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Autore: Poesie_en_rouge    22/07/2015    1 recensioni
Ci fu un tempo in cui l’aria che respirava era diversa, la terra sulla quale camminava era diversa, lei stessa era diversa. Quel tempo era finito da così tanto che a volte le sembrava essere stato solo un sogno, o un incubo, ad occhi aperti, come se fosse stata la vita di qualcun altro e non la sua. Tutto ebbe inizio quel giorno d’Ottobre. Mentre le foglie gialle e arancioni cadevano silenziose sulla strada, un rombo risuonò nell’aria e il cielo si oscurò.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 3. Our finest hour

Nei giorni successivi l’Unione aveva trasmesso messaggi rassicuranti, ma sempre con la stessa raccomandazione di restare calmi e non uscire di casa scatenando, così, più panico che cautela. I poliziotti imperversavano nella città e, oltre a riportare calma, si occupavano di portare cibo ed altri beni di prima necessità alle case più abbienti della città. Charlie, dal canto suo, cercava di trarre il meglio da quella situazione: non essendoci alcuna famiglia benestante nelle vicinanze, la polizia non si avvicinava al loro quartiere e questo le consentiva di uscire a recuperare scorte per sé ed i bambini nei mercati vicini ormai completamente abbandonati a sè stessi.

I piccoli avevano tratto serenità dalla sua presenza. Per fortuna nessuno di loro si era ancora ammalato e le coperte che aveva portato un paio di anni prima facevano ancora il loro lavoro tenendo l’umidità fuori dai loro lettini.

Al momento si trovavano solo sette bambini nella struttura: prima dell’estate erano in quindici, ma l’ennesima epidemia aveva fatto la sua strage. Purtroppo i piccoli prima del suo arrivo erano stati lasciati a loro stessi, i loro responsabili, infatti, erano tutti barricati nelle loro case non perché non ci tenessero ai bambini, ma preferivano seguire gli ordini, soprattutto se da quegli ordini dipendeva l'essere sparati a vista.

Quel pomeriggio tutti gli abitanti dell’orfanotrofio si trovavano seduti nell’ampio salone con l’intonaco che cadeva a pezzi e la carta da parati macchiata di umidità, si erano raggruppati sedendosi intorno ad una vecchia radio degli anni novanta con cui ascoltavano i messaggi dell’Unione. Charlie sospirò mentre accarezzava i capelli biondi della piccola Crystal seduta davanti a sé.
- Challi, mi fai una teccia? – aveva chiesto la bambina con i suoi grandi occhioni scuri. La ragazza aveva annuito ed aveva iniziato a pettinarla. Fare quei gesti la tranquillizzava, ma la sua testa non aveva smesso di pensare a quell’incontro con gli alieni, alla sua amica Lucille e a tutto quel caos che si stava scatenando. I rombi delle astronavi non si sentivano dal giorno prima, forse se ne stavano andando? Charlie scosse la testa sovrappensiero: dopo tutti gli anni luce che avevano fatto per raggiungerli, avrebbero accettato un no come risposta?
- Ecco fatto, Crystal. – diede un buffetto alla bambina per poi andare alla finestra del soggiorno. Gli infissi cadevano a pezzi, ma almeno il vetro era intatto: lo aveva fatto riparare lo scorso inverno con i suoi risparmi. Osservò la strada in silenzio: era vuota, neppure un insetto volava e l’aria sembrava pesante come se fosse fatta di piombo. Ormai si stava abituando a quell’atmosfera di apparente morte: nessuno usciva, nessuno che rideva, urlava, niente, il nulla totale. Sospirò.
- Charlie, vieni qui a giocare a carte con noi? - un bambino con una nuova fila di denti appena spuntati la guardava sorridendo. La ragazza gli sorrise di rimando – Si, Lucas, andiamo a giocare! –

Si sforzava di mantenere un’apparenza serena per non spaventarli: aveva osservato bene le loro facce ai messaggi del presidente, ma dopotutto erano reazioni normali: lei stessa era agitata, nervosa e temeva per la situazione che poteva mutare, e in peggio, in qualsiasi momento. Ricordò a sé stessa le parole della sua educatrice Margery “spera per il meglio, preparati per il peggio”. Con il cuore rinfrancato da quel pensiero, si sedette sul pavimento accanto al bambino che prese a mischiare le carte con aria diabolica. La cosa le fece scappare un sorriso divertito più che sincero.

- Dai, Lucas, molla quelle carte! Vogliamo giocare! – protestò Yuri. Charlie scosse la testa divertita. C’era un’atmosfera serena, quasi di casa, in quei momenti. La ragazza aprì la bocca per parlare quando la melodia dell’inno invase tutta la stanza scacciando via tutto quello che c’era prima. I bambini si pietrificarono e si strinsero tra loro mentre Charlie guardava seria la radio mettendosi in allerta.
- Popolazione dell’Unione Nord Atlantica, è il presidente Skye More che vi parla. In queste ore oscure il rifiuto della Terra è arrivato agli invasori e questi hanno risposto dichiarandoci guerra. Gli eserciti di tutto il mondo si stanno unendo per distruggere questa minaccia. Da questa battaglia dipende la sopravvivenza della civiltà umana. Da essa dipende la nostra vita, e la lunga continuità delle nostre istituzioni e della nostra Unione. Tutta la furia e la forza del nemico devono essere spente e lo saranno. Ma se non ci riusciremo, allora il mondo intero, tutto ciò che noi abbiamo conosciuto e curato, affonderà nel baratro. Cerchiamo quindi di dare forza, di mantenere i nostri doveri e dare noi stessi. Se l’Unione resterà, se la Terra continuerà ad esistere, gli uomini continueranno a dire: questo è stato il lor miglior momento. –   
Un rumore fastidioso, un ronzio, aveva seguito la fine del discorso del presidente. Charlie guardava la radio sotto shock, ancora non del tutto sicura di ciò che aveva sentito. Il suo respiro si era come bloccato in gola, i suoi arti si erano pietrificati e le sue pupille dilatate: non erano buone notizie, non lo erano per nulla. Lentamente prese a respirare silenziosa e sbattè più volte gli occhi cercando di cacciare via quello strano bruciore che conosceva bene e non preannunciava nulla di incoraggiante. Si voltò ancora scossa e osservò i bambini: chi tremava, chi piangeva, chi si mordeva le unghie ...doveva calmarli, per quanto lei potesse essere sotto shock doveva pensare a loro. Richiamò alla mente pensieri positivi, sereni, o per meglio dire cercò di richiamarli, ma il peso che sentiva sul petto le bloccava ancora la normale respirazione. Eppure lo sapeva che i bambini erano la sua priorità, ma la paura si era impossessata di lei. Sentiva l'angoscia agitarsi dentro di lei come un serpente sinuoso che scivolava tra le sue viscere in cerca del punto migliore da mordere. Non poteva permettersi di lasciarsi andare così, era andata all'orfanotrofio per un motivo e per quello stesso motivo doveva fare qualcosa, doveva agire. La paura è normale, è umana, ma non bisogna lasciare che questa ci fermi: bisogna controllarla. Charlie prese dei lunghi respiri attraverso il naso cercando sè stessa in quel vortice di sensazioni buie e negative. Chiuse gli occhi per quelle che sembrarono ore, ma in realtà si tratto di una manciata di secondi. 
"Vai avanti."
Il suo respiro tornò normale mentre i suoi occhi si riaprirono e si posarono sui bambini tremanti ancora seduti a terra. Si schiarì la voce con un colpo  – Piccoli, gli eserciti dell’Unione sono potenti, ce la faranno. Dobbiamo confidare in loro e stare al sicuro finché non vinceranno. - si sforzò di fare un sorriso incoraggiante che, per quanto forzato, diede un briciolo di sicurezza ai bambini. – Perché ora non andate a…– la sua frase venne interrotta da una sequenza di rombi accompagnati da altrettanti fasci di luce: gli alieni stavano attaccando e le poche sicurezze di Charlie si stavano infrangendo.


 

* * *

Ciao a tutti e grazie di aver letto sino a qui! Sono sempre curiosa e felice di sapere cosa ne pensate, quindi lasciate pure una recensione, se volete :)
Mi scuso per il ritardo enorme, ma ho avuto dei problemini. Lunedì, però, dovrebbe tornare tutto regolare.
Un saluto,
Poèsie. 

 

  
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