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Autore: IlaryCobain    30/07/2015    4 recensioni
11 settembre 1889.
Clarissa Hyde viene uccisa per ben quattro volte nel giro di 24 ore.
12 settembre 1889.
Clarissa Hyde scrive cinque lettere, una per ogni omicidio più una per l'investigatore di Scotland Yard che sta seguendo il proprio caso per spiegargli la dinamica dei quattro omicidi combinati, ma soprattutto per rispondere alla vera domanda: come può una donna morta scrivere delle lettere?
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
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Little York, England,
Settembre 12, 1889.

Mia carissima Annabeth,
La tua visita mattutina di ieri è stata tanto inizialmente piacevole quando sorprendentemente inaspettata per i suoi effetti sulle nostre vite successive.
Devo confessarti che le mie giornate in questo periodo dell’anno sono piuttosto monotone - anche se non le definirei noiose - e non ho molte persone a farmi compagnia, per cui le visite dei miei pochi ma fidati ed intimi amici sono più che accette e gradite.
Sono solita alzarmi presto la mattina, non molto tempo dopo la rosseggiante alba autunnale che diverse mattine ho tentato di raffigurare nei miei dipinti, ma senza successo poiché catturarne l’energia e l’essenza non è facile.
Ma sto divagando, perdonami, perciò tornerò alla descrizione delle mie usuali mattine d’autunno riprendendo da dove l’avevo lasciata.
Dunque, una volta sveglia, mi preparo un bagno caldo ricco di sali ed essenze e, dopo essermi rillassata per circa un’oretta - mi prendo tanto tempo, ne sono consapevole -, esco dal mio cottage immerso nella natura per fare una passaggiata con Karoline, la figlia dei vicini nostra coetanea, che condivide in certa misura la mia passione per la natura e la cura del giardino. Insieme ci dirigiamo in paese, a poche miglia dai nostri cottage, per fare colazione insieme dopodiché torniamo indietro.
Di nuovo a casa, mi reco in giardino - se il tempo lo permette - a dipingere finché perdo la cognizione del tempo, tanto che più di una volta mi è capitato di saltare il pranzo o di dimenticarmi di fare delle commissioni in paese. Non avendo permesso ai miei genitori di affidarmi una servetta, per quanto utile forse mi sarebbe stata, in casa svolgo ogni mansione: lavo, cucino e curo il giardino, ma la cosa non mi disturba, anzi lo trovo un piacevole passatempo.
D’altronde essendo mantenuta parzialmente dai miei genitori - che come ben sai sono discretamente benestanti - ed essendo buona la rendita che mi deriva dalla vendita dei miei quadri, posso permettermi questo “ozio” come lo definisce la mia famiglia e di non sposarmi, non ancora almeno. Mi piacerebbe condurre per sempre questa vita, piuttosto solitaria certo, ma anche ricca di soddisfazioni personali ed indipendenza, mi capisci? E poi mi basta avere qualche buon amico come te per non sentirmi sola.
Per questo ti sono grata per la tua visita di ieri, che ha spezzato la routine e scombinato i miei piani per la giornata. Non te ne faccio una colpa, in fondo non erano niente di particolare, nulla tanto sorprendente quanto quello che la tua visita ha portato.
Erano - se non ricordo male - circa le dieci di mattina quando bussasti alla mia porta. In quel momento ero intenta a prepararmi un altro bagno, dato che Kitty, la gattina dei vicini, poco prima mi era saltata in braccio mentre facevo colazione con Karoline e i suoi genitori. Scesi le scale ed aprii la porta, rimanendo sorpresa di vederti lì ad attendermi, sorridente come sempre.
Una volta accomodateci, in soggiorno, abbiamo parlato e discorso per quella che a me è sembrata una piacevole infinità di tempo, ma che in realtà è stata poco più di una mezz’ora. Mi raccontasti dei tuoi due ultimi viaggi: il primo in Asia, presso una piantagione di riso posseduta dalla tua famiglia da quasi vent’anni, il secondo insieme alla nostra amica Lydia in Grecia ad ammirare i templi antichi e le ultime scoperte dell’archeologia.
Sei sempre stata una brillante oratrice e nel racconto di questi tuoi viaggi ricchi di avventure non ti sei sminuita. Ovviamente con tutto quel parlare ti venne sete, così mi alzai per prenderti un bicchiere d’acqua fresca – con un tocco di limone s’intende, come piace a te - in cucina, ma subito mi fermasti, offrendoti di andare tu stessa a prendere l’acqua affinché io potessi sfogliare le fotografie dei paesaggi greci e orientali. Dato che altre volte venisti nel mio cottage e dunque era buona la tua conoscenza anche della mia cucina, acconsentii alla tua proposta. Mi sedetti nuovamente sul divanetto in mezzo al soggiorno e presi a sfogliare le fotografie che mi avevi portato; erano piuttosto intriganti, scorci di paesaggi naturali che si intrecciavano armonicamente con i ruderi di costruzioni antiche: mi sarebbe piaciuto riportare quelle viste sulla tela, anche se avrei dovuto supplire con la fantasia alla mia ignoranza dei colori reali che adornavano i soggetti delle fotografie [ndA: le fotografie erano ancora in bianco e nero].
Dopo qualche minuto tornasti in soggiorno chiedendomi scusa, poiché ti eri appena ricordata di un impegno urgente e molto importante, per cui ti diressi alla porta salutandomi in modo sbrigativo con un “addio”, io ricambiai il saluto e chiusi la porta alle tue spalle, perplessa.
Mi diressi al secondo piano, dove il bagno di Sali alla lavanda mi stava aspettando da quasi quaranta minuti. Mi spogliai ed entrai in vasca, dove, appoggiando il capo al bordo di essa e chiudendo gli occhi, iniziai a rilassarmi.
Non so dirti quanto tempo fosse passato, se un’ora o un solo minuto, quando udii il click della serratura del bagno, perciò aprii gli occhi e ti vidi lì di fronte a me: sembravi quasi un’altra persona rispetto a poco prima, gli occhi iniettati di sangue e disprezzo nei miei confronti. Avevi in una mano un paio di cesoie da giardino – le mie cesoie da giardino, da cui dedussi che tu fossi entrata dalla porta secondaria che dal mio giardino portava direttamente in cucina, dove poco prima eri andata a bere, ma forse questa era stata solo una scusa per manomettere la serratura della porta secondaria in modo da poter rientrare in casa più tardi, silenziosa e indisturbata. Nell’altra mano avevi una pila di Volta costituita da strati alternati di zinco e rame in cui scorreva un flusso di corrente continua a medio voltaggio grazie anche alla presenza di due fili di rame che collegavano il polo positivo con quello negativo. Certo la pila era un’invenzione recente, ma tu che eri sempre stata un’appassionata di tecnologia la studiasti da subito e ne diventasti quasi un’esperta – se solo non fossi nata donna avresti potuto avere una brillante carriera!
E così eravamo tu ed io, una di fronte all’altra, una nella vasca colma d’acqua l’altra con in mano una fonte di corrente elettrica. Se solo tu fossi stata meno accecata dalla voglia di friggermi - perdonami il termine non molto fine - e più meticolosa, ti saresti risparmiata un enorme shock, o meglio elettroshock. Non è stato molto carino da parte tua né volermi uccidere né essere morta davanti a me in quel modo che ha rivelato scarso ingegno da parte tua. Ma forse per te è stato tutto un po' improvviso e confuso, per cui lascia che ti rinfreschi io la memoria raccontandoti della tua fine, Annabeth cara.
La tua intenzione era gettare quella pila, una volta tagliati i fili di rame, nella vasca in cui ero io a farmi il bagno, il problema è che ti sei messa a parlare tanto, tirando fuori tutto il marcio che avevi dentro e l'odio nei miei confronti, spiegandomi il perché del tuo gesto. Intanto, fingendo di essermi rassegnata al mio destino, ma in verità per prendere tempo e pensare ad un piano, ucii dalla vasca dicendoti che avrei preferito morire vestita. Non vedendoci nulla di male, mi accompagnasti in camera mia, dove presi il vestito più ingombrante ed elegante che possedevo sia il vestito rosso sangue che mi regalasti e tornai in bagno con te alle calcagna. Mi immersi nella vasca colma di acqua fino all’orlo e la gonna vaporosa fece uscire molta acqua che allagò il pavimento del bagno. Vedendoti così distratta dalla fuoriuscita dell'acqua,colsi l' occasione di lanciare addosso alle tur braccia un vasetto di sali che tenevo sul bordo della vasca, e tu lasciasti cadere la pesante pila a terra più per la sorpresa che per il dolore; il pavimento allagato che ti bagnava fino alle caviglie e la pile dai fili di rame recisi fecero a te ciò che tu, crudele, volevi fare a me. In un ultimo disperato tentativo di nuocermi, animata dalla corrente o forse dall'adrenalina, prenderesti in mano la pila e me la gettasti in grembo. Essendo anche io in acqua puoi immaginate la mia fine, ahime!
Tuttavia spero che questa esperienza fatale ti abbia fatto capire che, sebbene tu abbia una bella parlantina, la più brillante oratrice fra le due sono io, sono sempre stata io la migliore tra noi due. L'unica vittoria che posso è un essere morta più rapidamente di me, un misero primo premio non credi?
Dato che oramai non puoi leggere né questa né nessun'altra lettera, la accartoccerò e la getterò nel camino, o forse la terrò come ricordo e ammonimento contro l’arroganza che mostrasti verso di me.
Forse un giorno ci rincontreremo in questa vita dopo la morte in fondo non posso negare che la tua visita sia stata, come dire, elettrizzante!
Baci baci,
Clarissa Hyde.
   
 
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