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Autore: Tomiri    30/07/2015    4 recensioni
In un momento di pausa dai loro massacranti allenamenti, Garp decide avventatamente di raccontare a Rufy di suo padre, Monkey D. Dragon, svelando l'uomo dietro al rivoluzionario.
-Dalla storia:
Il nome che scegliemmo non posso ancora dirtelo per il tuo bene, ma posso dire che inizialmente pensai fosse una colossale idiozia. Insomma, è un nome che definirei impegnativo, evoca fuoco, sangue, ma anche valore e alti ideali. Oltretutto, non mi pareva un nome adatto ad un marine, ma tua nonna insistette ed io mi lasciai convincere, perché alla fine suonava bene e posso assicurarti che già allora incuteva rispetto al solo sussurrarlo e a me piaceva l’idea che mio figlio fosse uno rispettato.
E lo fu, diamine se lo fu, fin dai primi anni di vita.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Dragon, Monkey D. Garp, Monkey D. Rufy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note introduttive

Salve gente!

Da tempo volevo scrivere una fan fiction su questo fandom ed ero in cerca di un argomento che mi stimolasse. Ebbene, l’ho trovato. Ho scelto di fare un salto nel passato di Rufy per analizzare un po’ (nonché inventare di sana pianta) i tratti della figura di suo padre Dragon, a mio avviso uno dei personaggi più affascinanti dell’intero manga. Scrivendo questa one shot, oltretutto, mi sono resa conto che effettivamente della famiglia Monkey D. sappiamo davvero poco e nulla, così mi sono permessa di affibbiare a Garp una moglie senza davvero caratterizzarla, anche se ho provato ad accennare velatamente qualcosa sul loro legame che spero traspaia da quanto ho scritto, e di dare a Dragon un passato che nel manga non viene mai menzionato (anche se prima o poi Oda provvederà e questo mio scritto verrà completamente sconfessato).

Orbene, procedo nel sottoporvi la storia, sperando di non farvi sprecare il vostro tempo, e vi do appuntamento alla fine della shot, dove voglio precisare un paio di cose. Buona (spero) lettura!

 

I personaggi di One Piece appartengono al buon Eiichiro Oda ed io non traggo alcun profitto dallo scrivere fan fiction.

 

 

About your father

 

 << E dai nonno, lasciami! Stavamo solo giocando! >>

<< Devi smetterla di bighellonare con quei due, nipote sciagurato e perdigiorno! >>

Monkey D. Garp, la cui fronte per l’occasione era ornata proprio al centro da una grossa vena pulsante, trascinava letteralmente per la collottola, assai agevole da stringere fra le dita per gentile concessione del Frutto Gom Gom, il nipotino urlante, che poco prima aveva pizzicato a poltrire nei pressi della scogliera insieme a quella peste di Ace e a quello che non conosceva –Sabo gli pareva che si chiamasse.

E che diamine, poteva tollerare, addirittura vedere di buon occhio, malgrado la perniciosa compagnia di quei due bimbetti dall’animo sovversivo, che suo nipote si allenasse sfidando le belve che popolavano il Bosco di Mezzo. Ma l’inerzia e l’inattività no, non poteva soffrirle e pertanto il nipotino andava opportunamente strappato al dolce ozio e impegnato in attività più produttive.

<< Adesso ti alleni per davvero. Con me. >> fu il grugnito che il marine rivolse al piccolo e gommoso Rufy non prima di averlo poco cortesemente scaraventato ai piedi di una parete rocciosa. << Raccogli uno di quei lunghi bastoni. >> ordinò indicando un punto alla sinistra del bambino, il quale, benché leggermente stordito, per una volta eseguì senza fiatare.

<< Bene, >> approvò Garp facendo altrettanto << ora in posizione. Su quei gomiti! Tieni alta la guardia! Potrei colpirti in qualsiasi momento! >>

Quando Rufy ruppe il proprio silenzio con una risatina che molto si addiceva ad un bambino e per nulla ad un guerriero, il Pugno quasi si sentì in colpa.

<< Allora vuoi prenderle, vecchio! >>

Ecco, appunto. Quasi. Perché se qualcosa per un solo attimo aveva potuto dare una stretta, seppur leggera, al cuore di Monkey D. Garp, ora Rufy stesso si era giocato l’unica possibilità di evitare quel massacrante allenamento.

Garp scattò, menando il primo ligneo fendente ed incontrando, a riprova dei progressi compiuti, la sicura parata del nipote. Non lo avrebbe mai e poi mai ammesso, ma lo riempiva di incredulità la capacità di Rufy di assimilare rapidamente le conoscenze in allenamento per poi metterle a frutto già nella seduta successiva. Questa sua velocità nel recepire gli insegnamenti in qualche modo lo gratificava.

<< Sono colpito, figliuolo. Questo è il primo gradino della lunga scala che ti condurrà agli alti ranghi della benemerita Marina! >> si lasciò sfuggire, gonfiando il petto in un moto di orgoglio.

<< Allora non mi ascolti quando ti parlo >>. Il bambino, con le braccia ancora impegnate a contrastare la forza che Garp non aveva smesso di esercitare sul bastone, aveva inclinato la testa e sbattuto le palpebre un paio di volte. << Io diventerò un pirata. Come Ace, come Sabo. È così che deve essere, non l’hai ancora capito? >>

Dal momento in cui la fronte di Garp si aggrottò e la vena che la decorava iniziò a pulsare maggiormente, l’allenamento divenne all’improvviso assai più duro ed intenso.

 

***

 

<< Sei cattivo! >> berciò il piccolo Rufy visibilmente ammaccato << Io sono un bambino e tu ci metti tutta la forza! >>. Per quel giorno Garp aveva finalmente stabilito che ne avevano abbastanza, così ora nonno e nipote sedevano l’uno accanto all’altro sul ciglio della scogliera, catturando gli ultimi raggi di sole ed il primo fresco serale. O meglio, Garp tentava di catturarli in santa pace, ma Rufy con le sue rimostranze gli rendeva le cose parecchio difficili, come da abitudine.

Garp schiuse un occhio per scoccargli un’occhiata severa: << Devo andarci pesante, idiota! Quando incontrerai nemici veri, nella stragrande maggioranza dei casi loro saranno il doppio, il triplo di te! Pensi di poter dire loro “Fermi, sono più debole di voi”? E ti aspetti che loro si fermino e dicano “Oh, ma è vero! Come abbiamo fatto a non accorgercene?” e che se ne vadano felici e contenti? Ma sentilo, e poi vorrebbe fare il pirata! >> man mano che parlava la sua voce si era fatta più beffarda e questo offese Rufy.

<< Taci, io sarò un grande pirata! >>

<< Seh, certo. Ricorda di arruolare un compagno addetto a pulirti il moccio. >> commentò sarcasticamente Garp, salvo poi accorgersi che il suo piccolo interlocutore aveva preso la proposta fin troppo sul serio e si stava prodigando nella spiegazione di come a Foosha Makino gli avesse insegnato ad usare perfettamente un fazzoletto. Stanco di quella follia, gli rifilò uno dei suoi rinomati Pugni Amorevoli e l’ingiunzione di tacere una buona volta.

<< Ahio! Sei antipatico! >> protestò Rufy, massaggiandosi la testolina bruna, sulla quale un bel bernoccolo roseo aveva fatto la sua trionfale comparsa.

<< Rufy, ti prego, sta’ un attimo zitto. >> sospirò il marine, abbassando la palpebra che si era disturbato ad aprire poco prima per godersi almeno un secondo di pace e brezza marina. Rufy, incredibilmente, sembrò prendere atto delle esigenze del nonno e smise semplicemente di parlare.

Dopo un paio di minuti Garp, comprensibilmente non abituato ad una finestra di quiete così ampia, volse nuovamente lo sguardo su Rufy e lo trovò per la prima volta in vita sua assorto nella contemplazione del mare, gli occhietti neri letteralmente catturati dal dolce moto delle onde provenienti dall’orizzonte.

Se anni più tardi avesse dovuto individuare con precisione il momento in cui aveva definitivamente compreso che Monkey D. Rufy non sarebbe mai entrato in Marina, Monkey D. Garp avrebbe designato quello, senza alcuna esitazione. E non certo per una sua particolare bravura nel capire i bambini, bensì per esperienza.

 

<< Guarda papà, come è vasto il mare. >>

<< Beh, quando sarai un marine ti ci abituerai, se non vorrai sentirti affogare. >>

<< …Tu sai. >>

 

<< Venivo spesso qui con tuo padre. >>

Garp non avrebbe saputo spiegare come gli fosse venuto in mente di parlarne. L’identità di Dragon, almeno per il momento, doveva restare un segreto, principalmente per la sicurezza di Rufy. Certo, in termini di reputazione non era un genitore scomodo quanto quello di Ace, ma attualmente era l’uomo più ricercato dalla Marina e solo il fatto di essere suo figlio costituiva di per sé un crimine passibile di morte.

<< Mio padre? >> chiese il bambino con una voce strana, impastata.

Garp annuì senza più voltarsi a guardare in volto il nipote. Parlò e basta, perso nei ricordi.

 

***

 

<< Nel corso della mia carriera in Marina ho visto tante tempeste –come ne vedrai anche tu quando ti sarai arruolato, naturalmente- ma nessuna, dico, nessuna tanto violenta quanto quella che si era abbattuta su Goa quando tuo padre nacque. Acqua a catinelle, fulmini che illuminavano a giorno le tenebre della notte e tuoni che –non scherzo- fecero anche tremare un paio di volte il letto su cui tua nonna stava partorendo. Un calvario, quel parto. Non che abbia visto molti parti in vita mia, intendiamoci, ma penso che nella storia dei parti quello sia stato un capitolo memorabile; grazie al cielo tua nonna era una donna con le palle e sfornò senza problemi quella peste urlante. E se pensi che assistere alla nascita fosse stato difficile, non hai idea di che delirio furono i momenti successivi. Non c’era nessuno con noi, solo un’ostetrica, per giunta giovane e inesperta, quindi, mentre ancora tua nonna abbaiava imprecazioni per il dolore e il sangue che aveva sporcato le lenzuola e per qualcos’altro che non ricordo, mi toccò anche lavarlo. E rischiò pure di cadermi, era scivoloso. Però, Rufy, tenere in braccio un figlio appena nato è un’esperienza senza pari: lo guardi e pensi a tutto ciò che di buono farai per lui ( ad esempio trovargli un buon posto tra i ranghi della Marina), a quanta fatica farai a dissimulare il fatto che lo ami più di te stesso (insomma, non potevo mica passare il tempo a spupazzarmi il marmocchio con un sorriso idiota in faccia, ho una certa reputazione io!), a cosa la vita in questo mondo gli riserverà. Il nome che scegliemmo non posso ancora dirtelo per il tuo bene, ma posso dire che inizialmente pensai fosse una colossale idiozia. Insomma, è un nome che definirei impegnativo, evoca fuoco, sangue, ma anche valore e alti ideali. Oltretutto, non mi pareva un nome adatto ad un marine, ma tua nonna insistette ed io mi lasciai convincere, perché alla fine suonava bene e posso assicurarti che già allora incuteva rispetto al solo sussurrarlo e a me piaceva l’idea che mio figlio fosse uno rispettato.

E lo fu, diamine se lo fu, fin dai primi anni di vita.

Da bambino era abbastanza simile a te, anche se il suo atteggiamento era decisamente più maturo e responsabile. È sempre sembrato più grande della sua età; credo lo abbia preso dalla madre, che era una che tendeva sempre a prendere le cose molto seriamente. D’altra parte passò buona parte della sua infanzia con lei, dato che io ero impegnato a portare la Giustizia in giro per il mondo. Cercavo di tornare a casa almeno un paio di volte l’anno, spesso mi riusciva anche di farlo con più frequenza grazie all’immensa pazienza di Sengoku, e ogni volta mi stupivo. Non cresceva solo il ragazzo, se capisci che intendo, cresceva il suo carattere: tuo padre –lo dico con orgoglio- è sempre stato un idealista, schierato dalla parte dei perdenti, votato alla protezione dei più deboli, anche a costo di non farsi gli affari propri e di cacciarsi nei guai. E non hai idea dei casini in cui è stato capace di infilarsi! Una volta ad esempio –avrà avuto sei o sette anni- picchiò un paio di boriosi ragazzetti nobili che avevano preso di mira un bambino più piccolo, uno del Grey Terminal, che all’epoca non era vasto quanto adesso, ma c’era. Io non ero presente, ma tua nonna mi raccontò che li aveva proprio conciati per le feste; e c’è da crederle, ché lei era una che non esagerava mai, riportava sempre fin troppo fedelmente i fatti. E lui, non contento, si permise persino di infilarsi nelle cucine del palazzo di uno dei due rampolli, dove rubò della carne da portare al bambino che aveva aiutato perché si riprendesse in fretta! Un bambino che non aveva mai visto, capisci! E non fu quella l’unica volta, perché poco più tardi cominciò a trafugare regolarmente cibo dalle cucine nobiliari del regno per portarlo nelle case in cui invece si respirava la miseria. Aveva letto su qualche libro dell’importanza di una buona alimentazione ed era deciso a garantirla a tutti, ti rendi conto? Agiva in modo così avventato che in confronto le stupidaggini che combini tu sono davvero poca cosa. E sapeva benissimo di mettersi in pericolo, perché a differenza tua aveva costantemente la piena consapevolezza della portata di ogni singolo atto che compiva, ma quando noi genitori lo sgridavamo (senza troppa convinzione a dire il vero, perché alla fine sapevamo che aveva perfettamente ragione) rispondeva con quella sua vocetta petulante che erano cose necessarie, che si trattava di garantire a tutti gli stessi diritti, che proprio perché erano atti rischiosi nessuno li avrebbe compiuti se non lui che ne aveva il coraggio. Che potevamo rispondergli? Cosa si può obiettare ad un bambino che ha già capito come funziona –o meglio, come non funziona- il suo mondo ed è determinato a fare qualcosa, almeno nel proprio piccolo, per cambiarlo? Decidemmo di lasciarlo fare. E fece di tutto: che ci fosse da gridarne quattro a qualche spaccone arricchito, da difendere persone in difficoltà, da aiutare a costruire una casa, da fare la spesa per la vecchietta allettata di turno, lui non si tirava mai indietro. Pensa che se in molti fra gli abitanti di Goa di estrazione popolare sanno leggere e scrivere e hanno libri in casa, è merito suo. Tuo padre ha sempre amato visceralmente la cultura, in un modo che né io né sua madre, che pure era tutt’altro che ignorante, riuscivamo a spiegarci. E, quando non era impegnato a fare il buon samaritano o a sottoporsi a sfiancanti allenamenti per poterlo fare, divorava questi libroni giganteschi, pieni di storie o delle opinioni di uomini morti secoli prima della sua nascita. “Chi non sa, resterà sempre impotente dinanzi alle storture del mondo”, ripeteva, “Un vero cittadino è quello che china la testa solo sui libri”. Parole che io ripeto con questo tono pomposo, ma che lui riusciva a pronunciare con una solennità da pelle d’oca e, soprattutto, con una determinazione ed una convinzione capaci di far vacillare chiunque, anche il più rozzo e becero degli uomini.

Tutti qui lo conoscevano –senza per forza conoscere me e sua madre-, e non ho mai incontrato qualcuno che fosse rispettato e amato com’era lui. Sul serio, Rufy: amato. Gli adulti lo veneravano per la sua determinazione a rendere partecipi tutti di qualsiasi cosa potesse migliorare la loro vita e i coetanei lo consideravano un eroe che avrebbero voluto imitare, pur sapendo che non ne sarebbero mai stati davvero in grado, perché nessuno era come lui. Pensa che una volta, quando aveva più o meno dieci anni, un’anziana donna del Grey Terminal venne da me, senza peraltro avere idea di chi diavolo fossi e cosa facessi, e mi disse, con queste esatte parole, che attorno a mio figlio si respirava aria pulita, di Giustizia. Queste cose mi facevano gongolare, lo ammetto, perché mi aspettavo che in futuro quel suo carisma lo rendesse un grande comandante. Se davvero la Marina avesse avuto tra i suoi ufficiali uno come lui, forse non si sarebbe creata tutti i nemici che ha, forse la pirateria sarebbe un fenomeno meno dilagante. Non lo dico perché si tratta di mio figlio, davvero. E’ che secondo me tuo padre era nato per essere un marine, per diventare Grand’ammiraglio. Per guidare il mondo.

E secondo te stette a sentire i miei consigli? Prese forse la strada che il destino aveva praticamente disegnato per lui? Certo che no, ha la tua stessa testaccia dura!

Era ancora un ragazzino quando partì, non aveva vent’anni. Per salpare scelse uno dei periodi in cui io ero a casa, voleva salutarmi. Non pensavo di contare così tanto per lui, dato che ero spesso lontano e quando tornavo principalmente mi dedicavo al suo allenamento. Già, avresti dovuto vedere quante gliene suonavo, altro che le carezze che faccio a te! Davanti a lui non l’ho mai ammesso –elogi, roba da femminucce!- ma credimi quando ti dico che solo se lavorerai molto, ma molto duramente, potrai raggiungere il suo livello.

Comunque, quando mi diede la notizia eravamo proprio qui su questa scogliera, forse non proprio in questo punto preciso, ma non molto distanti. Lui guardava il mare come te, anche se era molto più grande e meno incerottato, e io pensai che quell’immensità lo impressionasse. Anche se può non darne l’impressione, è sempre stato un ragazzo sensibile. Gli dissi qualcosa a proposito del fatto che in Marina avrebbe dovuto farci l’abitudine e sai come rispose lui? Non rispose. O meglio, rispose, ma a modo suo. Non staccò gli occhi dall’orizzonte –e, diamine, pensandoci aveva la tua stessa espressione-, fece silenzio per un po’ e poi sillabò semplicemente: << Tu sai. >>

Non era una domanda, non era un’affermazione. Credo fosse piuttosto una sorta di augurio. Lui sperava che io avessi già capito quali fossero le sue reali intenzioni. In quel momento la verità mi crollò addosso in tutta la sua ovvietà. Mio figlio non voleva fare il marine, avrei dovuto esserne consapevole fin dall’inizio. Non che avesse mai manifestato segnali di insofferenza verso il mio mestiere, anzi. Credevo che la carriera militare fosse la più adatta al suo spirito per l’abitudine che aveva a condannare fermamente ogni ingiustizia, da chiunque essa fosse perpetrata, e ad agire per riparare ai torti di ogni specie, come fa chi fra di noi segue la Giustizia Morale. Lui era solito dire che ciò che è giusto e ciò che è sbagliato si misurano nei moventi, ossia nei principi, negli ideali che guidano le azioni di ciascuno; parlava di come il “ruolo” che si sceglie di assumere nella società umana divenga l’unico metro valido per giudicarci. Non avevo capito però che per lui non era una questione di ruoli nel senso in cui li intendevo io, con gli uomini al servizio del Governo, legali, e all’opposto i pirati, che agiscono al di fuori della legge: ai suoi occhi un marine con dei saldi principi morali a guidare il suo braccio valeva quanto un pirata animato dagli stessi principi. Ci ho messo anni per rendermene conto, ma ora so che il suo concetto di “ruolo” ha a che fare con l’impatto delle nostre azioni sul prossimo. Generalizzando, a lui preme stabilire se chi ha di fronte sia guidato dall’istinto del salvatore o da quello del carnefice. Non gli interessa di avere davanti un pirata, fuorilegge per sua natura, piuttosto che un soldato, gli importa il fine per cui essi agiscono, se in nome della libertà o della volontà di sottomettere i propri simili. La Giustizia che persegue lui va oltre le sfumature di Assoluta, Neutrale, Morale fra cui i marines sono soliti scegliere credendo che questa sia una loro libertà professionale, mentre invece tutte e tre sono opzioni vincolate da un potere superiore e autoritario. Lui, fin da piccolissimo, non fa che difendere il diritto di ogni singolo individuo di non essere oggetto della prepotenza di nessuno. La Marina, anche l’ala della Giustizia Morale, pensa nel migliore dei casi a mantenere gli equilibri globali –quelli del Governo Mondiale e dei suoi cittadini, quelli dei Draghi Celesti e dei loro schiavi, quelli del potere costituito e dei suoi sudditi insomma- difendendo quanto più possibile l’incolumità degli individui comuni nel processo di conservazione delle istituzioni; tuo padre invece ambisce allo scardinamento di quegli equilibri, che ritiene iniqui, violenti, ormai insostenibili, conscio di come per cambiare il mondo non si possa fare parte degli ingranaggi che lo mandano avanti.

Prima di quel breve scambio di battute con mio figlio non avevo mai fatto riflessioni del genere. Figuriamoci, io pensavo a fare onestamente il mio dovere, anche mandando a quel paese i vertici in caso di bisogno; ritenevo legittimo correggere la rotta delle istituzioni di tanto in tanto, ma mai mi era balenato in mente di invertirla del tutto. Che vuoi, Rufy, sono un vecchio soldato, non un giovane rivoluzionario. Ma quelle due parole, “Tu sai”, mi diedero finalmente la misura di quanto le posizioni mie e di mio figlio fossero distanti fra loro, seppur le nostre azioni viaggiassero in direzioni parallele.

Potresti credere che, dopo quella rivelazione, lo abbia preso a pugni, cacciato ingiungendogli di non farsi mai più vedere dinanzi a me, ma non andò così. In tutta sincerità –e sta’ bene attento, perché non mi sentirai dirlo una seconda volta- non sono mai stato fiero di mio figlio come in quell’istante. E sì che me ne aveva dati fino a quel momento di motivi d’orgoglio.

Ormai l’avrai capito, Rufy: tuo padre non entrò mai in Marina. Salpò dalla baia con una misera imbarcazione –una zattera quasi-, sorridendo e salutando con la mano mentre tua nonna faceva del suo meglio per rispondergli e trattenere le lacrime. Io no, figuriamoci. Noi marine, come apprenderai un giorno, non piangiamo, nossignore! Al massimo assumiamo un discreto e marziale sguardo liquido di commiato. Ho cercato per anni di farlo capire a Dadan, che quel giorno era presente in veste di stupida e rubiconda ragazzetta, ma pensi che mi dia retta? Colpi di sole, brutta cosa.

Comunque, dopo l’addio –da parte mia per nulla lacrimoso, ci tengo a ripeterlo- tuo padre non ci mise molto a diventare qualcuno. Seguendo le notizie sui giornali lo vidi trasformarsi in leader, esattamente come avevo previsto, anche se in un ambito diverso da quello che avevo sempre sperato. La sua pericolosità agli occhi del Governo aumentava e i miei commilitoni e sottoposti mi guardavano con un misto di diffidenza e commiserazione, evidentemente ignari della mia segreta fierezza per quanto mio figlio riusciva a fare. Possono dire qualsiasi mostruosità di lui, ma io so che tipo di uomo salpò da queste coste. Non gli imposi la mia volontà e non me ne pento.

Lo rividi, comunque, e fu quando nascesti tu. Il parto di tua madre –ragazza in gamba, forse l’unica persona al mondo capace di tenere testa a tuo padre-, per quanto ne so, filò molto più liscio di quello di tua nonna, anche se cominciasti subito a piangere a dirotto lamentando, come non tardammo a scoprire, una fame da lupo. Quando entrai nella stanza, vidi tuo padre tenerti in braccio e il senso di déjà-vu mi colpi come un pugno in pieno viso. Era come riguardarsi dall’esterno a distanza di anni. Mio figlio stringeva al petto la propria creatura, il testimone era passato in mano sua. Lascia che te lo dica, Rufy: non ho mai visto tuo padre tanto felice come quando ti prese tra le sue  braccia per la prima volta e mai tanto triste come quando ti depose tra le mie prima di dover ripartire. Lo addolorava lasciarti, si vedeva benissimo, ma conosceva la responsabilità che aveva deciso di assumersi nei confronti del mondo, così come conosceva il rischio che avresti corso restando con lui. Ecco un’altra cosa che avrebbe fatto di lui un grande marine: il senso del dovere.

Siamo una famiglia strana, noi. Abbiamo quella maledetta lettera puntata nel cognome che ci rende imprevedibili –dunque impossibili da indirizzare sulla retta via, quella della Marina-, ma è anche vero che, non so come, quella stessa lettera sembra mantenerci in qualche modo non solo molto forti ma anche… onesti direi. Per questo non voglio che la pirateria sia il tuo mondo, Rufy. Ci sono persone fuori dall’ordinario in senso positivo, ma anche e soprattutto in senso negativo. Tu puoi fare grandi cose, questo è innegabile, ma sono preoccupato per chi potresti incontrare sul tuo cammino. Oppure si tratta di una mia paura inconfessabile. Vedi, negli anni  ho fatto pace con la possibilità di dover arrestare e veder giustiziare mio figlio –anche se dubito fortemente che quella peste si farebbe catturare da chicchessia, fosse anche Sengoku in persona riuscirebbe a cavarsela-, ma temo di non essere altrettanto pronto a fare lo stesso per quel che riguarda te, o anche Ace. Non vorrei mai dovermi trovare, un giorno, a fare la guardia ad un patibolo per impedire che uno di voi due idioti ci si butti a capofitto per salvare l’altro.

Ma questo non deve preoccuparmi, perché tu continuerai ad allenarti duramente, e sottolineo duramente, per poi entrare in Marina e diventare un bravo ufficiale, così da rendere tuo nonno fiero di te! Capito Ruf… >>

 

Lo sgomento nella sua forma più pura colse Garp quando, volgendo gli occhi per dare un buffetto al nipotino, lo trovò a terra supino, con la tesa di quel suo diabolico cappello di paglia a celargli metà del volto incerottato e la bocca aperta all’inverosimile da cui usciva un respiro regolare che pareva un’esalazione di beatitudine.

Monkey D. Rufy era accanto a lui, beatamente addormentato.   

<< Ma che… Rufy! >> riuscì soltanto a sbraitare prima di rifilargli uno dei suoi più energici Pugni Amorevoli, svegliando il bambino e facendolo gemere di dolore.

<< Ahi, nonno! Ma sei matto? >> provò a protestare Rufy, strappato malamente al riposo, ma fu prontamente zittito dalla voce stizzita di Garp, apparentemente preda di un travaso di bile.

<< Fammi capire: io per tutto questo tempo ho parlato all’aria? >> abbaiò il vecchio, dimenticandosi, nell’impeto di collera, di scandire le parole, che uscirono come un unico incomprensibile urlo.

<< Eh? >> fece giustamente il bambino << Nonno, che hai detto? Non ti hanno insegnato che le parole vanno dette separate, altrimenti non si capisce niente? >>

Solo quando il secondo pugno si fu abbattuto sul capo di Rufy la vena al centro della fronte dell’uomo tornò a pulsare ad un ritmo che, benché ancora lungi dal definirsi normale, non minacciasse perlomeno di fargliela esplodere.

<< Quando ti sei addormentato, lazzarone che non sei altro? >> chiese Garp racimolando tutta la calma, poca a dire il vero, di cui ancora disponeva.

Il nipotino, incoscientemente, si era infilato un dito nel naso e si stava sinceramente sforzando di ricordare l’attimo preciso in cui le spire del sonno lo avevano ghermito.

<< Vediamo… stavi parlando di una tempesta, mi pare. Una tempesta molto forte! >> sorrise infine, tutto soddisfatto. Garp non poté fare altro che schiaffarsi una mano sulla fronte.

Magnifico. Quindi il piccolo idiota non aveva captato una sola parola del suo profondo e appassionato racconto. L’eroe della Marina sospirò, pensando che da un certo punto di vista fosse meglio così. Era stata un’idea incauta parlargli di suo padre, soprattutto per quanto riguardava la sua scelta di vita; sarebbe stato come fornire a Rufy un’ulteriore e definitiva motivazione per tenersi a debita distanza dalla Marina e dai suoi ranghi. Che poi –pensò ancora fuggevolmente Garp- chi voleva prendere in giro? Le probabilità che Monkey D. Rufy entrasse in Marina erano più o meno analoghe a quelle che Curly Dadan si desse alla danza del ventre. Molto, molto basse.

Si tirò su, ergendosi in tutta la sua statura dinanzi al nipote, che ancora lo fissava con il suo sorrisetto infantile e il dito infilato nella narice. Per certi aspetti, sarebbe stato molto più facile se la sua somiglianza al padre fosse stata più spiccata. Non che Dragon non si concedesse dei momenti di ilarità, ma mai e poi mai si sarebbe abbandonato a certi atteggiamenti così idioti e spensierati, quelle erano cose da… beh, da Monkey D. Garp.

Questo pensiero non fu che un lampo nella mente del marine, ma riuscì ugualmente ad addolcire la sua espressione.

<< Va bene, Rufy. >> concluse, mettendo a tacere il rumoroso sciame di ricordi nella sua mente. << Dato che hai avuto tutto il tempo di farti una dormita coi fiocchi, direi che possiamo ricominciare l’allenamento. Stasera in notturna! >> esultò soddisfatto, mentre il faccino del nipote impallidiva.

<< Ma… ma nonno, è tardi… >> provò a mettere insieme Rufy, senza venire nemmeno ascoltato. Il vecchio Garp si stava già inoltrando nel bosco con il bastone in spalla, bofonchiando, non udito, qualcosa circa l’inutilità di parlare a delle piccole zucche vuote, se non a tempo debito e in un futuro assai remoto, di quanto più in gamba di loro fosse chi li aveva generati.

 

 

Tomiri ringrazia e parla ancora (principalmente per pararsi il culo)

 

Anzitutto, ringrazio chiunque sia arrivato fin qui.

Che dire, l’idea è nata principalmente perché la storyline che riguarda l’Armata Rivoluzionaria è quella che mi appassiona di più in One Piece. Mi rendo conto che è anche una di quelle di cui sappiamo meno, ma alla luce degli avvenimenti di Dressrosa (che, in quanto ancora inediti per l’anime doppiato in italiano, sono spoiler e dunque non ne faremo parola) sono molto fiduciosa nel fatto che Oda ci mostrerà qualcosa di più a proposito di questa bellissima parte della sua storia. Inutile dire che ciò implica che probabilmente scriverò ancora sull’Armata.

Per quanto riguarda specificamente la storia, ho cercato di restare il più possibile IC. Credo di esserci riuscita con Rufy, ho cercato di dare una mia personale versione della personalità di Dragon (che ancora non conosciamo perfettamente, al pari del suo passato), ho il dubbio su Garp. Forse il nostro nonno-marine preferito non è tipo da perdersi così nei ricordi, ma ho pensato che comunque è un padre e la dimensione genitoriale è sempre qualcosa di molto particolare. Inoltre abbiamo già visto Garp assumere atteggiamenti che potremmo definire d’affetto verso i nipoti (mi viene in mente la visita ad Ace rinchiuso a Impel Down e in generale tutto il suo conflitto interiore durante gli scontri di Marineford). Poi ho pensato di inserire nei suoi discorsi riferimenti frequenti alla Marina e alla sua volontà di mandarci dapprima il figlio e poi il nipote, come se fosse una sua ossessione. Non ricordo se nel manga faccia spesso riferimento a questo, ma mi divertiva l’idea.

Per quanto riguarda la moglie di Garp, ho proprio inventato di sana pianta. Non sappiamo nulla circa la sua esistenza, ma qualcuno deve pur aver avuto il ruolo di madre di Dragon.

Insomma, Garp ha parlato a ruota libera (e incautamente, aggiungerei) del suo amato figliuolo rivoluzionario, ma Rufy dormiva nella grossa (certo, altrimenti come farebbe ad essere ancora ignaro di tutto dopo Enies Lobby, come vediamo nel manga?). In casa Monkey D. la narcolessia la fa da padrona.

 

Ringrazio chi ha letto questa storia, chi la recensirà, chi spegnerà schifato il computer, chi la stamperà per farne carta igienica… insomma, grazie a tutti.

Mi sono divertita molto a scriverla e ho già qualche vaga idea per altri racconti, se qualcuno avrà piacere di leggerne. A presto!

 

Tomiri

 

   
 
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