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Autore: _diana87    24/07/2015    6 recensioni
Non ricorda più il panorama prima che quell’ondata di fumo nero invadesse la sua visuale.
Neanche nelle sue teorie più assurde avrebbe mai immaginato di vedere il cielo sopra New York tingersi di nero.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Quasi tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non ricorda più il panorama prima che quell’ondata di fumo nero invadesse la sua visuale.
Neanche nelle sue teorie più assurde avrebbe mai immaginato di vedere il cielo sopra New York tingersi di nero. La sua attenzione era focalizzata su altro.
Dal suo tavolino, dove aveva deciso a sedersi da solo per prendersi una tazza di caffè, stava osservando due passerotti farsi il bagno nella fontanella davanti al bar. Lui teneva gli occhi chiusi, riaprendoli di tanto in tanto per guardare i due uccellini. Era una strana sensazione rilassarsi con il caffè senza la sua musa accanto. Ma lei gli aveva detto che aveva del lavoro da sbrigare, e lui era in cerca di ispirazione per un nuovo libro, così aveva deciso di fare una passeggiata in cerca di idee. Era una bella giornata estiva. Felice, gioiosi, i due passerotti cinguettavano schizzandosi l’un l’altro.
Poi non riusciva a capire come accadde ciò che accadde.
Sapeva solo che un attimo prima c’era la fontana e l’attimo dopo era stata sbalzata in aria. E con essa anche la sua ispirazione mandata a puttane, scomparsa.
Ora, in piedi e in mezzo la strada, si volta osservando le persone che, come lui, hanno invaso la carreggiata, in preda al panico. L’autista di un taxi è uscito dal suo abitacolo e si è fermato nel traffico, abbandonando la sua auto come il resto della gente, abbandonata a se stessa.
Solo in quel momento, quando segue lo sguardo di quell’uomo uscito dal taxi, riesce a scorgere quella stessa nuvola di fumo, notando come essa si stia propagando nell’aria, salendo fin sopra al grattacielo più alto di New York e invadendo prepotentemente l’atmosfera con l’odore della morte. Un agente di polizia gli passa accanto, urtandolo involontariamente. Ne seguono un paio e lui è in grado di mettere a fuoco la scritta sui loro giubbotti antiproiettili.
La polizia del Dodicesimo.
Capisce che deve seguirli perché così avrebbe modo di contattare i suoi amici e magari sua moglie.
Già, lei.
Si ferma e sorride, concedendosi un breve momento di estraneazione da quel mondo reale così duro e difficile. Pensare a lei lo fa stare bene. A volte, nella sua mente, ripercorre le fasi che l’hanno condotto ad abbattere i suoi muri e aprire le porte del suo cuore: la scontrosa, bella e introversa detective dal passato doloroso che si era chiusa in se stessa per evitare di essere ferita di nuovo. Credeva fosse questa la soluzione migliore, fino a quando lui intralciò il suo lavoro. Aveva scelto lei come musa per i suoi libri e lei in cambio gli permetteva di aiutarla a risolvere i casi di omicidio. Quando si resero conto di essere sempre più coinvolti e che non si trattava solo dei suoi romanzi, iniziarono i veri guai di cuore. Lui attese paziente per quattro anni, nell’attesa che lei realizzasse i suoi sentimenti per lui, e solo quando fu sul punto di perdere tutto, capì cosa voleva veramente: lui. La loro storia iniziò in salita, costellata di gioia e felicità, e continuò tra piccoli ostacoli e sorprese, finché arrivò il matrimonio.
Fruga nelle tasche prendendo il suo cellulare dove c’è lo sfondo del giorno delle loro nozze. Non ha bisogno di portare un’altra foto di sua moglie con sé perché il suo volto è impresso nella memoria e nel cuore.
Eppure perché pensare a lei gli sta provocando una stretta al petto? Si porta una mano sulla parte sinistra di esso e ascolta il battito di una pentola a pressione.
Tum-tum tum-tum.
Improvvisamente non gli basta l’immagine che ha di lei: deve sentire la sua voce.
Tra i poliziotti riconosce i detective Ryan ed Esposito che discutono animatamente con un gruppo di agenti. Le luci rosse e blu e il frastuono delle sirene fanno da sfondo alla loro discussione, impedendogli di udire. Nello stesso momento, lo scrittore afferra il cellulare e compone nervosamente il numero di sua moglie. Dopo tre squilli riaggancia; Esposito e Ryan lo stanno guardando. Entrambi sembrano indecisi sul da farsi; l’irlandese si gratta la tempia in segno di stress e volge lo sguardo a terra; il portoricano lo osserva per un attimo aggrottando la fronte.
Lo scrittore riprende il telefono e compone lo stesso numero di prima con le dita sudate. Stavolta attende di più, ma nessuna risposta.
Le sirene della polizia continuano a fare un gran rumore e lui vorrebbe che smettessero di girare a uffa perché si sta innervosendo. I suoi due amici tornano a guardarlo e lo scrittore, quasi come volesse sfidarli, si ritrova a richiamare sua moglie e inizia ad avvicinarsi a Ryan ed Esposito.
“Castle...”
Finalmente si sente chiamare. Probabilmente si sono sentiti intimoriti dal suo sguardo intimidatorio.
“Castle, Castle!”
Esposito lo bracca alzando le mani per impedirgli di andare oltre ed è allora che lui nota qualcosa. Una barella.
Riaggancia il cellulare, decidendo che d’ora in poi sarà impossibile contattare la sua musa, perché l’immagine che ha davanti è agghiacciante.
“Mi dispiace, potrebbe essere doloroso.” Cerca di scusarsi invece Ryan, più mansueto rispetto il suo collega.
Castle lo prende per il colletto però.
“Dov’è mia moglie? Dov’è Beckett?” tuona contro il povero irlandese che si vede sbattuto con le spalle al muro dalla forza dello scrittore.
Sente la mano di Esposito posarsi sulla sua spalla e lentamente si volta verso di lui. Il portoricano non dice nulla ma dai suoi occhi scuri e lucidi intuisce che c’è qualcosa che non va.
Castle molla Ryan e prova a richiamare sua moglie. Il primo squillo parte vicino a una barella con un lenzuolo.
Il sangue si rafferma mentre i passi che compie verso quella lettiga lo rendono più pesante, quasi come volesse impedire a se stesso di procedere in quella direzione. Non può essere vero. Sua moglie non può giacere in quella lettiga. Lei doveva essere al distretto, non in mezzo all’esplosione.
“Kate! Kate!” la chiama, ma sa che quando giungerà vicino la barella e alzerà il lenzuolo, non vedrà più l’immagine eterea che ha sempre avuto di Kate Beckett.
Victoria Gates, capo del Dodicesimo si interpone tra lui e la lettiga.
“Signor Castle, mi dispiace.”
“Me l’hanno già detto, capitano. Ora, se non dispiace a lei...”
“È sua moglie. È stata lei a provocare l’esplosione.”
Castle scuote la testa, poi è distratto da resti di fuliggine che si sono dispersi nell’aria.
“C’è stato un attentato?” le chiede ancora più confuso. In realtà, spera sia un incubo o che sia entrato in qualcuno dei suoi libri.
La Gates annuisce muovendo poco la testa. Anche i suoi occhi sono lucidi e rossi. Deve aver pianto.
La mano tremolante gli mostra finalmente la barella e fa per alzare il lenzuolo ma Castle la blocca. Non sa se è pronto per vedere uno spettacolo simile.
“Ne è sicuro?”
“Vorrei ricordare mia moglie come una donna, non come un resto umano.” 



Angoletto dell'autrice (poco) sana di mente:
A volte ritornano... e fanno guai.
Ritorno con una storia angst-triste-chi-più-ne-ha-più-ne-metta e nello scriverla mi sono ispirata a un libro che ho letto ultimamente (che bello leggere storie felici e a lieto fine *-*).
Mi aspetto il linciaggio, sono pronta a difendermi, ma in ogni caso, se vi ho almeno incuriosito sulla storia e volete scoprire anche voi cos'è successo a Kate, spero seguirete me e Castle in quest'avventura molto angst :p
Alla prossima!!
D.
   
 
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