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Autore: nealetrubel    25/07/2015    7 recensioni
| DenNor |
{Dal testo:
Suonava con una naturalezza strabiliante, Mathias non avrebbe mai smesso di ripeterlo. Dal canto suo, a Lukas andava bene così: anche continuando a negare, quei complimenti gli piacevano, gli riempivano il cuore di soddisfazione e – cosa che al contrario non sopportava – lo facevano arrossire. Si notava molto, sulle sue gote pallide.
Amava suonare il violino e amava il silenzio che si creava nella stanza mentre le corde dello strumento vibravano a ritmo, zittendo una volta per tutte il danese e la sua voce squillante.
Quando Mathias, poi, alla fine di un brano, gli chiedeva di suonarne un altro, poi un altro ed un altro ancora, aveva ormai l'abitudine di accontentarlo con uno sbuffo ed un'alzata di occhi al soffitto;
Non avrebbe mai ammesso di amare anche quando Mathias glielo chiedeva con quell'espressione supplichevole dipinta sul volto. }
Ed eccomi qui, anche questa volta con una DenNor. Amo questa ship.
Spero vi piaccia!
Alexey.
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Norvegia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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{Dal testo:
Suonava con una naturalezza strabiliante, Mathias non avrebbe mai smesso di ripeterlo. Dal canto suo, a Lukas andava bene così: anche continuando a negare, quei complimenti gli piacevano, gli riempivano il cuore di soddisfazione e – cosa che al contrario non sopportava – lo facevano arrossire. Si notava molto, sulle sue gote pallide.
Amava suonare il violino e amava il silenzio che si creava nella stanza mentre le corde dello strumento vibravano a ritmo, zittendo una volta per tutte il danese e la sua voce squillante.
Quando Mathias, poi, alla fine di un brano, gli chiedeva di suonarne un altro, poi un altro ed un altro ancora, aveva ormai l'abitudine di accontentarlo con uno sbuffo ed un'alzata di occhi al soffitto;
Non avrebbe mai ammesso di amare anche quando Mathias glielo chiedeva con quell'espressione supplichevole dipinta sul volto.
}


 

Fiolin: "Violino" in norvegese.
[1]: Takk – "Grazie" in norvegese. Usato spesso come forma dialettale anche in danese e svedese.
[2]: le rondelle sono dolci tipici norvegesi.

 

N.d.A.: ed eccomi qui con la seconda DenNor. Possibile che trovi l'ispirazione per loro anche in una tenda da sole? Bah. Sono presenti dei lievi accenni Angst, ma quasi innotabili. Allora, forse – forse – farò una raccolta, di queste DenNor, mnh. Ovviamente Fluff. *meno dolore al cuoreh* Ho impiegato un po' a scriverla – tre giorni spesi bene, spero –, hope you like it!

Alexey.

 

 

 

F i o l i n

 

-Te ne stai qui? Tutto da solo? Ti faccio un po' di compagnia, allora!- aveva smesso di sopportarlo da ormai cinque minuti, che era anche il tempo passato da quando aveva posato gli occhi su di lui.
Aveva impiegato solo cinque minuti per farsi detestare. Eppure era così... così dannatamente convincente.

 

§

 

Chi suonava, lo stava facendo con una naturalezza strabiliante.
Fu questo il primo pensiero che attraversò la mente di Mathias, non appena udite quelle prime note. Spostò velocemente gli occhi, di un azzurro così puro da far invidia al gelo stesso, alla ricerca di ciò che stava producendo quella melodia così orecchiabile.
Notò, poco più in là, una piccola folla di persone nell'intento di scrutare – ed ascoltare – qualcosa. Non aveva mai imparato a domare la propria curiosità, e di certo non fu quello il momento adatto.

Allungò il collo, avvicinandosi a grandi passi, come ad aver fretta; non dovette neanche alzarsi sulle punte dei piedi, la sua considerevole altezza bastava per riuscire a scrutare ciò che tutti stavano guardando con così tanta attenzione.

Vide un ragazzo, abbastanza minuto rispetto a lui, dai capelli biondo cenere, che cercava probabilmente di reprimere l'imbarazzo. Stava suonando un violino.
Esattamente quel ragazzo che aveva già visto innumerevoli volte, in quel parco, ricordò, magari seduto su una panchina, occupato a non parlare assolutamente con nessuno. Sembrava voler rifiutare ogni contatto cogli altri.

-Allora sei tu...- si lasciò sfuggire Mathias dalle labbra in un sussurro, piegando la testa di lato e concentrandosi sull'ascolto. Non conosceva la canzone, non che fosse un gran patito di musica, e forse ciò che in quel momento aveva la parte più consistente della sua attenzione era il ragazzo stesso, che muoveva l'archetto, fluido, quasi avesse avuto una consistenza flessibile.

Era una melodia decisa, ritmata, anche abbastanza veloce. Sorrise tra sé e sé, pensando ad un possibile motivo per cui quel ragazzo stesse suonando un violino nel bel mezzo di un parco pubblico, giungendo alla conclusione che con tutta probabilità non aveva null'altro da fare, esattamente come lui.
Mathias iniziò a battere il piede per terra, a ritmo, mentre muoveva un po' la testa a tempo, mentre altre paia di persone accerchiavano quel giovane musicista per rilassarsi su quelle note.

 

-Sei davvero bravo!- esclamò entusiasta Mathias, una volta che la folla si fu dispersa, di nuovo sui propri passi. Rimase incantato per qualche istante – non che li stesse contando – dopo che i suoi occhi ebbero incontrato quelli del musicista misterioso, in una combinazione che vedeva lo scuro ed il brillante. -I miei complimenti!- disse ancora, rinforzando l'esclamazione precedente.
Quello gli diede poca attenzione. Anzi, non gliene diede praticamente nessuna; si limitò a borbottare un "-Umh, takk[1]-" a voce bassissima e dettato più dal dovere di cortesia verso il complimento ricevuto piuttosto che dal volere, mentre riponeva lo strumento e l'archetto nella custodia che un tempo avrebbe dovuto essere di un nero lucido e laccato, ma che col tempo era diventato sempre più rovinato.
Si chinò a terra, raccogliendo un cappello usurato, contenente delle monete che avevano lasciato gli spettatori di poco prima.

Una serie di pensieri gli sfrecciarono nella mente, più ordinati di quel che potessero sembrare. Prima una domanda, si diede da solo la risposta. Nel guardare Mathias in faccia, ci si poteva ben rendere conto che il tatto non era una delle sue virtù, questo ragionamento andava via via a confermarsi nel momento in cui lo si conosceva meglio.

-Scusa se te lo chiedo, ma...- sapeva anche fin troppo bene che scusarsi in anticipo preannunciava una domanda che, con tutta probabilità, l'altro non avrebbe gradito, tuttavia non sapeva come altro fare per non sembrare un completo maleducato. -Dov'è che abiti? Ti vedo sempre qui, quando passo- usò il suo distintivo tono lamentoso, accompagnato dal sorriso aperto e dal classico luccichio negli occhi.

Quello non rispose, a meno che un sospiro seccato non contasse come tale. Sembrava un ragazzo diverso da quello che aveva sentito suonare, tornato immediatamente colui che se ne stava seduto sulla panchina impegnato ad evitare ogni contatto di qualunque genere, tipo e provenienza.
Come se potesse percepire i paragoni che nella sua mente stava facendo, tornò a sedersi sulla panchina fredda ed arrugginita, dopo aver riposto il cappello in uno zaino, anch'esso logoro. Un respiro profondo, poi un altro, mani nelle tasche della giacca – che tuttavia non sembrava tenere troppo caldo – e un'inespressività che Mathias non credeva possibile. In questo modo, restò a fissarlo.

Forse era estremamente timido, si disse. Forse non gli stava simpatico a priori, gli era già successo con qualcuno. Forse gli stava rispondendo mentalmente, convinto che potesse sentire la sua voce nella testa. Forse, pensò in estremo, non sapeva neanche parlare.

Restò semplicemente immobile, a fissarlo, con gli occhi puntati nei suoi. L'unico movimento che si concedeva era quell'alzarsi ed abbassarsi dell'addome durante i respiri regolari.

Sentì tuttavia quegli occhi, scuri e così paradossalmente brillanti, esprimere più di quanto le parole sarebbero state capaci di fare. Un battere di ciglia per inumidire gli occhi, riparandoli anche un po' dal vento freddo che si stava lentamente alzando, e sembravano aver terminato di raccontare la loro storia.
Non che Mathias avesse capito qualcosa, sia chiaro. Gli era parso, tuttavia, di scorgere qualcosa, dentro quelle pozze scure.

Si sedette poco compostamente sulla panchina, accanto a lui, mentre continuava ad avere i suoi occhi addosso, come incatenati. Pensò, nel frattempo, a come avrebbe potuto farlo parlare o, perlomeno, rispondere in modo più comprensibile. Anche i gesti gli sarebbero andati bene.

-Non... non ce l'hai?- provò ancora, alludendo ad un'abitazione, senza guardarlo troppo insistentemente. Vide i suoi occhi vacillare, avere qualche scatto, paragonabili a quelli di una preda in trappola che cerca una via di fuga. Brevi e fugaci, giusto il tempo di farlo semplicemente voltare di lato, lontano dallo sguardo chiaro di Mathias.
Da quella reazione poteva dedurre che la risposta fosse no, ma continuò comunque a provare a parlargli.

Non era nella sua natura rinunciare senza nemmeno aver provato.

 

§

 

Sì, era così... fastidioso, insistente. Non poteva negare che fosse anche abbastanza, se non troppo, convincente.
Per prima cosa, dopo avergli posto delle domande a cui certamente non avrebbe risposto e averlo guardato nello stesso modo in cui si guarda la vetrina di un negozio d'abbigliamento, si era presentato.

-Sono Mathias. Mathias Kohler.- lo disse con un accenno di fierezza nella voce, come ad essere orgoglioso del nome che portava. In verità era solo speranzoso dato che, nel presentarsi, pensava avrebbe ottenuto una risposta alle domande precedenti in cambio.
Illuso, si disse. Non avrebbe aperto bocca.

-Eddai, dì qualcosa- tentò nuovamente -Non mordo mica, sai?- ridacchiò nel mentre lo diceva, leggermente divertito, sporgendosi verso di lui.
-Come ti chiami?- inutile dire che non ottenne risposta. Di nuovo. Tentò ancora, nei minuti a venire, di farlo parlare. E sapeva per certo che non lo stava annoiando, perlomeno, e che quello non volesse andarsene. Altrimenti l'avrebbe già fatto, si disse.

Tuttavia pensò qualcosa di sbagliato, perché il ragazzo si alzò di lì a breve, prendendo le sue cose e lanciandogli un ultimo sguardo, ma distogliendolo subito dopo.
-Lukas.- disse solamente, con un tono talmente basso che l'altro fece un po' di fatica nel sentirlo. -Mi chiamo Lukas.- dopodiché affrettò il passo, mentre Mathias teneva gli occhi su di lui, sorpreso e soddisfatto al tempo stesso.

-Allora a presto,- mormorò il danese tra sé e sé -Lukas.

 

§

 

Il giorno successivo, Mathias tornò al parco. Aveva voglia di rivederlo, non era sbagliato, giusto? Trovava Lukas un ragazzo alquanto interessante, anche simpatico, una volta sorpassato il guscio.
Era anche vero che trovava "interessante" e "simpatico" chiunque gli capitasse a tiro, colpa del suo carattere, tuttavia questa volta era alquanto speranzoso. Se fosse stato fortunato l'avrebbe trovato nello stesso posto del giorno precedente, al parco, magari nuovamente intento a suonare qualche melodia, come l'ultima – la prima, in verità – che aveva ascoltato.

Andò verso la panchina arrugginita dell'altra volta, continuando comunque a guardarsi intorno, alla ricerca del ragazzo. Non lo trovò.
Non c'era, a meno che non fosse improvvisamente diventato invisibile o lui cieco.
Fece un giro per il parco, guardandosi intorno, ma di Lukas nessuna traccia. Restò ancora per quelli che erano, su per giù, una trentina di minuti. Continuando a non trovarlo, decise che quel giorno avrebbe rinunciato alla sua ricerca. Sospirò, prima di sorpassare il cancello che delimitava il parco.

 

Il giorno dopo, fece lo stesso. Stessa ora, stesso posto.
E fu più fortunato. Lukas era di nuovo seduto su quella panchina, inespressivo, con le mani nelle tasche e l'atteggiamento di chi non voleva parlare con nessuno, con lo zaino e la custodia del violino accanto.

-Ehi, Lukas!- urlò il danese per chiamarlo. Giurò di aver visto l'interpellato strozzarsi con la propria saliva non appena ebbe pronunciato il suo nome.
Quello spostò subito i suoi occhi, ora spalancati e finalmente con un'espressione decifrabile sul volto, su di lui, fissandolo tra il sorpreso e lo scocciato. Con tutta probabilità era un po' infastidito da lui, si disse, ma voleva comunque tentare un ulteriore approccio. -Ehi, come va? Bella giornata, eh?- chiese, forse anche un po' retorico, raggiungendolo.

L'altro non rispose, limitandosi a roteare gli occhi; non ricambiava affatto l'interesse di Mathias.
Quest'ultimo si sedette accanto a lui, allegro come un bimbo in un negozio di caramelle. Non seppe spiegarsi questo paragone.

-Allora?- insisté. -Come va?

 

Così fu anche nei giorni seguenti, nei quali Lukas, però, si presentò sempre. Forse aveva iniziato a nutrire simpatia per il danese, forse era solo per avere un po' di compagnia; entrambi, o qualunque fosse il motivo, non interessavano a Mathias. Era contento per il semplice fatto di avere qualcuno con cui parlare al di fuori del lavoro – il suo capo era severo ed insopportabile, quanto gli sarebbe piaciuto dirglielo in faccia! Per non parlare poi dei suoi colleghi, sui quali preferiva non dilungarsi – nonostante non sapesse nulla di lui, se non il nome. Quel ragazzo era un ottimo ascoltatore.
Inoltre, aveva iniziato a rispondere a qualche sua domanda, quelle che gli sembravano meno "impiccione" o incoerenti, anche se con monosillabi. Era già un gran passo avanti.

-Senti, Lukas, volevo chiederti...- si rigirò un paio di volte i pollici, sembrava esser diventato improvvisamente nervoso. L'interpellato, dal canto suo, si aspettava l'ennesima domanda stupida posta da quel testa a spazzola. -Visto che tu non hai, sì insomma... hai capito?- eccome se aveva capito. Lo guardò dritto negli occhi, leggermente sorpreso; Mathias non aveva mai portato in ballo quell'argomento, prima di allora – salvo il giorno in cui si erano incontrati.
Lukas alzò le sopracciglia, scettico, attendendo che il danese – visibilmente più nervoso del solito – terminasse la frase. -Che ne dici se, umh... venissi a stare a casa mia?

 

§

 

Era esattamente quello che intendeva quando lo definiva "estremamente convincente".
Non ricordava nemmeno di aver accettato la risposta; semplicemente, la domanda di Mathias. Un attimo dopo, quest'ultimo che lo trascinava verso la sua abitazione. E Lukas, nel frattempo, si chiedeva per quale ragione quello spilungone avesse interesse nell'interagire con lui.

L'abitazione del "grande Re del Nord – autoproclamato", o perlomeno quello era un appellativo che il danese era solito darsi, era un semplice appartamento vicino al centro di Copenhagen. Era arredato in modo carino, tuttavia discutibile, lo stesso Lukas non avrebbe fatto molto meglio in quel campo. Tuttavia si sentiva estraneo, come se non avesse dovuto trovarsi lì, mentre continuava ancora a torturarsi sul perché Mathias avesse voluto... quello.

-Vai a farti una doccia, ti presto i miei vestiti- aveva ridacchiato mentre lo diceva, forse divertito dalla visione dell'altro con dei vestiti che gli sarebbero di certo stati troppo larghi e di sicuro ingombranti. Non emise proteste, aveva davvero bisogno di una doccia rilassante, nel mentre pensava – ancora una volta – a com'era finito a casa del danese.

 

Se lo sarebbe dovuto aspettare; con l'animo da orsacchiotto-al-miele di cui era dotato, non doveva sorprendersi nel momento in cui – appena il tempo di uscire dalla doccia, indossante vestiti davvero troppo grandi per la sua taglia, i capelli ancora umidicci – Mathias gli si parò difronte, chiedendogli entusiasta se avesse voglia di biscotti fatti in casa.
Restò impalato nel corridoio a guardarlo per molti istanti, scrutandolo con chi aveva l'aria di star per dire "mi stai prendendo in giro?".

-Allora, ne vuoi un po'?- chiese nuovamente, dopo essersi vantato delle sue ottime doti culinarie. Lukas, dal canto suo, non sapeva se accettare o meno. Non voleva approfittare, ecco tutto.
L'altro non attese oltre; esclamando un "chi tace acconsente!" fin troppo entusiasta, lo prese per il polso e lo trascinò in cucina, indicandogli la sedia e poggiando sul tavolo una teglia di biscotti danesi appena sfornati.

Non volle sembrare scortese – che avesse paura del giudizio della gente? –, perciò si sedette poco dopo, accompagnato dalla classica pacatezza che non lo abbandonava mai, seguito da Mathias.

-Prego, assaggia- disse, contento. -Dimmi se ti piacciono!- poi, in attesa, incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò il mento, aspettando la sua reazione.
Un po' arreso, Lukas prese un dolcetto, portandoselo alla bocca e addentandolo con delicatezza.

Semplicemente, non aveva mai assaggiato nulla di così dolce in vita sua. Gli ridiede improvvisamente vita, facendogli sbattere le palpebre un paio di volte. Non era molto loquace, e mai lo sarebbe stato; in risposta al danese, semplicemente, allungò la mano per prenderne un altro.

Mathias glielo lasciò fare, soddisfatto di se stesso. -Ah, allora ti piacciono!- esclamò, al settimo cielo. -Ci speravo!

Quindi mangiò anche quello, beandosi del sapore, mentre Mathias continuava a parlare di cose che, dette proprio da lui, riuscirono a strappargli un sorriso.

 

§

 

Nelle settimane a seguire, Lukas aveva iniziato ad abituarsi a quella casa. Continuava a parlare poco, rispondere con monosillabi la maggior parte delle volte e Mathias, da parte sua, aveva cominciato a capire sempre meglio i vari vizi dell'altro, oppure cosa significavano diversi monosillabi: "mh" stava per "mi sta bene", un "mmh" più prolungato equivaleva ad un "non ne sono sicuro", mentre un "umh" con un leggero cenno del capo stava per "non ho da obbiettare, fà pure".
Lukas aveva inoltre scoperto il livello di affettuosità dell'altro verso i confronti di... qualunque cosa. Per lui, tutto aveva dei sentimenti. Tutto. E non sapeva se trovarla come una cosa adorabile o un po' sciocca, o magari entrambe.

 

-Ehi, Lukas- cantilenò il suo nome mentre si sedeva sul divano del salotto accanto a lui, tenendo in mano due tazze fumanti, una di tè per sé e l'altra colma di caffè, che porse subito all'altro – beveva un sacco di caffè, quel ragazzo, nonostante fosse più piccolo rispetto a lui. -Che ti va di mangiare, stasera? Hai preferenze?

Non si chiese per quale motivo Mathias avesse la fissa di iniziare a pensare alla cena alle cinque di pomeriggio, quando avrebbero effettivamente mangiato tre ore dopo.
Scosse la testa. -Mi va bene tutto.

Era così che andava ogni volta, ma il danese insisteva nel chiedere le sue preferenze nel mangiare, ed avrebbe continuato ancora, ancora ed ancora. -Va bene- annuì, ripensando all'accento che Lukas aveva usato. Da qualche tempo sospettava che l'ormai coinquilino – del quale era riuscito a capire anche il cognome, ovvero Bondevik – non fosse danese. Non che ci fossero problemi, ovviamente.
-Lukas, tu non sei danese, vero? Dal tuo accento non mi sembra.- commentò, sempre con un sorriso, guardandolo di lato.

-No, infatti- ammise a bassa voce, che in realtà era la sua normale intonazione. -Sono di Oslo, Norvegia.- bevve un sorso di caffè.

Mathias sorrise, mentre l'idea per la cena perfetta si faceva largo nella sua mente.

 

§

 

Mathias era una cima, per quanto riguardava l'arte culinaria.
Spesso si dilettava in ricette straniere – anche se aveva scoperto di essere totalmente negato per la cucina orientale –, di cui il risultato era spesso eccellente. Lukas apprezzava ogni volta, anche quando la pasta italiana che gli proponeva era leggermente scotta.
In particolare, sapeva preparare dolci di ogni tipo, forma e dimensione. Sembrava avere una particolare preferenza per i biscotti al burro a forma di orsacchiotto; gli piaceva mangiarli con il tè ed un cucchiaino di miele.
Erano tutti tratti che all'altro non sfuggivano, non che avesse interesse nel conoscere le azioni degli altri, tuttavia rendeva la sua vita molto più ordinata. Non sopportava gli imprevisti.

Quel pomeriggio, Mathias era per l'ennesima volta in preda a vene artistiche. Aveva gentilmente "cacciato" il norvegese dalla cucina, dicendogli di aver in mente una sorpresa. Non era molto rassicurante, si disse Lukas, il tono con cui l'aveva detto. Non seppe comunque come controbattere, pertanto andò a stravaccarsi sul divano, davanti ad uno dei tanti, noiosi programmi TV.

 

Mathias uscì da quella cucina quasi un'ora dopo, soddisfatto come non ricordava di essere mai stato, con un invitante profumo di zucchero che gli impregnava i vestiti.
Riconobbe subito quell'odore, come non avrebbe potuto? Con occhi leggermente sgranati, segno di sorpresa, guardò il danese per parecchi istanti, chiedendosi se il suo naso gli stesse giocando un brutto scherzo o meno.

-Di là c'è la sorpresa, vuoi venire?- gli sorrise nella sua tipica maniera sghemba e soddisfatta, notò solo in quel momento che nel sorridere il tal modo si vedevano le fossette sulle guance.
Lukas annuì, alzandosi e seguendolo nuovamente in cucina. -Ta dan!- esclamò il danese, mostrando con orgoglio la teglia di rondelle[2] appena sfornate, che stavano raffreddando.

Inspirò di soddisfazione quando intravide gli occhi del norvegese brillare alla vista dei dolcetti. Se fosse stato meno chiuso, gli sarebbe di certo saltato al collo, ringraziandolo. Ebbe comunque la conferma di quanto il coinquilino fosse contento del suo gesto quando si sedette a tavola più velocemente del solito – non mangiava mai in piedi, semmai sorseggiava solo un caffè – e prese con le dita sottili uno di quei dolcetti.
L'osservò per svariati istanti, poi lo addentò lentamente.

Semplicemente, era buonissimo. Come altro avrebbe potuto descriverlo? Perfetto, forse. Esattamente come quelli che mangiava quando era ancora ad Oslo, di cui andava matto.

-Come sono? Ti piacciono?- conosceva la risposta, naturalmente, ma voleva sentirgli pronunciare quelle parole, spronandolo a parlare un po' di più.

Quello annuì con un leggero vigore, dando un altro morso. -Perfetto.- lo disse talmente piano che Mathias non fu sicuro di averlo davvero sentito. Si mise le mani sui fianchi, piegandosi leggermente in avanti, stampandosi in faccia un sorriso.

-Te li preparerò tutte le volte che vuoi, allora!- una promessa, una risata, e l'incurvarsi verso l'alto delle labbra di Lukas.

 

§

 

-Anche se deriva da "luce", talora Lukas è ombroso, ma si tratta di ombre passeggere e la sua personalità si mostra per quel che in fondo è: attiva, brillante, poliedrica. Pur se un po' esclusivista, sa rispondere ai richiami dell’amicizia e della solidarietà. - tirò fuori quel significato legato al nome dell'altro, Mathias, in uno di quei momenti morti che gli generavano, solitamente, un leggero imbarazzo.

Lukas rimase fisso a guardarlo, con un'espressione che vacillava tra il "non credo di aver capito" ed il "cosa cavolo stai dicendo". -Come?- chiese a bassa voce, fingendosi confuso.

-E' il significato del tuo nome, no?- il danese addentò uno dei suoi amati biscotti al burro, senza togliere il sorriso dal proprio volto: un sorriso soddisfatto, fiero di aver sorpreso l'altro e di avergli strappato quell'espressione sorpresa.
Vide il coinquilino abbassare un po' lo sguardo, lo faceva spesso per pensare. Poi annuì leggermente, mormorando un "umh", buttando lo sguardo altrove. Beh, ovviamente Mathias sapeva di aver ragione.

 

Qual era il motivo per cui quel ragazzo era così dannatamente... convincente? Lukas non avrebbe mai smesso di chiederselo. Il danese poteva riuscire a farti fare qualunque cosa, bastava solo che sfoderasse la sua espressione più dolce e boom!, ti ritrovavi a preparare la cena assieme a lui contro la tua volontà.

Dal canto suo, il norvegese non aveva la minima idea di ciò che stavano preparando – forse un nuovo dolce? Si limitava a seguire le istruzioni di Mathias, come prendere la farina, poi lo zucchero, o di sbattere le uova nel contenitore.
Finché non arrivò il momento, per il danese, di preparare la crema pasticcera, considerando che al supermercato aveva trovato unicamente quella da fare in casa, in polvere. Lukas sospettava che non ne sarebbero usciti vivi.

Al termine della grande sfida erano ancora tutti interi. Sporchi di crema pasticcera dalla testa ai piedi, ma tutti interi.
Mathias non era capace di fare la crema pasticcera in casa. Teneva in mano la frusta elettrica in modo probabilmente – sicuramente – sbagliato, in modo tale che il composto zuccherato schizzasse da tutte le parti, imbrattandoli completamente. Lukas era alquanto sconvolto, mentre fissava con espressione indecifrabile dritto davanti a sé; il danese, invece, era scoppiato in una fragorosa risata, ricevendo un'occhiata di ammonizione da parte dell'altro e cercando subito dopo di calmarsi.

Erano poi corsi a ripulirsi come meglio potevano – serve specificare, probabilmente, che la cosa era terminata con una guerra di asciugamani.

 

§

 

Suonava con una naturalezza strabiliante, Mathias non avrebbe mai smesso di ripeterlo.
Dal canto suo, a Lukas andava bene così: anche continuando a negare, quei complimenti gli piacevano, gli riempivano il cuore di soddisfazione e – cosa che al contrario non sopportava – lo facevano arrossire. Si notava molto, sulle sue gote pallide.
Amava suonare il violino e amava il silenzio che si creava nella stanza mentre le corde dello strumento vibravano a ritmo, zittendo una volta per tutte il danese e la sua voce squillante.

Quando Mathias, poi, alla fine di un brano, gli chiedeva di suonarne un altro, poi un altro ed un altro ancora, aveva ormai l'abitudine di accontentarlo con uno sbuffo ed un'alzata di occhi al soffitto; non avrebbe mai ammesso di amare anche quando Mathias glielo chiedeva con quell'espressione supplichevole dipinta sul volto.

Erano passati tre mesi.
Tre mesi di convivenza che Lukas aveva immaginato potessero essere ben peggiori. Era cambiato molto, in quel tempo.
Inizialmente, il norvegese aveva iniziato a perdere quella sua aria di religioso silenzio per tutto il giorno, e chiacchierava normalmente con l'altro, nonostante continuasse a trovare alquanto stupide o insensate molte delle sue domande.
Tre mesi in cui si era creata più confidenza, forse anche troppa.
Tre mesi in cui Lukas aveva iniziato a vedere Mathias con occhi diversi. In cui non poteva resistere molto tempo senza sentire la sua voce. In cui aveva non solo iniziato a notare, catalogare le sue abitudini, ma soprattutto ad apprezzarle, a trovare ridicolo ed estremamente dolce ogni suo piccolo gesto, così delicato nel suo insieme; pensava che se l'avesse abbracciato talmente forte da rompergli le ossa, l'avrebbe rimesso a posto, con se stesso in particolar modo. In cui avrebbe voluto stringerlo finché poteva, affondare il volto nel suo petto e restare a sentire il suo profumo di zucchero mentre l'altro gli accarezzava i capelli, la schiena, le guance. In cui sentiva i brividi percorrergli la spina dorsale quando gli metteva una mano sulla spalla, gli si appoggiava addosso, il modo in cui gli scompigliava i capelli con fare affettuoso, come un fratello maggiore, il suo amore per il contatto fisico.

Si perdeva in questi pensieri per poi riscuotersi, sentendosi uno schifo subito dopo. Come gli saltava in mente, un pensiero del genere? Dopotutto voleva soltanto un contatto, anche lieve, dolce, in tutti i modi che l'altro avrebbe preferito... e poi si sentiva uno schifo di nuovo.

-Ehi, Luk, guarda un po'- tre mesi in cui aveva iniziato a trovargli nomignoli di ogni genere. Indicò il televisore con un cenno del capo, alludendo al programma di cucina scandinava in corso. Ogni tanto, il norvegese si chiedeva come facessero dei programmi culinari a piacergli, poi si ricordava che quello era semplicemente lui. Apprezzava molto questo suo essere originale.
Probabilmente Mathias disse qualcos'altro, ma non lo ascoltò minimamente; più che altro, sembrava che le sue parole non lo raggiungessero, o che fosse lui stesso a bloccarle.

Lo guardava, probabilmente con una faccia da completo idiota, immaginava di passare una mano nei suoi capelli biondo-spazzola, disordinati come pochi. Inchiodava gli occhi a quelli dell'altro e li guardava per minuti interi, senza il desiderio di smettere, per qualche ragione, e nel frattempo avrebbe voluto passargli una mano ad accarezzargli lo zigomo, accarezzarlo. E chissà, subito dopo anche baciarlo.
Solo un sussurrato "-Luk, stai bene...?-" e poco dopo il norvegese si riscosse con un brivido, alzandosi di scatto e correndo in camera, chiudendovisi, esattamente dopo essersi reso conto di averlo fatto per davvero.

 

-Lukas, andiamo, aprimi!- disse per la ventesima – o almeno credeva fosse la ventesima, ormai aveva perso il conto – volta Mathias, battendo un pugno sulla porta della camera del coinquilino, quella che fino a qualche mese prima era riservata agli ospiti, ora invece diventata del ragazzo.
Era davanti quella porta da un quarto d'ora, mentre cercava di convincere il norvegese ad uscire.

Per la ventesima volta, ancora, non ricevette risposta. Sentiva, in ogni caso, il respiro irregolare – forse nervoso – dell'altro attraverso la porta, assieme anche ai singhiozzi che cercava di nascondere e soffocare.

-Guarda che butto giù la porta!- e sapevano entrambi che ne sarebbe stato perfettamente capace.
Lukas avrebbe voluto urlare di farlo; di buttare giù quella porta, in modo da vederlo accovacciato ai piedi del letto, con quelle stupide lacrime che gli rigavano il viso e quell'interessante voglia di lasciarsi cadere di lato e mettersi a dormire sul pavimento.

-Non farlo- lo supplicò con il tono di voce, incrinato, spezzato dall'ennesimo singhiozzo mal trattenuto. -Per favore.- Mathias perse un battito, alla richiesta dell'altro. Non sapeva più che fare, con quel ragazzo. Iniziava a credere che fosse più complicato di quanto non desse a vedere, ed aveva timore che tornasse chiuso com'era la prima volta.

-Okay- si arrese, a testa bassa. Per quello che lo conosceva, e sapeva essere abbastanza da poterlo capire, era certo che stare un po' da solo gli avrebbe fatto solo bene. -Ma appena vuoi, io ci sono.- detto questo si allontanò a passo lento dalla porta, tornando in salotto, buttandosi a peso morto sul divano e tenendosi un braccio sulla fronte. Sperava che l'avesse aiutato a riflettere.

 

Non seppe per quanto tempo rimase in quella stanza, chiuso, con la serranda della finestra abbassata.
Se ne stava per terra, appoggiato al letto, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Cosa gli era preso?

Guardarlo, toccarlo, baciarlo. L'aveva fatto per davvero, e non se n'era neanche reso conto.
Si sentì un infinito stupido, nel perdere il controllo in quella maniera. Mathias avrebbe avuto ogni ragione del mondo per cacciarlo di lì; a questo pensiero, pianse. Pianse più di quello che non stesse già facendo, premendo la fronte contro il ginocchio, la gamba stretta al petto. Non era da lui tirare dei pugni a qualcosa per sfogarsi, ma in quel momento ne sentì davvero il bisogno.
Strinse le dita, per poi tirare una botta al pavimento. Si era anche fatto male, dopo quel gesto, ma poco gli importava.

Decise solo di trascinarsi sul letto, affondare il volto nel cuscino, e dormire finché non gli fosse passata la voglia di piangere.

 

Si svegliò nel cuore della notte.
Si rese conto di aver saltato la cena, ma non aveva per niente fame. Aveva deciso di... di andarsene.
Non poteva più restare in quella casa, con lui. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto pensare.

Prese un cappotto dall'armadio, infilandoselo con lentezza, sovrappensiero. Si strinse nella giacca, allungando una mano per girare la maniglia della sua camera.
Scrutò il corridoio da cima a fondo, trovandolo vuoto come sperava. Lo percorse sulla punta dei piedi, per non far rumore. L'ultima cosa che voleva era svegliarlo, o tanto meno guardarlo in faccia. Non avrebbe avuto la forza di guardarlo negli occhi.
Si infilò velocemente le scarpe, come al buio meglio poteva, quindi si rialzò, camminando verso la porta, leggermente barcollante.

-Lukas?- la voce alle sue spalle lo fece sobbalzare. Sgranò gli occhi, mentre il suo cuore perdeva un battito, forse due. -Finalmente sei uscito ma che– - si bloccò a metà, aguzzando gli occhi per vederlo meglio. Agitò freneticamente la mano di fianco a sé, facendola scorrere sul muro fino a trovare l'interruttore. Accesa la luce, assunse un'espressione a metà tra il sorpreso ed il preoccupato. -Che... che stai...?

Il norvegese non si voltò. Non aveva la forza di farlo, di guardarlo in quei suoi occhi così maledettamente belli. -Me ne vado, Mathias- balbettò sconnessamente il suo nome, mordendosi il labbro inferiore per non scoppiare di nuovo a piangere come uno stupido. Cercò di mantenere il suo solito tono pacato, quello che usava la maggior parte delle volte, che non mostrava la minima espressività.

-Come... cosa...?- il danese non capiva, inizialmente. Poi ripensò a quando Lukas aveva posato le labbra fredde sulle sue, accarezzandogli la guancia con delicatezza incredibile. -Lukas, aspetta.- usò un tono forse un po' troppo duro senza nemmeno rendersene conto, mentre gli era balzato accanto in un baleno, prendendolo per il polso e costringendolo a voltarsi.

Il norvegese, anche se girato verso di lui, teneva gli occhi chiusi con convinzione. -Mathi–

-Aspetta.- mormorò soltanto, interrompendolo, poggiandogli una mano sulla spalla, nello stesso modo rassicurante che in tutto quel tempo aveva sempre fatto, anche quando l'altro non voleva. -Aspetta, aspetta...- sussurrò ancora mentre si piegava in avanti, mettendo alla stessa altezza i suoi occhi e quelli chiusi di Lukas. Spostò la mano dalla spalla al suo viso, accarezzando lo zigomo pallido: aveva la pelle piacevolmente fredda, si disse il danese.

Sentì il respiro irregolare del più basso solleticargli il volto, e pensò che anche il suo, caldo, stava solleticando quello di Lukas, il quale stava cercando di tirarsi indietro in ogni modo. La presa di Mathias era salda sul corpo dell'altro, che in confronto era molto più gracile.
Si avvicinò ancora, sussurrando un ultimo, inudibile "-Aspetta-", prima di premere le labbra contro quelle dell'altro e sovrastarlo leggermente con il suo corpo.
In quel momento, Lukas spalancò gli occhi, incrociando quelli chiari del danese, già semichiusi. I suoi tentativi di spingerlo via, di allontanarlo da sé, furono totalmente inutili.
Mathias lo circondò con le braccia, stringendolo contro il suo corpo, separandosi ad una lentezza irritante dalle labbra del norvegese.

Forse restarono così per qualche istante, forse qualche minuto, nei quali Lukas si tastò incerto le labbra con le dita, confuso e probabilmente incredulo. Il tempo trascorso era l'ultima cosa che ai due importava.
-Vieni- mormorò dolcemente Mathias, prendendolo per mano e trascinandolo in cucina, stringendo leggermente la presa. -E resta. Resta, ti prego.

Quando l'altro strinse a sua volta la presa sulla sua mano, seppe che avrebbe potuto tirare un sospiro di sollievo.
-Resto.

 

"Aspettare. Questo stavo facendo, Lukas. Stavo solo aspettando te."

 

 

 

-Mi sono innamorato di te come ci si addormenta:
pian piano e poi tutto in una volta.

   
 
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