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Autore: Elizabeth_Keats    25/01/2009    0 recensioni
"Cammino e ora non fa più freddo. Perchè non ho più paura di vivere, di camminare da solo in questo mondo. E nessuno potrà impedirmi di continuare per la mia strada. Lo faccio per te e qualunque altra persona che, alzando gli occhi al cielo, si accorgerà che può vedere le stelle."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anyone can see the stars
 

Fa freddo oggi. Forse più di ieri, visto che ha nevicato per tutta la notte. E dire che, di solito, il giorno di San Valentino ce lo si immagina caloroso e pieno d’allegria; un po’ come un piccolo postumo del Natale. Ma per me non è così. Per me quest’anno la festa degli innamorati significa soltanto freddo. Tanto freddo. E, forse, non solo per me, benché in maniera diversa. Una buona spanna di neve candida, fresca e luccicante fa da tappeto alla scena, man mano imbrattata dai passi delle tante persone giunte fin qui a capo chino; il nero dei loro vestiti, bagnati da un flusso costante di lacrime, crea un contrasto quasi insopportabile con quel ghiacciato candore. E sono tutti lì, immersi nel silenzio più assoluto, rotto solo da qualche bisbiglio o singhiozzo subito represso. Attorno a quella piccola lapide, bianca come la neve che l’abbraccia, semplice: solo un nome e un cognome seguiti da una data di nascita e una di morte; il lasso di tempo tra queste troppo corto da non poter non essere guardato con rancore.

Sono venuti tutti al tuo funerale, senza distinzioni tra amici e nemici, indifferenti o affezionati a te. Ci sono i tuoi amici di sempre, la tua famiglia, le persone che ti hanno tenuto la mano guidandoti su strade buie: tutti accomunati da un pianto silenzioso ed amaro… per te. Come se ti chiedessero perché l’hai fatto, perché hai permesso che accadesse. Ma non hanno capito niente… Le loro lacrime si ghiacciano sui loro volti, mentre ricordano tutto di te, pensano solo a te. Poi, chissà… Sì, fa veramente freddo oggi. Ma il freddo che mi fa più paura è quello che proviene dal mio cuore, come da quello di tutte queste persone, nelle quali hai lasciato una finestra spalancata in pieno inverno.

Ed eccole lì, in prima fila, cercando con tutta la loro forza di volontà di trattenere l’eccessivo flusso di lacrime ed emozioni di cui sono in balia, Debora e Karolina, in mezzo a tutti gli altri tuoi amici e compagni di classe, che nemmeno io conosco tutti. Si stanno rammaricando di non esserti state vicine in quegli ultimi secondi, di non averti tenuto la mano tra addii sussurrati. Se lo rimprovereranno per sempre, anche se non è colpa loro. Cercherò di farglielo capire, ma probabilmente tra le ultime lacrime mi risponderanno che non è bello morire soli. Ma, nonostante l’apparenza, non credo che tu sia morta sola… muoiono soli soltanto coloro che sono veramente soli, mentre, in un modo o nell’altro, anche tu puoi vedere la folla che è venuta ad assistere al tuo… funerale. No, mi fa tropo male quella parola: suona come qualcosa di troppo definitivo. Non sono ancora pronto a dirti addio per sempre, a credere alla realtà. Più in là vedo far capolino tra la folla una testa bionda, china e con il volto affondato tra le mani, mentre altre due figure al suo fianco la consolano con piccole pacche sulla schiena. Sulle prime qualcosa, come una belva selvaggia, inizia a ruggire dal profondo del mio petto alla semplice vista dello studente americano che ti stava tanto a cuore, Edward, se non sbaglio. Ma poi mi dico che è inutile continuare a provare rancore per un avversario che non potrà mai averti… come me. Se per te fosse stato solo un semplice amico o qualcosa di più non lo so, fatto sta che non posso far finta di non vedere le sue lacrime, tanto quanto le mie o quelle di tutti i presenti. Ti voleva bene, questo devo ammetterlo, e sicuramente è riuscito a colmare almeno in parte il vuoto lasciato dalla mia assenza. E proprio per questo, nonostante tutte le leggi matematiche, non riesco, e non riuscirò mai, ad odiarlo con tutto me stesso. Per essere stato lì dove io mancavo. E adesso che farà? Tornerà in America, di certo, e forse ti ricorderà con la malinconia dei vecchi tempi, ma nonostante tutto il bene che ti abbia mai voluto, hai rappresentato un periodo troppo breve della sua vita. Ma poi perché mi sto preoccupando per qualcuno che posso dire di non conoscere affatto? Perché vedo soluzioni e consolazioni per tutti tranne che per me?

C’è anche il signor White, il vecchio preside che ti ha sempre consigliato e seguito nel bene e nel male. Ha fatto un lungo discorso all’inizio. Parole profonde, solenni, cariche di significato e sentimento. Ti ha ricordato come una persona straordinaria, che, nonostante abbia dovuto affrontare molte avversità, non ha mai negato il suo aiuto a nessuno, arrivando a sacrificarsi pur di distruggere la persona che avrebbe attentato alla vita di tutti noi. Brava, alla fine sei riuscita a vincere. Questo l’ha ricordato anche il preside con le sue parole pompose e degne della situazione. Ma è veramente una vittoria? Alla fine sei… non sei più accanto a me comunque. E, nonostante tutte le belle parole e i bei ricordi di te, non potrò mai perdonarti la carneficina di cuori ed anime che la tua morte egoista ha provocato. Qual è il peggio che posso dire? Le cose andranno meglio? Non lo so. Ora non posso far altro che aspettare, inerme come una foglia sballottata qua e là da un tornado.

Ecco, la cerimonia è finita e, pian piano, strofinando candidi fazzoletti sugli occhi lucidi, tutti se ne vanno a piccoli gruppetti, lanciando un ultimo sguardo a quella lapide troppo piccola. Qualcuno si attarda, sussurrando qualche parola tra i singhiozzi, ma poi tutti, a passo lento come si confà ad una marcia funebre, riprendono la via verso l'uscita del cimitero. Probabilmente molti di loro ti dimenticheranno tra non molto… dopotutto il tempo scolorisce tutto, no? Altri, passata la fase dei pianti notturni, continueranno a ricordarti con nostalgia, pur non rinunciando alla propria vita e alla propria felicità. Io non so cosa farò. Non fosse per l’immenso mondo che mi circonda, perennemente in movimento, rimarrei qui per sempre di fronte alla tua tomba. Così come sono ora, piangendo, interrogandomi e ricordandoti con una rosa rossa in mano. Hanno portato molti fiori a colorare il pallore della tua lapide, ma io ancora esito con questa sola e maledetta rosa in mano. Non so cosa sto aspettando, qui in piedi e con lo sguardo perso nel vuoto. Forse di morire. E di raggiungerti.

«Evan, dobbiamo andare…».

Una voce famigliare mi coglie alle spalle, facendomi sobbalzare leggermente. William mi si accosta mettendomi una mano sulla spalla: anche il suo volto è cupo oggi e gli occhi sono un po’ arrossati per il recente pianto. Ma mai come i miei.

«Arrivo. Dammi solo un minuto» rispondo con voce atona.

Non mi volto per guardare la sua espressione, ma so quasi per certo che sta studiando il mio volto, sicuro che non si tratterà di un solo minuto. Da quando ho appreso la notizia della tua morte mi sono limitato a chiudermi in me stesso e a piangere in solitudine, senza parlare con nessuno di quanto io stia soffrendo in questi giorni. William, da parte sua, pare essere l’unico ad aver compreso il mio dolore e non ha mai fatto domande in merito. Anche se mi ha sempre osservato e sono certo che attraverso quegli sguardi silenziosi abbia capito molto di più di quanto io abbia mai potuto dirgli.

«Ok» sussurra quasi inudibile. «Allora ti aspetto fuori… Non fare tardi».

Mi dà una breve pacca sulla schiena e se ne va in silenzio. Un secondo dopo sono solo, qui con te. Probabilmente con quel “non fare tardi” William si augurava che non mi venisse in mente di fare qualche stupidaggine, proprio ora che mi sento e sono così vulnerabile. Be’, di quel genere di stupidaggini me ne sono passate per la testa molte in questi giorni e anche molto variegate. Ma non ho avuto il coraggio di far niente. Che essere inutile che sono: so solo piangere e non riesco a mettere in atto nessuno di quei modi per mettere un freno al mio dolore. Di fronte a questa ormai palesata impotenza, una lacrima, l’ennesima, mi riga il volto congelato, scorrendo giù fino al mento e al collo. La visuale mi si appanna pian piano mentre altre gocce salate seguono la sua scia. Non sento nemmeno i miei singhiozzi, tutto sembra ovattato da un cuscino di dolore, che mi brucia sul volto ma non riesce ancora a soffocarmi. E così mi hai abbandonato pure tu. Dopo anni di buio, ero finalmente riuscito a scorgere un barlume di felicità in fondo al tunnel, proprio quando, all’improvviso, esso mi è crollato addosso senza pietà. Stavo cominciando a credere che essere felici fosse possibile, ma mi sbagliavo. È tutta un’illusione e la tua morte ha segnato il massimo grado della disillusione.

Abbasso gli occhi, dando ulteriore sfogo alle mie lacrime amare, che sembrano non avere fine, e vedo quella rosa ancora stretta tra le mie mani.  È rossa, come il sangue che continua imperterrito a zampillare dal mio cuore ferito. Proprio questo simbolo di sofferenza è l’unica nota di colore su questa scena bianca e nera. Sì, perché il dolore è la cosa che risalta di più in quest’occasione. Accompagnato e lavato, ma non sbiadito, da un fiume di lacrime che cadono pian piano sulla neve, sciogliendola. Cosa mi rimane adesso che te ne sei andata? Che ragione ho per continuare a a tirare avanti sotto le frustate della vita? Nessuna. Davanti a me vedo solo freddo. E vuoto. Mi sento inutile, senza senso, privo di qualunque pensiero logico quanto la neve che soffoca la tua lapide. E, allo stesso modo, voglio starti attaccato. Per sempre. Qui. A vegliare una pietra con su inciso un nome importante. Per me. La mia luce.

Le lacrime si fanno più numerose e soffocanti, fin quasi ad appannarmi la vista. D’istinto, come se cercassi di resistere a quel flusso di amara verità che so non potrò mai contrastare, serro i pugni attorno alla rosa. Sempre più forte, finché non sento le spine penetrare nel palmo della mia mano. Dolore che si aggiunge al dolore. Ma non m’importa. Nulla ha più senso e valore. Neanche il sangue che inizia pian piano a scorrere sulle mie mani, caldo e rosso come i petali della rosa, per poi colare lungo il suo gambo e gocciolare a terra, dando una sfumatura rosata alla neve. Ma, nonostante tutto, non mollo la presa. E il sangue continua a scorrere insieme alle lacrime, disegnando una chiazza sempre più grande sulla neve, sulla tua tomba. Ecco la sorda testimonianza firmata di ciò che mi hai fatto. Non mi sento più il cuore, probabilmente anch’esso è lì per terra, abbandonato e lacerato. Fa tutto troppo male. Vorrei scappare, ma ho le gambe immobilizzate. Vorrei morire, addormentarmi per sempre qui di fianco a te, ma so che non succederà. Non oggi, perlomeno.

«Perché?».

Un sussurro spontaneo mi sale alle labbra, risuonando nell’aria come se l’avessi urlato. Perché fra tante persone proprio tu? Chi ha scelto? Chi ha deciso? Chi ha permesso tutto ciò? Chi ti ha portato via… da me? La persona che più mi serviva… Che ora mi ha lasciato solo in questo mondo insensato. Silenzio. Nessuna risposta alla mia domanda. Già, c’è silenzio perché sei morta. Sì, morta. Un’altra fitta al cuore, un’altra ondata di lacrime, altre gocce di sangue stillano lente.

«Perché? Rispondi!».

Un urlo, questa volta. E subito uno scatto di rabbia ottenebra per un attimo la tristezza silenziosa. Come se fosse stato sferrato da un’altra persona, mi rendo conto a stento del calcio scagliato al vuoto, che butta una cascata di neve su quel marmo freddo ed inviolato. E, sempre senza sapere come, mi ritrovo a terra, accasciato e singhiozzante come un animale ferito. La rosa insanguinata a qualche passo di distanza da me, mentre altro sangue, quello che sgorga dalle mie mani, mi sporca il volto, mescolandosi alle lacrime irrefrenabili. Non so quanto tempo rimasi in quello stato, forse ore, e mi sorpresi che nessuno fosse ancora venuto a cercarmi. Però era stato qualcosa di preciso a costringermi ad aprire gli occhi, ad alzare il volto da terra, dal mio dolore, per un attimo. Dal cielo plumbeo avevano iniziato a cadere volteggiando una miriade di fiocchi candidi: stava nevicando. Ma quella che scendeva sulla mia testa, bagnandomi a poco a poco i capelli, non era neve normale. Era, infatti, mescolata con la pioggia. Era neve sciolta. Che mi riportò violentemente al passato, con piacere ma anche un’altra fitta al mio cuore mutilato.

Mi si presentò come lo spezzone di un vecchio film. Era successo poco prima che te andassi per sempre. Dolce ed amaro ad un tempo. Forse per caso o per un destino prestabilito. Ma pur sempre il bacio che non dimenticherò mai più. Perché mi ha fatto capire che nonostante tutto sia contro di te, tutte le circostanze e le persone ti siano avverse, esisterà sempre un modo per andare avanti, per credere in ciò che si vuol negare, ma che si desidera. Quel giorno, sotto questa stessa neve, con quel gesto mi hai dimostrato che, nonostante tutto, tu mi volevi bene. Anche se mi imponevi di sparire, sapevo che… mi amavi. Be’, forse “amore” è una parola troppo importante, troppo grande da controllare. Ma non trovo altro termine per descrivere ciò che provo tutt’ora per te… e che tu, probabilmente, provavi per me. Avrebbe potuto essere una storia meravigliosa… ma ora sarà ricordata solo come una tragedia. Un “Romeo e Giulietta” con qualche variante. Sì, perché nel nostro caso Romeo non è ancora morto.

La neve sciolta si fa sempre più fitta tanto che quella macchia rossastra è già stata quasi del tutto cancellata. Ancora accasciato a terra, lancio un breve sguardo alle mie mani, bucate dalle spine e rosse per il freddo ma soprattutto per il sangue, e poi alla tua lapide, sulla quale inizia ad accumularsi un sottile strato di neve. Ora Romeo deve decidere se ricongiungersi alla sua Giulietta e rimanere fedele alla storia o…  Opzione B: alternativa inaspettata, via inedita. Ancora e sempre lacrime: ormai sono diventate naturali e spontanee come il respirare. Altro sangue: unica fonte di colore che cola via. Che fare? Cosa. Devo. Fare. Ora. Sarebbe facile coricarsi qui e aspettare che il mio cuore cessi di battere per il freddo. Sì, molto più facile: niente più dolore, niente più rimpianti, ricordi, tristezza e mancanza di te. Dormire. Solo dormire per sempre accanto a te. Dall’altra parte invece… È tutto a mio, anzi nostro, svantaggio: saremo divisi e la vita continuerà a tormentarmi. Ma…

No. No.

Romeo non morirà in questa storia, perché se lui muore allora morirà anche il ricordo di Giulietta. E così avrebbero entrambi vissuto inutilmente. Nessuno si sarebbe più ricordato che c’è stato qualcuno che si è sacrificato per la sua vita serena. Nessuno avrebbe più apprezzato tutti quegli alti valori che portano le persone a combattere per un bene comune o per un ideale. No, non sei morta per essere poi dimenticata. Non hai sofferto e lottato per niente. E per questo io vivrò. Sarà difficile colmare il vuoto lasciato dal tuo addio, ma ce la farò. Per non dimenticare. Ne ho già passate tante e non vedo perché questa volta dovrebbe essere diverso. Asciugherò le lacrime, fascerò le ferite, ricucirò i brandelli del mio cuore. Per te. Cercherò di continuare la mia vita, anzi di farmene una nuova lontano dalle tenebre che hanno avvolto questi anni. Proverò a dimenticare, a soffocare con delicatezza questo dolore lancinante, ma senza scordarti. Sì, ci riuscirò a dimenticare senza però farlo del tutto. È un po’ una contraddizione. Ma, in fondo, tutta la vita è un nonsense. Prenderò il bene di tutta questa faccenda, scavando e cercandolo come un tesoro prezioso, e lascerò, invece, il male alle mie spalle. È difficile, ma con il tuo aiuto ci riuscirò. E saprò che ora sei in un posto migliore, sì, perché sono sicuro che lassù, oltre queste nubi che spolverano neve sciolta sulla mia testa, c’è più che semplice aria rarefatta. Ma, nonostante gli apparenti chilometri che ci dividono, tu non sei più lontana da me di questa rosa. Rossa, in modo che si veda bene anche da stare lassù, in mezzo a tutto questo bianco. In fondo tu sei questa rosa, questa lapide, questa neve, la stessa aria che respiro. Che mi accarezza il viso, baciandomi un’ultima volta.

Sì, ora ho capito.

Mi alzo da terra lentamente, senza badare al sangue in parte rappreso che mi sporca ancora il viso e le mani, mescolato a lacrime e neve. Perché non scorrerà più sangue d’ora in avanti: è inutile fare le vittime. Mi avvicino piano alla tua lapide, inviolata ed inviolabile, e vi poggio una breve carezza. Raccolgo la famosa rosa, le cui spine richiamano ancora il rosso vermiglio dei petali, e la metto lì, di fianco al tuo nome: un discorso di mille parole dotte e solenni non avrebbe potuto essere più significativo. Un ultimo saluto, un ultimo sospiro. È già ora di andare? Qualcosa di indefinito mi risponde con un sì conciso e mi richiama verso l'uscita come un padrone con il suo cane.

Ora devo andare, tesoro. Allontanarmi da questo silenzio fatto di mille parole di ricordo per immergermi di nuovo nella futile massa. Perché è lì che il mondo va avanti. Ma non ti dimenticherò: te l’ho già detto, no? Farò sapere a tutti che persona sei stata e trasformerò la loro compassione in orgoglio e rispetto. E ogni giorno di San Valentino mi ritroverai qui; ogni anno finché vivrò ritaglierò cinque minuti di questo giorno dalla mia vita per venire qui. Sulla tua tomba: corrispondenza di amorosi sensi. Con difficoltà e qualche ultimissima lacrima mi stacco da te, anche se so che un tuo pezzo mi seguirà sempre nel comodo alloggio del mio cuore.

Cammino e ora non fa più freddo. Perché non ho più paura di vivere, di camminare da solo in questo mondo. E nessuno potrà impedirmi di continuare per la mia strada. Lo faccio per te e qualunque altra persona che, alzando gli occhi al cielo, si accorgerà che può vedere le stelle.

 

Questa one-shot è tratta da un luuuuuuungo racconto (diciamo anche libro) che ho scritto tanto tempo fa che mi è ricapitato per le mani di recente (e che non ho intenzione di pubblicare per ragioni di lunghezza e altro). Probabilmente, non avendo letto il contesto, non riuscirete a capire tutti i riferimenti, ma non importa. Infatti, ho pubblicato questa breve scena perchè mi piaceva anche staccata dal resto e credevo che potesse in ogni caso emozionare chi legge. Quindi vi consiglio di soffermarvi più sulla scena in sè che su quello che c'è dietro (assolutamente privo d'interesse).

Recensite in tanti, eh? (ci tengo davvero tanto, vi prego! *_*)

  
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