All about that dress
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aramente
trova chi cerca in fretta.
Annabeth
aveva probabilmente ripetuto quella frase nella sua mente almeno un centinaio di
volte, ma d’altronde
non era sua la colpa se aveva dovuto lasciare incompiuto una
cianografia
iniziata pochi giorni prima per andare a caccia di un vestito. Ebbene
sì, avete
capito bene; Annabeth Chase, aspirante architetto e studentessa
all’Università
di New York con il massimo di voti, ragazza per niente alla moda,
correva per
le strade della Grande Mela come una forsennata, con i capelli raccolti
in una
crocchia alta dalla quale uscivano riccioli ribelli e con indosso un
paio di
pantaloncini sportivi e una maglia degli Yankee. Sperava che non ci
fosse
nessuno di sua conoscenza in circolazione, altrimenti
l’avrebbero presa in giro
per l’eternità; tuttavia, anche in quel caso, la
sua preoccupazione più grande
era un’altra.
Tutti
coloro che la conoscevano potevano affermare quanto intelligente,
precisa e ambiziosa fosse;
ovviamente anche lei aveva la sua dose di difetti e, tra questi, oltre
la
dislessia e l’iperattività, il deficit
dell’attenzione era
in cima alla
lista. Cercava di contrastarlo
avendo
tutto in ordine, ma alcune volte non erano i vestiti buttati sul letto
a
distrarla; e nemmeno 1984, posato
sul
tavolo da caffè. No, capitava che fosse così
assorta in ciò che faceva che non
si accorgeva di quello che accadeva intorno a lei; quella volta era
stata così
presa dalla cianografia che non aveva sentito il telefono squillare
nell’altra
stanza, non aveva letto i messaggi che le erano arrivate nelle ultime due ore per avvisarla che la cena di
lavoro era stata anticipata di un giorno.
Quindi,
in sostanza, se non aveva un vestito decente per uscire, la colpa non
era sua; dovevano incolpare il suo
datore di
lavoro, che aveva avuto la brillante idea di spostare
l’incontro e di renderle
quella serata un inferno.
Facendo
un calcolo approssimativo, le restavano all’incirca
un’ora, ventisette minuti e
30 secondi prima che iniziasse la cena.
Annabeth aveva lasciato alla rabbia di essere in ritardo e
di non esser
stata attenta al telefono una sensazione di pura disperazione; anche se
fosse
riuscita a trovare un negozio che non le facesse venir voglia di
mettersi le
mani nei capelli per i prezzi, ce l’avrebbe fatta a tornare a
casa, fare una
doccia, prendere la metro e arrivare
puntuale alla cena? Preferì non pensarci e continuare la sua
ricerca, ritenendo
che l’ ansia avrebbe peggiorato tutto.
La
strada era affollata di turisti che attaccavano la propria faccia alle
vetrine
per controllare il prezzo dei vestiti esposti ed Annabeth era costretta
a
muoversi con spintoni e gomitate; non aveva tempo da perdere, e non
sarebbero
certo stati stupidi turisti a rovinarle ancora di
più la
serata. Ogni negozio in cui metteva piede
era o affollatissimo, o troppo caro per il suo budget; quando ormai
sembrava
aver perso le speranze, si accorse che c’era un piccolo
negozio dietro l’angolo
il cui nome era qualcosa come Manhattan
Street, ma non ci fece troppo caso. Appena entrata, rimase
sorpresa di
trovarlo vuoto.
-Posso
aiutarla?- una donna con capelli castani
e un sorriso amichevole le aveva parlato da dietro la
cassa, dove
sembrava molto impegnata a leggere un libro di cucina. In genere
Annabeth non
avrebbe chiesto l’aiuto di nessuno in nessuna circostanza, ma
quella era una
situazione disperata. I secondi passavano, e le
era rimasta un’ora e cinque minuti
all’incirca.
Con un
sorriso altrettanto gentile- o almeno
provò ad imitare quello
della signora-
annuì. – Mi servirebbe un vestito-
spiegò, incrociando le braccia per nascondere
il più possibile la maglietta spiegazzata.
Anche
la donna fece un cenno d’assenso con la testa prima di
condurla nella
parte del negozio adibita a quel genere
di abbigliamento; prese un vestito semplice bianco e glielo
mostrò. – Penso che
questo ti stia bene, con quella pelle abbronzata che ti ritrovi. Posso
vedere
se ho la tua taglia in magazzino, sei così magra! Sai che è
importante mangiare?
Annabeth
si fissò per un momento nello specchio ed
aggrottò le sopracciglia, cercando di
non dare peso alle parole della commessa, ritenendo che non fosse
compito suo
giudicare il suo fisico. Era assorta in quei pensieri quando la donna
tornò con
la taglia adatta del
vestito.
-Grazie-
mormorò Annabeth prima di infilarsi nel camerino, dove
cominciò l’impresa per
indossare l’indumento, divincolandosi e imprecando per alzare
la zip dietro la
schiena- non poteva essere al lato???
Quando finalmente ci
riuscì, ammirò la
sua silhouette nello specchio e si asciugò il sudore dalla
fronte; dire che le
stava male sarebbe stata una grande bugia, perché
l’abito le metteva in risalto
la carnagione e gli occhi chiari sembravano ancora più
minacciosi.
Considerando
che ormai non aveva molto tempo, decise
che avrebbe comprato quel vestito.
Sempre
che fosse riuscita a sfilarselo prima della cena.
Infatti,
se prima era riuscita a indossarlo in – più
o meno- quattro e quattr’otto, toglierselo sembrava
una missione ancora più
difficile, forse perché il tempo scorreva come
l’acqua di un rubinetto, o
perché non riusciva a raggiungere la zip sulla schiena;
fatto sta che,
consapevole delle lancette del suo orologio che scorrevano sempre
più
velocemente, uscì dal camerino per chiedere alla gentile
commessa di darle una
mano. La sfortuna pareva essere dalla sua parte quel giorno,
perché la donna
sembrava esser scomparsa e, al suo posto, era apparso
un ragazzo moro, che piegava i vestiti e li
riponeva al ritmo della canzone riprodotta alla radio, Uptwon
Funk.
Annabeth
arrossì al solo pensiero di porre
la
stessa domanda a quel tipo che, ehy,
non era poi così male; sentì le guance
arrossarsi, ma prese coraggio e si schiarì la gola.
Il
ragazzo sembrava che fosse caduto dalle nuvole quando si
girò verso di lei.
Aggrottò le sopracciglia e posò la pila di camice
che teneva in mano in cassa,
prima di fare la tipica domanda: - Posso aiutarla?
La
bionda annuì e
gli fece cenno di
avvicinarsi con le dita. Quando furono abbastanza vicini, Annabeth si
prese un
momento per ammirare le sue fattezze, il naso dritto, i capelli neri
come carbone,
le labbra carnose e, infine, gli occhi verdemare. Cercando di apparire
il più
sicura possibile, disse tutto d’un fiato: - Devi abbassarmi
la zip.
-Cosa?
L’espressione
sul volto del ragazzo la fece
sentire
ridicola. Abbassò lo sguardo e, schiarendosi la voce,
cercò di essere più
cortese. – Non riesco a sfilare il vestito. Per favore,
potresti essere così
gentile da abbassarmi la zip?
La
maschera di confusione sul volto del commesso si trasformò
presto in una di
malizia, che mise a disagio la ragazza.
-Vuoi
che ti spoglia- rispose infine quello con un sorriso sghembo.
-Pensala
come ti pare- Annabeth fece un gesto di stizza con la mano, convinta
che fosse
inutile discutere con un tipo del genere- ma fai in fretta.
Sentì
il tipo ridere e realizzò che ciò che aveva detto
poteva essere frainteso. –
Non… non intendevo…
-Neanche
ci conosciamo a già pensi a portarmi nel letto.
Annabeth
sbuffò e incrociò le braccia al petto, in attesa
che il commesso esaudisse il
suo unico desiderio. Sentì che il ragazzo posarle una mano
sulla spalla,mentre
con l’altra abbassava leggermente la zip; dalla lentezza con
cui lo faceva, la
bionda intuì il suo nervosismo e si chiese se mai alcuno
avesse mai fatto una
proposta del genere in un negozio- e si rispose: probabilmente no.
Il
punto in cui lui aveva poggiato la mano sembrava bruciarle, come se
fosse stato
impresso col fuoco.
-Fatto-
borbottò il moro.
Tra i
due calò un silenzio imbarazzante, ma Annabeth
cercò di spezzarlo; quel tipo di
situazioni non le erano mai piaciute. – Grazie- disse- Comunque lo prendo.
Il moro
annuì e si diresse in cassa, probabilmente a mettere i
vestiti in ordine,
mentre Annabeth si diresse nel camerino per cambiarsi. Il tempo a
disposizione
era sempre meno ormai, eppure quei secondi in cui aveva parlato con il
commesso
sembravano aver fermato il tempo, o
almeno era quella l’impressione di Annabeth.
Uscì
dal camerino diretta verso la cassa dove il commesso faceva finta di
tenersi
impegnato con il cappuccio di una penna. Appena la vide, le
regalò un sorriso
che fece fermare per un istante il cuore di Annabeth.
-Sono
arrivato ad un conclusione,sai- disse, mentre le infilava il vestito in
una
busta.
-Illuminami.
Il
ragazzo – Percy, o almeno così diceva la targa
sulla maglia arancione - le
porse la busta. – Se prima sei riuscita ad
infilarti il vestito, l’unico motivo che
c’è per averti spinto a chiedermi di
toglierlo è che volevi che ti spogliassi.
-Certo-
gli rispose Annabeth roteando gli occhi grigi ed evitando di arrossire.
L’orologio l’avvertiva che ormai le mancava
all’incirca mezz’ora, eppure quanto
diavolo avrebbe voluto rimanere
lì a parlare con quel ragazzo, invece di andare a quella
noiosa cena.
-
Allora, mi domandavo se…- deglutì. – Se
magari ti andasse di andare a mangiare
qualcosa questa sera, sai, solo così per...- si
grattò la nuca con fare
imbarazzato e sembrò essere improvvisamente molto
interessato al bancone.
- No-
rispose Annabeth, forse troppo freddamente. – No,
intendo… stasera sono già
impegnata.
Lo
sguardo sul volto del commesso diceva tutto; la bionda poteva vedere il
dispiacere nei suoi bellissimi occhi, e sentì lo stomaco
annodarsi. – Capisco.
L’altra
sospirò e si grattò la nuca imbarazzato.
– Però, emh, Percy… hanno aperto un
locale vicino casa mia a Manhattan… se vuoi,
Venerdì possiamo…
-Ne sarei
felicissimo- rispose il ragazzo con entusiasmo, come se fosse riuscito
a
riacquistare tutta la sua felicità da un momento
all’altro.
- Io mi
chiamo Annabeth- rispose la bionda, porgendogli la mano; si
girò per andarsene
ma, proprio mentre stava per uscire, la voce di Percy la
richiamò dietro.
-Indossa
qualcosa che lasci scoperta la tua schiena. Mi piace- disse
maliziosamente.
Annabeth
cercò di nascondere il sorriso che piano piano si andava
insidiando sul suo
volto.
Percy
la spogliò altre volte in futuro, per l’immensa
gioia di Annabeth.
sera
probabilmente vi
starete chiedendo che
fine ho fatto
-no.
non vi
starò ad annoiare con la mia
indaffarata routine- e le chiamano VACANZE.
anyway, come potete
vedere, un’altra
percabeth- e te pareva- perché a quanto pare non posso fare
a meno di scrivere
qualcosa su questi due testoni :/
non ho veramente
molto da dire, se non ‘
recensite per favore?’
probabilemente vi
lascerò in pace per il
compleanno di perce; non ho molta fantasia al momento ufff
inoltre
ho deciso di
revisitare tutte le mie os e
probabilmente farò la stessa cosa con questa più
in là
ancora, poi giuro
che vi lascio stare
su consiglio di una mia amica mi sono rifatta tumblr appena questa sera, se volete essere i primi a seguirmi cliccate qui
dove
potete darmi consigliarmi prompts o fare solo domande in generale
come sempre, grazie
a tutti colore che
hanno commentato,aggiunto tra le preferite e cose varie le mie ultime os
-partyponies