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Autore: Akemichan    26/07/2015    3 recensioni
"Per gli Alleati e per la Germania, sarà il giorno più lungo." E. Rommel.
Il 6 Giugno 1944 è il giorno che ha cambiato le sorti della Seconda Guerra Mondiale, permettendo agli alleati di sbarcare in Francia ed iniziare la controffensiva contro la Germania. Tuttavia, è stato anche il giorno che ha cambiato le sorti di molti soldati presenti, sia i morti e i sopravvissuti.
Come Sabo, nobile francese, che si è ritrovato a fare i conti fra il suo sogno, la sua famiglia e un paese invaso da liberare. Come Ace, che è diviso tra il desiderio di vendicare un fratello e il dovere di proteggere l'altro, senza dimenticare la promessa che ha fatto ad entrambi. E assieme a loro le storie delle persone che amano, dal fratellino Rufy con il sogno di diventare campione olimpico a tutte quelle persone che hanno caratterizzato la loro vita fino a quel fatale 6 Giugno.
Questa è la loro storia, la storia di tutti loro.
1° Classificata al Contest "Just let me cry" indetto da Starhunter
2° Classificata al Contest "AU Contest" indetto da Emmastar
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ace/Marco, Koala, Marco, Monkey D. Rufy, Sabo, Sabo/Koala, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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1946 - Parte I
 
 
Colleville-sur-Mer, 6 Giugno
 
Se avesse progettato di tornare in Normandia per l'anniversario dello sbarco, probabilmente non ci sarebbe riuscito. Invece aveva semplicemente l'idea in testa, ma si era mosso a zig zag per tutta l'Europa prima di avere il coraggio di farlo e in questo modo aveva azzeccato la giornata giusta.

Aveva chiesto il congedo dall'esercito non appena la guerra era terminata, ma avevano potuto concederglielo solo alcuni mesi dopo. Aveva preso la sua Argus C3 e i rullini che era riuscito a farsi spedire e si era messo a girare per l'Europa. La notizia che aveva avuto una medaglia per meriti di guerra l'aveva raggiunto quand'era in Austria, purtroppo: gli sarebbe piaciuto rispondere che se la potevano infilare su per il culo per quanto gliene importava.

Si sentiva svuotato. Vincere la guerra e sconfiggere i tedeschi non aveva portato la soddisfazione per la vendetta che credeva, soprattutto quando aveva visto lo stato in cui versavano i civili a Berlino. Non aveva aiutato nemmeno sapere che la maggior parte delle vittime francesi degli ultimi due anni erano state provocate dagli Alleati.

Il fatto che le foto che aveva tentato di inviare ai giornali fossero state sequestrate e poi accuratamente censurate dall'esercito era stato il colpo di grazia. Fortunatamente non aveva scelto come prima spedizioni quelle che riteneva migliori e le aveva bruciate per poi tenere al sicuro solo i rullini. Tuttavia, non aveva voglia di tornare a Boston e non sapeva che cosa fare della sua vita.

Dopo aver visto i campi di concentramento in Polonia e i disastri che i soldati russi avevano portato sul proprio cammino, ed aver attraversato parte dell'Italia del nord, andare in Normandia era sembrata l'unica altra meta accettabile.

Aveva pensato di scendere alla spiaggia per trovare il coraggio di recarsi al cimitero, ma la trovò che pullulava di soldati francesi. Riconobbe le divise: erano della France Libre. Probabilmente stavano bonificando definitivamente la zona dalle mine tedesche, perché dopo lo sbarco gli alleati le avevano completamente abbandonate a se stesse, concentrandosi sul conquistare i porti per avere rifornimenti.

Non gli restava che farsi coraggio e salire direttamente al cimitero. Era rimasto più o meno uguale a come se lo ricordava, due anni prima, ma sembrava essere diventato più grande. In effetti, aveva solo senso dato che il numero dei morti era aumentato dopo lo sbarco, ma aveva pensato che molte famiglie avessero chiesto indietro i corpi.

L'erba era ricresciuta rigogliosa in mezzo alle tombe e le croci, un tempo dei semplici rami messi assieme con delle corde, erano state sostituite di recente con delle altre, sempre di legno ma costruite con cura. Erano sparite le targhette e il nome dei soldati era stato inciso direttamente sul legno.

Cercò di richiamare alla memoria dov'era la tomba del fratello, ma non era facile dato che apparivano tutte uguali. Non gli restò che camminare nella zona che gli sembrava più somigliante al passato e leggere tutti i nomi finché non la trovò. C'era un mazzo di fiori posato davanti alla croce, ed erano freschi. Ce n'erano parecchie che avevano un onore simile.

Ace si chiese di chi fossero. Rufy aveva moltissimi amici nell'esercito e qualcuno era sopravvissuto. Possibile che prima di essere congedati dall'esercito e tornare a casa uno di loro avesse deciso di passare dal cimitero, come aveva fatto lui stesso. Si sedette di fronte alla croce continuando a fissare quel mazzo di fiori e alla mente gli tornò la domanda che si era fatto praticamente ogni giorno nei due anni precedenti: “Perché sono sopravvissuto?”.

Rufy aveva una promettente carriera nel pugilato, piaceva a tutti e aveva persino degli ammiratori che lo idolatravano. Marco era una brava persona e non aveva fatto altro che appoggiarlo ed aiutarlo. Sabo aveva rinunciato a tutto per combattere per la sua patria, perché riteneva che fosse la cosa giusta da fare. Odr era stato un vero amico e non l'aveva mai abbandonato, qualunque decisione avesse preso. Il Generale Newgate era il miglior comandante del mondo.

Tutte queste persone fantastiche erano morte e lui era sopravvissuto a tutto. Non era mai nemmeno stato ferito! Era come se il destino avesse deciso di prendersi gioco di lui, in modo che ogni giorno della sua vita si rendesse conto che era ancora vivo, ma da solo e senza meritarlo assolutamente. Morire sarebbe stato troppo semplice, per uno come lui.

Non tutti i suoi amici erano morti: Doma e Squardo se l'erano cavata bene ed erano entrambi già tornati in America. Più della metà dei Colonnelli della 29° Divisione erano sopravvissuti ed erano ancora in Europa, perché dovevano monitorare la situazione di Berlino. Kidd aveva perso un braccio ma era più in forma che mai, e pure Law, perché a quello non l'ammazzava nessuno. Ace sapeva che anche Zoro e Sanji, gli amici di Rufy, erano vivi e avevano deciso di continuare la carriera nell'esercito. Nessuno di loro, tuttavia, era importante quanto coloro che aveva perso.

Incapace di piangere e di dire o pensare qualcosa di sensato, rimase semplicemente seduto davanti alla croce, con le gambe incrociate finché queste non iniziarono a formicolargli. Allora si alzò per scattare qualche fotografia del cimitero e del mare che si vedeva dalla cima della collina. In questo modo notò che i soldati francesi si erano ritirati dalla spiaggia e decise che era venuto il momento di scendervi.

In realtà era la prima volta in assoluto che lo faceva: durante la guerra non ce n'era stato il tempo, se non per recuperare i cadaveri, e quando aveva lasciato Point du Hoc anche quel lavoro era già stato eseguito. Però l'aveva vista dall'alto e in quel momento non sembrava assolutamente quella che era un tempo. Ora non era altro che una normalissima spiaggia di sabbia bianca che si allungava in lontananza. Niente più armi abbandonate ovunque o navi minacciose all'orizzonte, o parti di carri armati mezzi affondati sulla riva.

Come spettacolo era quasi deludente. Una cosa però attirò l'attenzione di Ace: era rimasto un unico soldato francese a Omaha Beach. Era in piedi a pochi metri dalla riva, le braccia abbandonate lungo i fianchi, e gli dava le spalle, fissando l'orizzonte di fronte a sé. Sotto il basco blu che i soldati della France Libre indossavano poteva vedere dei ciuffi di capelli biondi e ricci che il vento faceva leggermente muovere. Il profilo si vedeva appena, ma appariva molto giovane.

Senza nemmeno pensarci Ace prese la sua macchina fotografica e scattò delle foto al soldato e al paesaggio. Il rumore degli scatti dovette attirare la sua attenzione, perché si girò subito nella sua direzione, con la mano che andò immediatamente alla cintura dove teneva la pistola. Ace riconosceva il gesto, era tipico dei soldati che dovevano sempre essere pronti a sparare perché dietro di loro avrebbe potuto esserci un nemico.

Lasciò la Argus, che si abbassò di scatto dondolando sul suo petto, ed alzò le mani, per dimostrare che non era armato. «È vietato stare qui?» domandò, in americano. Aveva notato che le persone tendevano a rispettarlo maggiormente se capivano che era uno degli Alleati.

Il soldato lo stava fissando con gli occhi spalancati, per cui Ace pensò che forse fare delle fotografie non era stata una buona idea, magari per le leggi francesi non era permesso fotografare le zone di guerra. Però ora poteva guardarlo meglio: era effettivamente giovane, come sembrava dal profilo, e aveva una grossa cicatrice che gli prendeva il lato sinistro del viso, proprio attorno all'occhio.

«È vietato stare qui?» ripeté, dato che non aveva ricevuto risposta. Parlò in francese, pensando che non conoscesse la sua lingua e quindi non avesse capito la prima domanda.

Il soldato gli si avvicinò, camminando lentamente. Aveva tolto la mano dalla pistola e non appariva irritato dall'intero avvenimento, ma sconvolto. Quando gli fu ad un passo si fermò e continuò a scrutarlo per un attimo.

«Ace...?»

Fu il turno di Ace di essere sconvolto. Durante la guerra aveva avuto poco a che fare con l'esercito francese e anche se si era distinto come soldato, era impossibile che il suo nome fosse diventato così famoso. Inoltre non aveva senso essere trattato in quel modo da qualcuno che lo conosceva come Ranger, la reazione sarebbe stata totalmente diversa. C'era solo un motivo possibile.

«Sabo...?»

Nessuno dei due rispose effettivamente alla domanda dell'altro, ma non ce n'era davvero bisogno. Si gettarono l'uno nelle braccia dell'altro, cadendo in ginocchio sulla sabbia. Ace credeva di aver esaurito tutte le sue lacrime quando Marco era morto, ma in quel momento le sentiva scendere copiose sulle guance come il giorno in cui aveva ricevuto la lettera di Stelly. Le sue braccia stringevano spasmodicamente la schiena e le braccia dell'altro, premendo sulla ruvida stoffa della divisa fino a sentire la carne calda e resistente al di sotto. Contemporaneamente avvertiva le braccia di Sabo che lo stringevano e le sue dita che si muovevano su di lui. La Argus era in mezzo a loro due e premeva dolorosamente contro i loro petti. Il suono della risacca era completamente coperto dai loro singhiozzi.

«Pensavo che fossi morto!» riuscì a dire quando ebbe la quasi certezza che non se lo stava sognando. Il naso aveva iniziato a colargli e il moccico gli scendeva sulle labbra; probabilmente non era una bella visione, ma non gli importava.

«Mi dispiace così tanto...!» Sabo gli parlava senza nemmeno ascoltarlo. «Sono entrato nella resistenza... E poi c'erano i tedeschi... Non potevo mandare una lettera, non potevo parlare con nessuno...»

«Pensavo che fossi morto...» ripeté Ace, in cui iniziava a farsi strada il senso di colpa per non averci creduto prima. «Stelly mi aveva mandato quel certificato e io... E io...»

«Stelly?» Il nome aveva risvegliato per un attimo Sabo e la voce era diventata più ferma.

Ace ne approfittò per pulirsi il naso dal moccico con il dorso della mano. «Dopo la resa della Francia abbiamo cercato di avere notizie su di te e lui mi ha mandato questo certificato di morte che-»

«Quella piccola merda!» lo interruppe di scatto Sabo. «Oh, scommetto che ci ha goduto. Ma la vedrà, mi prenderò l'eredità che mi spetta fino all'ultimo centesimo. Ne abbiamo più bisogno noi, qui in Francia.»

Ace non vedeva Sabo da sette anni. Sette lunghi anni. Per questo non l'aveva riconosciuto subito, era cambiato un sacco. La guerra li aveva entrambi fatti diventare degli uomini maturi con grande esperienza della vita. Ma in quel momento ebbe la certezza che suo fratello, di base, non era cambiato affatto. Era come tornare indietro nel tempo a prima di quell'inferno.

«Anche tu, però, dov'eri finito?» domandò Sabo, che aveva deciso di aver dedicato fin troppo tempo a parlare di Stelly. «Ti ho cercato dappertutto, ho chiamato Garp e m'ha detto che eri nell'esercito, ma nessuno sapeva niente di te, per loro non esistevi. E io non riuscivo a capire dove fossi finito e temevo...» Non finì la frase perché gli stavano tornando le lacrime.

Solo in quel momento Ace si rese conto che non gli aveva mai detto qual era il suo vero nome. «Nell'esercito mi sono arruolato come Gol D. Ace, che è il cognome di mio padre» gli spiegò. «Portgas era il cognome di mia madre. Se mi hai cercato con quello è normale che non sapessero chi fossi. Mi dispiace» aggiunse immediatamente, rendendosi conto dello sguardo che Sabo gli stava rivolgendo.

«Perché?» Il tono era deluso. Oltre alla paura e allo sgomento che aveva provato nel non trovarlo, ora subentrava un senso di smarrimento all'idea di aver passato tutti quegli anni senza sapere una cosa così importante.

«Non so perché non mi è mai venuto in mente di dirtelo» rispose Ace, deglutendo. «Mio padre è stato giustiziato come disertore dopo la Grande Guerra e mia madre è stata uccisa per questo, senza ottenere giustizia da nessuno, perché persino i poliziotti pensavano che se lo fosse meritato» raccontò. «Sono sempre stato giudicato per mio padre e quando sono venuto in Francia ho cercato di essere qualcun altro. Tu non sapevi niente di questa storia e finalmente potevo essere me stesso e poi...»

«Io non ti avrei giudicato» affermò Sabo. Era come vedere un lato di Ace totalmente nuovo e la cosa lo deludeva. Nonostante i cambiamenti fossero stati normali in quei setti anni, aveva avuto l'impressione che in fondo non fosse cambiato affatto. Questa però era una novità. Ora capiva anche da cosa derivava l'avversione per i poliziotti.

«Lo so. Mi dispiace» ripeté. «Non ci ho più pensato, semplicemente.» Si sentiva tremendamente frustrato: aveva ritrovato il fratello dopo anni che aveva creduto di averlo perso per sempre ed era saltato fuori che gli aveva nascosto una cosa fondamentale. Si sarebbe preso a pugni.

Non dissero più nulla, rimasero seduti sulla sabbia rivolti verso il mare, ad ascoltare il suono lento delle onde e il loro respiro. Poi Ace si rese conto di una cosa importante: Sabo non gli aveva chiesto nulla di Rufy. Lo scrutò per un attimo, pensando di aver trovato il proprietario dei fiori. Lo sapeva, doveva saperlo se aveva chiamato l'esercito. Era quasi grato di non dover essere lui a dirglielo.

Sabo aveva voltato leggermente lo sguardo verso la sua macchina fotografica, poi aveva alzato la testa sentendosi osservato. Gli occhi gli diventarono lucidi per un attimo e tornò a fissare l'orizzonte.

«È morto qui, vero?» disse infine. «Omaha Beach, Red Dog. Il settore peggiore dello sbarco.» Si sentiva che ne voleva parlare e che contemporaneamente la cosa lo distruggeva, per cui aveva accuratamente evitato di dire il nome ed Ace gliene fu grato. Sentiva la gola totalmente impastata. Annuì lentamente.

«Ha comunque salvato il culo a tutti, prima.» Marco aveva tentato di consolarlo nello stesso modo, per cui sapeva che non avrebbe funzionato, ma glielo doveva far sapere comunque. «Sono riusciti a sfondare grazie al suo esplosivo che ha distrutto il sistema di difesa.»

«Raccontami com'è stato.» La fatica nel formulare la richiesta era papabile nel tono di voce.

«Io non sono sbarcato qui.» Ace allungò la mano per indicare Point du Hoc: la punta della penisola si vedeva perfettamente in lontananza. «Il mio obiettivo erano le difese tedesche di quella zona.»

Sabo aveva voltato lo sguardo seguendo la direzione indicata, poi fissò Ace con gli occhi spalancati. «Tu eri nel Battaglione dei Ranger?!» esclamò. «Avete compiuto un'impresa incredibile!» Aveva sentito il racconto dai membri della France Libre che aveva incontrato quando avevano riunito l'esercito e ancora si chiedeva come avessero fatto.

«Sì, be', grande impresa» mormorò Ace. Lo stupore del fratello lo lusingava, ma aveva smesso da anni di godere delle proprie vittorie. «Mentre Rufy era qui a morire sulla spiaggia, noi eravamo a distruggere armi che non c'erano...»

Sabo sapeva anche quello. «Noi della resistenza ve l'avevamo detto» puntualizzò.

«Lo so!» sbottò Ace. «Ma i nostri superiori se ne sono sbattuti. Se avessi saputo che la notizia veniva da te, stai sicuro che non mi sarei mosso!» Le informazioni potevano essere sbagliate, ma non se gliele comunicava Sabo.

Lui era tornato a fissare Point du Hoc. «Non sareste dovuti venire.» Era un'affermazione secca. Poi si voltò verso Ace e gli occhi erano di nuovo pieni di lacrime. «Perché siete venuti...? Perché siete venuti per me...?» aggiunse.

Improvvisamente, Ace ebbe la chiara visione di come era stato per Sabo ricevere la notizia della morte di Rufy. Lui ne era rimasto devastato, ma sapeva a priori che poteva accadere, erano in guerra. Era rimasto sconvolto ricordando come si erano parlati pochi giorni prima. Ma Sabo non li vedeva da quattro anni, non aveva potuto contattarli per quattro anni ed era convinto che fossero al sicuro. Aveva combattuto una guerra per quattro lunghi anni pensando che spettava a lui sopravvivere per rivederli.

«Dovevamo farlo» rispose semplicemente. «Come dovevi farlo tu.»

«Non me lo perdonerò mai.»

Ace non disse nulla. Avrebbe potuto parlare a lungo, ripetendo tutte le cose che gli erano state dette per consolarlo, ma la realtà era che nemmeno lui se lo sarebbe mai perdonato. Non era nemmeno colpa loro, ma avrebbero sempre portato sulle spalle il pensiero che non erano riusciti a proteggere il loro fratellino.

«Sai, Rufy non ha mai creduto che tu fossi morto» gli disse. «Era convinto che venendo in Francia saremo riusciti a trovarti, mentre io non volevo farmi illusioni. E aveva ragione.» Tirò su col naso perché aveva ripreso a colargli. «Ha sempre avuto ragione.»

Sabo stava piangendo di nuovo, ma poi si pulì la faccia col manico della divisa e si alzò. «Andiamo a dirglielo» affermò.

«Credo di dovergli delle scuse» aggiunse Ace, afferrando la mano che gli stava porgendo per aiutarlo ad alzarsi. Si lasciarono la spiaggia alle spalle per risalire la collina verso il cimitero. Per evitare il silenzio, chiese: «Quando l'hai saputo?».

«Pochi giorni dopo» rispose Sabo. Camminava davanti a lui con il passo sicuro di un soldato esperto. «Sai, l'uomo che ha comandato la resistenza in Francia per conto di De Gaulle era suo padre.»

«Il padre di Rufy?!» Ace era stupefatto. Nessuno in famiglia ne aveva mai parlato e lui aveva dato per scontato che fosse morto così come la madre, anche se effettivamente non aveva mai visto la tomba.

«Già, è tipo una super-spia internazionale» disse Sabo divertito. Era stata la sua stessa reazione, un attimo prima della disperazione per la notizia che gli aveva portato. «Non si somigliano per niente, comunque.»

«Dov'è adesso?»

Sabo fece cenno con le mani per indicare un numero di magia. «Sparito. Immagino che sia da qualche parte del mondo a combattere ancora.»

Aveva provato a chiamarlo dopo la liberazione di Parigi, ma il Maggiore Howard non ne sapeva nulla, dato che il gruppo della France Libre che era con lui se n'era andato senza dirgli niente. Allora aveva chiesto direttamente a De Gaulle e aveva saputo che Dragon si comportava così: compiva la missione e poi scompariva. Appariva solo quando si aveva bisogno di lui e del suo gruppo. A Sabo era dispiaciuto perché avrebbe voluto ringraziarlo: era merito suo se era diventato un soldato, quando ormai non aveva più speranze.

Ace era così preso dal pensiero che Rufy aveva un padre del genere e che probabilmente non ne sapeva nulla che non si accorse che erano già arrivati al cimitero. Guardò davanti a lui e vide una ragazza che aveva appena portato dei fiori sulla tomba di suo fratello. Non la conosceva, ma figuriamoci se Rufy non aveva fatto amicizia con qualcuno tipo ovunque, anche dove lui non riusciva ad arrivare!

«Koala!» la salutò Sabo, alzando il braccio.

Lei li notò e sorrise, poi fissò incuriosita Ace e soprattutto la sua macchina fotografica. «È un giornalista?» domandò, in francese. Ne avevano visti tanti, ma solitamente non davano loro confidenza.

Sabo rise. «Koala, questo è Ace. Ace, Koala. È stata con me nella resistenza» spiegò, perché aveva notato in che modo il fratello passava lo sguardo fra loro due, perplesso.

Koala aveva spalancato gli occhi, fissandolo. «L'hai trovato» affermò, con un sorriso ancora più ampio.

«In realtà credo che sia più corretto dire che lui ha trovato me, ma comunque... sì.»

«Allora vi lascio soli» disse lei, dopo aver scoccato un'occhiata di traverso alla croce di legno. «Voi tre avrete da parlare.»

“Noi tre...?” si domandò Ace, e poi capì che stava parlando di Rufy, che anche se non era materialmente fra di loro era come se ci fosse. «Chi è quella?» domandò quando si fu allontanata abbastanza da non poterli sentire.

«Te l'ho detto, era nella resistenza con me.»

«Bugiardo.» Koala aveva dato chiaramente segno di conoscerlo abbastanza bene da sapere quali erano i rapporti che intercorrevano fra di loro e da capire di cosa avessero bisogno senza che glielo dicessero. Lui aveva parlato di Sabo solamente a Marco, il che la diceva lunga su che tipo di relazione potevano avere quei due. «Non ci credo che non hai combinato nulla con una ragazza così carina.»

«Be', una volta abbiamo finto che fosse rimasta incinta, in effetti» scherzò Sabo, ricordando quasi con piacere quell'avventura. Si rese conto che questo non aveva fatto altro che aumentare la sua curiosità, per cui cambiò argomento. «E poi tu che nei sai di ragazze carine? Manco ti piacciono!»

«Non è carina?»

«Sì che lo è» ribatté Sabo. Poi arrossì. «Ma non vuol dire che me la debba portare a letto...»

Ace lo guardò storto. «Ne riparleremo perché tu non me la racconti giusta.» Poi si chinò sulla tomba e parlò verso la croce: «Sappi che me lo sentirai dire solo questa volta ma... Avevi ragione».

Sia Ace sia Sabo ebbero la chiara impressione di sentirlo rispondere con quella sua risata contagiosa: “Te l'avevo detto!”.

«Non c'è nemmeno soddisfazione» commentò Ace, sedendosi. «In una situazione del genere me l'avrebbe rinfacciato per anni.»

Sabo si sedette al suo fianco. «Be', posso farlo io al posto suo, se vuoi.»

«Non ci provare.» Rimasero in silenzio per un po', poi Ace aggiunse, sfiorando la sua macchina fotografica: «Questa me l'ha regalata lui».

«Era un messaggio subliminale per ricordarti che avevi una promessa da mantenere?» scherzò Sabo. Fra tutti, Rufy era quello che teneva maggiormente al suo sogno, forse perché dipendeva anche dal senso di riconoscenza che provava per via di Shanks. Ne parlava continuamente. «È una bella macchina.»

«Funziona perfettamente!» Ace ne era molto orgoglioso, in quegli anni era l'unico modo che gli aveva fatto sentire i suoi fratelli al suo fianco anche se era solo. «E la tua?» domandò. Era stato proprio Sabo ad introdurlo a quel mestiere.

«L'ho persa nel bombardamento di Rouen.» La mano corse da sola a sfiorare la sua cicatrice, facendo chiaramente capire come se la fosse procurata. «Poi non c'è più stato tempo né la possibilità di procurarsene una... E adesso non ha più senso. Non c'è più nemmeno una promessa da mantenere.»

Ace deglutì. Era la stessa sensazione di vuoto che provava lui. Finché c'era un obiettivo il futuro davanti a loro appariva estremamente chiaro, con nessuna incertezza riguardante il fatto che sarebbero riusciti a realizzare i loro sogni. In quel momento sembrava che farlo non avesse più senso, dato che sarebbero stati incompleti. «Che hai intenzione di fare?»

«Entrerò in politica» fu la risposta decisa di Sabo. «De Gaulle si è dimesso quest'anno, ma io voglio continuare. Abbiamo perso la guerra anche per l'incapacità dei nostri governanti e io non voglio che succeda di nuovo.»

«Capisco.» In realtà Ace non era sicuro di capirlo, lui non aveva vissuto per anni in un paese occupato e la guerra era sembrata comunque qualcosa di poco personale, anche se la combatteva per la sua vendetta. Ma Sabo doveva averla vissuta in pieno.

«E poi non possiamo più fare quello che avevamo promesso, quindi...»

Ace deglutì e cambiò argomento. Pensare che non aveva più un obiettivo lo lasciava senza fiato ed era una sensazione che ritrovare il fratello gli aveva quasi cancellato. «Lascerai l'esercito?»

«Non appena avrò finito qui.» Sabo accennò con la mano al cimitero attorno a loro. «Abbiamo deciso di cedere questo terreno agli Stati Uniti come cimitero di guerra perpetua, ma c'è molto lavoro da fare. Alcuni corpi sono stati recuperati, altri sono tornati a casa su richiesta dei familiari» spiegò. «Inoltre abbiamo dovuto catalogare tutte le tombe e cercare di risalire a tutti i proprietari. Ci tengo personalmente.» Non aggiunse il perché ci tenesse, era chiaro per entrambi.

«Rufy rimarrà qui?» domandò Ace.

«Per Garp va bene, gliel'ho chiesto. Per te?»

«Sì. Credo che sia giusto così.» Il fratello aveva dato la vita per quella nazione e quella nazione avrebbe dovuto omaggiarlo come si doveva, così come avrebbe fatto con tutti gli altri soldati.

Poi ad Ace venne in mente una cosa e scrutò Sabo per un attimo. «Quindi tu sai tutti quelli che sono sepolti qui?» domandò.

«Io personalmente no, sarebbe impossibile» rispose con tono triste. «Ci sono dei documenti, vogliamo che i parenti possano ritrovare i loro cari» spiegò. «Ci sono persone che conosci?»

«Forse.» Non aveva idea se fossero rimasti sepolti o fossero stati spediti in America, però gli sarebbe piaciuto vedere le tombe se fossero state ancora in quel cimitero. Soprattutto quella di Odr, e poi... «Qui sono sepolti soldati morti per tutta la Francia o solo a Omaha Beach?»

«Spara il nome» disse Sabo. Aveva perfettamente capito che si riferiva a qualcuno di particolare.

«Colonnello di Brigata Marco.»

Sabo ci pensò per un attimo. «Oh, sì, mi ricordo.» Si alzò e si guardò intorno lungo la fila di tombe di legno. «Dunque... Mi pare di qui.»

«Avevi detto che non ti ricordavi a memoria.» Ace lo seguì, un po' tremante. Gliel'aveva chiesto tanto per, con la certezza che non fosse presente.

«Infatti, ma le sepolture degli ufficiali superiori sono rare e quindi è più facile che mi restino in mente» rispose Sabo, che infatti non procedeva del tutto sicuro, ma controllava attorno per richiamare le scene alla mente. «In più mi pare di ricordare che sia uno di quelli spostati di recente. Mi pare che venisse...»

«Da Brest.» Ace terminò la frase per lui. «Dove è morto il 10 Agosto del '44, verso le quattro e mezza del pomeriggio.»

Sabo si fermò un attimo a guardarlo, ma non aggiunse nulla. Continuò semplicemente a cercare la tomba finché non la trovò. Solo in quel momento affermò: «Eri lì». Ace annuì, con lo sguardo fisso sul nome inciso sulla croce di legno. «Chi era?»

«Il Colonnello che mi ha addestrato prima che entrassi nel Battaglione dei Ranger.» Fece una pausa e deglutì. «E l'uomo di cui mi ero innamorato.» Non l'aveva mai detto a nessuno, anzi, era forse la prima volta che lo ammetteva a se stesso. Però, se non l'avesse detto a Sabo, a chi avrebbe potuto dirlo?

Sabo si era limitato a fissarlo, con l'espressione a metà fra lo stupito e il dispiaciuto. Alzò il braccio per stringergli la manica della camicia. Poi gli fece una domanda insolita, che non si sarebbe mai aspettato: «Eri ricambiato?».

Annuì lentamente. «Credo che... avrebbe potuto funzionare.» La presa di Sabo sulla sua manica si fece ancora più stretta, prima di separarsi da lui e fare qualche passo indietro. Era chiaro che lo voleva lasciare da solo. «No. Resta.» Ace sfiorò il limite della croce, poi si chinò molto vicino. «Ciao, Marco...» mormorò sorridendo. Poi accennò con la mano a Sabo di fronte a lui. «Non ci crederesti mai, ma Rufy aveva ragione da sempre. Ho ritrovato mio fratello.» Chinò la testa fino ad appoggiare la fronte contro il legno. «Non ti devi più preoccupare per me adesso, perché non sono più da solo. Non sono rimasto da solo.»

Sabo si era chinato al suo fianco. «Sono Sabo» si presentò all'aria. «Grazie per esserti preso cura di Ace.» Deglutiva e stava cercando di trattenersi, ma con quelle frasi non è che ci riusciva granché bene e non faceva altro che far piangere di più anche lui.

«Scusami, sono in pessime condizioni» disse. «Sono il fratello maggiore, io.»

«Sei nato solo tre mesi prima di me» protestò Sabo, che forse aveva fatto una risatina ma era uscita comunque come un singhiozzo.

«Tre mesi vogliono dire che sei più piccolo di me.»

Sabo si rivolse alla croce. «Guarda con chi mi tocca stare!» commentò, allargando le braccia. «Avrei voluto conoscerlo» aggiunse poi.

«Ti sarebbe piaciuto.» In fondo avevano qualche somiglianza, rispetto a lui erano tutti e due più riflessivi e calmi.

«Avrei anche voluto vedere Rufy combattere sul ring almeno una volta» proseguì Sabo. «Sarebbe andato alle Olimpiadi di sicuro.»

«Con la testa dura che si ritrovava... Faceva pure gli incontri clandestini!»

«Che?!» Sabo sapeva che avevano sei anni da recuperare, ma in quel momento si rese conto che non poteva aspettare. Non avrebbe lasciato il fratello dopo averlo appena ritrovato e voleva farsi raccontare tutto. «Vieni a Caen con me» gli disse. «Conosco un locale dove si mangia bene e a poco prezzo. Così... parliamo un po'.»

«Certo.» Ace la pensava come lui, non l'avrebbe certo lasciato adesso dopo averlo creduto morto. «Domani torniamo qui?» propose, mentre andavano verso la strada.

«Io devo lavorare, quindi puoi venire con me» rispose Sabo. «E se hai altri nomi da cercare potrò aiutarti meglio.»

«Grazie.» In effetti avrebbe voluto vedere se c'erano altri suoi amici sepolti e salutarli, anche se aveva visto quelli che erano più importanti per lui. Aveva pianto come non credeva di poter fare ancora, ma si sentiva meglio. Aveva deciso di non amare più nessuno perché era stato troppo doloroso, ma adesso Sabo era al suo fianco e non è che potesse smettere di volergli bene.

Tuttavia, questa certezza gli aveva anche dato una nuova energia. Lui sapeva come si era sentito quando credeva di essere l'ultimo fratello rimasto e, anche se in fondo al cuore credeva che sarebbe stato meglio se ci fosse Rufy al posto suo, per la prima volta sentiva che la sua sopravvivenza aveva un senso.

Capiva perché Sabo avesse rinunciato al suo sogno per entrare in politica. Lui però era più libero e decise che, in qualche maniera, avrebbe mantenuto la promessa per tutti e tre.

Koala li stava aspettando all'automobile, la stessa Citroën con cui Sabo era fuggito dal castello la prima volta. Non apparve affatto sorpresa di vederli tornare assieme. «Guido io» disse solo, dando per scontato che andasse con loro. «Passi prima in caserma o ti porto direttamente alla locanda?»

Sabo sorrise. «Devo passare ad avvertire che torno più tardi.»

Ace li fissò in maniera inquisitoria: erano veramente troppo sospetti. «Vieni anche tu a cena con noi.» Quando Koala apparve sorpresa dalla richiesta, aggiunse: «Voglio sapere cos'ha combinato Sabo in questi anni e sono sicuro che eviterà qualcosa».

Sabo lo guardò male, poi scosse la testa sorridendo. «Ti chiederà di quando sei rimasta incinta» le comunicò.

Koala allargò le braccia. «Abbiamo avuto un bel maschietto, ricordi?»

«Voi due continuate a non raccontarmela giusta» commentò Ace, aprendo la portiera dell'auto.

«Non c'è veramente niente da dire» rispose Sabo, sedendosi a fianco del guidatore, com'era abitudine consolidata.

«Va bene...» Il tono chiaramente indicava che Ace non ci credeva affatto e avrebbe continuato a cercare dei riferimenti per tutto il resto della serata. Sabo pensò che lo poteva sopportare, avrebbe fatto la medesima cosa se avesse incontrato Marco. Però non poteva più farlo e ciò rendeva la situazione terribile. Qualche frecciata di tanto in tanto non era niente.

«A proposito, ti è capitato di tornare a Mortrée di recente?» domandò Ace, mentre Koala inseriva la retromarcia ed entrava nella strada principale.

«Sì, più volte. Dadan è ancora là più in forma che mai!»

«Figurati, a chi l'ammazza quella!» rise Ace. Tuttavia, non era per quel motivo che voleva saperlo. «Per caso, hai incontrato una donna americana di nome Bellmere?» Avrebbe voluto andare avanti con la spiegazione sul perché gli interessasse, ma non era necessario, perché aveva visto perfettamente il modo in cui entrambi si erano irrigiditi a sentire quel nome. L'automobile aveva persino sussultato per via del fatto che Koala aveva inserito la marcia sbagliata.

Per questo motivo, passò direttamente alla domanda successiva: «Che cosa le è successo?».

 
   
 
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