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Autore: obvceanhaz    29/07/2015    0 recensioni
❝ — così ti ricorderai di me
In cui due ragazzi che portano i nomi di due stagioni differenti si incontrano alla fermata dell'autobus.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Stagioni.

Primavera soffiò sulla sua tazza con la speranza di raffreddare il suo tè bollente. Quell'inverno il freddo sembrava essere eterno, la neve aveva attecchito sin dalla prima nevicata di ottobre.

Dalla vetrina trasparente del bar, in cui Primavera si trovava, si potevano vedere le persone che, con molta voracità, si affrettavano a fare le ultime spese natalizie. La sua Bologna risplendeva più che mai sotto le luci dei negozi che stavano chiudendo. 

La ragazza posò quattro euro e cinquanta sul tavolino del bar per poi indossare il suo cappottino rosso. Salutò la vecchia signora dietro il bancone indicò i soldi lasciati sul tavolino ed uscì dal bar.

Come da routine passò per piazza grande stringendosi nel suo cappotto. Primavera diede una veloce occhiata all'orologio e strabuzzò gli occhi quando si rese conto di essere in ritardo. La ragazzina correva contro il vento come se fosse una farfalla mentre la notte le stava morendo alle spalle.

Aveva i piedi ghiacciati e le punta delle dita infreddolite, certamente l'idea di non portarsi i guanti non era stata la più geniale. Mentre attraversava le vecchie vie di Bologna la città pareva muoversi sotto i suoi occhi. 

Le luci dei lampioni erano quasi tutte spente e quello le fece desiderare ancora di più sprofondare tra le lenzuola calde di casa sua. Arrivata alla pensilina arrestò la propria corsa in attesta della circolare. Primavera portò le mani sulle labbra e ci soffiò sopra per riscaldare, pur troppo dovette ripetere quel gesto numerose volte per evitare di farle congelare completamente.

Accanto a lei, un ragazzo, si strofinava con velocità le braccia cacciando, di tanto in tanto, qualche sbuffo fuori dalle labbra rosa causando delle nuvolette nell'aria. 
Primavera si fermò ad osservare il ragazzo: aveva un cappello di lana verde e un giaccone color panna accompagnato da una deliziosa sciarpa a quadri rossi.
Primavera fece un cenno con la testa verso il ragazzo il quale le indico in numero nove sulla tabella degli orari.

"È rotto"

"Cosa?"

"Il nove, è rotto, è scritto proprio qui"

Il ragazzo dilatò gli occhi, non poteva essere, di tutti i giorni disponibili quello stupido autobus si era rotto proprio quel giorno, lui imprecò con una voce quasi impercettibile ma che non sfuggì alle orecchie di Primavera, la quale, rise alle parole poco educate del ragazzo al suo fianco, rise anche perché erano le esatte parole che voleva dire lei, in quanto, il numero nove era esattamente l'autobus che doveva prendere.

"Scusa" 

"Niente" 

Primavera continuava a ridacchiare sotto voce per non far sentire a disagio il ragazzo. 

"Sai dirmi che ore sono?"

"Mh, Dio, è mezzanotte in punto"

"A quest'ora non passano più gli autobus"

E in quel momento, quasi in contemporanea, i due ragazzi si sedettero sul gradino del negozio delle scarpe dietro la pensilina. Una folata di vento scompigliò i capelli di Primavera che erano stati precedentemente ordinati il una treccia di lato.

"Quindi, esattamente, cosa dovremmo fare ora?"

"Non ne ho la più pallida idea"

"Bene"

Primavera picchietto il piede contro la neve sotto il gradino poi portò la mano sulla distesa bianca e tracciò, con un dito, la lettera "P".

"P?, è l'iniziale del nome del tuo ragazzo?"

"No, no, è l'iniziale del mio nome"

"Ah, quindi ti chiami Paola, o Petunia?"

"Petunia?"

"Perché no?"

"Già, perché no"

Primavera aveva sempre desiderato cambiare il suo nome così stravagante da starle stretto alcune volte. Alla ragazza piacevano i nomi americani, quelli con tante acca e con le vocali che si pronunciano in modo inusuale. Sua madre, però, amava i nomi italiani, quelli che li scrivi bene già dalla prima volta e che non devi stare a ripetere cento volte alla maestra un po' sorda delle elementari. 

"Comunque mi chiamo Primavera"

Il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata così ampia da risultare quasi fastidiosa, aveva gli occhi stretti tra loro così da impedirne la visuale. Primavera rimase schioccata dalla reazione del ragazzo, certo, si era preparata ad una sua risata ma non una in quel modo. La ragazza finse un colpo di tosse per attirare l'attenzione del ragazzo.

"Umh, perdonami ma non potevo non ridere..."

"Non era il caso comunque"

"Ma no, fammi finire, io mi chiamo Autunno"

"Oh"

Primavera era rimasta senza parole. La ragazza era rimasta stupita dal senso dell'umorismo del caso il quale aveva giocato, ad entrambi, un brutto scherzo. Quasi le veniva da ridere, una casualità come quella era sicuramente improbabile, se non  impossibile, eppure a loro era capitata.

"È assurdamente, incredibilmente, spazialmente buffo"

"È buffo il fatto che tu abbia usato tre avverbi"

"Adoro gli avverbi"

"Uh, io adoro l'indicativo"

"Perché?" 

"Perché quello è il modo della certezza, se tu dici una cosa è quella e basta"

"Non l'avevo mai pensata così"

Primavera cominciò a tremare dal vento freddo che si stava alzando ed Autunno, notando il tremolio della ragazza, sciolse il nodo della sua orrenda sciarpa per porgerla alla ragazza accanto a lui, quest'ultima sorrise amorevolmente al ragazzo così da ringraziarlo per il gesto. 

"Forse sarebbe meglio se ti portassi a casa"

"L'indicativo"

"Cosa?"

"Non hai usato l'indicativo"

"Già"

"Tu hai detto che ti piace l'indicativo, ma non lo hai utilizzato sta volta"

"Perché non ero sicuro che a te andasse bene"

"Oh"

Autunno prese coraggio e chiese a Primavera la sua via di casa così che lui potesse accompagnarla. Le farfugliò qualcosa di confuso e non preciso ma il ragazzo riuscì a capire la via di casa di lei.
Il tragitto non fu mai vuoto, i due continuavano a parlare e a parlare, come due amici di vecchia data che non si vedevano da tempo. 

 

Autunno racconto, ad esempio, del suo viaggio in Africa, quello che aveva fatto l'anno scorso dopo aver finito il liceo, allora Primavera raccontò dei suoi viaggi con la fantasia che faceva stampando le cartoline di tutti i posti in cui voleva andare. Il ragazzo le raccontò della sua professoressa di greco con le sopracciglia unite e di conseguenza la ragazza gli confesso di aver starnutito nel caffè del suo professore di chimica in quarta liceo. 

I due, seppur quasi completamente diversi erano al tempo stesso complementari. Quasi come se fossero nati per completarsi, come lo yin e lo yang. 

Arrivati al portone rosso del palazzo di Primavera la ragazza si tolse la sciarpa dal collo per poi porgerla verso il ragazzo Autunno, però, fece segno di 'no' con il capo.

"Ma è tua"

"Tienila, così ti ricorderai di me"

E con queste ultime parole il ragazzo poggiò la fronte su quella di lei e con un obbiettivo preciso poggiò, con cautela, le sue labbra su quelle di Primavere. Era un bacio dolce e delicato come se Autunno avesse paura di farle del male. 

I loro respiri si mescolarono tra loro e i rumori dei loro baci erano forti in quella notte silenziosa. Qualche vecchietto si era girato per osservarli con discrezione, non volevano di certo spaventarli. 

Finito il bacio Autunno se ne andò, senza una parola, lasciando lì da sola Primavera. 
La ragazza, dal canto suo, si morse le labbra come a voler intrappolare il sapore di Autunno, così da ricordarselo per sempre. 

Primavera aveva sperato di vederlo il mattino dopo, davanti la pensilina, però, quello che la ragazza non sapeva era che lui era partito, era partito per l'Africa, e questa volta non sarebbe tornato. 

 

 

 

   
 
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