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Autore: A lexie s    28/07/2015    7 recensioni
[CaptainSwan Au]
Dal primo capitolo: Gli sguardi di tutti puntati su di lei, sorrisi dipinti sui volti dei presenti ed occhi pieni di commozione. Non sapeva che espressione avesse, la sua sicurezza non tradiva alcun tipo di agitazione nonostante agitata lo fosse parecchio.
Un paio di occhi azzurri si distinsero in quella massa di persone che la fissavano. Due occhi azzurri come il mare, un mare caldo, un mare d’estate quando il sole riscalda la pelle e le onde s’infrangono piano sulla battigia.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Never gonna be alone

Capitolo 2

Presente, ore 8:15.
 
Un altro nuovo giorno aveva inizio.
Emma si era alzata alle 7:30 come ogni giorno nelle ultime due settimane, le servivano almeno quarantacinque minuti buoni se voleva riuscire ad essere attiva per non combinare disastri. Così dopo un toast al formaggio ed una doccia, era riuscita ad indossare la divisa ed a scendere sotto per il suo turno di lavoro.
“Ciao bellezza” la salutò la sua amica Ruby, pizzicandole dolcemente la guancia e porgendole un caffè nero e poco zuccherato, la conosceva bene e sapeva che aveva bisogno di una buona dose di caffeina per sopportare la giornata.
“Grazie Ruby” prese il bicchiere in plastica dalle mani dell’amica e lo ingurgitò senza accertarsi che fosse abbastanza freddo, il liquido caldo le ustionò un po’ la lingua ma poco importava.
“Vacci piano” mormorò la mora ridacchiando.
Granny’s, la piccola tavola calda in cui lavorava da poco, brulicava già di gente. Una famigliola felice stava seduta al tavolo vicino la porta, il profumo di torta di mele e cioccolata calda invadeva l’aria insinuandosi nelle sue narici, vi era anche un altro aroma che avrebbe riconosciuto sempre, cannella.
I giorni all’orfanotrofio erano tristi, soprattutto prima dell’arrivo di Killian, ma c’era una cosa che Emma adorava e che le era concessa soltanto la domenica o durante le feste, una tazza di cioccolata con panna e cannella. Quello rappresentava un ricordo felice della sua infanzia, ed i ricordi erano ancora più piacevoli se pensava a quante volte l’avesse condivisa con Killian.
 
14 anni prima
 
“Voglio solo farti provare una cosa” gli sorrise e prese la sua mano in modo incerto. Il ragazzo ricambiò subito la stretta e legò le loro dita in un intreccio, tanto da non capire dove finisse la mano di uno ed iniziasse la mano dell’altra.
“Sono molto curioso, Swan.” Amava utilizzare il suo cognome, lei lo sembrava davvero.. Un cigno!
Era una ragazzina molto bella, era forte e vivace. Anche se, chi la osservava bene poteva notare la tristezza che, in genere, cercava di nascondere. Non amava sentirsi esposta, preferiva tenere le cose per sé ma quello strano ragazzino riusciva a scalfirla. Riusciva a penetrare la sua corazza e vedere lei, ed ogni volta che lui la guardava riusciva a sentirsi compresa. Condividevano questo strano legame che li aveva portati in poco tempo a stare sempre insieme, a proteggersi a vicenda. Erano un piccola famiglia, in qualche modo.
Quando la ragazza gli porse la tazza, lui sembrò interdetto. Sembrava una cioccolata calda ed era molto tempo che non gustava quella bevanda, l’odore era gradevole ed anche l’aspetto, poi era stata lei a dargliela e lui non le avrebbe mai negato nulla.
“C’è un sapore che non riconosco” constatò il ragazzo.
“Cannella” disse lei sorridendo trionfante, “ti sei sporcato tutto” lo prese in giro, cercando di pulire col dito tutta la panna che gli era rimasta sul naso ed all’angolo delle labbra.
Killian le bloccò il polso e l’avvicinò maggiormente a sé, “potresti pulirmi in un modo più efficace” pronunciò piano, facendola arrossire in tutto il viso. Solo quattordici anni e già sapeva come affascinare le ragazzine. Il bacio che seguì quella frase fu dolce e fu il primo per lei, ed anche per lui ma solo in seguito glielo avrebbe rivelato. Nulla a che vedere con i baci che seguirono negli anni avvenire. Erano l’unica famiglia di cui avevano bisogno.
 
**
 
“Perché sorridi?” Chiese Granny, l’anziana signora stava preparando in un vassoio la consegna da fare al tavolo quattro ed aveva più volte richiamato l’attenzione di Emma.
“Nulla, solo un ricordo.” Annuì la ragazza, prendendo ciò che la donna le stava porgendo e recandosi verso i clienti. Faceva quel lavoro soltanto da qualche giorno, ma si era ambientata piuttosto bene e riusciva a gestire i tavoli assegnati a lei con tranquillità. Ruby e Granny erano state davvero gentili con lei, le avevano offerto una sistemazione e perfino un lavoro, molto più di quanto osasse sperare o chiedere.
Killian le mancava, non era stato facile lasciarlo a Phoenix e partire verso Storybrooke ma quella piccola cittadina era tranquilla e confortevole. Poi c’era la burrascosa questione del matrimonio. Neal non l’aveva presa affatto bene, ed era comprensibile. Quando fu il suo turno di dire “lo voglio”, l’unica voce che sentiva nella sua testa le gridava di non volerlo affatto e l’unica parola che riuscì a pronunciare fu “no” prima di correre via.
Tutti gli invitanti erano rimasti di sasso, nessuno si aspettava una cosa del genere, quei due ragazzi sembravano davvero una coppia equilibrata, non una di quelle che fa follie per amore ma sembravano stabili.
Killian l’aveva seguita ma lei non aveva voluto vederlo, stare con lui in quel momento l’avrebbe fatta sentire troppo colpevole.
Quando era stato Neal ad andare da lei, non aveva potuto negargli la sua presenza, gli doveva una spiegazione e ciò che ne seguì fu parecchio triste.
Lui era a conoscenza del profondo legame che la unisse a Killian, ne era a conoscenza ma lo aveva sottovalutato in qualche modo perché credeva, erroneamente, che lei avrebbe potuto amare lui un giorno più di quanto non avesse fatto con l’altro. Sicuramente non credeva possibile che la sua Emma, la persona più leale che avesse frequentato in vita sua fosse arrivata al punto di tradirlo. Era sempre stato tutto lì davanti ai suoi occhi, ed in quel momento, col senno di poi, comprese tutti i comportamenti della donna.  Lei si scusò, gli disse quanto fosse splendido e quanto meritasse qualcuno che lo amasse ma lui era troppo arrabbiato per ascoltarla.
Le rinfacciò di averle salvato la vita mentre lei era riuscita solo a distruggere la sua, e che forse avrebbe fatto meglio a non salvarla affatto. Lei si sentì ferita, gli intimò di andarsene e lui lo fece senza replicare.
Dopo qualche giorno decise che cambiare aria e lasciare Phoenix avrebbe potuto giovarle. Aveva chiamato Killian per avvisarlo nonostante non si sentissero da qualche giorno, non per colpa di lui. Il cellulare continuava a suonare a vuoto, magari era lui a non volerla sentire in quel momento, ed allora aveva optato per un messaggio ed ovviamente l’uomo non l’aveva presa molto bene.
“Posso portarle un altro pezzo di torta di mele?” Chiese ad una donna bruna piuttosto austera, “no grazie” rispose questa, ed allora lei tornò al bancone. Guardò l’orologio ed era già ora di pranzo, il tempo era trascorso senza che riuscisse a rendersene conto e la ragazza che doveva coprire il suo turno era appena arrivata così da permetterle di andare a mangiare.
“Vai pure Emma, ci penso io” disse Mary Margaret togliendole il vassoio dalle mani con gentilezza, la ragazza la ringraziò e si tolse il grembiule.
Prese del formaggio grigliato e degli anelli di cipolla dalla cucina, chiuse il tutto in un sacchetto ed optò per fare una passeggiata visto che la giornata era soleggiata ed il clima piacevole.
Storybrooke era una bella cittadina e Ruby era stata fortunata a finire lì, mentre altri non avevano avuto nulla di simile, anzi il contrario.
La permanenza di Ruby all’orfanotrofio era stata davvero breve, Granny che all’epoca viveva ancora a Phoenix si sentiva sola e voleva adottare una bambina, la vide e le ricordò subito la sua defunta figlia. Rivedeva in lei gli stessi occhi verdi, i capelli scuri ed i lineamenti gentili così decise di prenderla con sé e dopo poco tempo si trasferirono.
Era un ottimo posto per i bambini, un tasso basso d’incidenti, belle scuole e strade pulite. Vi erano ampi spiazzali per giocare e grandi alberi in cui arrampicarsi per i più avventurosi ed inoltrandosi verso il porto si accorse che la vista era davvero meravigliosa. Decise di sedersi in una panchina per consumare il suo pranzo e rimanere per un po’ a guardare quel mare così azzurro e familiare.
 
2 settimane prima
 
“Che significa?”
“Cosa?” Emma sapeva cosa lui intendesse, eppure rispondere con un’altra domanda era più facile piuttosto che dire – sai che c’è, me ne vado.
“Vado via.” Lesse lui portando lo schermo del piccolo apparecchio sotto al suo sguardo e poi sventolandolo vicino al viso della ragazza, “che cazzo significa?”
“Ho bisogno di un po’ di tempo” sussurrò lei, scostandosi per lasciarlo entrare nel suo appartamento.
“Avevi bisogno di tempo ed io te l’ho dato. Non ti vedo da sette giorni, poi ho trovato la tua chiamata ed ho pensato che desiderassi parlarmi o vedermi ed invece poi trovo questo?” Sventolò il suo telefono nuovamente vicino al suo viso e poi si sedette sul divano. Il capo stanco appoggiato sulla mano e gli occhi chiusi, si massaggiò le tempie per qualche secondo.
“Quando avresti intenzione di partire?” Domandò poi, guardandola e cercando un qualcosa nel viso della donna che amava, che amava e che voleva lasciarlo.
“Domani” mormorò.
La testa del ragazzo si alzò di scatto ed il suo viso divenne colorito nuovamente, “domani?” sbottò arrabbiato, si alzò in piedi, fece un giro intorno al divano e si risedette prima di alzarsi di nuovo.
“Perché?” Cercò di capire se vi fosse un ulteriore motivo, se vi fosse qualcosa che lei non gli avesse detto o qualcosa che avrebbe potuto fare.
“Te l’ho detto, Killian. Ho solo bisogno di un po’ di tempo.”
“E quindi mi stai lasciando?” Era stanco, stanco mentalmente, fisicamente, moralmente. Era semplicemente stanco di non poter avere la donna della sua vita.
“Tu mi hai lasciata” concluse lei, sottovoce ma non abbastanza da sfuggire a lui, poi si avviò verso la cucina e prese un bicchiere dalla dispensa per versarsi un po’ d’acqua.
“Quindi mi stai punendo? Vuoi che io stia male come lo sei stata tu?” Si passò una mano sulla fronte. Ad Emma cadde il bicchiere di mano, tante piccole schegge finirono dentro al lavandino e lei rimase impassibile per alcuni secondi prima di parlare nuovamente.
“Killian, non essere stupido.” Le sue mani si mossero freneticamente per cercare di prendere tutti i cocci ed accumularli in un angolino della cucina per poi gettarli.
“Torniamo sempre a quel punto, Emma. Tu mi hai detto che potevo andare ed io l’ho fatto, ma poi sono tornato, sono tornato da te perché tu sei la mia famiglia.” Si avvicinò a lei e l’abbracciò da dietro. Le tolse tutto quel vetro dalle mani per non rischiare che si tagliasse, prese la pattumiera e spinse tutto dentro. Si sciacquò bene le mani per evitare che vi fossero residui e poi le asciugò lentamente, movimenti cauti e prudenti. Una piccola bolla di silenzio.  Tornò da lei ed intrecciò le dita alle sue prima di stringerla nuovamente. La sua testa si muoveva piano e le sue labbra lasciavano una scia di baci umidi sul collo, “ti ricordi?” Le sussurrò all’orecchio prima di voltarla dolcemente in modo da trovarsi faccia a faccia.
“Noi siamo l’unica famiglia di cui abbiamo bisogno.” Rispose lei. Quante volte si erano scambiati quelle parole?
Tante, troppe.. La prima volta erano ancora in orfanotrofio e mille altre volte a seguire dopo, ad ogni bacio, ad ogni evento importante che presupponeva la presenza dei familiari, quasi ogni volta che facevano l’amore. Poi avevano smesso di dirlo, lui era partito e lei aveva incontrato Neal. Ed ogni volta si chiedeva se fosse giusto pensare che la sua famiglia fosse Killian?
Questa era la prima volta che quelle parole lasciavano la sua bocca e vibravano nell’aria intorno ai loro corpi stretti. La prima volta che si concedevano di dirlo nuovamente.
“Si, Emma.” Le mani le accarezzarono il viso, con i pollici le asciugò le lacrime che si formavano all’angolo degli occhi della ragazza e con le labbra si avvicinava per prendere il suo agognato bacio. Era passato decisamente troppo tempo dall’ultima volta.
Quello che ne seguì fu estremamente dolce all’inizio, le lacrime lo rendevano dolce e salato contemporaneamente. Subito dopo divenne più coinvolgente, più passionale ed urgente. Le mani si spostarono sui fianchi della ragazza issandola sulla penisola della cucina e lei aprì leggermente le gambe per permettergli di avvicinarsi ancora di più.
Un attimo di lucidità le permise di scostarsi leggermente, lui rimase subito immobile quasi spaventato da quello che con le sue parole avrebbe potuto distruggere. Respirarono la stessa aria per qualche secondo e poi lei si tirò indietro, appoggiò la fronte a quella del ragazzo e con il pollice allontanò le sue labbra tanto da permetterle un ragionamento coerente, la troppa vicinanza a lui non l’aveva mai resa lucida e questo la rendeva arrendevole il più delle volte.
“Forse è meglio che vai.”
Lui annuì sconfitto e si allontanò piano quasi sperando che lei potesse cambiare idea ma cosciente che non lo avrebbe fatto, lasciandola ancora sopra quel mobile. Emma si ricompose, scese e si sistemò la camicetta sgualcita sul petto, si lisciò i capelli con le dita e lo accompagnò alla porta.
Adesso che Killian vi prestava attenzione, poteva notare che quella casa era piuttosto vuota. I mobili erano tutti al loro posto, ma non vi era più la loro foto sopra la mensola ed il cigno che le aveva regalato per uno dei loro Natali insieme non era più sul tavolino accanto al divano. C’era qualche maglia accatastata sulla sedia ed una valigia vicino la porta della camera da letto. Aveva deciso.
“Posso venire all’aeroporto domani?” Si fermò sulla soglia, le scostò una ciocca di capelli ed indugiò sulla sua guancia più del dovuto.
“Sarebbe meglio di no, non rendiamo le cose più difficili” proruppe la ragazza, prendendo la mano dal suo viso ed adagiandola piano vicino al fianco di lui.
Ed ovviamente lui andò lo stesso.
 
**
 
Avrebbe dovuto evitare di perdersi in quei ricordi, le facevano male e le ricordavano che era stata lei stessa a volerlo. Ed in più aveva perso la cognizione del tempo ed adesso era decisamente in ritardo e doveva rientrare dalla pausa. Finì in fretta di mangiare, si concesse un ultimo sguardo verso il mare e poi corse via per ritornare al lavoro.
Rientrò dalla porta sul retro per non attirare l’attenzione dei clienti. Respirava in modo affannoso a causa della corsa ed era comunque arrivata in ritardo di dieci minuti, Granny era una persona gentile ma quello era il suo lavoro e non poteva permettersi di arrivare in ritardo, doveva smetterla di abbandonarsi ai ricordi e dimenticarsi persino del presente. Lui era lì però, ricordarlo era un modo per renderlo più vicino.
“Emma stai bene?” Chiese Ruby, passando dalla cucina con un vassoio pieno di prelibatezze. L’altra annuì ancora col fiatone poi prese il grembiule da sotto il bancone per metterlo.
“Non hai una bella cera” Mary Margaret si avvicinò per osservarla più da vicino e notò quanto fosse pallida, “forse è meglio che ti riposi per oggi. Copro io il tuo turno.” La rassicurò, prendendole le mani e riservandole un ampio sorriso. Era una ragazza così dolce.
“Non è giusto, è la tua ultima settimana e non voglio che a causa mia ti sorbisca i doppi turni. Sarà solo per via della corsa, ma qualche minuto e mi riprenderò.”
La settimana dopo sarebbe ricominciata la scuola e la ragazza sarebbe tornata ad insegnare alle elementari abbandonando il lavoro da cameriera che svolgeva d’estate per racimolare qualche soldo in più.
“Mi fa piacere rimanere un po’ di tempo in più con Ruby, dato che non potremmo più vederci tanto spesso quindi sta tranquilla e goditi il pomeriggio a Storybrooke. Sei nuova di qui e magari potresti fare un bel giro turistico.” Le propose allegramente, battendo le mani entusiasta.
“Credo che tornerò in camera mia a stendermi allora” aveva realmente mal di testa, forse l’aria fresca al porto non le aveva fatto bene.
“Si, forse è meglio. Farai il giro un’altra volta.” Ripropose la ragazza, poi sia lei che Ruby furono richiamate da una nuova ondata di clienti ed Emma tornò nella sua stanza.
 
“Mi mancherai, Swan” le diede un buffetto sulla testa, prima di tirarla in un abbraccio stretto e un po’ goffo.
“Anche tu” lo rassicurò la ragazza – più di quanto immagini aggiunse mentalmente.
“Allora resta.”
“Non posso, devo capire chi sono, chi voglio diventare, non possiamo vivere come due alberi intrecciati cresciuti insieme nelle avversità. Non lo capisci? Dobbiamo riuscire a stare da soli prima di poter stare insieme.” Gli accarezzò il viso, col pollice stuzzicò la sua barbetta sfatta e poi gli lasciò un bacio all’angolo della bocca.
“Non è tanto male stare intrecciato a te, Swan.” La prese in giro, afferrandole la vita con le mani ed alzandola un po’.
“Smettila idiota, non siamo più ragazzini.” Lo ammonì lei, e lui mise la tipica espressione da cucciolo bastonato.
“Resta” ripeté piano, spazzolò il suo naso su quello di lei e ne baciò la punta. Emma teneva gli occhi chiusi, quasi a voler assaporare tutto di quel momento.
“Ci facciamo sempre del male.”
Gli occhi di lui si strinsero piano sotto la consapevolezza di quelle parole, forse era vero che si erano fatti del male ma questo non era paragonabile al bene perché quando stava con lei, quando la guardava o l’ascoltava sentiva il suo cuore vibrare, liberarsi nell’aria ed andare sempre più in alto e tutto intorno non c’era più nulla, se non lei.
Lei lesse ciò che stava provando, alzò il mento e tutto quello che avrebbe voluto dirgli a parole, tutto l’amore che avrebbe voluto trasmettergli lo riversò in quel bacio.
“Rimani con gli occhi chiusi” gli intimò poi quando si staccò dalle sue labbra, e lui l’accontentò, lo faceva sempre.
Passarono solo alcuni secondi prima che li riaprisse e di lei non vi era più traccia.
E lui era solo.
 
Emma lo vide da lontano, nascosta dietro ad una colonna, e non correre da lui fu una delle cose più difficili che avesse mai fatto in vita sua.
 
 
 
 
 
 
 
  
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