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Autore: Jehanne    29/07/2015    1 recensioni
Tutto quello che la giovane Elis desiderava era un'avventura. Voleva solo esplorare la regione di Johto e diventare un'allenatrice. Ma, come molti sapranno, bisogna sempre stare attenti a ciò che si desidera, perché quando l'universo decide di accontentarci il risultato potrebbe non essere quello che si immaginava. Il mondo dei Pokémon sa essere crudele con un'allenatrice alle prime armi con il dono di attirare guai, fortuna (o sfortuna?) che non sarà sola, oh no, la compagnia non le mancherà di certo nel suo viaggio verso la lega. La domanda è: ci arriverà tutta intera?
[“Se hai ancora la mappa possiamo cercare un sentiero”
“Certo che ce l'ho ancora” Rispose acidello Silver, estraendo un foglietto spiegazzato dalla tasca “Ma ovviamente non siamo vicini a nessuna strada”
“Giusto, scusami. La prossima volta che vengo aggredita da un Pokémon gli chiederò se può gentilmente scaraventarmi sul percorso principale, chissà perché non ci ho pensato” ]
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio, Silver
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Chi non viaggia in compagnia...


“Elizaveta, sei proprio tu?” trillò il ragazzo che avevo investito, mentre con una mano si toglieva di dosso i detriti che aveva raccolto durante la discesa.

C’erano solo tre persone che mi chiamavano in quel raccapricciante modo, una era mia madre (che lo cantava in sillabe solo quando era molto felice), poi c’erano la zia Ivy e suo figlio.
“Mi-Mihael?” era strano che non avessi riconosciuto subito la testolina bionda di mio cugino.
Io non mi ero ancora ripresa, la mia testa girava ancora come una trottola e l'unica cosa che volevo in quel momento era vomitare, e dopo se avanzava il tempo, salutare un qualsiasi membro della mia famiglia. Stavo malissimo, fra dolori vari e la nausea l'unica cosa che mi teneva ancora in piedi era l'albero a cui mi stavo appoggiando.
Mick si alzò e mi abbracciò stretta, sollevandomi da terra e sbatacchiandomi a destra e a sinistra con la forza di un giovane toro, provai a divincolarmi per riavere il mio spazio vitale ma non ottenni niente e mi rassegnai a quell’abbraccio/ tentativo di stritolamento.
“Mihael, ti prego, sto per vomitare e mi fa male dappertutto…” farfugliai con la bocca spiaccicata contro la sua maglietta (un’orrida magliettina, che prima della caduta doveva essere bianca, con sopra una camicia a scacchi verde terribilmente somigliante a una tovaglia da pic-nic, probabilmente avrebbe fatto meglio a togliersela e incenerirla prima che qualcuno oltre a me potesse vederla).
Solo quando fu sicuro di avermi piegato costole e clavicole come origami e fatto venire ancora più nausea di quanta ne avessi dopo la discesa della morte, mi allontanò dal suo petto permettendomi di riprendere fiato e mi posò di nuovo a terra, continuando però a tenermi per le spalle.
-Ha paura che tenti la fuga o crede che possa sparire come un fantasma?-
Come faceva lui a essere così vispo, va bene che si era fatto meno della metà della mia discesa rotolante, ma io vedevo ancora doppio e avevo lo stomaco attorcigliato su se stesso mentre lui rideva e aveva la forza di camminare, parlare e abbracciarmi.
“Dimmi Eliz, cosa ti ha portato a rotolare da queste parti?” ridacchiò alla sua battutina senza notare la mia smorfia disgustata, e continuò a sorridere come se avesse detto la cosa più brillante dai tempi del big bang.
 “È una storiella curiosa, se te la raccontassi mi prenderesti per pazza” mi grattai la nuca, sentendomi improvvisamente a disagio, nello stato fisico e mentale nel quale mi trovavo non ero esattamente in vena di chiacchiere. Avevo altre priorità al momento; dovevo ritrovare il mio compagno di viaggio, rientrare in possesso del mio zaino, mangiare, cambiarmi, magari far smettere di sanguinare tutti i tagli che mi ero procurata (-porca puttana come mi sono ridotta-) e ripartire verso Olivinopoli.
“Ti basti sapere che sto abbastanza bene e che non è una storia poi così interessante. Non preoccuparti cugino”
Evidentemente lui interpretò la mia sbrigativa risposta come “Ho bisogno di un abbraccio” perché nel giro di mezzo secondo avevo il naso conficcato nel suo sterno. Di nuovo.
-E quando è diventato così alto? Ah, le magie della pubertà.-

Io e Mihael non ci somigliavamo per niente, eravamo praticamente opposti, lui era biondo con gli occhi blu come il mare (tutto suo padre, dicevano), sembrava un modello uscito da una pubblicità di intimo maschile, mentre io al massimo, sarei potuta uscire dal pozzo di 'The ring'.
Era intelligente (anche se in anni passati con me non era mai riuscito a capire quando ero sarcastica), dotato di uno straordinario talento per la pittura e con una pazienza illimitata: sviluppata negli anni sopportando quella pazza scatenata di mia zia e quelle piccole pesti indemoniate e iperattive dei miei cuginetti.
Il povero ragazzo era mezzo santo, almeno a mio parere, sopportare Ivy e le sue stramberie era un’impresa in cui riuscivano in pochi, se poi aggiungiamo due fratelli di circa cinque anni (due gemellini simpatici come porcospini nei pantaloni) da tenere d’occhio, a Mihael sarebbe spuntata l’aureola un giorno o l’altro.
Ma questo molto dotato giovanotto pieno di talenti ce l’avrà pure un difetto, no?
Certo che aveva dei difetti, dopotutto la perfezione non era nei geni della nostra famiglia.  
Mio cugino era totalmente privo di spina dorsale, super-insicuro, troppo sensibile, e pauroso a livelli incredibili, il mio esatto contrario appunto. Sarebbe riuscito a farsi sottomettere perfino da Armonio e il suo quoziente intellettivo da vongola di mare, e nei giorni peggiori anche dalla vongola stessa.
Ricordo che quando eravamo piccoli dovevo difenderlo dalle prese in giro dei coetanei, un giorno gli avevo detto di tirare fuori le palle (ero già molto sboccata anche all'epoca) e lui mi aveva risposto che se si tirava giù i pantaloni avrebbe preso freddo e mi aveva anche fatto notare che le signorine non dovrebbero usare termini così volgari. Era partito alla scoperta della regione prima di me, era stata un’ottima mossa andarsene da quella casa prima di impazzire, la zia lo aveva incoraggiato a diventare allenatore come aveva fatto lei da giovane e suo padre gli aveva affidato uno dei suoi Pokémon come starter, aggiungendo che erano molto fieri di lui perché finalmente aveva deciso di partire per la sua avventura.
Riponevano grandi speranze in lui.
Peccato che Mihael fosse un completo disastro nelle lotte. Questo però era un particolare che sapevo solo io, non aveva mai avuto il coraggio di rivelarlo ai suoi genitori, il suo tenero cuoricino non avrebbe sopportato il senso di colpa per averli delusi. Più di una volta mi ero ritrovata a pensare a lui come un pappa-molle (e ripensandoci questo non mi faceva prudere la coscienza), comunque era il mio cugino preferito.

Un problema, un grosso problema di cui non mi ero accorta, probabilmente perché ero impegnata a reggermi in piedi e parlare senza rovesciare il contenuto del mio stomaco per terra, adesso mi colpiva in faccia ed non dare di matto diventò più difficile.
Ero senza Pokémon, avevo perso Silver e con lui la mappa e anche il mio zaino con dentro tutto quello che possedevo.
Rivolevo i miei compagni di viaggio. Rivolevo le mie cose.
“Sai per caso dove siamo?” Chiesi
Mihael mi guardò, spalancò gli occhi e scosse la testa con vigore “Mi dispiace ma...” Arrossì un poco, colto alla sprovvista, ma sulla sua pelle chiara si vedeva anche la minima sfumatura “-ma io mi sono perso, è da ieri ormai che cerco una via per arrivare a Olivinopoli, ovviamente senza successo” si guardò i piedi sconsolato.
Ecco quello che temevo di sentire. Era una brutta, bruttissima situazione.
-La stupidità deve essere di famiglia...-
Sorrisi al suo imbarazzo “Troveremo una strada, non preoccuparti. Adesso fammi pensare” cercai di essere rassicurante, in realtà a quelle parole non ci credevo neppure io, l'avevo detto solo per tirarlo su, perché mi sembrava la cosa migliore da dire invece che urlare in preda al panico.
Lui però annuì e mi guardò come se si aspettasse che facessi qualcosa che risolvesse tutto magicamente.
-Pensa Elis. Un po’ di concentrazione, ci sono delle vite in ballo. Perdiana!-
Ci trovavamo in mezzo agli alberi, ma ero sicura di essere ancora sul fianco di una delle colline vicino alla città. Mi sarebbe bastato trovare la posizione del mare per capire la direzione da prendere. Non sembrava difficile, la soluzione doveva essere a pochi passi.
Poi, l’illuminazione. Era stupida ma non potevo certo escludere quest’idea a priori, in una situazione del genere andavano provate tutte.
Cominciai a guardarmi intorno alla ricerca dell’albero giusto. Se mi fossi arrampicata abbastanza in alto da vedere oltre la vegetazione magari, e solo magari, avrei capito dove andare.
Ne scelsi uno bello alto e con dei rami che avrebbero sorretto il mio peso, Mick mi guardava interrogativo ma mi lasciò fare.
“Sta attenta Elli.” disse guardandomi ansioso.
“Non preoccuparti, sono brava in questo” ridacchiai, e salii sul ramo più basso, guardai in alto e mi aggrappai a quello successivo. Fortuna che nel frattempo mi era passata la nausea e presto mi accorsi che anche senza una scarpa me la cavavo benone.
Salii ancora,  e ancora, un poco alla volta. Senza mai guardare giù e senza fermarmi, fino a che i rami solidi finirono. Avevo paura di vedere a che altezza fossi arrivata perché se mi fossero venute le vertigini sarei rimasta bloccata lassù come un’idiota o peggio: sarei caduta di sotto. Però alzando la testa riuscivo a vedere chiaramente il cielo azzurrino e la luce penetrava senza problemi fra le foglie, dovevo trovarmi vicino alla cima.
Erano rimaste solo alcune frasche ad impedirmi di vedere cosa ci fosse oltre, se le fronde di alberi più alti del mio o il vuoto. Incrociai le dita e con cautela mi sedetti sul mio ramo, strisciai verso il bordo e nel fare ciò mi grattugiai la coscia dove questa non era coperta dai pantaloncini, benissimo adesso avevo altre schegge di legno dove non avrebbero dovuto stare, mi allungai il più possibile fino a quasi perdere l’equilibrio e con una mano spostai i rametti che mi bloccavano la visuale.
Una volta tolti di mezzo però mi si aprì davanti un panorama mozzafiato. Colline coperte di alberi rigogliosi che da qui avevano l'aspetto morbido di una coperta verde, ai piedi di esse una distesa blu intenso che si estendeva all'infinito verso l'orizzonte, l’acqua brillava di mille riflessi e nonostante fossi distante potevo vedere le onde che di tanto in tanto lo attraversavano. E in mezzo ai due, una macchiolina bianca dall’aspetto irregolare come un insieme disordinato di rettangoli color crema. Quella era Olivinopoli.
In quel momento risi forte e lanciai un grido di soddisfazione. Almeno una cosa buona l'avevo fatta quel giorno. Mentre mettevo il piede sul ramo sottostante per iniziare la discesa ebbi un'ultima idea, era una trovata cretina ma non avevo niente da perdere, tanto valeva tentare.
Presi fiato fino a riempire i polmoni d'aria “SILVEEEER!” e poi ancora “QUILAVA!” Non sapevo se potessero sentirmi, ma non dovevano essere poi così lontani, non avevo mica corso (e successivamente rotolato) per chilometri. Nemmeno in condizioni di emergenza non sarei riuscita a correre così tanto, ad un certo punto la pigrizia avrebbe preso il sopravvento anche sull'istinto di sopravvivenza.
Se Silver non mi sentiva dovevo sperare che lo facesse almeno Quilava con il suo udito da Pokémon.
Tesi le orecchie ma non sentii nessuna risposta, c'era solo il leggero sibilo del tiepido vento estivo e qualche verso di uccello che normalmente non avrei neppure notato perché troppo abituata a quel tipo di sottofondo sonoro.  
“Crow crow”
Corrugai le sopracciglia, di quel verso mi sarei di sicuro accorta anche in un altro tipo di situazione. Quel gracchiare macabro non era cosa di tutti i giorni, grazie al cielo aggiungerei.
“Crow!” Sinceramente in qualsiasi altro momento l'avrei trovato un rumore orrendamente fastidioso ma nella mia situazione attuale mi sembrava la cosa più bella che avessi mai udito. Mi guardai intorno freneticamente alla ricerca dell'uccellaccio, e infatti eccolo, volava disegnando larghi cerchi in aria. Ancora abbastanza distante da apparirmi poco più grande di un punto nero semi mimetizzato con lo sfondo verde intenso della foresta.
Non avevo mai amato tanto uno stupido Murkrow, forse perché sapevo –o speravo di sapere- a chi appartenesse. Ero così felice che mandai al quel paese la sicurezza, staccai le mani dal ramo e iniziai ad agitarle per farmi vedere dal pennuto.
“Yoooo! Uccellaccio!” Urlai, ma quello continuò con i suoi giri. Decisi che dovevo rischiare, mi arrampicai sul ramo superiore rispetto a quello dove mi trovavo e cercai la posizione più stabile prima di ricominciare a gesticolare sguaiatamente.
“Murkrow!” gridai ancora, ma ci vollero altri miei strilli e una tragedia sfiorata, perché ovviamente persi l'equilibrio e quasi finii per sfracellarmi, prima che il Pokémon mi avvistasse.
Il volatile si avvicinò a dove mi trovavo, ma rimase in alto e mi sorvolò degnandomi appena di uno sguardo. Sguardo neanche troppo velatamente scocciato, se posso aggiungere. Disegnò due ovali sopra di me, gracchiò forte e si allontanò velocemente.  Risi, se ci avevo visto giusto e con un po' di fortuna adesso stava andando a riferire a Silver la mia posizione.

Scendere dal maledetto albero fu difficile, lungo, laborioso e soprattutto doloroso. Prima di iniziare la discesa ebbi la fantastica (AH!) idea di guardare verso il basso, perché in fondo ero curiosa di sapere quanto in alto mi ero arrampicata. Ennesima pessima scelta della giornata.  Ero molto, molto, molto in alto. Con immagini di rami che si spezzano, cadute e morti orribili a riempirmi la testa come il peggior screensaver cerebrale della storia, quando cominciai a scendere le ginocchia mi tremavano così tanto che ci impiegavo il triplo del tempo per trovare l'equilibrio e una posizione stabile. Prima di arrivare a terra la mia collezione di graffi e ferite si era allargata significativamente, e per chiudere in bellezza arrivata davanti all'ennesimo ramo il mio corpo si rifiutò di fare un ultimo sforzo e la mia gamba cedette. Ed ecco che con la caduta finale si aggiungevano altri lividi all'involontaria collezione.  
Non mi ero fatta troppo male e il volo era stato di poco più di un metro, forse un metro e mezzo, ma Mihael lanciò un gridolino nel vedermi rovinare al suolo. In un battito di ciglia mi era accanto, a chiedermi come stavo e se mi ero fatto fatta male ad una velocità incredibile. Parlava sempre velocissimo quando era preoccupato o in imbarazzo.
"Tutto a posto, tutto a posto. Sono ancora tutta intera" dissi, eppure dopo tutti questi anni e tutti i gli incidenti a cui aveva avuto la sfortuna di assistere avrebbe dovuto capirlo che avevo la pelle dura. Ci voleva ben altro per abbattere Elis!
Per dimostrargli che stavo bene mi rialzai rifiutando la sua mano e, nascondendo eroicamente tutti i dolori che sentivo e cercando di non fare smorfie che tradissero la mia recita, sorrisi.
"Ti ho sentita urlare mentre eri lassù" aveva un espressione piuttosto perplessa, non doveva aver capito perché avevo cominciato a gridare.
"Giusto, ho visto un Pokémon di un allenatore che conosco, se tutto va per il verso giusto ci raggiungerà presto"
Sentii un fruscio lontano, mi voltai in direzione del suono, che presto da leggero sibilo si era trasformato in un rumore forte, provocato chiaramente da qualcosa che si muoveva a gran velocità nella nostra direzione. All'inizio pensai che fosse Silver che stava arrivando e fui invasa da un gran sollievo misto a gioia, ma non durò, qualsiasi cosa fosse era troppo veloce per essere un umano.
Mio cugino si agitava vicino a me e si toccava le tasche in cerca delle sue pokéball, io restai in attesa, pronta a scappare, non potevo fare altro visto che ero senza la mia squadra. Sentii un verso acuto provenire dal bosco, sì, era sicuramente un Pokémon quello che si stava avvicinando. Emise di nuovo lo stesso richiamo, ad ascoltarlo bene aveva un 'non so che' di familiare, non so come feci ad accorgermene con Mihael che frignava perché le sue pokéball erano nello zaino e che quindi era completamente indifeso, ma fra un suo mugolio impaurito e l'altro riuscii a riconoscere a che specie appartenesse quel verso.
Feci appena in tempo a capire cosa stava per succedere che il mio Quilava schizzò fuori dal sottobosco come una saetta, e prese a corrermi intorno felice di vedermi. Sentii Mick squittire ma non gli diedi troppa importanza perché Quilava mi era appena saltato in braccio e aveva iniziato a leccarmi la faccia. Se fossi stata anche io un Pokémon avrei festeggiato la nostra riunione con i suoi stessi gesti e lo stesso entusiasmo, non potevo esprimere quanto fossi felice di rivederlo. Ma mancava ancora qualcuno all'appello.
"Mihael tranquillo, non è un Pokémon selvatico inferocito, è il mio Quilava" dissi al coraggioso ragazzo che si era andato a nascondere dietro gli alberi. Il mio compare si sentì chiamato in causa, saltò a terra e le sue fiamme si alzarono di colpo, bruciando più calde e più brillanti di prima. Risi "E ti sta salutando" quello aveva calmato le fiamme ma continuava a ballarmi intorno felice di avermi ritrovato.
"Ah, okay, arrivo" Sembrava imbarazzato, poverino. "Che carino, è il tuo starter?" chiese e io annuii "Come si chiama?"
Questa domanda mi prese alla sprovvista, lo avevo sempre chiamato con il nome della sua specie e lui mi aveva sempre capito, quindi non mi era sembrato necessario dargli un nome, non ci avevo neppure pensato, tant'era che neppure gli altri miei Pokémon ne avevano uno. Feci una smorfia, sentendomi un'allenatrice mediocre, ma mio cugino aspettava una risposta.
"Eeemh, Quilava" adesso quella in imbarazzo ero io. Lui però se era rimasto deluso da me non lo dimostrò in alcun modo, annuì con fare pensoso.
"Credo che dovresti dargliene uno" sfoderò il suo bellissimo sorriso "Di 'Quilava' ce ne sono tanti, un bel nome lo renderebbe, beh, ancora più unico" scherzò.
Il mio Pokémon lo sentì e gli brillarono gli occhi, credo che nemmeno lui ci avesse mai pensato, sbatté le zampe a terra e ricominciò a saltellarmi davanti.
"E come faccio, scusa?" Domanda legittima, no?
Lui ridacchiò "Ne scegli uno e vedi se a lui piace" era più semplice di quanto credessi allora.
Fissai il mio starter negli occhi, quello capì la serietà del momento e si fermò per guardarmi a sua volta. "Fuoco è banale" dissi, e lui fece "sì" con la testa, "Ti ho chiamato Quil alcune volte..." batté la zampetta "Ma possiamo fare di meglio" e annuì. Mi concentrai "Quincy?" ma lui scosse la testolina fiammeggiante, "Ty?" proposi pensando alla sua evoluzione ma il giudizio fu di nuovo 'no', "Amber è da escludere perché sei un maschio..." e allora mi venne in mente un nome che molto probabilmente avevo letto da qualche parte "Ti piace Hiro?" sembrò che ci stesse pensando "suona un po' come hero: eroe. Oppure..." ma non mi dette il tempo di continuare, annuiva furiosamente e fiammeggiava eccitato. "Vada per Hiro?" un altro spruzzo di fuoco prima di iniziare a trotterellare in giro soddisfatto.
Anche Mick sorrideva "E' stato facile, no?"
"Mi sono spremuta le meningi" ammisi e guardai il mio Pokémon che si era fermato di colpo e guardava verso il bosco. Ci impiegai qualche secondo ma alla fine capii, e il gracchiare del Murkrow fu un indizio importante, poco dopo vidi spuntare il suddetto uccello dalla vegetazione, seguito a qualche passo di distanza dal suo allenatore. Silver aveva il fiatone, i suoi pantaloni erano sporchi di terra e sui capelli aveva delle foglie che dovano essergli rimaste incastrate durante il tragitto, provai una dispettosa soddisfazione nel vedere che anche per lui la discesa non era stata rose e fiori.
"Mocciosa..." fu la prima cosa che mi disse vedendomi
"Anch'io sono felice di rivederti Rossino" mi squadrò dall'alto in basso e non era difficile intuire cosa pensasse, non avevo uno specchio quindi non potevo comprendere appieno l'impressione che facevo a chi mi guardava, ma non era tanto difficile immaginarlo, mi mancava una scarpa e avevo i vestiti strappati, ergo: ero semi-nuda, sapevo di essere sporca di terra, fango, erba schiacciata, pezzi legno e sangue, perché forse non tutti i numerosi tagli che mi ero procurata avevano smesso di sanguinare. Dovevo essere davvero uno spettacolo, sì, pronta per la copertina di una rivista di moda.
Silver lasciò cadere a terra il mio zaino e la sua attenzione si concentrò su Mick, che a sua volta lo guardava rimanendo impalato a distanza di sicurezza. Giusto per rompere il silenzio, per una volta feci la ragazza educata e li presentai.
"Silver, il biondino vagamente spaventato dalla tua faccia è mio cugino Mihael, gli sono rotolata contro poco fa. Mick, lui è Silver e anche se non è molto simpatico, o chiacchierone, o amichevole, o allegro, o gentile ed effettivamente ha la faccia da criminale... e... non mi ricordo dove volevo arrivare. Ah sì, è il mio attuale compagno di viaggio e ultimamente ci sono stati momenti in cui non abbiamo tentato di ucciderci a vicenda, ed è un grande traguardo." Già, il rapporto che tutti vorrebbero avere, non amicizia o amore, no, troppo banale per noi. Molto meglio 'oggi sei quasi sopportabile' e 'riusciamo a stare più di un paio d'ore senza litigare solo se uno dei due dorme'.  
Mio cugino adesso posava lo sguardo un po' su entrambi, valutandoci, o forse stava solo cercando di capire quale combinazione di eventi improbabili ci avesse fatto incontrare e successivamente unito, domanda che ci eravamo posti anche noi, e più di una volta.
“È bello vedere che sei in buona compagnia, Elli” ok, conoscevo Mick e sapevo che era praticamente incapace di pensare o dire qualcosa di cattivo o anche solo vagamente maleducato, ma qui stavamo sfiorando la comicità.
Anche un sasso si sarebbe accorto che eravamo la “squadra” più disfunzionale che gli astri avessero mai creato, e anche lo stesso sasso ce lo avrebbe fatto notare, se avesse avuto la bocca ovviamente.
Per non ferire i sentimenti del biondino accennai ad un “Già” di cortesia, feci una smorfia che con un po' di fantasia poteva somigliare ad un sorriso, ma ero quasi sicura che la mia faccia finì per sembrare un Picasso.
Su quella di Silver invece si leggeva “Dopo questa affermazione ho bisogno di bere qualcosa di forte, tipo la varechina” o così interpretai gli occhi strabuzzati, la bocca che tremava leggermente e quell'espressione a metà fra disgusto, sorpresa e terrore.

Ero ancora destabilizzata dalle parole di Mick, però cercai di dire qualcosa. Era calato il silenzio e ogni secondo che passava il disagio generale aumentava esponenzialmente.
“Sì, allora, Silver.” -E cerca di ricomporti- “Ho visto Olivinopoli, non è troppo lontana e conosco la direzione, se hai ancora la mappa cerchiamo un sentiero” -Brava Elis, questa si chiama leadership-
“Certo che ce l'ho ancora” Rispose lui estraendo un foglietto spiegazzato dalla tasca “Ma ovviamente non siamo vicini a nessuna strada”
“Giusto, scusami. La prossima volta che vengo aggredita da un Pokémon gli chiederò se può gentilmente scaraventarmi sul percorso principale, chissà perché non ci ho pensato”
Tralasciamo poi il fatto che ero riuscita a far infuriare dei Poliwag, dei Pokémon così pacifici e innocui che anche i bambini potevano avvicinare. Era stato abbastanza umiliante anche senza rincarare la dose.
Silver finì di borbottare e mi fece cenno di avvicinarmi per guardare la mappa “Dove hai detto di aver visto Olivinopoli?”
“Sono salita su quell'albero, e sono quasi sicura che fosse di là” e indicai il punto con il braccio, lui studiava la carta, cercando una via che ci riportasse sul percorso giusto.
Alla fine delle sue silenziose riflessioni ne indicò una, tracciandola con il dito sulla mappa “Sembra quello più facile” a giudicare dalla sua faccia però non doveva essere molto soddisfatto della scelta.
Anche se quel 'sembra' non era rassicurante a me bastava per seguirlo, l'esperienza mi insegnava che come navigatore Rossino non era male. Dopotutto, una pista che 'sembra' buona è sempre meglio di nessuna pista.
“Va bene, facci strada” dissi comprendendo anche mio cugino che era rimasto in disparte, silenzioso e tranquillo come il più diligente degli scolari.
Silver lo guardò come se fosse l'ennesimo fastidio, poi iniziò a camminare svelto verso il bosco. Il biondino poteva esserne felice, io ero stata guardata molto peggio. Mi misi lo zaino sulle spalle e con Qilav- volevo dire Hiro- al mio fianco mi affrettai a seguirlo, lo conoscevo abbastanza da sapere che una parte di lui non vedeva l'ora di seminarmi, Mihael era ancora un po' confuso ma mi imitò, prese il suo bagaglio e ci mettemmo in marcia.


Note:
Chi non muore si rivede, eh?
  
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