Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi
Segui la storia  |      
Autore: ThatTinyGirl    26/07/2015    0 recensioni
Ed risollevò la testa. - Ma c'è mia sorella qui con me. -
La donna lo guardò stranita. - Qui..dove? -
Edward ripetè – C'è mia sorella. E' qui, qui accanto a me, vedi? - e indicò un punto poco lontano.
Ilse sospirò. - Hai avuto un trauma cranico, ptresti avere le allucinazioni.. -
Il ragazzino guardò Arabella per chiedere conferma di ciò che diceva, ma lei lo guardò triste.
I brillanti capelli rossi si ingrigirono, così come i vestiti, le pelle, gli occhi. Sembrava che qualcosa le stesse succhiando via i colori, la vita. Gli occhi divennero vitrei e lucidi come biglie di vetro.
Sorrise tristemente. - Ciao, Edward – e scomparve.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

 

 

 

 

 

 

 

La pioggia scivolava senza fatica sui vetri freddi dei finestrini dell'auto, e Ed guardava fuori senza interesse. Era sempre stato un bambino considerato “strano” poiché spesso si perdeva nei suoi pensieri ed era molto riflessivo. Silenzioso di natura, il ragazzino possedeva un'intelligenza precoce per la sua età, cosa che invece i suoi genitori avevano sempre ammirato. Nonostante avesse poco più di 11 anni era dotato infatti di un intuito spettacolare, tanto da aver destato anche un po' di paure da parte del vicinato quando affermava di conoscere avvenimenti futuri o quando risolveva i casi di furto o scippo che a volte avvenivano nel quartiere.

Egli eludeva le malelingue o dei pettegolezzi, perchè sapeva di avere una famiglia che lo avrebbe sempre difeso e che gli voleva bene. La persona a cui era più legato era sua sorella maggiore, Arabella, una giovane ragazza di 16 anni. Era molto bella, aveva i capelli rossi e ricci lunghi fino alle spalle e sua madre la paragonava spesso ad un indomito cavallo di razza araba per la il suo carattere fiero. In quel momento era seduta accanto a lui, ascolatando la musica con le cuffiette. Odiava quando faceva così. Non gli dava mai abbastanza attenzione.

I suoi genitori erano impegnati nella stessa attività di Arabella, ascoltare musica, e Ed non potè fare altro che voltarsi nuovamente verso il finestrino rigato di pioggia. Osservò il suo riflesso per qualche istante: capelli biondo cenere, liscissimi, occhi verdi chiarissimi, coperti dalla frangetta tagliata male. Sorrise. Sua madre Amanda non era proprio adatta a fare la parrucchiera; d'altra parte come può una bibliotecaria sapere come si tagliano i capelli?, si chiedeva spesso. Anche il patrigno, Harold, con cui Amanda Withers si era sposata due anni prima, era dello stesso parere. In ogni caso Ed amava il lavoro di sua madre, amava i libri, ma soprattutto amava leggere. Trascorreva ore intere in compagnia di Arabella e la mamma a leggere storie emozionanti di pirati, di vampiri e di giungle indiane. E poi c'era un'altra cosa che amava, ma di se' stesso: il suo nome. Si chiamava Edward Johnson Withers, e lui ne andava molto fiero. Edward aveva un che di antico e regale, qualcosa che proiettava la sua mente nei mondi immaginari dei libri che mamma gli leggeva, di potenti eroi e re ambiziosi, di draghi e cavalieri. Sperava di poter vivere un'avventura meravigliosa, un giorno.




Edward venne distolto dai suoi pensieri da una gentile pacca sulla schiena: sua sorella si era degnata di togliersi quegli ordigni diabolici chiamate cuffie e forse aveva anche intenzione di giocare con lui. - Giochiamo agli indovinelli? - chiese infatti, allegra. - Tanto vinco io. - sentenziò Ed divertito. Ma Harold li interruppe. - Scusate ragazzi, ma vorrei che foste più silenziosi. Sono 5 ore che guido, la strada è scivolosa e.. - la frase rimase in sospeso. - Cosa c'è, caro? - chiese Amanda preoccupata.

I due fratelli, seduti nei sedili posteriori, rimasero con il fiato sospeso. Il volto di Harold si riaprì in un sorriso. - No, deve essere un'allucinazione dovuta alla stanchezza – decise – per un attimo mi è sembrato di vedere una macchina venire in questa direzione. -

Ed sentì che il suo stomaco si stringeva in una fitta dolorosa: il segno che qualcosa di brutto stava per accadere. Anche Arabella vide suo fratello impallidire. - Qualcosa non va? - Ma Edward non rispose.

- Papà, fermati. - disse con decisione.

Harold non lo ascoltò. Amanda gli disse di tranquillizzarsi, ma Ed era tutto meno che tranquillo.

- Papà, ho detto fermati! -

Il bambino aveva la voce quasi spezzata, aveva paura, una paura inspiegabile, irrazionale.

Poi successe. Un rumore infernale, Arabella che urlava e piangeva, urlava e a Edward si accaponava la pelle: sembravano urla provenienti dalle viscere della sua anima.

Ora anche la mamma gridava,Harold, tutto strideva ed era impregnato nel dolore. Si tappò le orecchie, e piegato sul sedile, pregò che quell'incubo potesse finire presto.

Poi fu tutto buio.







Il bambino riprese coscienza nello scheletro dell'automobile distrutta, fumante, nella stessa posizione in cui era svenuto. Il soffitto era schiacciato e lo obbligava a rimanere in quella scomoda posizione; tutto l'abitacolo era pervaso dal fumo, e non riusciva a respirare. Ma la cosa più tremenda in assoluto era il silenzio, un silenzio assoluto e terribile. - Mamma? Papa'? - chiamò piano, temendo di non ricevere risposta. Più i secondi passavano e più Ed andava nel panico. - Mamma? Papa'? - chiamò più forte, la voce strozzata dalle lacrime e dal fumo.

Cerco di togliersi la cintura di sicurezza freneticamente, nel panico. - Non riesco..a respirare.. - boccheggiò. Sentì che di nuovo le forze lo abbandonavano, e questa volta per sempre.

Sarebbe morto lì, da solo? Così giovane? E i suoi genitori? Tutte quelle domande gli provocarono un groppo alla gola e i singhiozzi scaturirono più forti che mai.

Improvvisamente si sentì afferrare un polso, e , instintivamente lo scacciò via, ma una voce amica gli venne in aiuto. - Ed, sono io, Arabella! - Edward rivide un barlume di speranza in quella mano tesa. Riuscì anche a sorridere. Dopo averla afferrata, raccolse le forze e cercò di uscire da quella maledetta auto. Così potè respirare di nuovo aria pulita, e vedere il cielo, e vedere la nutrita foresta che circondava l'autostrada. Fuggì dalla morte che lo attendeva nelle lamiere fumanti e cadde in ginocchio sull'asfalto, respirando profondmente. Aveva i vestiti bruciati, e vari tagli sul viso. Ma era vivo. Quando si rialzò la gamba destra cedette dolorosamente, Arabella lo risollevò prontamente. Lei sembrava illesa. Il bambino lo guardò stupita. I vestiti erano immacolati, i capelli in ordine. Persino il trucco era posto. Ma lei non fece una piega. - Vieni – disse soltanto – ti accompagno in un luogo sicuro. -

Edward non capiva. - Ma non possiamo lasciare qui mamma e papà! - esclamò disperato. Zoppicò verso il cadavere bruciato di Harold e cerco di tirarlo. - Arabella – pianse – Aiutami! - Ma la ragazza chinò egoisticamente il capo. - Dobbiamo andare – ripetè.

Ed la seguì riluttante. Seguì con lo sguardo la silhouette dei corpi bruciati, le due macchine che si erano scontrate, la colonna di fumo che si innalzava verso il cielo.




Le due figure solitarie scavalcarono il guard rail e si inoltrarono nel bosco. Fecero una quindicina di chilometri che al bambino sembrarono chilometri. Sua sorella lo teneva per mano e sembrava di sapere dove stessero andando.

Si arrestò.

- Eccoci.

Davanti a loro c'era uno spiazzo dove sorgeva un edificio sdi forma rettangolare quadrato e anonimo. I muri esterni erano scrostati, le finestre polverose, e c'erano due balconi all'ultimo piano, il terzo. Era tutto dipinto di bianco e aveva l'aria vecchia e trascurata.

Edward mosse un altro passo, debole. Sapeva che non avrebbe resistito ancora. La ragazza dai capelli rossi lo guardò negli occhi. - Ce la fai? - Il bambino non rispose, e cadde a terra tra l'erba incolta.




Si risvegliò circondato dal bianco. La testa gli doleva, così come la gamba. Tutto sommato, la tinta bianca che lo avvolgeva gli faceva quasi piacere, era rilassante. Le tende erano bianche, e così le pareti, e il lettino su cui era steso, le lenzuola che lo coprivano. Bianco era il camice della signorina seduta accanto a lei. Mise a fuoco; si girò su un fianco. - Chi..chi sei? - domandò con un filo di voce. La donna sorrise. - Sono Ilse, sono un medico. Ti sei svegliato finalmente.. Come ti chiami? -Edward – rispose il bambino. - Bene,Edward, ci sono delle persone che vorrebbero parlare con te. - continuò, e indicò una coppia in fondo alla stanza. - Mamma..? Papà...? - chiese speranzoso. No..ci dispiace tanto.. - disse la donna che si era avvicinata nel frattempo. Aveva i capelli scuri e gli occhi tristi. - Ci dispiace per i tuoi genitori..sono morti.. - continuò l'uomo accabto a lei. - Eravamo nell'altra macchina. Ci dispiace. - ripetè.

Ilse lo guardò portare le ginocchia al petto e piangere silenziosamente. - Sei in un orfanotrofio, adesso, sei al sicuro. Dei nuovi genitori si prenderanno cura di te. - disse dolcemente.

Ed risollevò la testa. - Ma c'è mia sorella qui con me. -

La donna lo guardò stranita. - Qui..dove? -

Edward ripetè – C'è mia sorella. E' qui, qui accanto a me, vedi? - e indicò un punto poco lontano.

Ilse sospirò. - Hai avuto un trauma cranico, potresti avere le allucinazioni.. -

Il ragazzino guardò Arabella per chiedere conferma di ciò che diceva, ma lei lo guardò triste.

I brillanti capelli rossi si ingrigirono, così come i vestiti, le pelle, gli occhi. Sembrava che qualcosa le stesse succhiando via i colori, la vita. Gli occhi divennero vitrei e lucidi come biglie di vetro.

Sorrise tristemente. - Ciao, Edward – e scomparve.
















 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi / Vai alla pagina dell'autore: ThatTinyGirl