello che si aspettava il biondino mentre avanzava con il suo plotone, composto da non più d'una ventina di uomini.
Certo, ci si potevano muovere più rapidamente d'un intero battaglione, evitavano il più delle volte la battaglia aperta, l'importante era proteggere le spalle del gruppo più massiccio, fare da spazzini per quei pochi drappelli che resistevano all'attacco principale, in modo che non si sarebbero potuti riorganizzarsi e colpirli poi alle spalle.
Si ritrovò a pensare che in fondo avrebbe preferito di gran lunga la battaglia diretta.
S'era sentito sporco la prima volta che aveva ucciso un soldato nemico, con quella divisa rossa che aveva celato la vista del sangue, ma si sentiva ancora più sporco ad uccidere persone che avevano subito una sconfitta e che tentavano semplicemente di sopravvivere.
Eppure l'aveva fatto.
Aveva perso il conto di quanti ne avesse freddati..
Uno, dieci, venti...
Che importanza aveva?
Prendere la mira, respirare profondamente, socchiudere gli occhi per esser certi di non mancare il bersaglio, tenere conto della velocità del vento e premere il grilletto.
Una serie di mosse calcolate e fredde, non si poteva prestare attenzione a quello che la mente ed il cuore urlassero.
Era quasi come crearsi una barriera intorno, quasi come se a compiere quegli atti non fosse la stessa persona.
Si scostò una ciocca di biondi capelli dalla fronte, bagnati come da chissà quanto tempo, non gli parve del tutto strano il salire vertiginoso della febbre.
I brividi di un possibile delirio si confondevano con quelli delle folate gelide, così ch'era impossibile distinguerli.
Nella marcia affiancarono l'ennesimo fiume che aveva la sua sorgente sulle montagne poco lontane, ma nessuno osava utilizzarlo per riempirsi le borracce del fresco liquido ristoratore.
Un poco per il fatto che si sarebbe sicuramente congelata una volta nel contenitore, la temperatura non raggiungeva mai più dei cinque gradi diurni; un altro valido motivo, erano i corpi dei soldati, in balia della corrente.
Simboli della battaglia che si svolgeva più avanti, macabri segnali di morte e violenza.
La prima volta che Edward ne aveva scorto uno, non era riuscito a celare l'orrore che l'aveva assalito.
L'espressioni sui cadaveri congelate nel dolore, nella paura, nella supplica, pallidi come la neve stessa che copriva il terreno.
Non aveva mai creduto possibile provare un terrore simile, pensare che uno di quei cadaveri potesse avere il viso di uno dei suoi compagni, Havoc, Falman, Breda oppure... Roy.
Chiuse per qualche istante le palpebre per tentare di cacciare quel pensiero, sentendosi dannatamente egoista, come poteva aver idee simili?
Anche quei soldati senza nome per lui, probabilmente avevano familiari ed amici che li aspettavano e lui, tirava un sospiro di sollievo ogni volta che non li riconosceva in qualcuno dei suoi.
Eppure non poteva farci nulla.
Rimenbrò il litigio con il quale s'erano lasciati prima della campagna lui e Roy.
Edward non aveva apprezzato per nulla la postazione assegnatagli, avrebbe voluto esser accanto a Mustang durante la battaglia, non voleva restarsene nascosto nelle retrovie.
Ma il Colonnello era stato irremovibile e non poteva far altro che obbedire, pur dannandolo a gran voce ed uscendo dall'ufficio con la porta sbattuta con violenza.
Non l'aveva più visto da quel giorno.
Quanto tempo era trascorso?
Non lo ricordava.
Si domandava spesso come potesse stare, se fosse ancora vivo, se lo odiasse, se sentisse la sua mancanza.
Pensieri decisamente idioti per periodi del genere, se ne rendeva conto.
Ma in quelle lunghe marce forzate, la mente volava dove le importava senza tener conto del dolore e della paura che tali idee potessero provocare.

Fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce

Ma tu no lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera



Portò il dorso della mano alla fronte per asciugarla dai rivoli di sudore che l'impregnavano, continuava a marciare, gli sembrava di non aver fatto altro per tutta la vita.
Il tempo era trascorso, non poteva dir velocemente perchè ogni mese, ogni giorno ed ogni ora gli pesava sulle spalle come un macigno, aveva voglia di casa, di calore, anche di un semplice sorriso, un sorriso più sincero di quelli tirati che ci si scambiava con quei compagni con i quali era stato costretto a legare.
Quanti di loro erano morti...
Ben, Jan, Frank, Bill....
Impossibile pronunciare tutti i loro nomi, erano decisamente troppi.
Se dal principio il loro plotone non era numeroso, giunti a quel punto erano un pugno di uomini stanchi e provati dalle morti che avevano subito e causato, feriti, invalidi.
Erano stati richiamati in patria dopo mesi di inseguimenti ed uccisioni a sangue freddo, e non solo nel senso sottinteso della parola, dato quel dannato territorio congelato dalla neve perenne.
C'era chi aveva rinunciato a qualche dito per via del congelamento, chi ad una mano, chi ad un piede.
Certo che a vederli non sarebbero proprio sembrati dei soldati, per lo più dei profughi sfuggiti da quella dannata guerra.
Ma erano resistiti, pochi, ma c'erano.
Eppure non ce la faceva proprio più, Edward.
Il suo corpo chiedeva solamente una pausa, magari che durasse per qualche mese, ma il biondo si faceva forza, rincuorato dal vento primaverile che soffiava dalle colline della sua terra.
Finalmente erano ritornati a casa, ancora poche settimane e avrebbero potuto riabbraccare i propri cari...
Non tutti, qualcuno per lo meno.
Aveva avuto solamente notizie di circostanza riguardo la persona che gli interessava in modo particolare.
Messaggi brevi e concisi, il Colonnello Mustang è in salute, sta bene, ti ama.
Non che quelle poche parole che potevano scambiarsi via missive che arrivavano sempre troppo tardi, potessero alleggerirgli il cuore.
Quanto aveva sperato che quella dannata guerra finisse, ma sembrava voler durare in eterno.

E mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore

Sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue

E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore



Era ancora sperso in pensieri oramai usurati a forza di ripercorrerli, era sulla strada di casa, anche se avevano appena superato la fronteria, poteva quasi sentire l'odore delle colline di Reesembool aleggiare nell'aria.
Camminavano sparsi lungo la strada di campagna, non v'era pericolo che incombesse ed erano tutti troppo stanchi per tentare di mantenere una parvenza di buon umore e di ordine militare.
Non riconosceva ancora quelle terre ed il suo sguardo vagava dalla cima delle colline sino alle valli non troppo profonde, tutte ricoperte di verde erba, cespugli ed alberi rigogliosi.
Sembrava che lì la guerra non avesse toccato nulla, come se si trovasse in una bolla di sapone perfetta e serena.
Fu un'alterazione di quel monotono verde a risvegliare i suoi sensi intorpiditi, una macchia di colore che il suo cervello gli disse non doveva esserci.
Gli ci volle ancora qualche momento per rendersi conto di che cosa si trattasse: una divisa, rossa; un uomo, un soldato, un nemico.
Non era molto distante e si chiese come avesse fatto a non notarlo prima, probabilmente quei suoi pensieri ripetuti gli avevano annullato i sensi.
L'altro aveva le spalle incurvate, era poggiato al tronco di un albero, solo.
Chissà dov'erano i suoi compagni, Edward quasi parve di vedere la propria immagine riflessa in quel soldato, non fosse stato per quella divisa scarlatta.
E che cosa avrebbe dovuto fare in quel frangente?
Beh, ovvia la risposta...
Avrebbe dovuto prendere il fucile e sparargli, come aveva fatto con decine di altri come lui.
Un colpo, due, tre, tutti quelli necessari per vederlo infine cadere a terra, il sangue che si mimetizzerebbe con la casacca.
Oppure, se riusciva a prender la mira con cura, ne sarebbe bastato uno soltanto, per lo meno non si sarebbe affatto accorto di stare morendo, non avrebbe sofferto.
Già, perchè Doveva ucciderlo, nonostante tutto, era un nemico, era il così detto cattivo della situazione e lui, essendo un soldato di Amestris, avrebbe dovuto difendere il suo paese, le persone che lo abitavano.
Ma in quel momento ricordò per l'ennesima volta, uno per uno, i volti degli uomini che aveva ucciso, qualcuno un poco più sfocato, altri più nitidi.
Qualcuno giovane, altri più anziani, ma tutti esseri umani, proprio come lui.
Ed avevano tutti quanti gli stessi occhi, occhi pieni di una miriade di parole, sentimenti e sensazioni, occhi che divenivano vuoti in un momento, gli occhi di uomini che morivano.

E mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato

Cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno



Rimaneva così, quindi, assorto in sensi di colpa, disgusto per se stesso e per quella guerra, paura di dover fare il suo dovere.
Chissà dov'erano i suoi compagni?
Probabilmente più avanti lungo il sentiero, meglio così in fondo.
Era ancora immobile, fissava la schiena del soldato ricoperta dalla divisa cangiante in mezzo a quel verde naturale.
Il movimento dell'altro parve quasi esser eseguito ad una velocità ridotta, mentre si volta proprio nella sua direzione, quasi come se avesse udito i suoi pensieri.
I loro occhi s'incontrano per qualche istante, in quelli del nemico pura e semplice paura; in quelli di Edward, forse una muta preghiera di finirla con tutto quel dolore.
E fu allo stesso modo di come l'aveva pensato, un solo momento, il secco rimbombo dello sparo che s'allarga per la campagna.
Il dolore che Edward provò non fu, in fondo, così intenso come credeva, aveva sopportato di peggio, sinceramente.
Ciò che faceva più male erano i pensieri che lo colsero mentre sentiva le gambe cedere sotto al suo peso, quelle gambe che per tutti quei mesi avevano urlato pietà per quella marcia forzata, quelle gambe che l'avevano sostenuto sino a quel momento.
Non emise alcun suono dalla gola, chissà perchè...?
Che fosse secca per la mancanza d'acqua, o forse solamente per lo stupore?
Non seppe trovare una risposta.
Una cosa però la sapeva, con certezza assoluta e gli fece paura.
Si era sempre ritenuto un peccatore, aveva sfidato sfere troppo elevate per il suo misero rango di essere umano e credeva d'aver scontato la pena prevista, ma probabilmente non era affatto così.
Avrebbe voluto chiedere ancora perdono ad Alphonse per mille, duemila, centomila volte.
Avrebbe voluto chiedere di essere assolto da quei sensi di colpa che lo logoravano dall'interno, perchè in fondo lo sapeva che era un dannato peccatore egoista.
Ma da quel momento non avrebbe più avuto tempo, era la fine.
Fu una strana sensazione, rassegnazione forse?
No, improbabile...
Semplicemente una constatazione di fatti, come era solito fare.
La fine significava un ultimo viaggio, quel fatidico viaggio del non ritorno, veniva chiamato in quel modo se ricordava bene.
Se ne avesse avuto la forza, forse sarebbe scoppiato a ridere, perchè proprio in quei suoi ultimi istanti, s'era ritrovato a fare pensieri assurdi, disteso in un campo dorato, quando c'era arrivato in quel campo di grano?
Forse mentre osservava quel soldato in rosso.
Già, doveva essere proprio così.

Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno

E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole



Ed i suoi ultimi pensieri razionali, se proprio in quel modo li si voleva chiamare, volarono ovviamente a colui che era riuscito a renderlo ciò che era.
Pensieri dedicati solamente ad uno stupido, narcisista, piromane d'un Taisa scansafatiche dei suoi stivali.
Che mese era quello?
Maggio, probabilmente, non ne era del tutto convinto, ma poco importava.
Si ritrovò quasi ad immaginarsi la reazione di Roy se mai l'avesse trovato in quella situazione.
Edward era un coraggioso, però trovarsi ricoperto da un cielo così limpido, sfiorato da un venticello così gentile, odorare profumi di vita...
Era terribile, associando il tutto alla sua vicina dipartita.
Sarebbe finito all'inferno, questo era poco ma sicuro.
Forse sarebbe stato meglio morire in quella squallida tundra gelata, il cuore avrebbe fatto meno male.
Forse non si sarebbe immaginato il viso di Roy preoccupato, la sua voce spezzata, gli occhi arrossati.
Dio, ringraziava chiunque fosse lassù a comandare un destino inutile, per non poter vedere tutto quello, non sarebbe stato in grado di reggerlo.
Perchè Roy Mustang sarebbe divenuto Comandante Supremo, perchè era un ottimo soldato e gli ottimi soldati non si lasciavano prendere dai sentimentalismi.
Forse un semplice "disperso" accanto al nome di Edward Elric, sarebbe servito a rendere il tutto più accettabile.
Quanti sproloqui nella sua mente, saltava da un argomento all'altro senza possibilità di fermarla, quasi come se volesse assaggiare un poco di tutto quello che aveva vissuto, prima di sprofondare nel nulla.
Attorno a lui, solamente le spighe del grano, dorate, gli ricordavano se stesso, che buffo.
Forse era per quello che sembrava quasi che ascoltassero quel suo soliloquio mentale, per compassione e solidarietà?
Stringeva ancora tra le mani il fucile con il quale avrebbe dovuto tranciare la vita di quel soldato e salvare la propria, ma così non era andata, gli scherzi del destino...
Avrebbe voluto dire qualcosa, le sue ultime parole per affidarle a quella dolce brezza primaverile, chissà a chi le avrebbe portate...?
Ma non riusciva più a comandare un muscolo del suo corpo, probabilmente sarebbe dovuta finire così nel silenzio.
Avrebbe voluto sussurrare un "Ti amo", Roy l'avrebbe udito, ne era certo, nonostante la distanza, il suo stupido Taisa l'avrebbe percepito.
Certo che quel cielo era veramente d'un azzurro intenso, proprio come quello che copriva Reesembool.
Certo che quel sole era veramente accecante, forse avrebbe potuto ferirgli gli occhi.
Ma poco per volta, si sentì sempre più leggero, che stesse cominciando a volare?
No, era solamente la sua mente che stava prendendo il volo.
Chiuse gli occhi, pensò ad un Colonnello scansafatiche, sorrise lievemente.

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.




Angolino dell'autrice
Beh... Ehm... Ecco....
Si, l'avevo detto che ne avrei scritta un'altra del genere...
ç_ç E' morto... Mame-chan è morto... ç_ç
Beh, giuro, ci ho messo il cuore in questa fic...
La voglio dedicare tutta a _BellaBlack_, anche se è triste e mi odierà per averla scritta...
Ti do' il permesso per picchiarmi, tesoro! u.u'
Ma te la dedico per ringraziarti di tutte le fantastiche storie che pubblichi, che mi fanno sempre sorridere... XD
(E in cambio la fai piangere e mi uccidi? O.o nd Edo) (Ma... Non l'ho fatto apposta... ç_ç nd me)
Beh, se trovate strafalcioni, perdonatemi, ma è la stanchezza...
Spero vi sia piaciuta!
Ovviamente la canzone che ho usato come ispirazione è La guerra di Piero del grande Fabrizio de Andrè, un omaggio alla sua memoria.
Kiss
  
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