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Autore: Slappola    28/07/2015    7 recensioni
«Un giorno o l'altro, tutto il piacere e la gioia che l'amore può suscitare si pagano con la sofferenza. E più si ama intensamente e più il dolore sarà moltiplicato. Sperimenterai l'assenza, poi i tormenti della gelosia, dell'incomprensione, infine la sensazione del rifiuto e dell'ingiustizia. Avrai freddo fino nelle ossa e il sangue formerà dei ghiaccioli che sentirai passare sotto la pelle». La meccanica del cuore – Mathias Melzieu
Seconda classificata al contest "Briciole di Letteratura" di _Sonder e vincitrice dei premi Miglior Trama e Miglior Interpretazione
Terza classificata al contest "Le Sinfonie del Tradimento" di milla4 e vincitrice dei premi Best Character e Simphony.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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«C’è sempre un grano di pazzia nell’amore, così come c’è sempre un grano di logica nella pazzia.»

Friedrich Nietzsche

 

 

 

 

 

 

Mina. Ti chiami Mina.

Hai una Graziella bianca, con quel cestino in vimini sempre pieno di fiori, di profumi, di colori.

È facile scorgerti in giro, una cascata di capelli biondo cenere pettinati dal vento, mentre saetti tra le vie, saluti conoscenti.

Le tue sopracciglia scure, forse un po’ troppo folte, che fanno risaltare quei tuoi occhi nocciola, si increspano quando provi disappunto, s’addolciscono quando ascolti qualcosa di sublime. Come la risata di un bambino, il canto di un pettirosso, un complimento sincero.

E poi il tuo sorriso. Dio, il tuo sorriso. A volte lo nascondi con una mano, timida; è un tuo riflesso incondizionato che ti porti appresso dai tempi dell’apparecchio. Ti è rimasto così come ti è rimasto il gesto di pinzarti i capelli dietro le orecchie con l’indice, o quello di tirarti via le pellicine sulle tue labbra screpolate dall’inverno.

Hai delle movenze da ballerina. Lo vedo ogni volta, come piroetti nella tua stanza mansardata, come sposti l’aria attorno a te al pari d’una farfalla, come non fai rumore.

T’osserverei per ore mentre leggi quei tuoi amati libri romantici a gambe raccolte, ginocchia contro il tuo seno minuto, gomma della matita tra i denti, assorta. Mentre sottolinei le frasi che più ti piacciono, mentre le trascrivi su quei tuoi diari consunti, che formano pile accatastate con disordine sulla tua libreria imbarcata.

Sei bella. Sei bella quando incastri le margherite tra i tuoi capelli, quando corri scalza nel tuo giardino seguita dal cane, quando ridi con la gonna che s’alza alla brezza.

Sei la mia musa ispiratrice. Ogni notte, quando torno da te, non dormo mai. Un vortice di pensieri e immagini sconquassa la mia testa e io devo scrivere, devo buttarti giù sotto forma di poesia. Allora trasformo le tue mani, le tue gambe, la tua bocca, le tue ciglia. Tutto in parole. Canto di come riesci a sbocciare, a schiuderti con il giungere del crepuscolo; canto della tua ombra scontornata alla luce opaca della luna, di come i vestiti scivolino sul tuo corpo grazioso, di come mi vieni incontro emanando quel profumo inconfondibile, delicato, che sa di sere di mezz’estate, di campi incolti, d’acqua fresca e pesche mature, d’api che ronzano e uccelli che trillano, di cieli stellati che s’oscurano prima dell’alba.

Gelsomina. Ti chiami Gelsomina.

La mia principessa.

E io sarò il tuo unico principe, Giovanni.

 

 

 

 

Sabato 15 giugno 2013

 

G. è appena andato via. Dalla finestra, come al solito.

Non vuole ancora farsi vedere dai miei. Anche se non lo ammetterà mai, è un timidone.

E io lo amo da impazzire.

Ecco, l’ho detto. Anzi, l’ho scritto qui, su questo blog che tanto non leggerà mai nessuno.

Perché non ce la faccio proprio a dirlo a voce alta. Al solo pensiero mi batte forte il cuore e mi tremano le gambe. E poi ho paura che se lo dicessi a G. lui ci rimarrebbe male e inizierebbe a distaccarsi. In fondo stiamo insieme solo da un mese, è troppo precoce come sentimento, quasi innaturale.

Eppure ho questo tuffo al cuore ogni volta che lo penso, ho questa voglia insanabile di vederlo ogni minuto, di raccontargli tutto quello che mi capita, di stringergli la mano.

È andato via da nemmeno dieci minuti e già mi manca. Sono patetica, lo so.

Ma con lui ogni cosa diventa bella, anche la più semplice e normalmente noiosa. E poi lui mi fa sentire come nessuno ha mai fatto finora. Sembra sempre sapere come mi sento, di cosa ho bisogno, anche se non ci scriviamo. Non è pretenzioso, mi rispetta ed è sincero.

E io lo amo, amo, amo.

Sembra tutto così irreale, sono così felice che credo impazzirò a breve.

Ci siamo visti oggi pomeriggio, sul presto, perché poi doveva andare a lavorare. Mi ha offerto un gelato, ci siamo baciati un po’ alla nostra panchina. È stato bellissimo, aveva uno sguardo dolce, mi teneva stretta a lui come se potessi volare via da un momento all’altro. Poi mi ha riaccompagnata a casa, dovevo studiare per ‘sto benedetto esame di letteratura. E proprio quando la sua mancanza pareva incolmabile, eccolo che bussa alla finestra, ancora sporco da lavoro. Ci siamo solamente sdraiati per terra e abbiamo parlato, parlato, parlato.

Lo so che lui vorrebbe fare altro, come ogni uomo d’altronde, ma io non sono ancora pronta.

Sono vergine, non giudicatemi, e sono spaventata a morte da questa cosa.

Però G. non è come gli altri, è paziente, non esige nulla e ci tiene che mi senta a mio agio, ha detto che sarebbe disposto ad aspettarmi in eterno purché sia lui quello che si occuperà della mia prima volta.

Se non è vero amore questo…

Credo proprio che sia quello giusto, sì.

Sarebbe rimasto ancora mezzoretta in più, ma hanno chiamato da casa per qualcosa successa al fratello. Nulla di che, da quel che ho capito, ma è dovuto letteralmente scappare via.

Vabbè, tanto ci vedremo anche domani, me l’ha garantito, e io non vedo l’ora!

Ma per il momento stacco, ho bisogno di una bella dormita. Gli autori del ‘900 non perdonano.

L’unica consolazione è che sognerò tutta la notte G.

Sono patologica, lo so e ne vado fiera.

 

Baci

 

pubblicato da gelso_mina93 alle h. 23:43 su Gelsomino Notturno

ultimo accesso 16/06/2013 alle h. 00:01

 

 

 

 

Mio fratello ha lo stesso sguardo di mia madre. Vitreo, disilluso. Si concia come la società richiede, un’altra pecora dal vello bianco e putrido, un altro servo che fa cosa gli si dice.

Lo detesto, detesto la sua superficialità. Sembra quasi stupido, ora che lo osservo scaccolarsi con vigore davanti al solito cartone animato giapponese, sulla sua bistecca al sangue che mastica a rilento. Sul pezzo di un cadavere di una qualche mucca morta per sfamare la sua bocca viscida.

Mia madre mi passa davanti, perdo il contatto con l’unto delle sue labbra.

«Gio, forza, mangia qualcosa.»

Il suo tono è completamente piatto. Come una cantilena, una frase programmata che sputa fuori ogni volta che mi vede.

«Lo sai che con lui è sempre la solita storia.»

Mio fratello, invece, parla a bocca piena, senza mai distogliere lo sguardo dalla televisione, che strepita frasi senza senso.

Mia madre ora mi rivolge uno sguardo nauseato.

«Ci mancava solo che fosse vegetariano. Non solo poeta, pure vegetariano.»

«Meglio così, ce n’è più per noi.»

Salvatore, il mio patrigno, la mia ragione di alienazione. Un buzzurro dal muso contratto e l’odoraccio di sigaretta sempre appresso. La villania fatta a canotta sfilacciata e pelo sul petto.

Si gratta il culo, si siede tra me e mio fratello, impedendomene la completa visuale. Qualche esplosione romba dalla TV.

«Certo che potresti stare un po’ più con noi. Dov’è che vai sempre? C’hai la ragazzina?»

La sua mano pesante mi batte due volte sulla spalla per poi restare lì. Quella sua mano callosa dalle unghie ingiallite, quella sua mano sudicia che ha ucciso mio padre.

M’alzo e me ne vado. Quel covo di frivolezza ed ignoranza mi fa venire il voltastomaco.

«Gio, ma sono modi? Ti ha fatto una domanda!»

Zitta, oca, vorrei dirle. Zitta, puttana, che non hai perso tempo ad aprire le gambe al primo zotico che ha finto di rinvenire il corpo di tuo marito morto assassinato. Zitta, che sei accecata dai soldi, dalle belle parole, da quel pene puzzolente, per accorgerti di essere stata sedotta e posseduta, in ogni senso.

Questo vorrei dirle, ma invece preferisco andare alla serra, occuparmi del mio vivaio, osservare come la curcuma getti i fiori e la belladonna cresca sana e forte.

Poi verrò da te, Mina, te l’ho promesso. Ti porterò una bocca di leone rosa, adesso danno il massimo di loro stesse. Magari andremo a sdraiarci al sole pigro, tra l’erba rada, a raccontarci vicendevolmente i nostri sogni, ad amarci e amarci.

Come quando facevamo da bambini, cinque denti in croce in due, tu con quei codini fini, io con i sandali di mio fratello, da cui uscivano le mie dita tozze perché di una taglia più grossi.

Non ho mai smesso di pensarti da allora.

 

 

 

Domenica 16 giugno 2013

 

Ma alla fine non è mica soltanto un mese che conosco G. Facevamo estate ragazzi assieme quando avevamo circa dieci anni, quindi sono almeno nove che ci “frequentiamo”.

Ricordo che mi è piaciuto fin da subito. Era altruista e gentile, il suo saper giocare a pallone bene mi aveva colpito molto e a pranzo ci sedevamo sempre vicini. Anche all’ora della merenda, sull’erba fresca.

Da lì in poi ci siamo persi, facevamo le medie in posti completamente diversi.

Al liceo io facevo il linguistico e lui lo scientifico, ma lo scorgevo lo stesso tra i corridoi e ricordo che pensavo: “Questo qui lo conosco, veniva con me a estate ragazzi! Com’è che si chiama già?”.

Come cambiano i tempi. Adesso è presente in ogni cosa, dentro al mio cuore.

Anni dopo ci siamo beccati al solito pub, io con la mia compagnia, lui con la sua. Ma a fine serata ci siamo mischiati per conoscenze comuni. Io, come ora, non avevo ancora la patente, né mi ero portata appresso la bici, così mi ha offerto un passaggio fino a casa. Il primo di tanti altri.

Ma è stato un vero gentiluomo: non mi ha toccata nemmeno con un dito e, anzi, mi ha augurato la buonanotte.

Soltanto il giorno dopo mi ha chiesto l’amicizia su facebook, usando come scusa proprio quella di estate ragazzi.

“Ma tu sei quella bambina con i codini e lo spazio tra i denti!”, è stato il suo esordio.

Da lì abbiamo iniziato a parlarci, ci siamo scambiati i numeri e siamo usciti per quasi un mese rimanendo solamente amici.

E infine la richiesta, con un mazzo di rose rosse e del gelato al cioccolato, il mio preferito.

Non potevo non dirgli di sì.

E ho fatto bene, non credo mi pentirò mai della mia scelta. Non mi sono mai sentita così bene con una persona, trascorro ogni istante con lui come se fosse irripetibile e unico, mi ritrovo spesso a fantasticare sulla nostra vita futura, sul nome dei nostri figli.

Non sono normale, non è vero? Ho appena vent’anni e già faccio di questi ragionamenti.

Dovrei prima dirgli che lo amo e vedere come va, logicamente parlando.

Ma dove sta la logica, qui? Impallidisco all’idea che lui un giorno possa leggere tutti questi miei scleri mentali e darmi della pazza!

Anche oggi, comunque, è stato tenerissimo.

Domani non ci sono i suoi, forse passiamo il pomeriggio da lui, gli dico due o tre cose su D’Annunzio e Pascoli, giusto per ricordarceli a vicenda (che tanto male non gli fa).

Ora vado a nanna, ci risentiremo con i soliti aggiornamenti notturni!

 

Baci

 

pubblicato da gelso_mina93 alle h. 23:56 su Gelsomino Notturno

ultimo accesso 17/06/2013 alle h. 00:07

 

 

 

 

 

Oggi sei venuta a casa, Mina. Sei entrata con un sorriso impacciato, a stento ti guardavi attorno, forse per paura di incrociare qualche sguardo giudice.

Indossavi un vestito bianco a pois blu indaco, un cerchietto ti domava i capelli all’indietro. Te l’avrei ornato di gerberine appena colte. Ti avrei portato alla serra dove lavoro e ti avrei fatto scegliere il colore che ti piaceva di più. Ma dovevi studiare Letteratura Italiana, mi hai detto, due settimane e avresti dato l’esame orale.

Allora ti ho fatta accomodare, ti ho offerto del succo d’ananas, il tuo preferito, e tu sei diventata tutta rossa. Ma non per me. Non per un complimento di troppo, non per un bacio datoti con passione.

Mio fratello.

È entrato di soppiatto dal retro della cucina e ora ti fissava. Anzi, ti sorrideva, affabile e sornione, con un’espressione famelica.

Ero convinto fosse uscito, che fossimo soli, tu ed io.

«Ciao», ti ha detto.

E ti ha proteso la mano e te l’ha stretta come ad attirarti a lui.

Viscido. Viscido, putrido, abietto. Non ti doveva toccare, non doveva neanche osare di essere solcato da quel pensiero, da quei pensieri malati, animali.

Ma eccolo lì, che ti chiedeva cosa studiavi, se ti serviva una mano, se volevi altro succo, se poteva sedersi vicino a te.

E adesso ero io quello che vi fissava, che ti fissava. Come se fossi la sua ragazza e non la mia. Come se non fossi più la mia principessa.

Tu mi hai guardato smarrita, forse chiedendomi aiuto, ma io sono uscito a prendere una boccata d’aria.

Sono uscito per non picchiarlo fino a farlo diventare carne avariata, Mina mia.

 

 

 

 

Lunedì 17 giugno 2013

 

Oggi è stata una giornata… strana.

Sono andata da G. verso le tre di pomeriggio. Avevo un’ansia che nemmeno potete immaginare! Era la prima volta che mi faceva vedere casa sua, che mi portava nel suo mondo. Me ne aveva sempre parlato e io non nascondo che avevo una certa curiosità di far parte della sua vita completamente.

Vive in una villetta caruccia suddivisa in due piani con un cortiletto esterno.

Quando sono arrivata ho lasciato la bici contro il muro e ho bussato alla porta. Mi ha aperto con un sorriso bellissimo e la sua tuta da casa, che è troppo buffa. Ho altalenato un po’ sulla soglia prima di decidermi ad entrare.

Mille domande mi affollavano la testa. Eravamo davvero da soli? E camera sua come sarebbe stata? Sarei riuscita a studiare o mi sarei persa a scrutare i suoi bellissimi lineamenti sperando disperatamente in un suo bacio?

Alla fine sono entrata senza troppe moine ma con tantissimo imbarazzo. Lui è stato gentilissimo, cercava di farmi sentire a mio agio, mi ha pure offerto il succo all’ananas che mi piace da impazzire!

Insomma, tutto perfetto se non fosse che ad un certo punto è sbucato suo fratello. Mi ha fatto una paura, così, dal nulla. E poi mi fissava, mi fissava in maniera ambigua, come se fossi miele e lui un orso affamato. Non che facesse esplicitamente qualcosa di malvagio. Solo un po’ invadente, un po’ troppo, a tratti intollerabile. Ma poi, per fortuna, ad un certo punto se n’è andato, forse in camera sua, e ci ha lasciato soli a studiare letteratura.

Mi sono sentita sporca, in qualche modo, non so. È questa la sensazione che mi ha lasciato addosso. Come se fossi sua, come se lo fossi sempre stata.

Brividi.

Ma non ci voglio pensare, perché io comunque sono solo e soltanto di G.

So di appartenergli, oggi in particolar modo ho capito di essere ancora più vicina a lui, voglio essere ancora più vicina a lui…

Voglio amarlo con tutta me stessa, con tutto il mio corpo. Che sia giunto il momento? Oddio, mi sfarfalla troppo lo stomaco… Sarò finalmente pronta ad accoglierlo?

Per ora sarà meglio andare a dormire, in fondo sono stanca morta e domani mi aspetta la solita levataccia all’insegna di Svevo!

 

Baci

 

pubblicato da gelso_mina93 alle h. 00:02 su Gelsomino Notturno

ultimo accesso 18/06/2013 alle h. 00:13

 

 

 

 

 

Vedo rosso, dall’occhio sinistro. Mia madre urla, digrigna i denti, strepita qualcosa che non sento, che non voglio ascoltare.

Mio fratello è a ridosso del muro, tra le mie gambe. Si copre il volto perché il mio sangue continua a imperversargli sui capelli, sulla maglietta, in gocce grosse e viscose. Si copre il volto perché le mie nocche continuano a imperversargli contro, in colpi violenti e sordi.

Ha detto qualcosa su di me, Mina, su di me e te. Ha detto di averle lette, le poesie che ti ho dedicato, è andato a rovistare nella mia scrivania, tra la mia roba. Alcune le ha stracciate, me le ha fatte vedere, e me le ha buttate addosso. Ha detto che sono patetico, che sono malato. È stato molesto, è stato impudico e irrispettoso.

E io non ce l’ho più fatta, l’ho preso per il collo e ho iniziato a stringere. Una, due mani, là, contro la trachea. Avrei voluto vedergli esplodere i bulbi oculari fuori dalle orbite, contro il soffitto, ma lui s’è difeso, ha afferrato il bicchiere in cui stava bevendo la Coca Cola, e ancora pieno me l’ha frantumato sul sopracciglio sinistro. La furia con cui poi mi sono accanito su di lui m’ha fatto scordare tutto il resto.

Fino ad ora. Fino a quando qualcuno non mi afferra per i capelli e mi strappa da lui. La puzza di sudore stantio mi fa capire essere Salvatore, il suo grugno torvo che mi ritrovo davanti me ne dà la conferma.

«Che cazzo stai facendo», mi dice, e poi me ne molla una.

Mia madre corre da suo figlio, il preferito, che lascia cadere le braccia al suolo mostrando il viso butterato dalle mie percosse.

«Animale!» Ecco che quella strilla ancora.

Poi s’alza, in una falcata è al mio cospetto, le sue cinque dita sulla mia guancia sporca di sangue.

E quella frase.

«Sei come papà, sei pazzo come lui!»

È un attimo che esco dalla porta. È un attimo che mi tolgo dalla scena, che scappo via, per non pensare, per non reagire, di nuovo. Mi butto in strada con la sola immagine di casa tua, delle tue braccia.

E volo verso di te, Mina, volo verso il mio nido.

 

 

 

 

Mercoledì 19 giugno 2013

 

No, non ho saltato un giorno e sì, sono ancora sveglia. Sveglia e innamorata. È stata una notte speciale, coinvolgente, unica. La più bella della mia vita.

Ma partiamo dal principio, perché è successo veramente di tutto.

G. si è presentato alla mia finestra appena dopo cena, cosa che non ha mai fatto prima d’ora. Infatti stavo ancora finendo di ripetere Svevo e il suo bussare mi ha spaventata… Ma mai quanto la sua faccia.

Martoriata, completamente.

Era tutto gonfio, pieno di lividi, distrutto. Inutile dire che sono scoppiata subito a piangere.

Lui mi ha calmata e, dopo essersi seduto sul mio letto e aver bevuto qualcosa, mi ha raccontato cos’è successo.

Ieri pomeriggio non doveva lavorare perché alla fine i signori da cui doveva dare il bianco sono partiti prima per le vacanze. Così, preso dalla noia, si è fatto un giro nella stanza di suo fratello alla ricerca di qualcosa da leggere, visto che lui ha tanti libri sulla botanica. E mentre sfogliava le sue solite poesie -perché da quello che ho capito al fratello piace scrivere-, si è accorto che su alcune c’era il mio nome. Anzi, su tutte.

Poesie d’amore, innumerevoli, dedicate a me. Poesie ambigue, che descrivevano perfettamente la mia stanza, i miei atteggiamenti, le mie abitudini. G. non ha impiegato molto a capire che suo fratello mi spiasse. Un maniaco.

Così, quando è rientrato dalla serra, appena prima di cena, G. l’ha bloccato per chiedergli spiegazioni. E quello è uscito fuori di testa.

Si è girato male e ha iniziato a strozzarlo, l’avrebbe ammazzato se non si fosse difeso in tempo spaccandogli un bicchiere sulla fronte. Però poi lui ha continuato a tirargli pugni, impazzito, tant’è che è dovuto intervenire il ragazzo di sua sorella. Meno male che c’era lui, non oso immaginare come poteva andare a finire.

Gli hanno dato due ceffoni, sia lui che lei, e suo fratello è scappato via piangendo, come i bambini.

Vi giuro, non ci avrei mai creduto se non avessi visto come diavolo era conciato il mio povero G.

L’ho abbracciato forte, provando un misto di terrore e rabbia, e gli ho detto che persone come suo fratello dovevano essere rinchiuse in psichiatria.

A quel punto, altra cosa sconvolgente ma in un certo senso meravigliosa, G. ha preso fiato e mi ha parlato della sua famiglia, di suo padre. Non l’aveva mai fatto, e io non ho mai osato chiedergli perché vivessero da soli con la sorella maggiore e il suo compagno. E vedere che finalmente si apriva con me è stato magnifico, anche perché penso non l’abbia mai fatto con nessuno.

Sua madre è morta quando loro erano piccoli, per un attacco cardiaco. Ricordo indistintamente questa diceria a estate ragazzi, ma ai tempi non davo molto peso a queste cose. Il padre, in seguito a questa mancanza, ha iniziato a chiudersi in se stesso e a scrivere poesie. Non lavorava più, colto da una forte depressione. La sorella era disperata perché sostanzialmente doveva fare tutto lei, visto che gli altri due fratelli erano ancora troppo piccoli. Poi, una sera, il padre finalmente si è deciso ad uscire, senza dire né dove andava né per fare cosa. Non è mai più tornato. Il mattino dopo, infatti, si è presentato alla porta questo carabiniere (nonché futuro fidanzato della sorella) dicendo che il loro padre era rimasto ucciso in una rissa, tra l’altro scatenata da lui stesso.

G. ha poi aggiunto che da quel giorno suo fratello è cambiato completamente. Era il più attaccato dei tre al padre, stavano parecchio tempo insieme, gli aveva insegnato le basi della botanica e lo portava spesso alla sua serra, che lui poi ha praticamente ereditato.

Mi ha fatto tenerezza, devo ammetterlo. Perché alla fine era appena un bambino, un bambino orfano di due genitori che amava alla follia.

Già, alla follia.

Mi sono dispiaciuta un sacco e mi si è spezzato il cuore quando G. ha iniziato a piangere. Allora l’ho preso tra le braccia e l’ho baciato, piangendo con lui.

Poi è successo tutto con spontaneità, come nei film.

Eravamo talmente uniti, talmente scoperti in quel momento che abbiamo sentito il bisogno di avvicinarci ancora di più, di possederci definitivamente.

E l’abbiamo fatto, sì. Abbiamo fatto l’amore ed è stato bellissimo. Ha cominciato pure a piovere: il rumore delle gocce contro il tetto è stata la migliore colonna sonora per un momento così.

E lui, quando si è staccato da me, mi ha guardata con quei suoi occhi pesti e mi ha detto che mi amava.

Ho pianto tanto, di gioia stavolta.

È il giorno più bello della mia vita, non me lo dimenticherò mai.

Giacomo mi ama.

 

pubblicato da gelso_mina93 alle h. 01:38 su Gelsomino Notturno

ultimo accesso 19/06/2013 alle h. 01:53

 

 

 

 

 

Mina, Mina mia, la mia principessa.

Perché sei con lui, perché lo carezzi, perché lo baci?

Non vedi che ti sta schernendo, non senti l’ipocrisia che incornicia le sue parole scialbe, sboccate?

Non capisci che m’ha sempre odiato, che ha sempre provato invidia della mia intelligenza, dell’amore che metto nel far germogliare fiori incantevoli come te?

Non avverti il rancore, la vendetta nei miei confronti che proietta su ogni gesto, sul tuo corpo?

Perché non m’ami più, Mina mia, perché ti fai amare da lui?

È ignoranza, la mia, con cui v’osservo mescolarvi nel candore della tua stanza, a luce soffusa, sotto quelle coperte che sanno di te, tra i tuoi capelli aurei, sulle tue labbra dolci come miele.

La tua mansarda sussurra, le tegole bisbigliano al tocco delle gocce che il cielo sputa in questa notte ingiusta.

Piove addosso al mio volto vessato, piove sul bagnato: lacrime su sangue, e sangue su lacrime.*

Mina, Mina mia, il mio gelsomino sgualcito.

Cosa m’hai fatto.

 

 

 

 

Venerdì 21 giugno 2013

 

Sono da mia nonna, non è stata tanto bene ieri, l’hanno ricoverata una notte e poi dimessa, nulla di che, solo tanta paura. Starò da lei fino a domenica mattina, non mi va di lasciarla sola fintanto che non arriva la zia dal mare. E poi ho tempo, non è un problema. Mi sono portata da studiare, immancabilmente.

So che mi mancherà G., ma ha detto che mi telefonerà ogni mattina ed ogni sera, è proprio un amore.

Novità: domenica a pranzo mi ha invitato a casa sua, vuole farmi conoscere a sua sorella e al suo compagno. Sono già in ansia, così la cosa diventa davvero ufficiale!

E se non piaccio?

E se faccio figuracce?

Prima o poi dovrò farlo conoscere anche ai miei, d’altronde. Oddio, che paura!

Gli ho chiesto se ci sarà anche suo fratello, lui mi ha detto che in teoria no e, nel caso ci fosse, di non preoccuparmi che lui mi rimarrà vicino.

Però sono in ansia lo stesso.

Vabbè dai, vado a preparare la cena alla nonna.

Non credo mi collegherò spesso, voglio dedicarmi a lei in tutto e per tutto.

 

Baci

 

pubblicato da gelso_mina93 alle h. 19:01 su Gelsomino Notturno

ultimo accesso 21/06/2013 alle h. 19:02

 

 

 

 

Sono seduto sugli scalini, Mina, esattamente dietro di te. Tu forse non te ne sei accorta, so essere silenzioso quando voglio.

Sei venuta a pranzo nel tuo abito di incantevole semplicità; un rossore acceso s’è posato sulle tue gote da quando hai stretto la mano a mia madre e tutt’ora s’ostina a non scemare.

Accompagni ogni frase, ogni affermazione sussurrata con un sorriso, porti i capelli dietro le orecchie anche quando non serve. Sei agitata, emani un odore differente ma pur sempre divino.

Sei davanti a un tavolo imbandito con carogne, pezzi avariati d’animali uccisi, sviscerati e disossati per poter essere fritti ed umettati con salse grasse.

Sei ossequiosa, sei riconoscente, mangi tutto senza avanzar nulla, chiedi di aiutare a portar in cucina i piatti sporchi.

Piaci anche a loro. Piaci a tutti.

Un fiore rigoglioso, profumato, soave.

Mio fratello ti sta accanto, poggia la mano sulla tua, ti rimbocca da bere e da mangiare, dice battute, si mette in ridicolo per far crepare il tuo disagio.

Un ricettacolo di cliché che mi ritorce le budella.

Ma mi basta volgere il pensiero alla mia atropa belladonna, ora sciupata, ora triste nella sua veste scarna, senza più una foglia indosso.

Mi basta volgere il pensiero all’insalata di ieri sera, a quell’insalata variopinta che io non ho assaggiato, a quell’insalata che io ho colto per mio fratello affinché ci si ingozzasse e strozzasse.

E finalmente la mia attesa viene premiata.

Finalmente il volto di mia madre si cruccia nel non comprendere come mai suo figlio continui a grattarsi gli occhi, a sbattere le palpebre.

Finalmente Salvatore smette di muovere quella sua ganascia per chiedere cosa c’è che non va a suo figliastro, che s’è alzato dal tavolo con un gesto incerto, che barcolla fino a capottare la sedia all’indietro.

Finalmente tu, Mina, lo osservi interrogativa mentre lui cerca di parlare senza successo, perché ha le fauci secche, perché inizia ad essere ebbro, cieco, perché cade per terra.

E io rido, mentre quello stolto è in preda alle convulsioni, mentre mia madre grida, mentre Salvatore chiama un’ambulanza, mentre tu gli tieni la testa e singhiozzi con la gola, senza lacrime.

 

 

 

 

Venerdì 28 giugno 2013

 

Giacomo è in coma farmacologico da quasi una settimana.

Gli hanno fatto la lavanda gastrica in pronto, aveva ingerito non so quante foglie di belladonna, una pianta altamente tossica.

L’ha avvelenato Giovanni.

Ce l’ha detto lui stesso, tra una risata e l’altra. L’ultima pagina del quadernetto delle sue poesie recitava: “Credo nel crimine perfetto, come il vero amore; è solo questione di tempo e di pazienza”**.

Ora è in psichiatria, sedato.

E i medici non sanno quando Giacomo si sveglierà, se si sveglierà.

Ida è distrutta, mi chiama ogni giorno. Va sempre in ospedale con Salvatore, monitora suo fratello, mi aggiorna su tutto quando non riesco a passare.

Lei pensa che sia impegnata con lo studio per l’esame di lunedì, perché così le ho detto. Ma in realtà è perché non ce la faccio a vederlo in quello stato, non sentire la sua voce. Manco penso di darlo ‘sto cazzo di esame.

Non ce la faccio proprio a parlare da sola, al suo capezzale, a raccontargli la mia giornata come se mi rispondesse, come se mi sentisse.

L’ultima volta gli ho detto che se mi amava davvero allora doveva smetterla di dormire, che me l’ha promesso che mi sarebbe stato vicino, che non dovevo preoccuparmi del suo cazzo di fratello.

Sono passati due giorni e la situazione non è cambiata.

Ho paura.

Ho paura di perderlo, proprio adesso che l’ho trovato.

Ho paura perché il ciclo non è ancora arrivato e l’unica persona a cui vorrei dirlo è lui.

Non so quando scriverò di nuovo su questo blog, tutto questo dolore mi debilita.

Spero di tornare presto, però, perché significa che Giacomo si è ripreso e io posso continuare a vivere e a parlare di lui qui.

 

Amore mio, ti aspetto.

 

pubblicato da gelso_mina93 alle h. 15:45 su Gelsomino Notturno

ultimo accesso 28/06/2013 alle h. 15:54

 

 

 

 



Note:

1)*: nota bibliografica di Pascoli per la sesta edizione di Myricae – questo racconto è nato grazie al contest di radioactiveBriciole di Letteratura, in cui mi si chiedeva di rifarmi a Pascoli e, in particolar modo, alla sua poesia “Gelsomino Notturno” che mi ha permesso di stendere tutta la trama: l’autore descrive e osserva con stupore fanciullesco la prima notte di nozze di un suo caro amico;

2)**: citazione presa dal libro “Il ragazzo con gli occhi blu” di Joanne Harris, a cui mi sono fortemente ispirata per scrivere questa storia;

3) questa famiglia sfortunata è la rivisitazione della famiglia sfortunata di Pascoli: madre morta di attacco cardiaco, padre assassinato, fratello Giacomo morto avvelenato, sorella Ida e il suo compagno Salvatore con cui il poeta ha poi convissuto;

4) sono presenti i temi di Pascoli rappresentati attraverso le abitudini maniacali di Giovanni: l’amore per la natura e la poesia, l’importanza del ricordo e di un’infanzia mal vissuta (cosa che ha dato un tono infantile -fanciullesco- al mio personaggio);

5) il titolo “in nessun modo” è una delle traduzioni greche di “atropos”, il nome intero della pianta belladonna, nonché nome della Moira della mitologia greca che taglia il filo della vita;

6) non sono propriamente certa che gli effetti della belladonna siano così devastanti, ma ho saputo di una famiglia dalle mie parti caduta in coma farmacologico a ventiquattrore circa dall’ingestione di alcune foglie di questa pianta – e qui, invece, Giacomo ne mangia parecchie;

7) l’allusione ad una possibile gravidanza di Mina si rifà alla fine della poesia “Gelsomino Notturno”, in cui la neo sposina, dopo la prima notte di nozze, “cova dentro l’urna molle e segreta”; non per piazzare il solito cliché, insomma;

8) infine questo racconto ha partecipato anche al contest  di RedLolly, Sinfonie del Tradimento, con la colonna sonora "Sonata al chiaro di luna" di Beethoven.      

  
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