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Autore: fireslight    29/07/2015    2 recensioni
«Quindi.. Che facciamo?»
«Miglioriamo il tuo francese, prima di tutto.»
«E poi?» la osserva attentamente, il portamento fiero, elegante, la sottile tiara dorata ancora fra i capelli scuri − dell’Imperatrice che avrebbe potuto essere.
«Mi racconterai di casa tua.»

[Rollo/Gisla♥][Pre!Season 4 • Slice of Life, Introspective − 2.096 words]
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Probably, they would get close with time
    {but curiosity is always a strange default}
 
 
Qualunque cosa suo padre dica, lei non lo farà. Oh, se non lo farà.
Preferirebbe mille volte salire su un rogo, o tagliarsi i polsi e attendere la morte come una serena liberazione da quel patetico spettacolo.
Gisla cammina lungo la navata della cattedrale, i mormorii della gente in uno sgradevole sottofondo, con lacrime fastidiose di rabbia e umiliazione che pungono gli angoli degli occhi, desiderose di lambirle il volto di porcellana. Eppure, se c’è una cosa che non farà, nei prossimi minuti, sarà piangere.
Che suo padre non abbia soddisfazioni, seduto su uno scranno che non merita più di quanto lei non meriti quella punizione − come un dio in rovina, splendido nel suo anonimato. E che lo straniero che l’aspetta all’altare non abbia a vedere quanto lo odi, quanto detesti la sua natura semplice e pagana, così lontana da tutto ciò che le avevano insegnato a temere e rispettare.
La cerimonia va avanti senza che Gisla senta davvero le parole del vescovo, finchè non è costretta a pronunciare le formule di rito − masticate in un rozzo francese dal vichingo, probabilmente imparate a memoria.
    «Vi dichiaro marito e moglie.»
E Gisla vorrebbe urlare, disperarsi fino a non avere più forze in corpo, perché non è in quel modo che avrebbe voluto andasse la sua vita, non è in quella direzione che avrebbe soffiato il vento della propria libertà.
 
 
 
Rollo la osserva a distanza, quando crede che lei non possa vederlo.
Dovrebbe essere un giorno felice, per lei, riflette tra sé, perchè in seguito a un matrimonio di tale importanza, a Kattegat si sarebbe festeggiato per giorni.
La vede seria, seduta al tavolo a loro riservato, rigirarsi tra le dita sottili una coppa di vino, senza alcun interesse, imperscrutabile come le acque del lago ghiacciate in inverno, e prova una strana sensazione alla bocca dello stomaco − quella tristezza, rabbia, qualsiasi sentimento ostile lei provi, è colpa sua. Non che lui avesse voluto quell’unione più di lei.
Perlomeno, Rollo sa essere sincero con sé stesso: non ha accettato di sposarla per le terre, né per il titolo di duca − non che possa importargliene tanto, alla fine un nome vale l’altro e lui preferisce tenersi il suo − ma per il semplice, quanto reale fatto di volerla comprendere.
Le si avvicina lentamente, durante il pranzo in loro onore, porgendole una mano come ha visto fare ad altri nobili con le loro dame.
    «Andiamo via da qui,» le dice in un francese azzardato, lingua che al più presto dovrà imparare. Le sorride conciliante prima che lei possa fulminarlo con gli occhi, inducendola con un cenno dello sguardo a seguirlo per un corridoio del palazzo, sino ad una terrazza affacciata sul fiume.
Trascorrono diversi minuti in silenzio, trincerati in un silenzio stoico, studiandosi a vicenda con gli occhi, in un gioco di sguardi che non avrà vincitori né vinti.
    «Da dove vieni,» lei gli chiede, parlando lentamente affinchè Rollo comprenda, «quanto seriamente prendete una promessa?»
    «Molto.»
Gisla lo guarda negli occhi, questa volta con un’intensità che, se non fosse chi è, Rollo sarebbe tentato di abbassare lo sguardo.
    «Allora prometti,» e riprende coraggio, la principessa straniera, perché è abituata ad ottenere ciò che vuole e Rollo sorride, gli ricorda il suo passato, in ogni gesto e movimento. Gli ricorda l’ostinazione e la determinazione di un guerriero tenace e invincibile e forse, l’ha sposata anche per questo «Prometti, qualunque cosa accada, che non alzerai mai, mai le mani contro di me.»
È una promessa strana, quella che lei chiede di mantenere; un giuramento che nasconde insidie e ostilità mal represse: è intelligente e astuta ma Rollo non ha intenzione di morire prematuramente, le parole dell’Indovino ancora nelle orecchie. Un orso sarà incoronato da una principessa.
    «Hai la mia parola. A patto che» replica in fretta, vedendo quegli occhi chiari retrocedere da un attacco mal calibrato, ritrarsi nell’ombra e attendere il momento adatto per colpire, come un vichingo, «tu non mi uccida per prima nel sonno.»
    «E dimmi,» lei si avvicina, lenta e tentatrice come una serpe, furba come una volpe, il tempo necessario perché Rollo ne avverta il respiro sulla pelle, l’eco lontana del suo profumo, «Quanto vale la parola di un pagano
I passi di Gisla riecheggiano per il corridoio, leggeri come se stesse fluttuando nell’aria e non sulla pietra. Se n’è andata in fretta, con un fruscio delicato di quel vestito che sembra esserle stato cucito addosso, prima che lui potesse realmente comprendere la portata di quella domanda.
Forse, riflette tra sé Rollo ancora una volta, mentre l’accenno di un sorriso gli sfiora il volto, forse sarebbe stato corretto dirle che in effetti, a voler esser precisi, lui era stato battezzato.
 
 
 
Le loro stanze sono buie come le caverne nascoste dagli alberi sui monti di Kattegat. Anche se guardandosi intorno, non si possa dire che siano spoglie: arazzi in porpora e oro appesi alle pareti, mobili dai legni più pregiati e ogni genere di cianfrusaglia in argento.
Scorge la sagoma della principessa nell’oscurità, illuminata soltanto dalla luce soffusa della luna che entra da una delle alte finestre dai vetri istoriati. Improvvisamente, Rollo la vede alzarsi e cominciare ad accendere diverse candele, disponendole ordinatamente per la stanza, adesso rischiarata di un bagliore soffuso.
    «Mio padre e tutta quella massa di idioti là fuori,» comincia in francese e lui non stenta a capire l’ultima parte della frase, una smorfia divertita in volto, «sono convinti che faremo qualcosa degno di nota, stanotte.»
Rollo la osserva sciogliersi i lunghi capelli allo specchio, non senza qualche difficoltà dovuta alla moltitudine di fermagli con i quali sono acconciati e le si avvicina lentamente da dietro, cosicché lei possa vederlo nel riflesso.
    «Lascia fare a me,» le dice d’istinto nella propria lingua, guadagnandosi un’occhiata scettica allo specchio e un elegante sopracciglio inarcato − alcuni gesti, tuttavia, sono di comprensione universale. Quei capelli sono morbidi tra le sue dita, del colore della terra appena falciata e pronta per il raccolto, con i riflessi del sole e scorrono per la schiena minuta della ragazza come le sorgenti di casa nei boschi. Rollo pensa a quanto sia diverso tutto quello, a quanto gli mancherà sentire il profumo di tempesta al tramonto, della resina degli alberi e del mare salato.
    «A cosa pensi?» si sente chiedere, l’espressione curiosa che lo osserva senza timore nel riflesso davanti a lei. Rollo sorride appena, sfiorandole adesso i capelli con entrambe le mani e la curva sottile del collo, fino alla spalla, coperta da un veste chiara.
    «A casa.»
    «Ti manca molto?» la sua è un’indifferenza studiata, come se non le importasse davvero eppure fosse curiosa di conoscere anche solo con la mente il luogo selvaggio dal quale proviene.
    «A volte,» ammette, pensieroso «Tu me la ricordi.»
    «Come?»
    «In diversi modi, principessa.»
D’improvviso, lei si volta, fronteggiandolo malgrado la notevole differenza d’altezza, gli occhi vigili e ridotti a fessura, come quelli di un rettile.
    «Il mio nome non è principessa.» protesta decisa, mentre Rollo incrocia le braccia al petto, guardandola per un momento dall’alto in basso.
    «E non osare guardarmi in quel modo, pagano.»
    «Proprio qui volevo arrivare,» afferma nella sua lingua con un sorriso divertito, ridendo appena della sua espressione confusa, per poi riprendere in quel francese masticato a fatica, decisamente da migliorare, «Il mio nome non è pagano,» replica, cercando di imitare il suo tono stizzito e riuscendoci, a quanto pare, a giudicare dall’espressione scocciata di lei, «Inoltre, sono stato battezzato diversi mesi fa’,» ride appena al ricordo di quella cerimonia dai risvolti comici, fermando con un gesto il tentativo della ragazza di interromperlo, «Che tu ci creda o no.»
    «Stai mentendo.» afferma sicura, dandogli le spalle ed osservando dalla finestra aperta il letto argenteo del fiume poco distante, ammantato di nebbia, «Non è possibile.»
    «Non avrei motivo di mentire, no?»
    «È solo una scusa.»
Rollo inarca un sopracciglio, confuso.
    «Una scusa per cosa?»
    «Per avvicinarmi, per spingermi a fidarmi di te: dici di essere stato battezzato, di essere un cristiano, ma la verità è che preghi ancora i tuoi Dei, lo hai sempre fatto e non cambierai per me,» è un istante, eppure crede di aver visto gli occhi di Gisla farsi lucidi, e non vuole interromperla, non adesso. Che si sfoghi, che pensi di essere la persona più infelice del mondo, che creda che loro due non possano avere alcuna possibilità, «perché nessuno ha mai pensato che non volessi qualcuno di diverso. Non mi importa dell’oro o delle ricchezze, ma di quello che c’è alla base.»
Gisla lo guarda per un momento, sincerandosi che la stia seguendo, e ne ha conferma nello sguardo serio di Rollo, che la osserva a sua volta con attenzione − non come i numerosi pretendenti che le venivano presentati da suo padre, incapaci di ascoltarla per più di un istante, credendo che il suo ruolo fosse uno ed uno soltanto.
    «Mio padre ti ha promesso delle terre nel Nord.»
    «Si, è così.»
Vuole allontanarsi, pensa lui, come se d’improvviso tutto fosse chiaro come il sole, se non ha potuto avere l’affetto del padre, scegliendo con chi passare il resto della sua vita, adesso potrebbe non voler sapere più nulla di lui.
    «Ottimo,» lei gli si avvicina di nuovo, così minuta che crede di poterle fare del male, se solo dovesse sfiorarla, ma di una tempra morale così forte che neppure il suo acciaio potrebbe spezzarla, «Al più presto, allora, ce ne andremo di qui.»
    «Pensavo ti sarebbe mancato, tutto questo.»
    «Non voglio condividere il tetto né tantomeno l’aria con l’individuo debole che siede sul trono di Francia.» mormora come tra sé, sedendosi su un lato dell’enorme letto in fondo alla stanza.
Rollo prende posto accanto a lei, osservandone il profilo dai tratti delicati.
    «Lo odi talmente tanto?» chiede incredulo, − un tempo, anche lui aveva odiato Ragnar per quello che non aveva potuto avere − «Così tanto che accetteresti di vivere con un pagano, eh?»
Gisla si volta, l’espressione colma di momentanea confusione mista a sospetto. «Ma se hai appena detto di essere stato battezzato.»
    «L’ho detto, sì» ammette, distogliendo lo sguardo e puntandolo fuori, al di là di quella prigione di marmo e oro e argento, «Ma era qualcosa di simbolico. Il termine di un accordo per delle terre in Inghilterra, niente di più. Come hai detto, prego ancora Odino, Thor e Freyr, l’ho sempre fatto e malgrado tutto, credo che lo farò per sempre.»
I loro occhi si incontrano, in una muta sensazione di consapevolezza da parte di entrambi, «Non posso cambiare ciò che sono, Gisla» e lei trattiene il fiato, sentendo per la prima volta il suo nome pronunciato in maniera così differente, senza ossequi e formalità, «Né vorrei che tu cambiassi per me; per quanto mi riguarda, puoi anche continuare a pregare quel tuo dio cristiano, non te lo impedirò.»
    «No?» il tono della principessa è sorpreso, come se si aspettasse l’esatto contrario.
Rollo si volta, sorridendole appena − di nuovo, e probabilmente ha perso il conto di quante volte abbia già sorriso, in quel giorno − e sfiorandole il dorso della mano posata sul letto, poi il viso, dagli zigomi alti ad un lato della guancia, lentamente.
Si aspettava che lei lo respingesse, che si ritraesse per essere stata toccata da uno come lui, eppure Gisla era rimasta immobile, gli occhi verdi fissi nei suoi − studiandolo ancora, nonostante tutto.
    «No. Se non fossi quella che sei, non saremo qui a discuterne. E se non avessi il caratterino che hai, non ci staremo divertendo a parlare di quanto le nostre vite siano orribili, in fondo.» le strizza un occhio, l’espressione al contempo guardinga e divertita e lei sorride di rimando, senza scomporsi, trincerandosi in quei silenzi che sono fortezze in cui nascondersi.
    «Quindi,» Rollo si toglie gli stivali e il mantello con un gesto annoiato, gettandoli vicino ad una poltrona dall’aria costosa; si sdraia sul letto, la schiena poggiata alla testiera in legno, le braccia incrociate dietro il capo, «Che facciamo?»
Tuttavia, lei impiega ancora qualche minuto ad uscire da quella sua fortezza interiore, fissando incurante il copriletto ricamato con occhi lontani, pensierosa.
    «Miglioriamo il tuo francese, prima di tutto.»
Poi si siede di fronte a lui, a gambe incrociate come una bambina che aspetti di ascoltare la favola della buonanotte, guardandolo adesso con una scintilla di accettazione camuffata di curiosità.
    «E poi?» la osserva attentamente, il viso illuminato solo per metà dalla luce che filtra dalle finestre, i lunghi capelli sciolti sulle spalle, il portamento fiero, elegante, la sottile tiara dorata ancora fra i capelli − dell’Imperatrice che avrebbe potuto essere.
    «Mi racconterai di casa tua.»





 
Note dell'autrice.
E niente, credo di star sviluppando una fissazione per questa coppia, insomma, sono troppo. Per non parlare del trailer della quarta stagione del Comic-Con - ed è in questa maniera che ho immaginato il loro matrimonio, non tra i più felici. Perchè Gisla si sente tradita dal padre e, di conseguenza, cerca rifugio altrove, anche se ciò significhi fidarsi di Rollo. 
Non so, trovo che entrambi potranno giungere a rispettarsi, con il tempo e perchè no, spero possa nascere qualcosa di romantico; Rollo, in particolare, è rimasto affascinato sin da subito da lei e, se ho capito come ragiona, penso che farà di tutto pur di renderla felice. 
Spero di essere rimasta IC con i personaggi, ma chi può dirlo? Alla fine non conosciamo davvero Gisla, e questa shot è solo un modo, da parte mia, di cullarmi nella speranza (aw, ma quanto sono poetica oggi?) che possano essere felici, alla fine. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, le recensioni sono sempre gradite ew.

Alla prossima,
fireslight.
  
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