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Autore: HeisWe    29/07/2015    9 recensioni
«Devi essere felice, è questo che conta.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mai troppo tardi 


Consegna 9: Storia di un uomo che ha inseguito un obiettivo non suo( un lavoro che non gli piaceva) e quando compie ormai 45 anni si rimette a studiare per diventare ciò che aveva sempre sognato.
 

Entrò per l'ennesima volta in quell'edificio, il posto dove sua madre avrebbe voluto vederlo. 
Ormai erano vent'anni che ci lavorava, vent'anni passati dietro una scrivania sommerso da una pila di scartoffie. Aveva fatto strada, si era creato la sua azienda e ora ne era a capo, deciso ad esaudire il desiderio di sua madre. 

Sorrise alla foto di lei che lo fissava dalla scrivania, quel viso allegro che aveva perso la sua spensieratezza nelle sue ultime settimane di vita. Era stata una gran donna, sua madre. 

«Sto morendo, Christopher, lo sai benissimo.» 
Era rimasto in silenzio. Non voleva ammettere che l'aveva capito molto tempo fa, non voleva dirlo ad alta voce. 
«Devi trovare la tua strada, vivere una bella vita. Fallo per me.» 
Allora lui le aveva sorriso, cercando di trattenere le lacrime. 
«Ti prometto che diventerò un uomo di successo e vivrò bene.» 
Lei rise. Una risata debole e carica di dolore, completamente diversa da quella che aveva un tempo. 
«Devi essere felice, è questo che conta. Magari a capo di una bella azienda, pieno di soldi e rispettato da tutti. Te lo immagini?» 
E lui che voleva insegnare. Sua madre, però, aveva ragione: il lavoro di insegnante non era sicuro o ben pagato, mentre quello che aveva in mente lei lo era. Fu in quel momento che prese la decisione di accontentarla e dimostrarle che suo figlio poteva costruirsi una bella vita da solo. 

Distolse lo sguardo dalla foto, chiudendo gli occhi e cominciando a strofinarseli. Maledetto mal di testa. 
In quel momento entrò la sua segretaria, Amelia, che gli sorrise timidamente e cominciò ad avanzare su quei tacchi vertiginosi per portargli i documenti che aveva chiesto. 
«Ecco qui.» Le sorrise e le fece segno di accomodarsi sulla poltrona davanti a sé. 
La ragazza esitò un attimo prima di sedersi e restò lì a fissarlo in silenzio. 
«Dimmi, è qui che ti immaginavi quando pensavi al tuo futuro da piccola?» 
La segretaria si rilassò leggermente, appoggiandosi allo schienale e accennando un piccolo sorriso mentre tornava con la mente alla sua infanzia. 
«Volevo fare il medico. Ho sempre desiderato aiutare gli altri, salvare delle vite. Credo che sia una delle professioni più impegnative, perché hai una responsabilità immensa, ma quando salvi qualcuno deve essere davvero stupendo. Non crede?» 
Lui annuì, trovandosi perfettamente d'accordo. 
«E cosa ci fai qui allora?» 
A quel punto il viso di lei si rabbuiò e abbassò lo sguardo, cominciando a fissarsi i piedi. 
«Genitori. Mio padre odiava la medicina e mia madre era troppo fragile e sottomessa per controbattere. Lui era un fanatico religioso, odiava tutto ciò che aveva a che fare con la scienza e pensava che curare le persone in punto di morte fosse sbagliato nei confronti di Dio, dato che Egli aveva voluto che si ammalassero. Non ha mai preso medicine, si è sempre rifiutato di farsi visitare da un dottore e alla fine è morto nel sonno, ancora abbracciato a mia madre.» 
«Mi dispiace molto.» 
«È successo sette anni fa.» 
«E perché non hai cominciato a studiare come medico, dopo la sua morte?» 
Lei scosse la testa, rassegnata. 
«Ho sempre pensato che comportandomi così l'avrei deluso. Gli volevo un gran bene, sa? È stato lui a dirmi di studiare per diventare segretaria, pensava che le donne dovessero assistere gli uomini. Ripensandoci non era poi una così bella persona.» Scoppiò a ridere, ma non era una risata del tutto sincera. 
«Io credo dovresti andartene da qui e ricominciare a studiare.» 
Alzò lo sguardo su di lui e gli sorrise. 
«Come ha fatto lei?» 
Chris si accigliò, squadrando da capo a piedi la donna che aveva osato rivolgergli quelle parole. 
«So bene che non è questo il lavoro che vuole fare. Glielo leggo in faccia ogni giorno che non è felice.» 
«So che può sembrare stupido, ma l'ho promesso a mia madre.» 
«Scommetto che sua madre avrebbe solo voluto che fosse felice. Lei qui non lo è.»
Lui allora scosse la testa. «Ho quarantacinque anni, ormai è tardi.» 
La segretaria si alzò, restando in piedi davanti alla sua scrivania. 
«Non è mai troppo tardi per un po' di felicità, signore.» 
Si voltò e cominciò a uscire dalla stanza, i capelli scuri che ondeggiavano a ogni passo. 
«Non è tardi neanche per te, Amelia.» 
Si fermò sulla soglia, lanciandogli un sorriso da oltre la spalla e facendogli l'occhiolino, per poi chiudersi la porta alle spalle. Quella fu l'ultima volta che la vide nel suo ufficio. 


Chris era seduto al tavolo di un bar, mentre leggeva il giornale e beveva il suo caffè. Lanciò uno sguardo alla barista dietro il bancone che sorrideva a un cliente mentre preparava un cappuccino e si chiese se almeno lei sentiva di aver fatto le scelte giuste. 
«Non sono tutti come te, Christopher. C'è gente che fa il lavoro che vuole fare.» sussurrò a se stesso. 
«Oh, certo! Ma ormai sono pochi.» 
A parlare era stato un anziano signore seduto al tavolo accanto al suo, anche lui con giornale e caffè. 
«Come, scusi?» 
«Dico che ormai quelli che sono felici della propria vita e del proprio lavoro sono pochi.» 
«E lei?» 
«Io? Ah, figliolo, io ho fatto l'errore più grande di tutti. Ho scelto una donna invece di me stesso. Non lo fare, caro mio, pensa prima a te stesso. Ti daranno dell'egoista e dell'egocentrico, ma almeno tu sarai felice.» 
«Oh, be', io l'ho fatto per mia madre in realtà.»
«Io credo che tua madre vorrebbe solo vederti felice.»
«Lei voleva che avessi successo.» 
«Oh, non credo. Era tua madre, tutto ciò che voleva era vederti fare qualcosa che ti rende felice.» 
«Devi essere felice, è questo che conta.» 
«
Come, scusa?» 
«Oh, niente, non si preoccupi.»

Si alzò, salutò il vecchio e uscì dal bar.
Non sapeva dove andare, ma quel giorno non sarebbe andato al lavoro. Era stufo di entrare in un posto a cui non apparteneva, stufo di rinunciare ai suoi sogni. 
Si ritrovò davanti a una scuola. Erano le otto di mattina e le lezioni stavano cominciando. C'era una fila di ragazzi che ridevano e scherzavano, tutti ancora convinti che avrebbero fatto del loro futuro ciò che volevano. 
Chris voleva ridere con loro. Voleva entrare da quella porta e sedersi dietro una cattedra, guardare in faccia tutti quei giovani e insegnare loro che la vita non si può dare per scontata e i sogni bisogna anche inseguirli. 
«È questo il tuo posto?» 
Si voltò e incontro gli occhi scuri di Amelia. 
«Cosa ci fai qui?» 
Lei gli sorrise, un sorriso vero questa volta. 
«Studio.» 
Chris spostò di nuovo lo sguardo sulla scuola, chiudendo gli occhi per un secondo e ripetendosi nella mente la domanda di Amelia. Era quello il suo posto? 


«Sì, è questo il mio posto.» 
«Allora prenditelo.»

 


 


 


 


 

 

   
 
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