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Autore: RomeoGiulietta98    29/07/2015    0 recensioni
Due nuovi giovani vampiri si uniscono al sempre più scomodo clan dei Cullen. Tra nuovi doni e antichissime conoscenze il mondo dei vampiri e sempre più scontento della silenziosa e potente dittatura dei Volturi.
I freddi si preparano alla grande battaglia e scelgono da che parte schierarsi.
Se con la morte o con la vita. Se con gli occhi dorati o con quelli rossi.
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Clan Cullen, Nuovo personaggio, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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L’aereo si staccò lentamente da terra mentre l’ormai familiare sensazione di salita si impossessava del mio stomaco.
Non pensandoci troppo mi concentrai sulla voce dell’hostess che, dalla cabina, annunciava la partenza del volo Toronto-Seattle, il primo dei due aerei che mi avrebbero riportato in Italia, che mi avrebbero riportato a casa.
Per ingannare l’attesa iniziai a scorrere gli occhi sulle pagine di Harry Potter e la pietra filosofale, ormai consumate dalle troppe letture ma il cervello proprio non voleva concentrarsi sulle bellissime parole della Rowling e vagava indietro nel tempo, scandagliando minuziosamente i meravigliosi ricordi di queste ultime due settimane trascorse in Canada oppure si perdeva ad osservare il corollario di umanità intorno a me sugli stetti sedili del piccolo airbus agognando a sedili più comodi come possono essere quelli del volo intercontinentale Seattle-Milano.
Avevo trascorso le ultime due settime nella bellissima e modernissima Toronto dopo aver vinto una borsa di studio per l’inglese ma ora che il mio soggiorno canadese era giunto al termine la voglia di rivedere quel pazzo albero genealogico che componeva la mia famiglia iniziava a farsi sentire. Purtroppo però non c’erano aerei diretti a Milano previsti per quel giorno così mi ritrovai costretta a fare scalo nel piovoso stato di Washington prima di poter ritornare nella mia adorata penisola.
Il volo fu relativamente tranquillo, intervallato sporadicamente da qualche vuoto d’aria e da un paio di carinissime nuvole di panna.
Avevo già riposto da un bel pezzo il mio adorato libro nel bagaglio a mano, troppo pervasa da una strana sensazione a volte meravigliosa a volte terrificante per concentrarmi su qualcosa di scritto e confusa dal fatto che non sembravo l’unica a provarla.
Una signora con due bambini di qualche mese cercava inutilmente di calmare i figli che si erano lanciati in un pianto disperato e non sembrava intenzionati a smettere tanto presto mentre una coppietta si teneva spasmodicamente la mano e si sorrideva nervosamente.
Un vecchietto aveva estratto dal partafoglio le foto di tre bimbe e le accarezzava con mano tremante mentre un uomo in giacca e cravatta picchiettava con forza decisamente eccessiva sulla tastiera del computer.
La parte euforica della sensazione era svanita, ora era solo terrore.
Iniziai a giochicchiare nervosamente con i lembi in denim del mio giubbino. Qualcosa stava per accadere lo sapevamo tutti.
Uno scoppio e poi un altro in rapidissima successione.
Un fumo nero e pesante che si alza dalle ali e poi la carlinga si inclinò in avanti iniziando una discesa nel vuoto velocissima. Verso i boschi di sempreverde sottostanti.
Se non fossi stata in quella trappola di metallo che si avvicinava rapida al vuoto avrei trovato la cosa quantomeno assurda, avevo sentito alla TV di tanti incidenti ma erano sempre sembrati così irreali. Questo era il momento in cui l’irrealtà diventava tragica realtà.
Attorno a me tutti urlavano, le istruzioni dell’assistente di volo solo un’eco lontana e inservibile.
Madri che stringevano figli, mariti che stringevano mogli e nell’aria grida, preghiere, maledizioni.
Dopo pochi secondi di pura follia impattammo contro lo strato di chiome arboree tipiche di questa zona.
Nell’impatto battei violentemente la testa contro il sedile, il mondo divenne all’improvviso un unico fascio di luce e i miei capelli castani si tinsero di un inquietante rosso sangue.
L’impatto col suolo fu ancora peggiore. L’aereo si sfasciò e da chissà dove spuntò un contorto pezzo di metallo che decise di piantarsi trasversalmente nel mio addome, da sotto il seno fin quasi all’inguine.
Il dolore era atroce e la dura roccia su cui ero adagiata non aiutava.
Intorno a me nessuno dava segno di muoversi o anche solo respirare.
Riuscii a muovere la testa leggermente di lato e una disperazione ancora più cupa si impossessò del mio cervello quando vidi uno dei due gemellini che erano seduti accanto a me, il visino una maschera di sangue e una delle piccole braccine completamene divelta dal corpo.
Il dolore cresceva secondo dopo secondo, i respiri sempre più faticosi e il sangue che sgorgava dalla ferita e imbrattava il pezzo nero di metallo come un macabro quadro di un qualche pazzo pittore futurista. Forse ero l’unica viva, forse no ma non mi importava. Volevo solo che quel terribile e insensato dolore finisse. Cosa avevo fatto per meritarlo?
Non potevo parlare ma il cervello era ancora troppo dolorosamente lontano dall’incoscienza.
Provai a pregare ma non sorti alcun effetto, le parole del catechismo troppo complicate e troppo poco praticate. Decisi di ricorrere a qualcosa di più ancestrale ancora e urlai mentalmente che volevo la mamma mentre troppo lentamente, così dannatamente troppo lentamente, tutto diventava più scuro.
Mi sembrò di scorgere con la coda dell’occhio una chioma bionda ma pensarci era troppo faticoso.
Finalmente fu tutto nero, ora dovevo solo aspettare che il cuore si fermasse e i polmoni smettessero di pompare aria e l’incubo sarebbe finito.
Con gli ultimi rimasugli di coscienza sentii qualcosa di freddo toccarmi, forse sollevarmi ma non posso dirlo con certezza.
Poi finalmente l’oblio del nulla.
 
  
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