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Autore: Daleko    28/07/2015    0 recensioni
"Sono patetico? Non lo so, non riesco a peccare di superbia e mi rendo conto di scimmiottare, anche in modo piuttosto lezioso, grandi del passato che posso realmente incontrare solo nel mondo orinico quando la fantasia me lo permette."
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Diari'
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Queste non sono le mie memorie

A ventidue anni dovrei fare altro, non so, qualcosa come trovarmi un lavoro serio invece di quel penoso part-time in libreria che non mi permette di comprarmi una casa mia. Vivo ancora con i miei genitori, ovviamente, e ancora spero di poter avere un futuro con la scrittura. Queste non sono le mie memorie, non sono così folle né ho avuto una vita così interessante, in soli ventidue anni, da poter scrivere una biografia. Chiamiamolo esercizio di scrittura, chiamiamolo sfogo. Non ho molti amici o, per meglio dire, non ne ho; non apprezzo molto compagnie diverse da un buon Hemingway e uno scotch in salotto, con la casa vuota e silenziosa a tenermi compagnia. Sono patetico? Non lo so, non riesco a peccare di superbia e mi rendo conto di scimmiottare, anche in modo piuttosto lezioso, grandi del passato che posso realmente incontrare solo nel mondo onirico quando la fantasia me lo permette.
Tendo a scrivere a mano, magari su fogli sparsi, volanti e mal apprezzati dalla società moderna, per poi ribattere tutto a macchina. Se ve lo state chiedendo posso assicurarvi che non vivo in una casa di montagna di metà novecento; scrivo dal nuovo millennio, in una moderna casa di città con connessione ad internet. Com'è che si chiama la nostalgia di qualcosa di mai vissuto? Non so nemmeno se esiste un termine per definire quel mal di vivere comune a molti scrittori; l'unico che mi viene in mente, l'unico lontanamente simile, è il pessimismo storico di Leopardi... Ma vi assicuro che non sono qui per una lezione di Storia, anzi, lungi da me il pretendere d'insegnare qualcosa a qualcuno anche se amo scrivere romanzi storici, magari ambientati nella fredda Pietroburgo di metà ottocento, nella Parigi settecentesca oppure nell'età dell'oro che amo così tanto.
Sto divagando di nuovo. Non ho ancora completato i miei studi, studio Lettere Moderne all'Università della mia città e mi ci trovo... Beh, mi ci trovo abbastanza bene da credere di riuscire a concludere il mio corso di studi a breve, presumibilmente con il massimo dei voti. "Come Pasolini" suggerisce la mia voce interiore, ma la verità è che sono uno scrittore mediocre che vive sognando un'epoca che non esiste più: ed è per questo che voglio tornare con i piedi per terra, parlarvi del mio presente nella speranza di riuscire ad apprezzarlo tanto quanto apprezzo un presente non più tale da molti decenni.

Il mio nome non credo che sia importante, ma voglio cominciare a descrivere l'ambiente che mi circonda. Di solito tendo a scrivere in camera mia, ché è particolarmente illuminata: i raggi del sole penetrano dolcemente dalla finestra al mattino, essendo la mia camera volta verso oriente, e la illumina per tutta la prima parte della giornata svegliandomi con calma. Nel pomeriggio invece, verso sera, il cielo che posso scorgere dalla mia finestra è il primo a tingersi dapprima di viola, poi di lilla e di rosa fino a volgere al rosso sempre più scuro, finché il blu notte non ricopre tutto con il suo manto stellato. Sotto alla finestra ho posizionato la mia scrivania, quella su cui scrivo e su cui c'è la mia macchina da scrivere, quella che mi accompagna con il suo tipico suono di battitura ad ogni singola lettera fino al termine della storia. Al momento ho un paio di romanzi incompiuti a cui mi dedico alternatamente, entrambi chiusi a chiave nell'ultimo cassetto della scrivania; i racconti brevi e le novelle, invece, vengono catalogati nel cassetto immediatamente sopra e anch'essi vengono chiusi a chiave. La mia adorata scrivania di mogano è il luogo più importante della mia camera, in cui non vi è altro se non un letto, luogo indispensabile dove riposare, una libreria ben fornita e un giradischi, dove posiziono la colonna sonora ideale per i miei pomeriggi di lavoro. Questo ad esempio è un pomeriggio afoso e per quelle che non sono le mie memorie ho scelto il secondo movimento della suite in Re maggiore di Bach, anche conosciuto come Aria sulla quarta corda.
Non credo che per il momento vi sia molto altro da aggiungere, se non che non sono un granché come ragazzo anche se ho fatto del mio meglio per risultare quantomeno accettabile. Ammetto di aver spudoratamente copiato l'aspetto di Hemingway, rifacendomi a quella "lost generation" che non ho mai avuto il piacere di incrociare nemmeno temporalmente, essendo probabilmente i miei nonni di quel periodo e non di certo io. Sono alto circa un metro e ottanta e questo mi basta per sembrare allampanato, forse in aggiunta al mio bere più che mangiare.
Ora è giunto il momento di metter da parte i fogli e riprendere a studiare; forse potrei continuare più tardi ma "tenera è la notte", come scrisse Fitzgerald, e chi sono io per decidere cosa il chiarore lunare deciderà per me?
Per adesso, addio.

 
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