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Autore: Letizia25    26/07/2015    2 recensioni
Si stringono forte, Michael e Calum.
Stringono come se non ci fosse un domani quella stella solitaria che sono riusciti a scovare una notte di settembre di quattro anni prima e che da quel momento non hanno mai lasciato andare; quella stella solitaria che è riuscita ad illuminare il loro mondo in un modo che mai avrebbero creduto possibile; quella stella che si sono ritrovati ad amare profondamente, senza limiti, nonostante i problemi ed i casini più grandi di loro.
Quella stella che li fa sempre sentire a casa.
Quella stessa stella a cui Calum sarà sempre grato, per ogni più piccola cosa che ha fatto per loro due, per la loro storia, per il loro amore.
*
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Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Calum Hood, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Lonely star
 
 
 
Silenzio.
C’è solo silenzio, fuori e dentro di lui.
Un silenzio che non ha la benché minima intenzione di andarsene.
Un silenzio che ha preso tutto quel che c’è e lo ha intrappolato, lo ha incatenato ad un qualcosa che lui non è mai stato in grado di capire. Un qualcosa che gli ha sempre impedito di essere libero, gli ha sempre impedito di buttare fuori quello che ha dentro.
Un silenzio che gli ha portato dentro una tristezza infinita. Una tristezza che ha bloccato ogni singola cosa di lui: la parola, i pensieri, i sentimenti. Una tristezza che lo ha bloccato, lo ha reso schivo, tetro, freddo.
Lo ha reso grigio, non vivo, proprio come il cielo che sta osservando da quelli che sono tre quarti d’ora buoni.
Tre quarti d’ora spesi ad aspettare. Che poi neppure lui sa cosa ci sia per cui poter avere un po’ di speranza, per cui avere la forza ed il coraggio necessari ad aspettare.
Aspettare cosa? Un segno? Un cambiamento? Una speranza che non si fa vedere, che lui non riesce a vedere nonostante i suoi sforzi che giorno dopo giorno si fanno sempre più vani?
Perché a lui serve, una speranza a cui aggrapparsi, da cui poter trarre quel poco di coraggio che gli manca per andare avanti, per non lasciarsi andare, per non perdere quel poco che resta di sé. Ma è così difficile. È tutto troppo difficile, e lui non ha la benché minima idea di come tirarsene fuori.
Sono tre quarti d’ora che aspetta.
Aspetta forse l’unica cosa certa di tutta la sua vita.
Aspetta lui.
L’unico che non se n’è mai andato, nonostante tutto; che riesce qualche volta a portare un tenue bagliore di luce in tutto quel silenzio, in tutto quel grigio che lo avvolge e che non lo lascia andare; che merita di venirlo a trovare in quel posto, in quell’inferno che non lo aiuta, non l’ha mai fatto e continuerà a non farlo.
Un posto che per quelli “di fuori”, per quelli non coinvolti in prima persona, è una liberazione, un aiuto a togliersi un peso che non riescono a fronteggiare e a sopportare, semplicemente perché se ne lavano le mani, giorno dopo giorno, senza mai voltarsi indietro a vedere se quello che lasciano ci sarà ancora oppure no.
Ma per chi lo vive, per chi abita in luoghi come quello, è come stare all’inferno, è una prigione, da cui non si può fuggire e in cui si rimane a combattere da soli con i propri dubbi, le proprie paure, i propri problemi.
Perché le parole dei dottori, le medicine che devono ingerire anche se non vogliono e tutto il resto non potranno mai cambiare niente di quello che le persone rinchiuse lì dentro hanno dentro. Non c’è speranza, per nessuno di loro, neppure con quell’effimera illusione che dà il fatto di poter dire che si potrà guarire. Perché a nessuno di loro è concesso un simile regalo.
Sono lì, chiusi come bestie, come se il fatto di “non essere come la società vuole che tu sia” possa essere una giustificazione sufficiente per catalogare le persone, per far decidere ad altri come debba essere la loro vita.
Le persone “di fuori” col tempo hanno cambiato il nome di quelle prigioni. Li chiamano Centri di salute mentale. Ma per lui, per tutti, per ogni singola persona che è rinchiusa lì dentro e che continuerà a restarci e ad entrarci, quel posto è e continuerà ad essere sempre il Manicomio.
E per tutti loro, il manicomio è l’inferno sulla Terra.
E non ci sarà mai scampo da quella prigione.
Una prigione dove lui non riesce ad affrontare la sua difficoltà, il suo rapporto problematico con se stesso, con i propri sentimenti, con gli altri.
Un posto in cui si è ritrovato per forza di cose, a causa di quel problema che lentamente, col passare degli anni ha preso campo dentro di lui senza dargli la possibilità di difendersi.
Depressione.
Ecco come i medici di quell'inferno catalogano il suo problema, catalogano lui; come un altro numero da aggiungere ad una lista che non ha valore; come se tutte le persone rinchiuse lì non abbiano valore, non abbiano quel minimo di dignità che spetta ad ogni essere umano. Perché alla fine il problema è proprio quello: i rinchiusi, i prigionieri, i malati spesso non sono considerati umani, e a volte neppure visti come bestie.
Funziona così in quell'inferno, e lui ormai ha rinunciato già da tempo a combattere per se stesso, lasciando ogni cosa di sé e della sua vita in balia del caso.
L’unica nota positiva in quel mondo che non ha colori è lui, quell’unica persona che non l’ha mai abbandonato, mai lasciato solo in quel girone dantesco di anime perdute lasciate a combattere da sole, inermi, contro la forza dirompente della vita.
Chiude un attimo li occhi. Li riapre. Tutto è uguale a prima. L’inferno non cambia.
Tranne – forse – per un’infermiera che gli si sta avvicinando.
«Calum, è arrivato.»
 
Cammina piano; le impronte dei piedi che si imprimono sulla neve soffice; il respiro tiepido che si condensa un poco a causa di quel freddo penetrante che l’inverno porta con sé ogni volta; i lievi brividi che gli percorrono la pelle chiara; il cuore che – come al solito – batte un poco più forte, sempre e solo per quell’unica persona speciale che lui detesta vedere in quel modo, da quelli che ormai sono quattro lunghi anni.
Anche se fa freddo, gli piace camminare. Lo aiuta a pensare, a vedere le cose in maniera più lucida, o almeno così crede. Perché quando si tratta di pensare a lui, al suo ragazzo, niente ha più senso e tutto diventa più difficile, man mano che il tempo scorre. Tempo che ha sempre remato contro ad entrambi e che lentamente li sta dividendo, sta facendo sfumare ogni sforzo che avevano fatto prima che tutto il resto accadesse.
Si stringe addosso la sciarpa nera ed il cappotto, mentre i passi diventano meno veloci, meno pesanti, con la neve che ha appena ripreso a cadere e che sta nuovamente ricoprendo tutto con quel manto bianco che acceca e che, a lui, fa nascere dentro un’ansia enorme, dovuta proprio a quel colore.
Perché lui, il bianco, lo odia, totalmente.
È un colore senza senso, senza alcuna sfumatura, vuoto; o almeno così crede lui. Un colore che non trasmette alcuna emozione e che troppo gli ricorda il luogo verso cui è diretto ma a cui non vorrebbe mai arrivare, anche se proprio lì dentro c’è lui. Un colore che non ha consistenza.
Tutto il contrario del nero, il suo colore preferito. Perché nel nero non ci vede niente di sbagliato. Semplicemente, quel colore scuro riesce a fargli sentire qualcosa – anche se molto indefinito – riesce a fargli sentire la consistenza della vita e, anche se non ha sfumature, lo attira come una calamita. Gli ricorda che prima di quel casino, tutto andava bene.
Alza gli occhi verdi, che vanno a posarsi quasi con riluttanza sull’edificio che si ritrova davanti. Sospira e spinge piano la porta di ingresso di quel luogo che non gli è mai piaciuto. E non a causa delle persone che vi sono rinchiuse, tenute come animale; no. Di posti simili, detesta chi li dirige e chi fa star male in pazienti, quando invece dovrebbe solo pensare a come farli stare meglio.
Arriva al banco informazioni e, come al solito, l’infermiera che vi lavora lo saluta con un ampio sorriso.+
«Vai pure, Michael. Ti sta aspettando da un po’ oggi.»
Il ragazzo le sorride di rimando e si avvia, con calma, cercando di immaginarsi se lui stia meglio quel giorno, se sia migliorato almeno un poco, chiedendosi quando la loro vita insieme potrà finalmente iniziare. Perché lui ci spera, spera davvero tanto che il suo ragazzo esca di lì un giorno o l’altro, per continuare finalmente quello che era stato interrotto anni prima, a causa della famiglia del suo ragazzo.
«Vogliamo solo che stia bene.»
E lo vuole anche lui, con tutte le forze. Solo che… Avrebbe preferito non dover avere il tempo contato per stare insieme a lui, per dimostrargli quanto ancora lo ami e quanto ancora sta tenendo duro, quanto ancora sta lottando per non far finire il loro amore. E sa che pure lui lo sta facendo, anche se spesso non lo dimostra.
Si fa largo tra la moltitudine di persone che – come lui – è andata lì per far visita a qualcuno di importante, di caro. E si sorprende nel vedere così tanta gente. Di solito non c’è quasi mai nessuno durante l’orario delle visite. Probabilmente perché le persone che si definiscono “normali” non vogliono stare troppo vicino a chi è strano, diverso, malato, quasi come se la vicinanza con chi ha queste problematiche possa renderle diverse, sbagliate per quella società che non ammette niente fuori dalla normalità.
Che poi, lui alla fine ha sempre pensato che la normalità è relativa alla singola persona; ha sempre creduto che ognuno ha la proprio normalità che deve essere rispettata integralmente almeno fino a che non danneggia gli altri i qualche modo.
Sospira e cerca quegli occhi scuri che tanto gli sono mancati; in cui è sempre riuscito a trovare quella parte di sè che senza di lui non avrebbe mai scoperto e mai apprezzato; nel cui color nocciola scuro riesce sempre a trovare il suo ragazzo, ogni cosa di lui, nonostante quel silenzio pesante ed opprimente che sta mandando lentamente a pezzi ogni cosa che con fatica erano riusciti a costruire. Quegli occhi in cui ha sempre trovato rifugio, conforto, comprensione in ogni momento, anche e soprattutto in quelli più difficili.
E alla fine, quegli occhi li trova, addosso a lui. Li trova e sorride. Perché Calum dal vivo è ancora più bello di quanto ricordasse. Bello quanto una stella. La sua stella solitaria.
 
«Ciao, Calum.» lo saluta Michael, non appena si siede davanti al moro, 
Quest'ultimo lo guarda a lungo, sorridendo piano, con qualche difficoltà, quasi incredulo di vedere che il suo ragazzo continua a combattere per loro due; incredulo di vederlo lì, in mezzo a quelli “sbagliati”, in mezzo a quelle persone che la società non vuole ammettere, non vuole considerare; quelle persone che non hanno alcuna possibilità di poter vivere una vita “normale”. È incredulo, Calum, perché vedere Michael proprio davanti a lui gli dà speranza, gli fa pensare di avere ancora una misera possibilità in quello schifo di mondo che non aiuta chi resta indietro, che non aiuta chi è come lui.
Lui, che lentamente si è lasciato andare, ha lasciato che con gli anni quella depressione, quella tristezza e quella “non voglia” di vivere prendessero il sopravvento su di lui, spingendolo a costruirsi muri attorno, spingendolo a chiudersi sempre più a riccio, allontanando gli altri passo dopo passo. Tutti, eccetto Michael, l'unica persona in grado di capirlo, di aiutarlo, di sorreggerlo ogni volta che cadeva. Perché tutte le volte che Calum aveva pensato di farla finita, di togliersi la vita, Michael era sempre riuscito a fargli cambiare idea, era sempre riuscito a salvato. Michael è sempre stato l'unica ragione per cui Calum ha continuato a combattere, ha continuato a vivere, nonostante quella tristezza infinita e senza senso che si porta dentro da troppi anni e che ha danneggia troppe cose. 
«Come stai?» chiede intanto il ragazzo dai capelli colorati, con quel tono preoccupato che il moro conosce fin troppo bene e che lo riporta con la mente sulla terra, riuscendo a strappargli un lieve sorriso. Poi Calum prende la mano dell'altro tra le sue.
E Michael non potrebbe chiedere niente di meglio come risposta. Una risposta positiva che stava aspettando da anni, una risposa a cui non riesce quasi a credere ma a cui si ancora per non mollare, per avere una motivazione in più per continuare a combattere per quell’amore a cui tiene più di se stesso. Perché lui conosce Calum meglio di chiunque altro e sa quanto importante sia il gesto che il moro ha appena compiuto. Un gesto che in condizioni normali il suo ragazzo non avrebbe mai fatto. Un gesto che, nella sua piccolezza, nella sua semplicità, gli dà quella speranza di cui aveva assoluto bisogno. Una speranza che lo convince ancora di più a continuare a lottare, non importa quanto sarà difficile.  Perché quel gesto gli ha appena dato la conferma che Calum sta migliorando, anche se di poco; gli ha fatto capire che c'è ancora tanto da poter salvare e che, nonostante tutto, nonostante tutti, pure l'altro sta combattendo per loro due.
E adesso che il suo ragazzo è davano a lui, pure Calum lo sente dentro, quello strano cambiamento che proprio non ha la benché minima idea di come potersi spiegare. Un cambiamento, forse l'unica cosa che – dopo Michael – aspettava da quando tutta quella situazione era cominciata in un modo che neppure lui è mai riuscito a capire fino in fondo. 
Perché Calum non ha mai capito come tutto sia iniziato, come lentamente abbia iniziato a pensare che la sua vita fosse orribile, che nessuno lo capisse, che la sua vita non avesse alcun senso e che farla finita sarebbe stata la soluzione migliore. Non lo sa, e preferisce non saperlo.
Perché adesso che Michael, la sua stella solitaria e preziosa in mezzo a tutto quel buio, è lì, Calum sa che non ha più nulla da temere, più nulla da cui doversi difendere. Perché la luce di Michael basta a migliorare ogni buco nero della sua vita; basta a fargli ritornare il sorriso sul viso, un sorriso dolce, timido, vero, vivo.
Quello stesso sorriso che Michael sta osservando attentamente in quel preciso momento; quello stesso sorriso che gli scalda il cuore e glielo fa battere così forte che potrebbe uscirgli fuori dal petto da un momento all'altro. Quel sorriso che, in quel posto pieno di lacrime trattenute, di parole urlate in silenzio, è la cosa più preziosa di qualsiasi altra. 
«Mi... Mi manchi, Cal.» ammette, mentre con i suoi occhi tanto verdi da essere quasi trasparenti cerca quelli nocciola dell'altro; mente il cuore inizia a fargli un po' male se pensa che il suo ragazzo dovrà stare in quell'inferno per chissà quanto altro tempo ancora. 
Gli manca stare con lui, gli manca poterlo abbracciare e poterlo baciare ogni volta in cui ne sente il bisogno. Gli manca poter fare l'amore e potersi svegliare la mattina dopo con lui, stringerlo e respirare il suo profumo. Gli manca ogni singola cosa che condividevano. Semplicemente, gli manca la persona che ama.
Le stesse cose che pure a Calum mancano, più dell'aria, più di tutte le altre cose che facevano parte della sua vita "di prima", prima che tutto cambiasse e che lui venisse rinchiuso in quell'inferno, a combattere completamente da solo quella tristezza e quel silenzio che piano piano avevano rovinato tante cose. Tante cose in cui, grazie al cielo, il suo amore per Michael non è andato a finire. Perché quel sentimento troppo forte è ancora lì, ancora vivo, e batte prepotente dentro di lui. 
Quello stesso sentimento che ha sempre dato a Michael la forza necessaria per andare avanti e per non rinunciare a niente di quel poco che ha con Calum e che non vorrebbe perdere per nessuna ragione al mondo. 
Per questo motivo, il ragazzo dai capelli colorati sorride al moro e, senza riuscire più a contenersi, lo stringe forte, in un abbraccio di cui avevamo bisogno entrambi, per riunire i pezzo distrutti dei loro cuori e per lenire tutte quelle ferite che non li lasciano mai andare. 
Si stringono forte, Michael e Calum. 
Stringono come se non ci fosse un domani quella stella solitaria che sono riusciti a scovare una notte di settembre di quattro anni prima e che da quel momento non hanno mai lasciato andare; quella stella solitaria che è riuscita ad illuminare il loro mondo in un modo che mai avrebbero creduto possibile; quella stella che si sono ritrovati ad amare profondamente, senza limiti, nonostante i problemi ed i casini più grandi di loro.
Quella stella che li fa sempre sentire a casa.
Quella stessa stella a cui Calum sarà sempre grato, per ogni più piccola cosa che ha fatto per loro due, per la loro storia, per il loro amore. 
«Grazie, Michael.» si ritrova, appunto, a dire, non sorprendendosi di aver parlato, ma facendo un regalo immenso al suo ragazzo.
Perché per l'altro quelle poche parole sono molto più di quanto avrebbe mai potuto sperare, dopo quattro anni di silenzi che parevano non trovare mai una fine. Le prime parole che Calum riesce a dire senza provare un peso sul cuore. Le prime parole che Michael sente dopo troppo tempo e che sono le più belle del mondo. Parole a cui non riesce a credere e per le quali ringrazia qualsiasi cosa sia sopra le nuvole per avergli fatto un regalo immenso come quello, per il quale aveva sperato ogni singolo giorno da quando tutto quel casino era cominciato. Ed ora che quel desiderio ha trovato vita, Michael adesso può solo sperare che il suo ragazzo esca da lì il più presto possibile. 
Allora lo stringe forte. Stringe Calum come se fosse l'ultima volta, come a voler accettarsi che tutto quel che sta vivendo non è assolutamente un sogno, che invece è reale e vero, vivo. Vuole accertarsi che Calum stia davvero iniziando a stare meglio. 
Non si dicono altro. Forse perché non c'è alcun bisogno. Forse perché, ora come ora, le parole non esprimerebbero mai a sufficienza quello che entrambi sentono nel cuore. Semplicemente, restano lì in silenzio, a godersi ogni singolo istante di quel poco tempo che possono passare insieme; tempo che, tuttavia, non sarà mai abbastanza per nessuno di loro due.
Però non si lasciano abbattere e sorridono, felici, davvero felici.
E lasciano che quel poco tempo a disposizione che hanno passi così, con quel silenzio che è stato spezzato e con quella speranza che continuerà ad esserci nonostante tutto e tutti.
 
«Ti amo, Calum. Lo sai, vero?»
Il moro si ritrova a sorridere, felice come da tempo non era, a causa di quelle poche, semplici e vere parole che Michael gli dice prima di andarsene. E a sua volta stringe forte l’altro, ancora; per dimostrare ad entrambi che qualcosa per cui lottare ancora c'è; per dimostrare a se stesso che può farcela, se Michael è con lui; per dimostrare a se stesso che non tutto è perduto.
Dice solo poche parole, prima che Michael se ne vada del tutto. Poche parole, ma che comunque valgono più di tutto il resto, per tutti e due.
«Ti amo anch'io, Michael.»






Letizia
Ciao a tutti! Come al solito, eccomi a postare una OS ad un orario davvero indecente, scusatemi!
E' che il momento migliore per scrivere per me è la sera, e allora eccomi qui, a sfornare storie ;).
Prima di parlare di questa piccolina (3.100 parole), volevo dirvi che partecipa al contest "Madhouse" indetto da littlefluffyfeffi su Facebook.
Allora, sinceramente non so se questa piccina abbia molto senso, però mi sono messa lì e devo ammettere che mi è piaciuta anche parecchio.
Ora, ammetto di non essere molto brava a trattare tematiche delicate (infatti la mia long su Ashton, Insegnami a vivere, è una vera sfida per me), per questo ho solo accennato alla depressione di Calum e non l'ho affrontata a fondo, perchè mi sono concentrata su altro. 
Sul tema della stella solitaria, per la precisione, ovvero sul fatto che Cal e Mike, nonostante la situazione brutta in cui sono andati a trovarsi, avrano sempre una piccola luce nella loro vita, una piccola stella che continuerà a dar loro speranza.
Il manicomio l'ho solo usato perchè Calum ha provato più volte a togliersi la vita - nonostante Michael lo avesse aiutato a ragionare almeno un po' più volte. Era l'unica idea che mi era venuta in testa, scusate :'). Ripeto, nono fanno per me queste tematiche o queste ambientazioni. Però alla fine mi sono detta "Proviamo, alla fine è un'occasione per provare qualcosa di nuovo!". E, nonostante tutto, sono davvero contenta del risultato ottenuto!
Grazie per l'attenzione e scusate queste note chilometriche, ma erano necessarie. Spero che vi sia piaciuta ;).
Grazie fin da ora per ogni cosa e a presto! <3
Un bacione, Letizia <3
   
 
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