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Autore: Dangerina15    24/07/2015    1 recensioni
E se Agamennone, sulla nave di ritorno dalla guerra di Troia, avesse scritto un diario? Se il re che tutti conosciamo nei famosi poemi omerici avesse un lato di se che nessuno conosce? Ecco una pagina di quel diario, il diario non di un re, ma di un uomo.
Tratto da uno studio di Drammaturgia Antica sulla complessa figura del re Agamennone, dall'epica al teatro.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                       IL MIO NOME E' AGAMENNONE
                                              DIARIO DI UNA VITA

        







A qualcuno disposto ad ascoltarmi senza rispondere,

a qualcuno con cui ho bisogno di confidarmi.
 
                                                                                                                       
                                                                                                                                    Argo, in un’ora sconosciuta di una notte d’inverno,
Non avevo mai pensato realmente ad un confronto con me stesso, con la mia anima celata al mondo. Gli eventi burrascosi,  il loro susseguirsi l’uno dietro l’altro come una inesorabile tempesta che affonda la nave che cerca di fronteggiarla hanno portato me, il re di Argo Agamemnon, eroe della guerra di Troia, a scrivere. Stringo la tavoletta più forte di uno scettro,  il cesello trema nella mia mano, mi sento incapace di continuare ma non posso farne a meno.  Scrivere mi permette di liberarmi di quell’oppressione che tutti i giorni della mia vita sono costretto a vivere, di quella maschera fasulla e pesante, che sono costretto ad indossare perché “ il ruolo che ricopro” me lo impone , un maschera come quella d’oro che i miei artisti di corte si prefiggono di realizzarmi il giorno che lascerò questo incubo chiamato “ vita”. Sono re ma non lo sono fino in fondo. Gli uomini come me si ritrovano combattuti tra ciò che sono e ciò che devono essere: un modello, una guida, un eroe.
 Nella mia vita ho imparato a farmi rispettare, a far tremare i miei nemici al solo pronunciare del mio nome. So cosa significa tenere in mano il controllo dell’esercito, cercare di riportare tutti sani e salvi dalla guerra, restituirli alle madri, alle mogli e ai figli che li attendono, speranzosi di poterli riabbracciare. Ho compiuto azioni che nessun uomo mortale dovrebbe commettere. Pensarci mi fa venire i brividi, il cuore si angoscia senza tregua: dire di aver cercato di impedirlo sarebbe come trovare una via di fuga alla colpa commessa, una  omissione di responsabilità ma qui, in questa notte fredda d’inverno, non esistono segreti né bugie. Mia figlia, la mia piccola Ifigenia…offerta come sacrificio per una guerra. Quando Calcante mi profetizzò che per salpare verso Troia avrei dovuto sacrificarla sull’altare della dea Artemide, mi sentii morire: uccidere ciò che tu hai generato, che hai cresciuto con l’amore che un padre dona alla propria figlia, l’orgoglio della mia vita…come potevo? Mi opposi ma nascosi la verità del mio rifiuto a chi mi circondava; dissi all’indovino che Clitemnestra, figlia di Leda e mia moglie, non avrebbe mai consentito a sacrificare ciò che lei, con dolore, aveva dato alla luce. Sapevo, però,che in fondo quelle motivazioni erano le mie, mai confessate. Ma questa mia decisione scatenò l’inferno in terra: tutto l’esercito mi si rivoltò contro, minacciandomi di giurare fedeltà ad un mio ufficiale, Palamide, se non avessi acconsentito alla realizzazione della profezia.
Restai fermo delle mie decisioni: non potevo lasciare che uccidessero mia figlia per una stupida guerra contro i Troiani, per cosa? Per una donna, per Elena.
Ma Menelao, mio fratello, mi convinse con le sue parole. Il potere: ecco la causa di tutti i miei mali. Fui come “ accecato” dal carisma di Menelao, ne ero quasi sottomesso, tanto da accettare, con la scusa di un falso matrimonio con Achille, il figlio di Peleo e della dea Teti, di uccidere il fiore della mia casa….
Non ho la forza di rivivere ogni singolo istante di quella vicenda! Vedo ancora i suoi bellissimi occhi di vergine, di fanciulla ancora ingenua, con il mondo da scoprire, ricoperti di dolore, di amarezza per ciò che suo padre le aveva fatto:
<< Sono stata la prima a sedermi sulle tue ginocchia, a prometterti che ti avrei accolto nella mia casa quando saresti diventato vecchio, io questi discorsi  me li ricordo, ma tu li hai dimenticati!>>
Non riesco a togliermi dalla testa queste parole, mi risuonano continuamente senza darmi tregua, ed eccola lì, la vedo e la ricordo ancora, con il suo abito da cerimonia, bella, sopra l’altare pronta per essere sgozzata. Più la vedevo avanzare verso il suo destino e più avrei voluto fermare tutto, più l’essere re  mi costringeva a dare il “ buon esempio”, più i miei occhi si riempivano di lacrime…amare.
Quando salpai per Troia, mi sentii come vuoto. Ciò che dovevo fare lo avevo fatto per compiacere i soldati, coloro a cui avevo imposto il mio governo. Mi sentii gelido, dentro. Mi stavo trasformando, lentamente e inesorabilmente: stavo diventando “ re”, nel senso più oscuro della parola. Cominciai ad assumere un carattere autoritario, non avevo più rispetto per niente e nessuno; d’altronde un uomo che non ne riceve di contrapparte, come si può pensare che sia capace di restituirlo a coloro che lo circondano? Combattevo, vincevo, venivo acclamato dall’esercito. Questo ero diventato: una marionetta al servizio del potere. Mi importava solo di quello, era diventato l’unico scopo della mia vita, non avevo nient’altro per dare un senso alla mia misera esistenza. Dieci anni di guerra mi attendevano, dieci anni di sofferenza, morte, sconfitte, vittorie. La guerra porta a perdere la giusta strada, finisci nel limbo della perdizione, dimentichi chi sei e quanto vali, diventi un nulla, un “nessuno”. Arrivai persino a rapire Briseide, la schiava di Achille. In cuor mio, ero ancora quell’uomo che avrebbe evitato una lite così stupida, soprattutto dopo averlo ingannato con quell’assurda idea delle false nozze, ma non potevo: ne valeva di me, della mia immagine, del mio ruolo, del mio potere. Il potere…questa parola mi risuona in testa senza fine, come un chiodo che viene martellato, una spugna che cerca di annullare quello che sono per mettere in mostra la maschera che tutti si aspettavano in uno come me. Tentai, lo ammetto, di abbandonare tutto, di staccarmi dall’altro me che cercava di prendere il sopravvento ma ecco, di nuovo quella gabbia oscura, quel cupo buco nero che mi aveva risucchiato senza pietà. Avrei voluto urlare, avrei voluto prendere il mondo a pugni se avessi potuto, avrei cancellato ogni lato della mia storia che avesse anche solo un piccolo sapore di…dovere. Avevo capito da quelle accuse rivoltemi da Diomede, il comandante di una delle navi della flotta achea, che non avrei  potuto essere nient’altro se non la mia maschera.
<< Sei un vigliacco!>> mi accusava Diomede. Si, si, si, mille volte si, avrei gridato cento volte si, è vero, avrei avuto delle ragioni valide. Ma davanti a tutto l’esercito, lì in quel campo straniero ormai ricoperto di sangue, come avrei potuto commettere un errore così grave? Eccola, la mia maschera, quel lato di orgoglio si faceva sentire, continuava a ripetermi “ Tu non sei un vigliacco, Agamennone, tu sei un re, tu sei il re di Argo, figlio di Atreo di Micene.”
Sottomesso, dipendente dal giudizio e delle opinioni altrui. Ecco cos’ero diventato,ecco chi era e chi sarebbe stato per sempre il vero Agamemnon. Dovevo rassegnarmi a quella condizione. Un re, un sovrano, avrebbe dovuto sempre mostrare il lato forte di sé, anche se finto o costruito. Da quel giorno l’autorità e la sovranità della mia persona avrebbero dovuto dominare definitivamente non solo sul regno di cui ero a capo, ma su me stesso.  D’altronde, i cattivi non hanno mai un lieto fine.
  
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