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Autore: Dragana    26/07/2015    3 recensioni
Non mi interessa chi sei, non mi interessa della tenda e nemmeno della fontana, aveva pensato Calypso quando aveva guardato quel tizio tutto pelle e ossa (Leo) che sudava intorno a non si sa bene cosa.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calipso, Leo Valdez, Leo/Calipso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(LEO)

“El tò muruus el gira el muund in barca a vela 
e me sun mai naa foe de sto giardén 
me sunt un fiuur che anziché verdess el se sàra 
e di mè röös i henn restaa lé dumà i spénn"
(Davide van de Sfroos)



Non mi interessa chi sei, non mi interessa della tenda e nemmeno della fontana, aveva pensato Calypso quando aveva guardato quel tizio tutto pelle e ossa (Leo) che sudava intorno a non si sa bene cosa. L’unico motivo per cui gli faceva portare da mangiare era che sul serio era pelle e ossa, e sudava, tanto che l’aria intorno a lui sembrava riverberare come se fosse fatto di fuoco, e Calypso aveva paura che di quel passo sarebbe diventato un cadavere vivente.
Almeno non aveva paura di innamorarsi di lui.
Il primo ad arrivare era stato Ulisse. L’ultimo Percy.
Ulisse era stato sbattuto lì da Poseidone, Percy era il figlio di Poseidone, e in comune non avevano un bel niente. Nemmeno l’età, uno era un uomo fatto, un sovrano, aveva combattuto sotto le porte Scee, l’altro era un ragazzino, uno che andava a scuola, e aveva iniziato a combattere da troppo poco tempo. Uno era astuto, arguto, affabulatore, l’altro era trasparente come il mare delle isole greche. Uno l’aveva amato per tanto tempo, fino a conoscerlo come un compagno, con familiarità, l’altro non l’aveva neppure baciato.
Ma tutti e due alla fine avevano scelto di andarsene.
Loro, come tutti quelli che erano passati in mezzo.
Il ragazzo fastidioso (Leo) stava martellando e martellando qualcosa con gran dispendio di fumo e fuoco, tutti gli uccelli erano volati via e a lei tutto quel martellare dava fastidio, era come quando dormiva da sola e le veniva da piangere e sentiva solo il battito agitato del suo cuore rombarle nelle orecchie. O come quando invece c’era qualcuno accanto a lei e osava sperare che rimanesse, stavolta sì, stavolta magari è diverso.
Come quando c’era stato Drake, che aveva circumnavigato l’America e trovato una città d’oro e sconfitto un’intera armata, e la sua amante era una regina. Ma lui non poteva stare assieme a una regina, e così Calypso aveva osato sperare che invece potesse stare con lei. –Ma tu sei una dea, se non posso stare con una regina, figuriamoci con una dea-, le aveva detto lui sorridendo, ma era una scusa. La sua regina, le sue navi, le sue avventure, era quella la vita che voleva.
Era stato facile innamorarsi di lui. Era fin troppo facile innamorarsi delle canaglie, anche quando sembravano gentiluomini. Come l’Etrusco. Era impossibile non innamorarsi dell’Etrusco.
Era arrivato sull’isola, e la chiamava “tesoruccio”, e le raccontava milioni di storie con una voce di acqua dolce. Quando la accarezzava indovinava i suoi desideri come se glieli leggesse nella mente, e aveva un sorriso che era come la falce della luna.
Era buffo, Calypso non si ricordava nemmeno come si chiamasse. Le aveva detto di essere un aruspice, e di avere due fratelli e una moglie, da qualche parte. Era stato con lei, poi un giorno aveva letto il futuro nel fegato di un animale e le aveva detto che doveva andare, i suoi fratelli avevano bisogno di lui. –Per salvare il mondo?-, gli aveva chiesto, con amarezza. Lui non la guardava nemmeno, non guardava nemmeno la zattera, guardava solo l’orizzonte, quando le aveva risposto: -No, per conquistarlo.
Calypso si disse che basta, meglio occuparsi del giardino, muovere le mani, fare qualcosa. Nella sua mente si ingarbugliava tutto (era certa che l’Etrusco fosse molto prima di Drake, ad esempio) e la colpa era di quel tizio che faceva un sacco di confusione (Leo).
Giravano il mondo in nave, gli uomini che arrivavano a Ogigia. Non proprio tutti, in effetti, ma molti. Calypso si chiese se per gli dèi dispettosi fosse più facile mandare su un'isola un navigatore, o se fosse perché lei aveva un debole per i marinai giramondo. O i giramondo in generale. Come l’uomo di Marsiglia, che però mica era di Marsiglia, le aveva detto, faceva solo finta. Aveva la fotografia in bianco e nero di una donna, e tanti ricordi da cui cercava di scappare. Calypso si era ripromessa di non innamorarsi più, la cosa da tragica stava diventando ridicola, si era fatta spiegare cos’era una fotografia e raccontare i suoi viaggi. Diceva che lo chiamavano “l’uomo della tempesta”, ed era stata una tempesta a sbatterlo a Ogigia. Dopo un po’lei aveva provato a vedergli il futuro; non aveva visto granché, era una magia difficile, ma una cosa era chiara: resta con me, e la tempesta finirà. Non gliel’aveva detto, all’inizio.
Poi non aveva resistito.
Arrivava sempre quel punto, quello in cui non riusciva a trattenersi, quello che segnava l’apice da cui poi iniziava il punto di discesa delle parabole di tutte le sue storie d’amore. E non era stato diverso: lui le aveva detto che preferiva non avere meta e casa, piuttosto che rimanere lì e strappare la fotografia. Quando era comparsa la sua zattera, il mare intorno a Ogigia era insolitamente in tempesta.
Viaggiatori, pirati, mascalzoni, costruttori. C’era stato il portoghese che viveva nel Borneo e aveva un amico fraterno che, si diceva, facesse paura anche alle tigri (e una donna bellissima e un regno, perché figuriamoci se non c’era una donna bellissima, da qualche parte); c’era stato il veneziano che le aveva raccontato di Lepanto e del suono dei cannoni e del fuoco sull’acqua e del sangue dei turchi.
Ce n’erano stati troppo pochi, in tremila anni, perché lei ci facesse l’abitudine e imparasse a considerarli solo visitatori che le scaldavano il letto per un po’, ma abbastanza per avere troppi ricordi quando calava la notte. Per un po’ci aveva sperato, dopo Percy, che le cose cambiassero, ma naturalmente non era cambiato niente, la storia dei suoi zii avrebbe dovuto insegnarglielo, come al solito Speranza era una gran fregatura.
E comunque non doveva pensarci. Basta, chiuso.
Dovevano averlo capito anche gli dèi, che le avevano mandato quel tizio strafottente, che non stava mai fermo e continuava a bruciare qualsiasi cosa (Leo). Al pensiero, tirò troppo forte un gambo di rosa e si punse. Imprecò. Non imprecava quasi mai, e sì che motivi ne avrebbe avuti.
Di solito era dolce. Era accomodante. Le piaceva prendersi cura di chi arrivava sull’isola, tentare di lenire il loro dolore, le loro preoccupazioni. Le piaceva, ed ecco a cosa l’aveva portata. A un bel niente. Quindi basta, quindi il tizio che non stava mai fermo (Leo) non avrebbe avuto sorrisi e lavanda e lenzuola di lino, che ringraziasse se gli portava da mangiare, perché va bene tutto, ma non voleva una specie di scheletro vivente affamato a zonzo sulla sua isola. Comunque cosa stava a pensare, si disse succhiandosi il dito, per quelle rose ci volevano le cesoie.
Che erano sul bordo della fontana.
Che non perdeva più.
E che erano affilate come non lo erano state da tempo.
E si ricordava di aver visto il ragazzo irritante (Leo) nel suo giardino.
E si accorse che stavolta una differenza con tutte le altre volte c’era, ed era che a modo suo era il ragazzo di fuoco (Leo) a prendersi cura di lei.
Magari era ora di fargli dei vestiti che non gli bruciassero addosso.









Note: roba scritta in una serata in occasione della PJShipWeeksITALIA. Leo e Calypso sono la mia seconda OTP della saga e mi sembrava brutto non scrivere proprio niente niente.
L’ispirazione mi è venuta dalla canzone citata all’inizio, che tradotta significa: “il tuo moroso gira il mondo in barca a vela/ e io non sono mai uscito da questo giardino/ sono un fiore che anziché aprirsi si chiude/ e delle mie rose son restate solo le spine”. Se qualcuno vuole sentirla, è questa.
Gli uomini di Calypso. Beh, non potevano essere stati solo Ulisse e Drake, no? Non sarebbe stato possibile fare una statistica e ricavare una maledizione sulla base di due uomini (Percy non lo conto perché lei racconta a Percy della sua maledizione). Quindi gliene ho affibbiato qualcuno. Percy, Ulisse e Drake li conosciamo, l’Etrusco diciamo che l’ho praticamente inventato io (ma forse qualcuno lo riconoscerà), l’uomo della tempesta è ispirato a questa canzone, il portoghese è Yanez e il veneziano è a caso (ma dice che è un figo).
Gli zii di Calypso sono Prometeo ed Epimeteo, quelli del vaso di Pandora.
La storia non è betata perché le mie beta di fiducia sono in vacanza alla faccia mia che lavoro, quindi non abbiate paura a segnalarmi qualunque cosa non vada bene.
Grazie mille a chi è arrivato fin qui, a chi mi legge (e avrà pensato “oh, ma dai, niente Clarisse stavolta?), e a chi darebbe un arto per essere su Ogigia a non fare un cazzo, con qualche uomo ogni tanto che si degna di sparire prima di diventare noioso. Certi proprio non capiscono che hanno tutte le fortune.
Alla prossima!



   
 
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