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Autore: Flajeypi    27/07/2015    0 recensioni
Percy ed Annabeth vivono ormai in pianta stabile a Nuova Roma e si destreggiano tra il college e la vita insieme. Ogni tanto, però, si ritagliano dei momenti solo per loro, per parlare un po'...
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- E’ curioso che tu sia nato da una promessa infranta, eppure il tuo difetto fatale sia la lealtà. Uno direbbe: “tale padre, tale figlio”, e invece tu sei l’opposto – disse, giocando distrattamente con dei fili d’erba.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La bellezza di essere una Testa d'Alghe.'
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E’ curioso, non trovi?
 
- Ci pensi mai al tuo difetto fatale? – chiese Annabeth, all’improvviso. Erano stesi al sole, sull’erba di un angolino verde poco distante dal college, che avevano scovato qualche giorno prima. Non erano servite parole per concordare che quello sarebbe stato il loro punto di ritrovo nei momenti di pausa dalle lezioni e dallo studio.
- Cosa? – chiese Percy, voltandosi a guardarla con fare assonnato. Il sole e l’ozio lo intontivano sempre un po’ e lui ed Annabeth erano rimasti in silenzio abbastanza a lungo da permettergli di cominciare a scivolare nel mondo dei sogni. Lei, al contrario, sembrava rinvigorita dal tepore del sole e dalla tranquillità di quel giardino, e aveva approfittato di quel momento di calma per pensare. Era raro che riuscisse a spegnere il suo cervello frenetico anche solo per cinque minuti, tanto che Percy si chiedeva spesso quale fosse il segreto di tanta energia.
Annabeth si sollevò sui gomiti: - Ci pensi mai al tuo difetto fatale? – ripeté.
Percy squadrò per un attimo il profilo del suo viso, pensieroso, prima di rispondere: - Abbastanza spesso – confessò a mezza voce, girando di nuovo la testa e posando un braccio sugli occhi per difenderli dal sole.
- E’ curioso, non trovi? – rifletté, allora, Annabeth ad alta voce.
- Esattamente, cosa è curioso, Sapientona? – chiese Percy, tirandosi a sedere. Aveva capito, ormai, che Annabeth era in vena di parlare e sapeva che la ragazza apprezzava il fatto che lui la guardasse negli occhi quando parlavano, soprattutto se l’argomento era serio e delicato come quello dei difetti fatali. Ricordava ancora com’era stato scoprire il difetto fatale della figlia di Atena, nel Mare Dei Mostri, o, peggio ancora, quando la stessa Atena gli aveva fatto notare che il suo difetto fatale fosse la lealtà. “Il tuo difetto fatale potrebbe distruggere noi così come te stesso”, gli aveva detto la dea. Percy ci aveva pensato spesso da allora, molto più spesso di quanto gli sarebbe piaciuto, in effetti, ed era giunto sempre alla stessa conclusione: voler bene ai suoi amici ed essere pronto a sacrificare tutto per loro, non poteva essere poi tanto male come difetto, giusto? Eppure, non riusciva a smettere di pensare, in un angolino seppur remoto del suo cuore, che Atena avesse ragione. Sapeva di essere stato soltanto fortunato fino ad allora e temeva il momento in cui le parole di Atena si sarebbero avverate…
Annabeth, ignara del tumulto interiore che aveva appena colto il ragazzo, si sistemò di fronte a lui con le gambe incrociate ed iniziò a spiegare: - E’ curioso che tu sia nato da una promessa infranta, eppure il tuo difetto fatale sia la lealtà. Uno direbbe: “tale padre, tale figlio”, e invece tu sei l’opposto – disse, giocando distrattamente con dei fili d’erba. Adesso Percy la ascoltava con attenzione, dimentico per un attimo dei suoi pensieri, annuendo e facendole segno di continuare. – Sai, da una figlia di Atena uno si aspetterebbe un difetto fatale come la hybris. E’ facile montarsi la testa ed essere tracotanti quando si acquisisce un discreto bagaglio culturale. Ma un figlio di Poseidone che rischierebbe la vita in nome della lealtà? Suona, non so… strano? Sì, credo che “strano” renda l’idea – continuò la ragazza, stringendosi nelle spalle. – Non che Poseidone non sia leale, ma non è proprio affidabile in quanto a promesse, considerando che dopo aver stretto quel famoso patto con Zeus e Ade, non è che poi l’abbia esattamente rispettato. Voglio dire… sei nato tu – aggiunse titubante, notando l’espressione scettica di Percy. Sapeva dell’ammirazione mista a rispetto che Percy provava per il padre e non voleva che lui credesse che lei non lo considerasse un dio giusto o un buon padre. Ok, non era al pari di sua madre, Atena, ma era a posto. Nella scala delle stranezze degli dei non era nemmeno tanto in alto; c’era sicuramente di peggio, si disse Annabeth, pensando ad Ares ed Era.
- Non capisco dove vuoi arrivare – disse Percy, arricciando le labbra.
- Era un modo per farti un complimento, Testa d’Alghe. Sei diverso… speciale – rispose Annabeth, stringendosi nuovamente nelle spalle. Percy le regalò un sorriso sbilenco: - Sono speciale? – chiese, con uno sguardo malandrino.
- Sì, ma non montarti la testa – disse lei, incrociando le braccia.
- Tua madre non la pensa allo stesso modo – mormorò Percy, scurendosi improvvisamente in viso. Annabeth lo guardò interrogativa. – E’ successo un bel po’ di tempo fa, ma mi ha fatto riflettere molto… Atena mi ha fatto notare che un difetto fatale come il mio, per un eroe, possa essere la causa di molti guai – confessò. Annabeth protese una mano verso il suo viso e prese ad accarezzargli una guancia: - Testa d’Alghe, siamo semidei. Qualsiasi cosa, per noi, può essere la causa di molti guai – disse incoraggiante, cercando di tirarlo su. Le labbra di Percy si stirarono in un piccolo sorriso: - Come farei senza di te? – chiese, e sotto il tono scherzoso, Annabeth sentì che Percy credeva davvero di non potercela fare senza di lei. Lo guardò, vedendo in lui ciò che il ragazzo non riusciva a vedere in sé stesso: un eroe coraggioso, che non si fermava davanti a niente. E non le importava che fosse il suo difetto fatale, la lealtà di Percy era uno degli aspetti del suo carattere che Annabeth amava di più.
- Probabilmente saresti già morto – scherzò.
- Probabilmente – ripeté lui, con un mezzo sorriso. Poi si protese verso di lei, per sfiorarle le labbra con le sue.





Angolo di flajeypi
Ciao, bella gente! :3
Un altro missing moment. Non me ne vogliate, ma amo la percabeth e trovo che stia bene con ogni prompt.
Per questo prompt in particolare, devo ringraziare ancora una volta madekwe, che mi ha suggerito l'idea di far nascere delle shot dalle mie elucubrazioni sulle metafore inserite qui e là dallo zio Rick nel corso delle due saghe. Perciò eccomi qui, con una nuova one shot fluffosa, in cui i miei personaggi preferiti affrontano un argomento abbastanza serio: i difetti fatali.
E' uno degli aspetti dei libri che mi ha sempre affascinata: l'avere dei difetti fatali rendeva i personaggi più umani e, se possibile, mi faceva sentire ancora più vicina a loro mentre leggevo. In particolare, mi affascina il pensiero di Atena in merito: "i difetti più pericolosi sono quelli che sono delle qualità, presi con moderazione" e, in effetti, il difetto fatale di Percy ne è un esempio: quale migliore amico al mondo di uno che rischierebbe la sua vita per salvare la tua? Ma cosa accadrebbe quando questo amico rischierebbe la salvezza del mondo, per salvare una sola persona? Ok, forse nella realtà queste cose non accadono, ma volendo restringere la questione ad un campo più piccolo, lo stesso amico che farebbe qualsiasi cosa per vedermi felice, potrebbe causare l'infelicità di altri pur di non assistere alla mia. Non è sempre giusto, no? Suona anche egoista, a tratti. 
(sto divagando, vero?)

Passiamo all'angolo della metafora!
Quella di oggi è una metafora che mi sta molto a cuore perché riguarda la famiglia. Ricorderete tutti il passaggio de "Lo scontro finale" quando Percy incontra Estia e, beh, mi sono rimaste impresse le parole che la dea gli rivolge: "...quando tutto il resto viene meno, quando gli altri dei possenti sono in guerra, io sono tutto ciò che rimane. La casa. Il focolare. Io sono l'ultima dea." Mi ha dato molto da pensare, perché spesso ci sentiamo oppressi stando in casa, non a caso esiste il detto "parenti serpenti" oppure "puoi scegliere gli amici, non i familiari", eppure, pensandoci, mi da sempre una sensazione di cenere alla cenere, non nel senso di morte, ma nella misura in cui, alla fine, tendiamo sempre a tornare a casa, dalla famiglia, quando tutte le nostre certezze vengono meno.
E' un concetto, questo, che nella nostra società tendiamo a dimenticare, convinti che nella vita servano solo spirito d'iniziativa e voglia di mettersi alla prova. E' la società degli uomini soli, che dimenticano di avere una famiglia. Riordan ce lo ricorda con sottigliezza. Ci ricorda che dopo, ma anche durante, le grandi battaglie della nostra vita, dobbiamo sempre ricordarci della famiglia, della nostra casa, per ricordarci chi siamo e da dove siamo venuti, per ricordarci che se al mondo è possibile avere certezze, allora la famiglia è sicuramente una di quelle. Abbastanza d'impatto, vero? 
Amo Rick Riordan per questo.

That's all, folks!

Un abbraccio virtuale,

Flavia
  
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