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Autore: catto    23/07/2015    0 recensioni
La storia narra le vicende di una ragazza di nome misaki ayuzawa, una ragazza dai capelli bianchi, fredda e totalmente disinteressata all'amore a causa di una maledizione. Ma l'incontro con un ragazzo cambierà tutto a partire dalle emozioni che lei aveva soffocato per non far del male a chi amava.
È la mia prima storia all'inizio può sembrare noiosa ma migliora ve lo garantisco. Accetto critiche e consigli.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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~~-…La prima volta che lo vidi era nell’inverno dei miei nove anni. Ero uscita di casa per andare al supermarket, dovevo comprare alcuni ingredienti per cucinare alcuni dolci da fare con la mamma. Avevamo trovato una ricetta semplice per cucinare dei cookies al cioccolato. Dall’immagine che avevamo visto, sembravano gustosi, da far venire l’acquolina in bocca. Volevamo fare una sorpresa a papà che sarebbe tornato presto da un viaggio all’estero. Erano quei classici biscotti tondi, marroncini, pieni di cioccolato. Tuttavia mancava la farina, un ingrediente indispensabile per cucinarli. Mia madre decise di mandarmi a comprarla al supermarket vicino casa mentre lei puliva e sistemava per l’arrivo di papà. Per arrivare al supermercato avrei dovuto camminare cinque minuti. Il tempo di vestirmi ed ero già uscita, ed entusiasta iniziai a camminare cercando di seguire le linee come fanno spesso i bambini. Seguii gli edifici limitrofi e dopo aver svoltato una volta a sinistra, due a destra e un’altra a sinistra arrivai. Era uno di quei negozi a due-tre piani, grandissimi, dove potevi trovare di tutto ad esempio negozi di cibo, vestiti, libri, cd etc., in sostanza potevi trovare di tutto. Ci misi poco a comprare la farina, anche grazie ad alcune persone che mi fecero passare davanti alla cassa poiché avevo solo una cosa. Tecnicamente avrei dovuto impiegare massimo un quarto d’ora per comprare la farina e tornare a casa ma fui attratta da un negozio di video game e di giochi che si trovava di fronte al negozio del cibo. Era veramente immenso, uno dei più grandi che io abbia mai visto e considerando la mia passione per i giochi decisi di fermarmi un po’ per curiosare, continuando a ripetermi che tanto ero in anticipo e che se avessi fatto qualche minuto di ritardo non sarebbe accaduto nulla. Alla fine arrivai a casa con venti minuti di ritardo, e mentre correvo continuavo a chiedermi se la mamma mi avrebbe messo in punizione o mi avrebbe sgridato per averla fatta preoccupare. Maledetto gioco sugli unicorni. Aprii con forza il cancelletto di casa, fermandomi un secondo per riprendere fiato e mentre mi guardavo intorno notai che la porta di casa era accostata. Mi avvicinai silenziosamente e la spalancai. Continuavo ad avanzare. Era tutto silenzioso, avevo paura, chi non l’avrebbe avuta alla mia età? Li chiamai entrambi, poiché papà a quell’ora doveva essere rientrato. Non ci fu risposta. Ricominciai a camminare fino al salotto e l’immagine che mi trovai davanti tanto era orrida che ancora oggi la ricordo. Mia madre si trovava a terra in un tappeto di sangue, non aveva più la testa. Era stata decapitata brutalmente, si vedevano l’arteria recisa e l’osso del collo che spuntava fuori dal moncherino. Anche la casa era stata distrutta: nella tappezzeria c’erano dei buchi, sembrava che qualcuno ci avesse graffiato sopra, tutti i mobili erano stati rovesciati, il lampadario era stato strappato dal muro e lanciato via, i piatti, i bicchieri erano stati lanciati nel pavimento che era cosparso di vetri. Le posate erano state infilzate nel muro. Mi girai e scorsi mio padre, teneva le mani aperte e rivolte verso il basso sul bancone della cucina. In ciascuna di esse erano stati piantati dei coltelli da macellaio, come per evitare una possibile fuga. Tra le due mani vi era la testa staccata di mia madre, che aveva a sua volta dei coltelli infilati negli occhi. Mio padre aveva il volto stracolmo di tagli, e ciò lo rendeva irriconoscibile, nonostante tutto sembrava che stesse guardando con orrore la testa staccata della moglie. Avevo trattenuto il fiato per tutto il tempo, ma dopo aver visto, scoppiai a urlare facendo cadere a terra  la farina e correndo verso i miei genitori. I vicini impiccioni sentirono le urla e credendo che il padre stesse facendo violenza alla moglie o che fosse entrato un ladro, chiamarono la polizia. Appena uscii dalla casa, scortata dagli uomini in divisa, vidi un ragazzo vestito totalmente di nero. Osservava la scena e me, ma non ci feci molto caso, ero sconvolta potevo anche essermelo immaginata. Rimasi in fase di shock per circa due settimane. Il caso dei miei genitori non fu mai risolto. Lo considerarono come un omicidio-suicidio ed anche una bambina di nove riuscì a capire che non era così. In seguito ci fu un altro problema ossia quello dell’adozione. Nessuno dei miei familiari mi voleva. Continuavano a giustificarsi dicendo che ero scampata alla morte una volta e che non sarebbe accaduto ancora. Magari la volta successiva, quando la morte sarebbe venuta a riprendersi ciò che era suo di diritto si sarebbe portato via anche qualcun altro e loro non volevano rischiare. In realtà non era questa la verità. 100 anni orsono erano stati avvertiti che una di loro sarebbe stata un demone e sarebbero accaduti fatti tragici, dopo la morte dei miei genitori decisero che il demone ero io. Chi altro poteva esserlo? I loro figli non di certo. Comunque sia a me non interessava andare a vivere con dei parenti ingrati e ringraziando dio non ce ne fu bisogno. Prima che me ne rendessi conto ero stata adottata. Una persona aveva offerto una cifra abissale per prendermi e i miei parenti non ci pensarono due volte prima di darmi via. L’adottatore era un signore ultramiliardario che mi aveva comprata per il figlio. costui aveva espresso il desiderio di avermi. Il figlio aveva diciotto anni, era abbastanza alto, capelli biondi, e scoprì che era il ragazzo che si trovava fuori dalla mia casa il giorno della strage. Mi prese con sé e mi portò nella sua villa personale, non viveva più con il padre ormai era maggiorenne e si poteva permettere una casa in cui vivere da solo. Mi diede vestiti nuovi, una camera enorme e bellissima, mi spazzolò i capelli e mi coccolò. Dopo un periodo di un mese e mezzo passato con lui ritrovai la gioia di vivere, mi sentivo serena. Si preoccupava sempre per me. Quando ero triste o stavo male,  faceva di tutto per farmi sentire meglio. Purtroppo questa sua gentilezza era solo una maschera. Un giorno mi convinse a scendere in una specie di cantina sotterranea, dicendomi che  voleva farmi vedere una cosa divertente, che però tanto divertente non era. Non era una cantina, assomigliava ad una stanza in cui c’era una piscina termale. Era divisa in due parti suddivise da un vetro: una parte era piena di pulsanti ed oggetti strani e c’era anche un grande divano in pelle, l’altra invece era completamente vuota ed emanava un’aria strana, c’erano due porte che servivano ad entrare nelle rispettive camere. Su una delle due camere c’erano mattonelle bianche con bordi grigi ovunque: sul pavimento sui muri sulle pareti sul soffitto. Faceva paura non assomigliava ad una stanza dei giochi. Glielo dissi ma lui continuò a ripetermi di stare tranquilla, passai il resto dei miei giorni, fino a tre anni fa, dentro quella stanza. Scoprì il suo vero volto, ed era un volto totalmente diverso da quello che avevo imparato a conoscere io. Mi ripeteva sempre che mi stava cercando da molto tempo e adesso che mi aveva trovato non mi avrebbe lasciato mai più. Stava sempre nella stanza dei pulsanti, mentre io in quella vuota, avevo ai polsi dei bracciali di ferro legati ad una treccia di acciaio a sua volta fissata nel muro. Quando lui non c’era ero sempre legata, in alcune ore della giornata mi scioglieva, ma continuava a torturarmi ed io non potevo uscire. Ciascun pulsante azionava un’arma che mi avrebbe colpito. Mi sparava per cercare di capire fino a che punto arrivavano i miei riflessi e la mia forza sia mentale sia fisica. Subì quelle violenze per cinque anni ed ogni giorno divenivo sempre più forte e pericolosa. A quattordici riuscì, non so neanche io come, a scappare. Scappai il più lontano possibile. Cercai un lavoro che potesse permettermi di vivere da sola ed alla fine trovai posto in un locale come cameriera. Il capo era molto gentile e ogni sera mi dava gli avanzi della giornata. Lì incontrai molte persone gentili ed andavo d’accordo anche con le colleghe. Riuscì a ricominciare la scuola e grazie ad alcuni gruppi intensivi riuscì a stare con quelli del mio anno. Credevo che tutti i miei guai fossero finiti e che finalmente potessi farmi una vita. Andavo bene a scuola, avevo molte amiche. Un giorno conobbi un ragazzo un anno più grande, facemmo amicizia, stavamo bene insieme, poi iniziò a nascere qualcosa. Ma accadde l’inevitabile. Il ragazzo che mi aveva comprato non aveva mai rinunciato a me, dopo che fui scappata studiò diverse maledizioni e fece in modo che una di esse mi colpisse. Io e il ragazzo un anno più grande decidemmo di uscire insieme per dichiararci il nostro amore ma quel giorno lui morì. per questo motivo non posso amare, per questa maledizione, essa scatena il mostro che è in me, è tremendo osservare ciò che accade nel momento in cui io dico di amare una persona e quella mi ricambia. Dopo quella volta non si fece più vedere, ogni tanto arrivavano fiori con messaggi, dove scriveva che mi amava, ma non venne a riprendermi con la forza. Passai i restanti anni evitando le amicizie e l’amore. Cercai di dimenticare e decisi di sacrificare tutto questo per non fare del male alle persone a cui voglio bene. E adesso è tornato…-
Misaki terminò la storia con una frase lasciata a metà. Dopo aver finito di raccontare, si rilassò sul divano. Si sentiva più leggera, nessun altro conosceva quella storia, escludendo Shintani, che però assomigliava più ad un cagnolino che ad un ragazzo. Usui la ascoltò in silenzio senza mai interromperla. Rimanendo immobile, anche quando smise di parlare tenne lo stesso atteggiamento. Stava pensando a cosa fare. Lei fino al giorno prima non lo poteva vedere e adesso gli aveva raccontato tutta la sua vita e quando aveva provato ad avvicinarsi era arrossita. Si sentiva felice, finalmente iniziava a fidarsi di lui. Solo che stava succedendo tutto troppo in fretta, era pieno di domande che voleva porgli, così tante che non sapeva da quale iniziare. Come prima cosa: chi era questo ragazzo? Lei gli aveva raccontato tutto omettendo il nome del giovane che Usui voleva distruggere. Altre domande  erano: ‘in che cosa consiste questa maledizione?’ ‘chi ha ucciso i suoi genitori e il ragazzo?’ ‘cosa intende con demone?’ ‘che centra l’amore con la maledizione?’. Continuava a pensare a tutte queste cose, senza mai dubitare della sincerità di lei. Perché mai avrebbe dovuto mentirgli? Le lacrime che le scendevano  lungo il viso quando l’aveva trovata mentre correva in mezzo alla strada erano vere. No era impossibile che gli stesse mentendo.  Pensava anche a quanto fosse bella seduta sul divano con i capelli bianchi che le scendevano lungo le spalle e lungo alla schiena. Inoltre con la sua camicia addosso gli veniva ancora più voglia di proteggerla, tuttavia sapeva che adesso non doveva esagerare e che doveva fare attenzione alle sue mosse. Di cavolate ne aveva già fatte tante, forse troppe e se ne avesse fatta un’altra non sarebbe riuscito a rimediare e l’avrebbe persa per sempre. Per lui, lei era sempre stata come una creatura indomita, come una pantera selvaggia, pericolosa, possente, cattiva, aggrazziata, ed era proprio questa incoerenza a renderla magnifica. Quando mai una cosa può essere sia buona sia cattiva? Sia leggera sia affilata? Sia  aggressiva sia  coccolosa? Sia assassina sia gentile? Lei per lui era questo,  era riuscita a strappargli il cuore gentilmente, a maltrattarlo con dolcezza, ad infilargli gli artigli nella carne per attirarlo a sé. Gli piaceva per questo, nessun’altra ragazza lo aveva mai fatto sentire così.
Lui continuava a stare in silenzio, non apriva bocca. Teneva lo sguardo fisso su un punto sconosciuto. La bianca si sentiva a disagio. Aveva paura che da un momento all’altro sarebbe scoppiato a ridere dicendogli che quello che gli aveva raccontato assomigliava ad una storiella per bambini, una di quelle che raccontano le madri per non far andare i bambini con chiunque provi ad adescarli, ad esempio la famosa storia che narra di un bambino che viene rapito da un signore che gli promette una caramella. Da una parte aveva il timore di questa reazione, dall’altra, invece, capiva perfettamente che sarebbe stata la cosa migliore per l’incolumità del ragazzo seduto di fronte a lei. Sarebbe riuscita ad allontanarlo di nuovo, senza rischiare di dover far del male a lui o a qualcun altro. Si ricordava cosa era successo al ragazzo che lei amava e che gli aveva chiesto di uscire. Le venne un brivido che le corse per tutta la colonna vertebrale, abbassò lo sguardo. Le veniva ancora di piangere, non voleva che qualcuno la amasse, anzi lo voleva ma ne aveva una tremenda paura. Forse se lo avrebbe scacciato anche quella strana sensazione riaffiorata, sarebbe svanita lasciando il posto al ghiaccio.

Seduta sulle scale della scuola, Shizuko piangeva come una cornacchia mentre parlava e gesticolava con le mani e le braccia. Quando smise qual pianto cornacchioso, si accorse che lì accanto vi era un folletto dai capelli rossi che ballava goffamente. Era talmente concentrata a piangere che non l’aveva notata. Si stava convincendo che quello era veramente un folletto e si diede della stupida da sola. Mentre lo guardava, il folletto si avvicinò e prima che se ne potesse rendere conto avevano già iniziato a chiacchierare.
-Eiii ciao, perché stai piangendo?- chiese curiosa la ragazza tirando giù le labbra mentre pronunciava la parola ’piangendo’. –Nulla di importante.-  -Eddai dimmelo, su! Cosa hai combinato furbacchiona. Dai dillo alla bella e contenta  e felicissima Sakura.- la implorò prendendola per le spalle sbatucchiandola di qua e di là, poi tutto d’un tratto si bloccò ed alzò le braccia al cielo lasciandole ferme lì. –Dunque sarebbe questo il tuo nome- disse Shizuko ricomponendosi e tirandosi su gli occhiali. –Eh già.. E IL TUO QUAL È?-  shizuko saltò sul posto, ma che aveva quella ragazza? –Shizuko piacere- la ragazza allungò la mano mentre diceva il suo nome per presentarsi venendo però ignorata dall’altra. –Allora Shizuko… perché piangevi?- ci fu una breve pausa, in cui la ragazza squadrò il folletto e poi le chiese: -Ma sei ubriaca?- -Ioo? UBRIACA? Maddai ahahah hai veramente un bel senso dell’umorismo. Sono solamente contenta mi sono successe delle cose bellissimeee- detto queste il folletto le diede una pacca sulla spalla che la fece sussultare. –Sei cosi di solito?- -Così come?-  Shizuko decise di dirle perché piangeva. Si tirò su in piedi e con voce melodrammatica, gesticolando con le mani le raccontò teatrealmente tutto quello che era avvenuto con Misaki. Una cosa era certa, dovevano essere divise il prima possibile. Quando finì di recitare il tutto fece un inchino e Sakura applaudì. –Mi fa tanta paura.- continuò scoppiando a piangere. Sakura allora la calmò e le due iniziarono a chiacchierare diventando amiche. –Stai tranquilla! Ahhahah  io sono una GRANDE amica di Misaki- e spalancò le braccia quando disse grande per farlo sembrare enorme. –Allora forse potresti darmi una mano. Vorrei trovare il coraggio per chiederle scusa e con calma vorrei anche iniziare a farci amicizia. –YEAH ti aiuterò!- detto questo scoppiarono a ridere all’unisuono. Passarono insieme tutta la serata: Shizuko recitava e Sakura cantava e ballava goffamente. Sembravano talmente fatte che un poliziotto si fermò per farle qualche test.

Quell’uomo le aveva fatto del male, Usui non poteva perdonarlo sentiva la rabbia ribollirgli dentro. Sapeva di non poter fare cavolate con lei. Ne aveva già fatte troppo. Finalmente la bianca si era accorta di lui e non lo vedeva più come un misero insetto insignificante, ma come un ragazzo. Doveva dire qualcosa, stava seduta sul divano con le gambe accavallate sembrava calma ma il tremore delle mani smascherava il suo disagio. Alla fine decise di alzarsi silenziosamente dal pavimento in cui era seduto e di sedersi sul divano accanto a lei, prendendole una ciocca di capelli. Erano estremamente soffici. Li annusò e le sussurrò quasi soffiandole sul collo: -Fammi vedere ciò che ti ha fatto.- Lei non rispose, non si aspettava una domanda di quel tipo. Cosa gli importava a lui di vedere le sue cicatrici? Le aveva sempre tenute nascoste, senza mai farle vedere, erano le sua vergogna. Mostravano la sua debolezza. ‘ma forse vuole vedere qualcos’altro e le cicatrici sono solo una scusa.’ Appena formulò questo pensiero fece puf e scoppiò. –IDIOTA DI UN USUI VUOI FORSE MORIRE!- urlò girandosi e iniziando a prenderlo a pugni. – TI HO RACCONTATO TUTTO QUELLO CHE HO PASSATO TUTTO IL DOLORE CHE HO PROVATO E TU PENSI A QUESTE COSE?! CREDEVO DI POTERMI FIDARE! RAZZA DI DEFICIENTE …- Usui rimase un po’ shockato da quella reazione ma si riprese velocemente afferrandola per i polsi. Durante l’infuriata della bianca le posizioni cambiarono: lui stava sdraiato con la schiena sul divano. Era saltato all’indietro quando lei si era lanciata avanti per colpirlo. La schiena era appoggiata sul manico, cosa che gli aveva permesso una maggiore libertà per bloccarla, se si fosse appoggiato sui gomiti non ci sarebbe riuscito  e  lo avrebbe colpito in pieno viso. Lei gli stava sopra, si era lanciata in avanti dopo che aveva realizzato quel pensiero. Continuava a urlare qualcosa. Era rossa di rabbia e dall’imbarazzo. Aveva immaginato la scena di lui che le guardava il corpo nudo. –Bianca, non intendevo quello che hai pensato, calmati adesso.- -Senti CALMATI NON ME LO DICI OK? CALMATI TU!- appena la bianca si calmò ricominciò a parlare spiegandole quello che intendeva veramente. –mi irrita che ti abbia torturato, che ti abbia fatto del male, che abbia anche solo avuto il coraggio di lacerarti la pelle in quel modo. Ho visto quella che parte da dietro l’orecchio ed arriva al collo. Volevo vedere quante te ne aveva procurate per infliggergliene il quadruplo, non era una scusa per farti fare qualcosa di osceno.- gli veniva da ridere, aveva veramente delle strane reazioni, un secondo prima era contenta poi urlava e adesso si era impassibile. In quel momento Misaki si bloccò ‘aahh ma allora non intendeva quello’ pensò e si appoggiò definitivamente a lui, appoggiando la testa sul suo petto. Era tanto che non dormiva sonni tranquilli. stava sempre all’erta  per paura che lui riuscisse ad entrare e quelle poche ore di sonno erano attanagliate dagli incubi. Aveva paura di risvegliarsi  in quella cantina. Aveva paura perché il dolore questa volta sarebbe stato maggiore. –misaki, eiii- continuò scrollandola. –ma com’è possibile che ti addormenti così velocemente? Va bene, pazienza- Usui si appoggiò con un tonfo sul divano, rilassandosi. Lasciò i polsi della bianca e le accarezzò i capelli per poi spostarglieli tutti da un lato mostrando quella cicatrice. Ci passò sopra le dita e la strinse ancora di più a sé. –Tranquilla. Non lotterai più da sola, ti proteggerò io.- disse al nulla, poi si alzò leggermente con il busto e le baciò quella ferita. Continuava a chiedersi come fosse possibile che si fosse innamorato così tanto e così velocemente di lei. Credeva si trattasse di amore, non era mai stato innamorato escludendo l’altra, che ormai per lui non rappresentava più niente.  ‘com’è bella’ pensò, e giurò a se stesso che avrebbe ucciso chiunque avesse provato a portarglielo va. Si addormentarono così una  tra le braccia dell’altro.

   
 
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