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Autore: Momo Entertainment    30/07/2015    5 recensioni
[And... we are back on air.]
Unima, un anno prima degli eventi di Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
Cinque bellissime ragazze sono state scelte, ma solo una di loro diventerà la nuova Campionessa della regione.
Insieme combatteranno e soffriranno, rideranno, piangeranno vivendo insieme l'estate della loro vita: la loro giovinezza.
Essere il Campione non significa solo lottare.
Significa anche vivere. Amare. Credere. Sognare. Proteggere.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Anemone, Camelia, Camilla, Catlina, Iris
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Videogioco
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ESGOTH 5



A story by: Momo Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
Beta reading and de-stubbing: 
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Early Summer Girls

Capitolo 9

Nessuno può vedere nel mio cuore, solo tu


Mentre guardava lo scorrere veloce e sfocato del paesaggio dal finestrino del treno di ritorno, Iris non poté fare a meno di sorridere. 
Sorridere al nulla era diventato un gesto così naturale e frequente che voleva assolutamente far notare al mondo l'esistere ed il manifestarsi della felicità.

Ricordò d'improvviso le parole di Nardo, di quattro settimane prima. 
Il Torneo... Femminile... Regionale... 

Insomma, il TRUF (le "ragioni di tempo" si erano trasformate in "ragioni di memoria" nel giro di poco tempo).

Nel suo precedente viaggio Iris aveva partecipato a diversi tornei di lotta Pokémon, a lotte nelle Palestre e sfide per vari altri propositi: alcune le aveva vinte, altre le aveva perse.

Si domandò ancora perché Nardo avesse tanto insistito affinché le future Campionesse vivessero tutte insieme nella sua tanto grande quanto bellissima residenza, condividessero ogni momento della loro giornata, dagli allenamenti ai pranzi e alle cene, perché ora si ritrovassero a combattere la minaccia del Neo Team Plasma insieme.

Insieme.

Non sarebbe stato più semplice organizzare un torneo immediato e decidere il futuro Campione per eliminazione? Il vincente prende tutto, alla vecchia maniera.

Iris riguardò i quattro bijou colorati, che riflettevano la luce del sole fra le sue dita. 
Giallo, azzurro, rosa, blu... 
Ormai quei colori li sapeva a memoria, come la frase che più di una volta le era tornata in mente.

"Essere Campione non significa solo lottare..." 

Aveva sentito suo nonno Aristide sussurrargliela nella sua testa ogni volta che il suo cuore era dubbioso, quando la sua mente era in cerca di distrazione dalla tristezza o quando nella sua vita incrociava gli occhi di qualcuno che forse sapeva darle la risposta.

La giovane immaginò che la frase non si potesse completare solo con un semplice verbo.


 

Il fruscio delle foglie ed il canto dei Pokémon selvatici creavano la colonna sonora di quel giorno di fine giugno. Inclinandosi leggermente, l'erba verde smeraldo accarezzava i piedi della ragazzina, che non aveva esitato nel rimettersi il suo adorato yukata viola. 

Il sole, prima arancione e rosso come una palla di fuoco, si stava spegnendo poco a poco mentre le nuvole velavano il cielo come coperte di seta.

Era tardi, ma Iris non si preoccupò di guardare l'ora: era fiera di essere probabilmente l'ultima ad arrivare in quel giorno di agognata vacanza, così avrebbe avuto l'occasione di sembrare una ragazza impegnata agli occhi delle sue care compagne...

Anche se ormai tutti i suoi tentativi di risultare impegnata fino ad ora erano falliti miseramente. La vita di chi è popolare non faceva per lei o per la sua personalità.

«Ragazze, sono tornata! - Chiamò, esagerando un po' nell'alzare la voce - Ragazze...?!»

Ci fu solo silenzio. Nessuna risposta.

Solo la brezza le ricordò che doveva arrendersi ed accettare il fatto che a nessuno interessasse la sua vita sociale o la sua presenza nel gruppo fosse un qualcosa di assolutamente bypassabile. 
Sospirò, ma l'impazienza nel consegnare gli agognati regali alle sue compagne la struggeva.

«Andiamo, forza!»

D'un tratto Iris sentì una voce, delle urla di incitamento per la precisione. Serie e profonde.
Aveva già capito a chi apparteneva, ed infatti si precipitò sul campo di lotta.

La visione della Campionessa di Sinnoh che lottava faceva battere il cuore della nostra eroina ogni volta, ogni singola volta. 

Lo stile di lotta di Camilla Kuroi viene descritto dagli sfidanti di tutte le regioni come "impeccabile": ogni mossa era destinata ad andare a segno, il danno inflitto non eccedeva o diminuiva mai della potenza desiderata, e la vittoria della giovane era sempre ottenuta in maniera schiacciante. 

Il suo cuore desiderava vacillare ogni tanto, giusto per sentire l'adrenalina nelle vene. Il gusto che provava nel lottare le regalava un'energia inesauribile.

Chissà se per la Campionessa lottare era qualcosa di naturale come respirare o era frutto di miriadi di macchinazioni e sforzi fisici e mentali.

«Focalcolpo, preciso ma potente, ricorda!» Gridava la bionda, con il suo sorriso agguerrito.

Inoltre quel Garchomp della regione di Sinnoh incuriosiva davvero tanto Iris: chissà se avesse avuto bisogno di anni per allenarlo ed evolverlo dal suo stadio evolutivo iniziale o lo avesse catturato direttamente in natura, come aveva fatto con il suo Dragonite. 
Aveva fatto bene a scegliere un Bijou Drago per lei. 

Rimase in silenzio, a contemplare il suo allenamento privato.

Sul campo di battaglia vi era dei bersagli bianchi, con i classici cerchi interni che denotano l'accuratezza del lanciatore. Quei bersagli però non era in plastica o carta, altrimenti sarebbe stato troppo facile per un'Allenatrice del suo rango: un disco di pietra spesso quasi mezzo metro doveva testare anche la potenza di colui che si cimentava nella sfida.

Inutile dire che lo scopo era ovviamente concentrare potenza e precisione per rompere il bersaglio e fare centro nel cerchio più interno. 

Camilla non si sarebbe arresa finché il suo obbiettivo non sarebbe stato completato.

Il suo Pokémon lanciò la sfera di energia concentrata a tutta velocità, non appena la giovane donna pose di fronte a sé il braccio con estrema concentrazione.

Un leggero vento provocato dall'impatto contro la roccia scosse i suoi lunghi capelli biondi.

Dopo che si alzarono alcuni ciottoli da terra e il bersaglio fu rotto, Iris decise di farsi notare.

«Sei bravissima!» La lodò. 

Camilla le rivolse lo sguardo in risposta, accennando un leggero inchino.

La pietra era stata frantumata dal Focalcolpo quasi del tutto, ma una piccola metà dipinta di bianco era ancora stabile: un errore minimo nella mira aveva portato la giovane ed il suo Garchomp al fallimento. 

Incredibilmente vero, ma Iris fece finta di non averlo notato.

«Sei tornata presto.» Le disse Camilla.
Iris si domandò seriamente se "tardi" per le persone adulte significasse orari improponibili per il corpo quali le quattro del mattino o le undici di sera.

«Dove sono tutte?» Le chiese.

«Hanno i loro impegni, lo sai. Anche tu oggi dovevi andare a fare shopping, giusto? Hai trovato ciò che cercavi?» Si interessò la bionda dallo yukata bianco.

«Certo.» Iris sorrise al suo stesso ingegno. 

Poi le venne in mente che oggi doveva essere il loro "giorno di vacanza"... allora perché Camilla si stava allenando?

«Tu oggi ti sei allentata?» Chiese rispettosamente. 

La giovane donna annuì.

«Mi pare ovvio. Avevo bisogno di insegnare e rinforzare una mossa di tipo Lotta. Se non ricordi la leader del Neo Team Plasma usa Pokémon di Tipo Ghiaccio. 
Non ci si allena mai abbastanza in questi casi.»

Ghiaccio... La connessione per noi è immediata ma la mostra eroina dai capelli viola avrà bisogno di ancora un po' di tempo per rendersene conto. 

Ciò di cui si accorse in quel momento fu di quanta dedizione Camilla poneva nella lotta. Una Campionessa, la più forte del gruppo, la leader, che rinunciava a divertirsi per dedicarsi ad un allenamento, perfino senza rimorsi. Aveva davvero tutto quel bisogno di allenarsi? 

Iris non sapeva come reagire. Decise di non essere guastafeste, magari la giovane donna ci teneva davvero che le sue vittorie fossero perfette e calcolate (e non azzardate e sofferte come le sue). Ci sono modi e modi di vincere.

«Hai fatto bene... che mossa era quella?» Domandò con falsa curiosità.

Lo sapeva bene che mossa fosse quella. Ma ormai la parte della ragazzina innocua ed innocente era la facciata che più amava mostrare alle sue compagne, specialmente alla bionda.

"Focalcolpo. È un genere di mossa che necessita sia precisione sia potenza, dato che ha il settanta percento di possibilità di fallire, o mancando il bersaglio o esagerando nel rilascio della sfera.»

La spiegazione fu davvero breve. 

La giovane dai capelli viola decise così di accettare quella sfida complicata con animo fiducioso. Dopo tutto ciò che quel giorno aveva fatto il suo cuore le ripeteva "posso farcela" come un ritornello. 

«Mmm... magari anche Dragonite potrebbe impararla... Tanto vale provare.»

«È una cosa complicata - la ammonì Camilla - non sono neppure in grado di fornirti una spiegazione precisa sul come attuare la mossa. Ma tu prova, se vuoi.»

Lo aveva detto come se il non riuscirci di Camilla implicasse il fallimento di chiunque altro per puro dogmatismo. Però c'è da dire che quelle parole erano tutto sommato veritiere.

La donna non voleva assolutamente tradire il principio di impegno e fiducia che aveva infuso in quella sua piccola apprendista, ma avrebbe bilanciato quella commiserazione con altrettanta gentilezza. Era il modo più giusto per non ferire il suo orgoglio.

«Quindi anche Camilla dovrebbe affidarsi solo alla fortuna per riuscire nella mossa? Davvero ciò non richiede talento, abilità o esperienza? Davvero io ed una Campionessa pluripremiata siamo alla pari in questa sfida?» Si domandò Iris.

Come al solito, il suo nuovo Pokémon di Tipo Drago brillava di fresco orgoglio. Dopo che la sua Allenatrice gli ebbe accarezzato affettuosamente il muso, si schierò di fronte ad uno di quei dischi bianchi di pietra.

Iris allora, come ogni Allenatore, chiuse gli occhi e concentrò la sua precisione e la sua potenza nel braccio sinistro, ponendolo avanti a sé, spingendo anche lei una metaforica sfera.

«Dragonite, Focalcolpo.»

Con grande concentrazione, lasciò che il cuore di Allenatore e Pokémon si combinassero.

Dopo un boato e l'alzarsi di un turbine di polvere, Camilla le appoggiò le mani sulle spalle distraendola dalla sua profonda concentrazione.

«Sei proprio un prodigio della lotta, sai? Più Nardo me lo ripete e più io me ne convinco. -  E Iris si ritrovò catturata per l'ennesima volta dal suo accattivante sorriso. - Ora perché non andiamo a farci un bagno nell'onsen per riposarci?»

La ragazzina capì che il suo sforzo le aveva giovato all'autostima, quindi il risultato non contava. 

Lasciò che la giovane Campionessa le prendesse la mano per accompagnarla nella bellissima vasca di pietra sul retro del giardino.

Prima però Camilla voltò lo sguardo indietro.

Il bersaglio che lei non era riuscita ad abbattere in precedenza, nonostante tutto il suo impegno, la sua esperienza e la sua buona volontà, quella ragazzina lo aveva letteralmente raso al suolo. 

All'inizio non ci credette, ma la cruda realtà la convinse a dimenticarsi della sua idea di perfezione.

Le strinse più forte la mano e camminò il più velocemente possibile, presa da un certo fastidio. Si ricordò della voce che correva su di lei e sul fatto che davvero fosse rimasta imbattuta per cinque, o forse più anni.

Ma andava bene così. 

Finché Iris non si accorgeva di aver vinto, lei non aveva perso. 
Finché nessuno vedeva i suoi fallimenti, neppure lei li avrebbe visti.

Del resto Camilla Kuroi è una Campionessa che non può assolutamente permettersi di perdere.

 

«Senti, mi aspetteresti? Devo mettermi il costume...» Accennò Iris, guardando il suo riflesso sull'acqua del tardo tramonto, somigliante a succo d'arancia.

«Non te l'ho detto che le altre ragazze faranno tardi e che Nardo è uscito? Ci siamo solo noi due, ora.» 
Le rispose Camilla, sorridendo.

Iris si fermò a riflettere totalmente basita. Cosa intendeva per "solo noi due"?

«N-Nel senso che...» Cercò di spiegarle la ragazzina. 
Un senso forse lo aveva trovato, ma le parve troppo irreale. 

Camilla le prese le mani ed in quel momento il cuore le scivolò in gola.

«Iris, mi slacceresti l'obi? La cintura dello yukata, intendo.»

Iris, ancora più confusa di prima, le sciolse la cintura, facendo scivolare il nastro sul pavimento. Perché stesse obbedendo così ciecamente, si chiedeva. 

Camilla fece lo stesso con lei.

«Lo sapevi? Nella cultura tradizionale orientale farsi il bagno con un'altra persona significa condividere un momento di profonda intimità e rispetto. È un'ottima occasione per conoscersi a vicenda. 
Può sembrare una cosa un po' strana, ma questa tradizione risale ancora alla Grande Guerra, non ha limitazioni di sesso ed età e porta solo benefici al corpo ed alla mente.»

Osservando un punto a terra, Iris ascoltò passivamente quelle parole senza averne decifrato neppure il senso da quanto si sentiva scossa dalla confusione.

E scossa anche dall'emozione, perché nel punto che stava ossessivamente fissando si erano accumulati, cadendo dolcemente come leggeri petali in primavera, prima lo yukata bianco, poi un reggiseno dalle coppe piuttosto ampie e dulcis in fundo, un paio di mutandine abbinate alla parte superiore dell'intimo.

La giovane donna intanto si era completamente spogliata, sotto gli occhi sconcertati e allo stesso tempo incantati della nostra eroina.

Le fantasie di Iris non furono mai così vivide: mentre quella pelle bianca come il latte si immergeva con grazia nell'acqua calda dell'onsen, i suoi occhi grigio platino scintillavano come perle di mari lontani. 

Un sorriso dolce la invitava ad abbandonarsi a quelle attenzioni amorevoli: era il suo cuore o il suo corpo a desiderare Camilla? 

Doveva ricompensare quell'apertura, quel desiderio di amicizia che una ragazza più grande le stava offrendo. 
Ma per farlo non poteva continuare a fissarla. Almeno non indossando ancora lo yukata e quel pesante imbarazzo.

In silenzio, Iris si sfilò l'intimo, respirando piano quell'aria densa e dolciastra e le si sedette accanto, facendo attenzione a non sfiorarla. 

Eppure Camilla le pareva davvero vicina.

Cercò di non farsi prendere da strane fantasie, anche se i suoi occhi non si staccavano più da quella pelle chiara, in perfetto contrasto con la sua: ogni particolare di quella ragazza, anzi, di quella donna, era semplicemente perfetto.

Come già abbiamo accennato il corpo della Campionessa di Sinnoh non era eccessivamente magro e la carne si concentrava nelle zone esatte, facendo risultare il suo fisico simile ad una clessidra: i seni fuoriuscivano leggermente dall'acqua e la loro forma rotonda li rendeva davvero invitanti. 

Camilla aveva visto il suo corpo cambiare drasticamente con il passare del tempo e soprattutto il suo petto crescere notevolmente, fino a raggiungere la misura della quale era più che modesta.

Secondo lei il seno non deteneva il vero valore di donna, provava solo un grande piacere nel mostrarsi e farsi apprezzare per com'era, senza alcuna presunzione: anche se era una vergine, la nostra Camilla desiderava terribilmente essere toccata, abbracciata e amata.

Scendendo verso il basso, la pancia e i fianchi avevano la forma di un imbuto, contendo perfettamente la tenera carne della giovane, che terminava nelle sue natiche lisce e rotonde, appoggiate contro la superficie della vasca,:schiacciate dal peso del suo corpo.

Ma per discutere della bellezza delle nostre protagoniste e lodare i loro meravigliosi corpi, ci saranno molti altri momenti in cui potremo ammirare la beltà delle ragazze della regione di Unima.

La giovane bionda si sistemò il ciuffo biondo sull'occhio sinistro, per poi appoggiarsi con i gomiti al bordo della vasca; rivolse uno sguardo di interesse a Iris.

«Dato che abbiamo l'occasione di conoscerci, chiedimi ciò che vuoi sapere di me. Anche cose banali, tanto per chiacchierare un po'.» Le disse.

 La ragazzina si chiese se ci fosse davvero qualcosa che desiderava sapere su di lei. 
Non voleva scadere in una domanda scontata, o il contrario, sembrarle invadente. 

Dovette pensare in fretta però. Dovette giocare una carta ad occhi chiusi.

«È vero che non sei mai stata sconfitta?»

Questa domanda in effetti necessitava dei chiarimenti: Camilla non aveva mai perso una lotta da quando era diventata Campionessa? Non aveva mai perso una lotta ufficiale? O davvero non aveva mai ricevuto una sconfitta in tutta la sua vita?

La nostra eroina, come noi, fu curiosa di saperlo.

«Sai, sono diventata la Campionessa della Lega Pokémon di Sinnoh a quindici anni, alla tua stessa età. È stato difficile arrivare fin lì. 

Se avessi "perso" come dici tu, anche una sola volta, dove pensi che sarei ancora ferma? A rimpiangere la mia sfortuna? A cercare la motivazione nei beni materiali? - la donna sorrise, con sguardo vincente - Certo che no. 
Non ho mai "perso" una lotta. 
Suppongo sia un bene: spinge a migliorare, ad evitare gli errori e ricercare la perfezione. Può sembrare assurdo, ma il mondo è pieno di assurdità, giusto?»

Dopo queste parole, l'ammirazione di Iris nei confronti di quella ragazza crebbe alle stelle.

Le precedenti parole di Georgia, che garantivano la vittoria a chi ha uno scopo da raggiungere, erano state smentite da quella teoria della soddisfazione. 

E aveva più fiducia nella sua leader che ammetteva modestamente la sua stessa invincibilità, che in un'estranea che l'aveva costretta a commettere un furto (ancora ne sentiva il rimorso).

«E non hai un obiettivo in particolare? Insomma, un qualcosa che desideri con tutto il tuo cuore e per cui faresti di tutto...»
Iris si ricordò di aver già posto questa domanda ad Anemone.

Camilla la interruppe però, mettendole l'indice davanti alla bocca.

«Shh, tu mi hai già chiesto quello che volevi. Ora anche io voglio sapere una cosa su di te.»
La giovane bionda le si avvicinò parecchio, tanto che ormai le loro cosce erano le une a contatto con le altre. 

Se si fosse girata di qualche centimetro, il suo seno avrebbe inevitabilmente toccato quello di Iris... Ma andava bene anche così.

«La tua pelle color caramello... Il colore scuro dei tuoi occhi... Il tono della tua voce... La forma del tuo corpo...» 
Sussurrò Camilla, mentre con le dita percorreva dolcemente il corpo della ragazzina. 

Solo in quell'istante il cervello di Iris la informò con secco realismo di essere nuda, di essere più giovane e accusandola con noioso moralismo di starsi facendo viziare da quelle coccole seducenti. Ma la ragazzina lo ignorò palesemente.

Quando il dito della Campionessa arrivò ad accarezzarle la punta del mento e la costrinse ad alzare lo sguardo per guardare direttamente quegli occhi color platino, Camilla arrivò al punto del discorso.

«Non provieni da Boreduopoli come ci hai detto, vero?»

Quell'atteggiamento da serpe maledetta che attraversa lentamente il corpo della sua preda per giungere infine a morderne il collo, spaventò Iris. 

Per una seconda volta, la Campionessa l'aveva smascherata. 

In effetti, si era chiesta tante volte fino a quanto la farsa della sua presunta origine detta al momento del loro incontro sarebbe andata avanti. 
Sperava davvero che le altre ci cascassero, che non le chiedessero spiegazioni o scoprissero di lei e il suo passato.

Mordendosi il labbro, decise di rimediare a quell'insulto non solo all'intelligenza di Camilla, ma anche a quella delle sue compagne, qualora lo avessero capito anche loro.

«Non sono proprio brava a mentire.» Ammise, imbarazzata.

«Credevo ti fidassi di me...» Le ribatté Camilla, con tono di ironico dispiacere.

«N-Non sono nata a Boreduopoli, ecco tutto. Ma ci vivo da quasi dieci anni, e per me è come una casa. 
Ma anche se ti spiego... Non capiresti...»

«Io non voglio capire. Voglio sapere. Puoi raccontarmi qualsiasi cosa, sta a me capire se stai mentendo o sei sincera.»

Un leggero silenzio inebriò l'atmosfera a quella risposta assai intelligente.

«... Sono stata adottata. Punto e basta. Mio nonno Aristide... Non è mio nonno naturale. 
Lo so, avrei dovuto dirlo subito, ma non mi piace venire commiserata. 
Anche se sono la più piccola, la più inesperta o la più debole voglio che voi siate sempre voi stesse. Non voglio trattamenti speciali e non vi devo deprimere con le mie storie.»

Iris respirò profondamente. Si sentì libera da un peso, appena Camilla le prese la mano.

«Capisco... Esattamente come mi ha detto Nardo.»

«Eh?!»

«Scusa, devo perdere l'abitudine di pensare ad alta voce - Iris credette di aver capito male. Subito la giovane donna riprese. - E allora da dove vieni?»

«Una domanda ciascuna, avevamo detto questo!» La riprese Iris, scherzando.

«No.» Fu la risposta pacata di Camilla.

«Come "no"?!» Iris si stava spaventando, rilassando ed eccitando tutto allo stesso momento.

«No. Non ho un obiettivo materiale. Lotto perché mi piace, mi soddisfa e mi sfoga. Non mi interessa altro, non desidero altro dalla vita.»
La giovane rispose alla domanda che Iris le aveva posto prima. 

Le due teorie sul senso della lotta, quella di Georgia e quella di Camilla, saranno una calda questione per un dibattito. Entrambe, per ora, sono valutabili corrette.

Iris volle contraccambiare: raccolse il suo coraggio, per svelare il suo segreto.

«Conosci il "Villaggio dei Draghi"? È un piccolo paese al confine di Unima. Io... Vengo da lì. N-Non me lo sto inventando, esiste davvero!»
Cercò di spiegarsi velocemente la ragazzina. Si sentì per un attimo patetica. 

Ma solo per poco, data la vasta conoscenza della sua interlocutrice.

«Si, lo conosco. Ma sei stata fortunata, lasciatelo dire.»
E mentre lo disse, Camilla ebbe l'istinto improvviso di spingere Iris contro il suo corpo. 

Allargando le gambe, le avvinghiò alla vita della ragazza, traendola verso di sé. 
Circondò il suo viso con le braccia, spingendo il suo volto contro il suo stesso grande seno. 

In quella posizione Iris non seppe più come reagire: non era mai stata così vicina a qualcuno. Non era mai stata nuda fra le braccia di qualcuno, di una ragazza più grande di lei, perlopiù.

Decise di arrendersi, lasciare che il desiderio di godersi l'amicizia di quella Campionessa imperversasse su ogni convinzione. 

Appoggiò il viso contro il suo seno bianco, sentendo sulla guancia la sua pelle liscia come la seta, la morbidezza e il calore della sua carne. Con delicatezza, appoggiò la mano sulla spalla di Camilla: l'umidità del vapore però la fece scivolare piano e, con una carezza, arrivò a toccarle il seno sinistro senza premerlo per paura di farle male. 

Iris riuscì a sentire il battito del cuore di quella vergine.

D'un tratto sentì sussurrarle all'orecchio.
«Stai crescendo cara. Stai diventando bellissima...»

Detto ciò, Camilla le stampò un bacio sulla guancia e la strinse ancora più forte.

Forse è stato un errore da parte nostra non rivelare che anche Iris, sebbene sia la più giovane fra le ragazze, avesse comunque un corpo decisamente apprezzabile.

I suoi quindici anni li dimostrava solo in altezza: non aveva mai dato valore al suo aspetto fisico fino a quelle fatidiche parole. 

Alta, snella e longilinea, la sua pelle dall'abbronzatura uniforme color caramello non si schiariva nelle parti intime, sul sedere e sul seno, confermandone la naturalezza.

E anche se più volte è stato ripetuto che le sue misure non fossero sviluppate come quelle delle altre ragazze, il destino doveva stare giocando il suo asso nella manica, un imbroglio alla visione comune di un'estetica esageratamente ingiusta. 

Forse era ancora giovane, non sapeva se fosse stato temporaneo, forse davvero la sua bellezza risiedeva in piccoli particolari, come la silhouette perfettamente bilanciata ed armoniosa che il suo corpo disegnava, quella propria di un'innocente fanciulla nata dalle ceneri degli stereotipi comuni, bruciati dalla semplicità e dalla purezza, come se si trattasse di una statua greca. 

Doveva avere più fiducia in se stessa, la nostra eroina.
E quella posizione ravvicinata ed intima la ispirava. 

Le due ragazze avevano sempre più una più voglia dell'altra, separarsi da quell'abbraccio vitale pareva impossibile. 

Se l'amicizia, il rispetto e la fiducia siano forme d'amore possiamo domandarlo solo a Dio.

«Camilla, - sussurrò Iris piano, schiacciando la guancia contro quel morbido seno - grazie.»

«Di cosa?» Le domandò la donna, leggermente curiosa.

«Di... Tutto. Di proteggerci, di incitarci, di aiutarci, di volerci bene... A nome di noi quattro siamo felici che tu sia la nostra leader. 
Più che una leader per noi sei... Come una sorella maggiore.»

A quel punto Camilla non seppe come reagire. 

Davvero, la spaventava leggermente tutta la fiducia che non solo la sua Iris, ma anche le sue tre restanti ragazze avevano posto in lei. Non poteva permettere che qualche desiderio o qualche ricatto strappasse quella fiducia, o avrebbe rischiato che una di loro finisse per perdere quell'agognato sorriso che aveva cercato di donare a quelle quattro ragazze già dal momento in cui le aveva viste dall'alto della Lega di Unima. 

Infatti, Camilla conosceva cosa si nascondesse sotto ogni sorriso di Anemone, Camelia, Catlina ed ora anche dietro quello radioso ed innocente di Iris. 
Aveva chiesto di approfondire a Nardo, prima.

Non poteva perdere, mai più, neanche per sbaglio, che si trattasse di lotte o di vita.

Per un po' Camilla si ritrovò a baciare inconsapevolmente la ragazzina fra le sue braccia, con baci leggeri e trasparenti, ma con un ritmo abbastanza regolare.

«No... Grazie a voi. I vostri sorrisi sono ciò che più mi interessa. 
Anche se un giorno finirete per scontrarvi per il titolo di Campione, non smettete mai di comportarvi come ora.»
Le sussurrò, respirando l'aria calda che traspariva dalla vasca. 

Ormai il sole era calato ed un tappeto di stelle illuminava il cielo nero, come i brillanti di una corona.
Per le due fu il momento di sciogliersi; Iris però non volle mollare la mano della Campionessa.

«Questa sera ci sarà un festival in città; potremmo andare a mangiare fuori, e magari guardare i fuochi d'artificio...»

«Non potrei essere più d'accordo.»
E sorrisero insieme, all'unisono.

Quell'estate, il sogno di ogni ragazza di quindici anni.


 

D'estate le notti si allungano. Diventano più luminose, più colorate, più rumorose. E la leggera afa scalda l'atmosfera, rendendo le notti ancora più calde.

Ancora più vive. E anche più romantiche, se il sesso di tarda serata in un parco completamente deserto alla periferia di Sciroccopoli si può considerare "romanticismo".

Evitare i paparazzi doveva essere la priorità, ma era una priorità così effimera che entrambe se ne dimenticarono subito, non appena la ragazza sentì il seno libero dal reggiseno sganciato, ma comunque coperto dal top che indossava.

«Ho bisogno di stare con te; ho bisogno di farlo con te.»

Corrado aveva mantenuto quella promessa, era riuscito ad ottenere brillantemente ciò che voleva, soddisfatto della sua abilità persuasiva: doveva ritenersi il ragazzo più fortunato del mondo, se la nostra modella dai capelli nero come la notte e gli occhi lucenti come l'alba gli stava baciando il collo, e seduta fra le sue braccia gli donasse il piacere tanto desiderato.

Camelia aveva notato come quella giornata si fosse consumata lentamente, come la cera di una candela accesa, silenziosamente, finché la fiamma non arriva ad arrostire anche la sua stessa base. 

Neanche una parola da colui che amava, neanche un segno d'affetto fino a quel momento in cui lei passava le sue umide labbra sulla sua pelle, ruotando la lingua con movimenti circolari, ispirando l'odore della sua carne ed il suo leggero sudore.

Davvero esilarante: lei non voleva neanche essere lì quel giorno.

Camelia era brava ad assecondare, a fare ciò che gli altri desiderano; in verità era a scopo di difesa, per non dover sentire il resto del mondo continuare a ripeterle che è ad essere sbagliata era lei e non la loro inutile opinione.

Si chiedeva se Corrado sapesse leggere il suo cuore, se capisse quanta paura ci fosse dietro il suo falso sarcasmo e la sua falsa sicurezza.

Sperò di no, che anche lui avesse bevuto la storia della modella orgogliosa, bella, dalla lingua tagliente e il fisico di una dea; sperò che la ragazza fragile e ferita, che piange in solitudine ripensando ai rifiuti subiti nel suo orrido passato non l'avesse mai conosciuta.

Ed intanto, mentre l'animo vacillava, le loro labbra si toccarono, la sua lingua spinta contro quella di lui, per spegnere il mondo intorno a loro non appena Corrado chiuse gli occhi, per assaporare quel momento di intensa passione.

Se la bocca della giovane non fosse stata occupata gli avrebbe chiesto: "Mi ami?"
Ed una voce dentro al suo cuore avrebbe aggiunto: "Mi ami veramente?"

I suoi occhi si alzarono al cielo per un momento: quella distesa vuota si era coperta di stelle per lei, proprio in quella notte buia. Ognuno di quei punti lucenti vegliava su di lei, perforando quell'oscurità crescente. 

Non era uno spettacolo da film, ma la sicurezza che quegli astri le infondevano le giovava particolarmente; era capace di apprezzare quella scena, decisamente più gradevole della sua snervante ed insapore giornata... 

Si chiese se anche Camilla, Catlina, Iris ed Anemone le stessero guardando.

Se solo avesse rifiutato quell'appuntamento, il suo corpo non si sarebbe riempito di tanto dolore. 

Non le era chiaro se stesse odiando di più se stessa, il suo ragazzo, o il loro amore.

E mentre fissava il cielo, Camelia desiderò più luce per la sua giovinezza; anche se, quella terra non era il luogo esatto in cui andarla a cercare. 
Le stelle non cadono a terra, non cadono mai così in basso, neanche per far avverare i desideri.

«Sei distratta stasera... Lascia che ti riporti alla realtà.»
Quella voce era di Corrado, proprio quella voce le fece cadere l'intera volta celeste sulla testa. 

La sua mano le circondò la testa, infilandosi fra i suoi capelli nero tinto, esercitando pressione, con quella forza che solo il desiderio di lussuria sa dare. 

Il ragazzo spinse la testa di Camelia verso il basso, mentre le mani di questa cercavano appoggio: la destinazione di quel gesto sarà un deplorevole cliché, abbastanza adeguato a quell'atmosfera però. 

Possedendo letteralmente la ragazza più sexy di Unima sulle sue ginocchia, non poteva che desiderare di ridurla schiava di ogni suo piacere, ignorando totalmente la sua dignità.

Quella muta notte di periferia sarebbe stata testimone delle voglie sessuali di un ventenne da lungo tempo astinentw se la nostra eroina non avesse finalmente detto la verità. 

Senza mezzi termini, senza contare su quelle inutili battute che rendevano il suo dolore interiore simile ad uno scherzo. 

Si stupì di quanto fosse facile dire “no”, di quanto il suo suono, detto con convinzione fosse tanto potente da fermare tutte le torture a cui le sue stesse bugie la stavano sottoponendo. 

Troppo semplice ed indolore, per essere reale.

Il suo fidanzato infatti la scortò con occhi truci: quanto deve essere frustrante non riuscire ad ottenere il sesso orale tanto agognato...

«Che ti prende? Seriamente, stai diventando davvero stupida in questi giorni.»
La aggredì lui. Non doveva aver considerato di sembrare più aggressivo che mai.

«Amore, non ho voglia stasera, - cercò di difendersi la ragazza, suonando davvero patetica - non muori se per una sera non te lo succhio.»

Lui accese svogliatamente una sigaretta, la cui cenere brillava di un rosso acceso. 
Tenendola con l'indice ed il medio la passò alla giovane.

«Fai un tiro, se sei nervosa.»
Per lui questo metodo funzionava, e non aveva voglia di trovare un'alternativa per convincere la sua ragazza a calmarsi.

«È inutile. - lo fermò lei, gettando il mozzicone acceso a terra - lo sai che...» 
Stava per cominciare un discorso che ripeteva da quando lei e Corrado si erano appena conosciuti, e così le loro voci si unirono svogliatamente in un coro per nulla sincronizzato.

«Ah... Se fumi le tette ti si ammosciscono, perché il fumo distrugge l'elastina, una proteina che rende la pelle tonica...»
La giovane aveva ripetuto in modo convinto la sua teoria per la quale si teneva lontana non solo dagli alcolici, ma anche dal tabacco. 

Corrado invece dopo averla presa in giro ripetendo le sue stesse chiacchiere, si zittì.
Del resto, era l'ultimo a poter commentare, se per primo aveva messo le mani dentro il reggipetto di Camelia, toccando insieme ai suoi morbidi seni un pezzo di paradiso.

La ragazza scese dalle sue ginocchia: si sentiva violentata dentro.
A quel punto Corrado sospirò: un sospiro troppo breve e sonoro per sembrare involontario o dispiaciuto. 

Camelia si rese conto che stava per cominciare un lungo discorso.

«Il nostro amore non ha senso. Tu non hai assolutamente voglia di impegnarti in una relazione seria.» Ammise, rilassando il corpo in una posizione più comoda. 

«Credevo che il nostro amore avesse senso finché nelle foto sorridevamo e io ti lasciassi insultarmi, sfruttarmi e sopratutto toccarmi senza pretesti...»

Dopo aver realizzato ciò che aveva detto, a Camelia venne voglia di prendersi a schiaffi, questa volta più forte, magari perfino offendendosi da sola. La sua mente aveva tradotto quella freddura con un "sei un egoista che mi toglie la libertà di scegliere, sono io la vittima qui, non obbligarmi a fingere di essere interessata a te".

Lo aveva ferito in pieno; ma quel ragazzo non sarebbe scoppiato a piangere, come avrebbe fatto lei. 
Si ricordò di essere lei ad avere bisogno di lui, non il contrario.

Il giovane dai capelli biondo saetta volle segnare la sua stoccata finale. 
Era inutile. Le ragazze viziate, che pretendevano così tanto “rispetto” non gli piacevano. 

Chissà se quella modella falsa come i suoi capelli tinti avrebbe imparato a vivere nel mondo prima o poi, o si sarebbe convinta fino in fondo che il cosmo girasse intorno a lei.

Corrado estrasse il cellulare, quel maledetto cellulare dalla tasca, illuminando lo schermo in mezzo a quella notte buia: i suoi occhi funsero da magnete   contro quelli di lei, attratti più che altro dallo sfondo del telefono; l'ennesima foto di loro due che sorridevano.

Con nonchalance lo pose sulla mano della ragazza, con un sorriso ambiguo sul viso.
«Camelia, sei una ragazza tosta, lasciatelo dire.»

Dopo questa confessione, la ragazza si decise a guardare lo schermo di quel cellulare. Ma se ne pentì amaramente.

«Quando ti deciderai a lasciare quella modella schifosa? È quasi un anno che io e te ci facciamo in segreto.
Non voglio essere la tua amante. Voglio essere la tua fidanzata.

Wow, che delusionali le tue ammiratrici. Neanche un cuoricino o un'emoji hanno messo.»

«Vai avanti senza commentare, puoi farcela se ti impeegni.»

«Il più presto possibile amore mio...? Poi la tizia risponde a te: quella stupida montata non ti merita. Io non sono come lei, lo sai. 
Non hai bisogno di fingere come lei. Hai proprio sprecato il tuo tempo con quella scema...
» 

Lo shock fu tale per Camelia che non riuscì ad emettere neanche una frase sensata per chiedere spiegazioni, anche se, cosa c'era da spiegarle? 

Tutto era stato pianificato a sua insaputa, quella relazione clandestina procedeva da abbastanza tempo, e ora che ne era venuta a conoscenza desiderò staccarsi i bulbi oculari. 

La ragazza trattenne l'istinto di cacciare un grido isterico, mentre il trucco pesante cominciava ad irritarle gli occhi. 

Incredibile. Il suo stesso fidanzato, la persona che lei amava e forse l'unico uomo della sua vita di cui si fidava, le aveva sbriciolato davanti agli occhi la sua maschera di sicurezza, solo per divertirsi nel guardare il viso che nascondeva sotto.

«Miyagi Jasmine, viene da Johto. Ha la tua stessa età ed è anche lei una Capopalestra. Uscivo con lei prima di conoscerti.
Dovresti incontrarla, è così una brava ragazza... - disse il giovane, con tono sadico - Esattamente il tuo opposto, direi.»

«Mi stai tradendo, vero?»
Camelia lo disse piano, quasi sussurrandolo. 

Come un deserto a corto di pioggia i suoi occhi le proibivano di piangere. 

A lui non poteva fregare di meno se la sua fragile ex si fosse sentita ferita, ormai quella “Jasmine” deteneva il posto di priorità nella vita di Corrado, un tatuaggio indelebile sul suo cuore.

Il ragazzo annuì. Il suo precedente comportamento fuori dal normale era solo la fine del loro amore. 

Questo stava per andarsene, lasciandola lì, in quel parco, in quella notte desolata, in quel mondo marcio e meschino. Era il suo "a mai più".

«Non mi puoi lasciare così! Non anche tu!»
Camelia gridò allungando un braccio per fermare quell'istante d'inferno, per riportare indietro quella persona che stava svanendo nell'oscurità. 

Aveva capito che la sua vita si stava ripetendo, ogni cosa ritornava a galla, come se non fosse più stata in grado di soffocare il suo miserabile passato. 

Ancora però nessuna lacrima era scesa.

Un rumore sordo, appena la mano di lui le colpì con violenza il viso, due volte.
Un istante dopo la ragazza si ritrovò a terra, sorreggendosi su un ginocchio. 

Non le venne spontaneo rialzarsi, ma posarsi una mano sulle guance, percependo la sua pelle tremare per il dolore, il suo animo per l'umiliazione.

Non era possibile, un altro schiaffo solo per aver detto come stavano le cose. 
Non le restò che farsi dare il colpo di grazia, mentre Corrado si era già allontanato.

«Non hai bisogno di nessuno, eh? - e con tono sarcastico, la guardò un ultima volta negli occhi - come sei falsa... E stupida.»

Dopo qualche minuto, solo il silenzio della notte si abbinava alla sua vuotezza interiore.

Per qualche ragione Camelia non volle sfogare i suoi sentimenti, anche se la sua snella e bellissima figura era l'unica rimasta in quell'angolo di nulla. 

Decise di andarsene.

Finalmente, di lasciare il parco della periferia della città natale.
Correre via, una volta per tutte, dal flashback lungo e doloroso che la sua mente le propinava da quando aveva messo piede lì. 

Ingiusto. Era come tenere un aspro limone stretto fra le labbra, l'essere tradita e rifiutata da colui che lei aveva provato ad amare con tutto il suo cuore e la sua forza. 

Le parve ironico ed umiliante. Non sapeva se ridere o piangere di tutto ciò.
Del resto, non era la prima volta per lei.

«Questo posto...  Fa schifo come sempre. Sono venuta qui un po' di anni fa, una notte.
La notte in cui proprio mio padre mi ha tradito, umiliato e dato della falsa per aver detto la verità.
Come farò a dimenticare? Lasciamo perdere...»

Mentre la ragazza camminava nella notte, sentì ancora il freddo sulle spalle. 

La solitudine spirava da un vento leggero, ma abbastanza tagliente da lacerarle il cuore.

Sorrise amaramente, passandosi una mano sui capelli, mentre, con le cuffie alle orecchie, ripeteva una triste canzone d'amore, e la periferia si faceva sempre più una lontana illusione.

«Gli uomini non fanno per me, ma io... Vorrei amare, un giorno.»

Prima di preoccuparsi dello scandalo che i giornali avrebbero tratto dalla sua falsità inconscia, Camelia si sforzò di accettare il volere del fato: che sia Corrado che suo padre dovessero avere entrambe gli occhi azzurri.

 

«Abbastanza penoso come giorno di vacanza.»

Il cigolio della suola di scarpa che striscia fastidiosamente sull'asfalto era solo la melodia, mentre una pioggia battente accompagnava i respiri infreddoliti e seccati di una giovane.

«Perché a Ponentopoli piova sempre, mi chiedo. E perché la pioggia e i miei impegni siano sempre sincronizzati.» 

Lanciò un'occhiata all'orologio, inevitabilmente preciso nel segnalare il ritardo capitale della sfortunata.

Il paradosso del dover lavorare a tempo pieno proprio nell'unico giorno di vacanza che avrebbe mai potuto ottenere fece gridare di rabbia l'inconscio di Anemone.

Quella era stata una giornata pesante e sgradevole, talmente tanto che le fece quasi rimpiangere di aver abbandonato il liceo per dedicarsi esclusivamente al suo lavoro. Si ricordò di quanto fosse divertente in confronto scarabocchiare sul quaderno di matematica, anche quando il sole alto nel cielo la invitava a disfarsi di quelle preoccupazioni.

La strada non si vedeva quasi sotto la luce fioca di lampioni, che illuminavano solamente gocce di pioggia grandi come secchiate. 

Anemone non aveva neanche più voglia di tenere le braccia sopra la testa per ripararsi.

Voleva gettarsi seduta lì in mezzo al nulla, solo per non pensare un attimo a quanto si sentisse presa in giro dal mondo: non avrebbe mai mostrato quella tristezza a nessuno.

Ma si trovò costretta a camminare, ripensando ai soldi che il suo sudore amaro aveva portato a casa. Ora avrebbe potuto sfamare se stessa e suo nonno. 
Poi il cibo sarebbe inevitabilmente finito. E avrebbe dovuto sudare ancora. E così all'infinito.

L'unica via che l'avrebbe estratta da questo baratro pauroso era il pensiero che il cielo non resta grigio per sempre, e che la notte è composta da un limitato numero di ore. C'era il domani per Anemone, completamente gratis. 
E i pranzi e le cene che Nardo preparava a lei e le sue adorate compagne.

La ragazza si sentiva davvero imbarazzata pensando di essere l'unica che desiderava diventare Campione solo per i soldi. 
La faceva sentire egoista, lei che egoista non era.

Un grido irruppe fra i suoi pensieri, riportandola alla realtà. 

«Hey tu, spostati, idiota!»

Anemone si voltò di scatto. 

Aveva ottimi riflessi, un fisico molto elastico ed era assolutamente conscia di essere la più agile e veloce fra tutte le sue sfidanti nella competizione. ma la tristezza e la stanchezza le appesantivano le gambe.
Rimase a guardare i fari accecanti di un auto, una bellissima auto, per qualche secondo, prima che questa le venisse quasi addosso. 

Socchiuse gli occhi, sotto quella pioggia.
«Fa che mi sia rotta le gambe... Io... Non ce la faccio più così...» Sperò inconsciamente.

Anemone si accorse subito di non aver perso i sensi come desiderava, di essere ancora nel bel mezzo della strada e di essersi solo sporcata come un gabbiano caduto in una chiazza di petrolio. 

Rimase zitta però.

«Avevi intenzione di suicidarti? Perché hai aspettato l'auto sbagliata - e sottovoce una voce femminile aggiunse - sporcare questo gioiellino con il suo sangue sarebbe assolutamente vergognoso...»

La giovane dai capelli rossi alzò lo sguardo, come se il mondo si fosse d'improvviso ingigantito: una ragazza era lì in piedi. 

Aveva i capelli di un violetto chiarissimo, totalmente diverso da quello dei capelli di Iris; erano raccolti in una coda, sistemati ordinatamente. 
Riuscì a notare nella foga come il suo trucco fosse impeccabile anche sotto la pioggia battente, per poi abbassare gli occhi e notare le scarpe di marca. 

Non le piaceva il suo sguardo. 
Doveva davvero essere seccata dal loro incontro, sebbene lo avesse deciso il caso.

«S-Scusami.» Balbettò Anemone, cercando di rialzarsi. 
Accennò un leggero inchino; doveva trattarsi di qualcuno più importante di lei, anche se cosa ci facesse una giovane riccona in giro a quell'ora le era ignoto. I ragazzi non frequentavano quelle vie.

«Ma almeno ce l'hai un ombrello?» La riprese la giovane riccona con tono acido.
La ragazza scosse la testa. La proprietaria dell'auto sbuffò, seccata.

Ma poco dopo le labbra di quest'ultima si contorsero in un sorriso forzato, come quello di una vipera. 

«Allora posso darti un passaggio. Ma attenta a non sporcarmi i sedili in pelle.»

Anemone tirò un sospiro di sollievo. Le disse a bassa voce la destinazione. 
Non era aveva mai visto un auto così lussuosa. 

Con la coda dei suoi occhi azzurri riuscì a spiare una targhetta, attaccata ad una specie di uniforme che la ragazza dai capelli azzurri indossava: Ogawa Alice, cognome e nome.

«Hai una bella uniforme, Alice.» Le disse con un sorriso. 

Voleva solo conversare, almeno per distrarsi. 

Quell'uniforme effettivamente le piaceva. Così attillata, dal colore blu scuro, ispirava una certa serietà. Aveva perfino un distintivo dorato sul petto, raffigurante un'ala.

«Uh?! - Alice si stupì che un'estranea (se così si può dire) le rivolgesse la parola. - È l'uniforme che a Hoenn viene data ai piloti che conseguono il rango più alto. Sottufficiale pluripremiato, dopo aver conseguito quattro brevetti. Diciamo che sono soddisfatta.»
Lo disse con molta sufficienza. Non la guardò neppure negli occhi.

«Allora anche tu lavori nell'aviazione? - La nostra eroina non perse la speranza nell'attaccare bottone - Che coincidenza, anche io! Diciamo che... Non sono al tuo stesso livello. Ho iniziato da poco e sono ancora semi-professionista. E i nostri salari sono incomparabili, immagino che neanche lavorando una vita riuscirei a permettermi un auto bella come la tua.»

«Che ingiustizia» voleva aggiungere, mentre rideva innocentemente di quel pesante dato di fatto. 

Incredibile che quel cielo verso cui spesso alzava gli occhi per cercare calma e pace si fosse trasformato in un business perfido e selettivo, in cui c'è chi fatica ad arrivare a fine mese per sfamare la sua stessa famiglia, e chi ha abbastanza soldi da possedere un auto con i sedili in pelle e un'uniforme che sembri davvero un'uniforme (Anemone non vedeva l'ora di tornare a casa di Nardo e rimettersi il suo yukata azzurro, odiava la sensazione dei vestiti bagnati e freddi che si appiccicano alla pelle).

Ma mentre la nostra eroina si struggeva riguardo le ingiustizie della società, Alice esibì un ghigno quasi sadico. 

Per lei era divertente quella storia, talmente penosa che suonava come uno scherzo. 
Quella sfortunata desiderava essere commiserata; ma lei avrebbe fatto totalmente l'opposto. 

Cominciò a forzare una risata sarcastica, che spaventò Anemone.

«Davvero lavori?! Quindi non sei disoccupata come credevo!»

Lo sguardo di Anemone si mescolò fra lo stupore e l'indignazione. 

Non reagì ancora.

«Beh?! Che c'è da stupirsi? Una con i capelli tinti di rosso e così spettinati non può assolutamente far parte di una compagnia aerea...» Aggiunse con tono derisorio.

«I miei capelli sono rosso naturale.» Le spiegò con pacatezza.

Non ci credette: Camelia non era l'unica ad aver creduto che lei avesse sia i soldi che il tempo per colorarsi i capelli, quando a malapena si comprava dei nuovi vestiti. 

E il fatto che i suoi ciuffi fossero sempre così ribelli e sregolati era affar suo, non credeva?

Ma quel demone in vesti umane non si diede pace. Volle continuare, sadicamente.
«Che scempio... Se non usi i soldi per comprarti vestiti e trucchi, per cosa li sprechi? Manga, anime, CD, inutili merchandise e schifezze?! Sembri il genere di persona capace di farlo.»

Possiamo immaginare che colpo duro sia stato per la nostra Anemone. Non rientrerà perfettamente nello stereotipo della sfigata, ma come sappiamo, la sua passione per i prodotti d'intrattenimento giapponesi la portò a considerarsi sbagliata agli occhi della società.

Lei lavorava seriamente, leggeva e si svagava solo nel poco tempo libero. 
E inoltre la sua dieta si basava sul prezzo, mica sulle calorie. 

Normalmente non avrebbe badato all'opinione di altri ma... Se glielo diceva una vincente, una che nella vita ha successo e non deve vergognarsi della sua condizione economica e sociale, quell'insulto la devastava. 
Il sangue le ribollì nelle vene, ma ancora una volta rimase passiva, guardando quel mostro di ragazza con gli occhi di un bimbo maltrattato.

Con l'animo e il corpo a pezzi, Anemone giunse a destinazione. 

Era pur sempre in ritardo.

Dove quella Alice avesse trovato il coraggio di distruggere ogni valore morale, calpestando la sua dignità di essere umano, specie nella condizione misera e deplorabile in cui era ed ancora si ritrovava, si chiese a malincuore la giovane dai capelli rossi.

Sbatté la portiera di quella macchina in faccia a quella lurida viziata.

«Che maleducata... Pensi che ringraziarmi urti ancora il tuo orgoglio inesistente?!»
Gridò quella giovane, fingendosi nauseata.

«Che perdente. Un rifiuto umano. Il mondo è pieno di gente povera, miserabile e abbandonata a se stessa come lei.» Si disse Alice fra sé e sé.

«Zitta stupida. O il mio Swanna traforerà la tua testa con il becco.»
Pensò a denti stretti Anemone. Ma non fece nulla di quanto aveva minacciato. 

E la pioggia cadeva ancora più forte sulla sua testa.

Sfilandosi le scarpe zuppe con i piedi, Anemone ascoltava a tratti le sgridate che suo nonno le affibbiava sempre più spesso, tanto che ormai si era presa il privilegio di ignorarle. 

Ormai venire sgridata per aver fatto ritardo da suo nonno a diciassette anni aveva cominciato a diventare umiliante. 

Forse senza che qualcuno glielo ricordasse avrebbe agito da irresponsabile. 
Ma l'essere senza responsabilità era il lusso più grande che la ragazza non poteva permettersi.

Mentre si asciugava svogliatamente i capelli dalle ciocche ribelli con un asciugamano, le capitò di connettersi per un attimo alla terra e di sentire qualche parola di quella filippica, che non fosse stata coperta da un "si, lo so", "scusa" o "non succederà più".

«Hai perso forse l'abitudine di rispondere al telefono signorina?» Le domandò l'uomo.

«Caspita, io non ho più un cellulare.» Realizzò concretamente Anemone.

Dopo tutto quello che aveva passato in quel giorno d'inferno, l'aver frantumato in mille pezzi l'unico cellulare che aveva mai avuto era il suo ultimo problema. 

Si preoccupò di più delle spiegazioni che l'indomani avrebbe dovuto dare a Iris, testimone del suo attacco d'ira. 
«Devo averla spaventata a morte...» Si disse.

Ma la sua bocca era già intenta a difenderla in un'ennesima causa persa. 

«Si è rotto.»
No, non l'avrebbe bevuta. 

Non era stupido. Gliene importava di quell'aggeggio. 
Non gliene poteva mica comprare un altro. Lei non era ricca sfondata come Alice. 

Tutti quei pensieri si aggrovigliarono nella mente di Anemone, ripetendole ancora, come se non ne avesse già abbastanza, quanto la sua vita e la sua felicità stessero toccando il fondo, in una tristezza inevitabile.

Ormai quell'uccellino che la rappresentava era caduto in un cespuglio di rovi, con le piume sporche e il becco lacerato, ed ogni tentativo di liberarsi da quell'intrigo di spine e di dolore era vano, sempre più sofferto. 

Sarebbe stata solo colpa sua se non fosse giunto alcun cibo al nido, se i suoi piccoli fossero morti di fame.

«Ma tanto, chi se ne frega.»
Anemone troncò suo nonno prima che le potesse ribattere. 

Di ribelle era solo il suo aspetto, perché quell'uomo, che si era preso l'impegno di crescere una bambina talmente problematica, non si sarebbe mai aspettato una risposta del genere da lei.

La rossa sentì di essere stata una ragazza obbediente, dedita al lavoro e alla sua famiglia per troppo tempo.

«Chi se ne frega se non ho una vita sociale, se non posso comprarmi vestiti decenti, se non posso divertirmi per una sola volta con le mie uniche amiche. Tanto io servo solo a tirare avanti qui, come se non fossi neanche tua nipote...»

L'uomo stava per zittirla. 

Ma lei ormai se ne era già andata, si era già chiusa in quella camera che rappresentava il suo cuore, come una bambina viziata dopo un litigio.

«Io non sono per davvero sua nipote... Ho sprecato la mia vita.»

E dopo quel pensiero Anemone si abbandonò al pianto, accettando passivamente la sua condizione di schiava del suo stesso altruismo.

Non voleva scusarsi con nessuno. Non voleva mostrare quella sua depressione a nessuno. Non poteva contare sull'aiuto di nessuno. 
C'era solo lei in quel mondo.

Ma poco dopo capì che così nessuno si sarebbe mai interessato alla sua felicità.

 

«Ragazze, per favore ascoltatemi.»

Era abbastanza inutile che Camilla chiedesse "per favore" per essere ascoltata, ma ciò la faceva una leader più amichevole.

«Spero che la giornata di vacanza di ieri sia stata gradevole per tutte voi - e rivolse uno sguardo ad Iris, per ringraziarla della serata "molto intima" che le due avevano trascorso all'onsen - ma oggi Nardo mi ha specificatamente chiesto di ammazzarvi di lavoro.»

Anche mentre aveva formulato quelle parole alquanto inquietanti, la giovane Campionessa non aveva smesso di sorridere.

Le quattro ragazze non ne furono stupite: quell'uomo si divertiva troppo nel maltrattarle.

«Allora - riprese Camilla - voglio che facciate del vostro meglio, come se proprio oggi vi doveste scontrare nel TRUF.»

Ad Iris venne spontaneo pensare "Io adoro questa ragazza". 

Quando si trattava di fare del proprio meglio era molto più piacevole lottare, giocare solo per vincere era davvero noioso e stressante. 
E lei si era appena riposata, le serviva tempo per rimettersi al passo, come quando finisce l'estate e il pensiero della scuola si fa sempre più vicino.

Poi la Campionessa di Sinnoh si rivolse a Catlina, che si ritrovò un po' sbigottita dall'attenzione ricevuta, nello stesso modo in cui il primo giorno l'aveva invitata ad uscire dal suo silenzio e presentarsi.

«Catlina, ti dispiacerebbe lottare contro sia Anemone che Camelia contemporaneamente?»

Quella richiesta lasciò le quattro Allenatrici senza parole.

«M-Ma, due contro una è un po' sleale...» Cercò di spiegarsi la rossa.
Solo per il fatto che si trattava di un membro dei Superquattro necessitare l'aiuto di un'altra persona la metteva a disagio. 

Chissà cosa doveva pensarne Camelia.

«Ah... Una specie di lotta in doppio?» Iris voleva chiarire.

Di punto in bianco, Camilla scoppiò a ridere, sotto gli sguardi interrogatori delle altre.

«Ho detto che avrebbero lottato contemporaneamente, non insieme. - si spiegò finalmente - Camelia, fingi che Anemone non ci sia, e tu Anemone fai la stessa cosa. Lottate distintamente, insomma. Catlina schiererà due Pokémon, voi fate del vostro meglio per mandarli K.O. - E girandosi verso la ragazza dallo yukata rosa - Va bene per te?»

«Certo.» Gli angoli della bocca della bionda apatica si sollevarono per un secondo in un flebile sorriso.

Che divertente. Camilla davvero si aspettava che si sarebbe arresa solo perché era da sola contro due Capopalestra. Non la conosceva proprio.

«Ok, cominciate!» 

Dopo aver dato il via alla lotta, Camilla si sedette accanto ad Iris.

La ragazzina dai capelli viola fu molto fortunata, poiché le tre giovani schierarono proprio i loro Pokémon migliori, proprio secondo ordine della loro leader.

Brillante come il sole, quella zebra dalla velocità e potenza abbagliante di una saetta, Camelia aveva schierato la sua fidata Zebstrika, già elettrizzata al pensiero di lottare.

Un cigno dal bianco piumaggio si era librata in aria sopra la testa di Anemone. 
Quel suo Swanna stava per mostrarle il vero significato della parola "volare".

Catlina doveva giocare il ruolo sporco, ma si sarebbe affidata alla psiche, come sempre. 
In campo, il suo Reuniclus e il suo Musharna non sfioravano neppure il campo di lotta, fluttuando in uno stato di trance.

Prima di cominciare, gli occhi di Camelia e Anemone si incontrarono per un secondo. 
Nessuno dei due sguardi però ispirava sicurezza.

I loro corpi erano ancora fermi, del resto.
Fermi nella notte precedente, a quel 'giorno di vacanza' che vacanza non era stata, uno degli ieri più dolorosi per la vita di entrambe. 

Il loro contatto visivo si staccò non appena si resero conto di dover lottare da sole, contro nemici diversi, senza contare l'una sull'altra.
Ma quello non era il momento giusto, quello non era il luogo giusto.

Camelia sentì un leggero mal di testa, strofinandosi gli occhi.
Anemone invece capì che sulla sua gamba sinistra ancora doleva un livido.
Nonostante ciò, il dolore fisico era mille volte migliore di quel vuoto sanguinante e marcio che divorava il cuore.

La battaglia cominciò secondo un ritmo regolare, con la prima mossa alla mora e alla rossa.

Iris si accorse che però Catlina sembrava impassibile. 
Stava ragionando troppo nel scegliere il contrattacco e la sua strategia di lotta non si basava assolutamente sulla passività. 

La sua teoria fu contraddetta dalle azioni dei due Pokémon, che già avevano eseguito la mossa Psichico in perfetta sincronia, in una difesa perfetta.

In effetti, Reuniclus si muoveva seguendo il ritmo incalzante della Zebstrika di Camelia, schivando gli attacchi ripetuti; nel frattempo Musharna doveva star cercando il modo con cui sbattere il Pokémon Volante a terra, per ridurre la differenza di agilità.

Spaventoso. I Pokémon di Catlina si muovevano senza ricevere ordine.

«Stupefacente.» Puntualizzò Camilla.

«Catlina riesce a tenere testa a due lotte allo stesso momento, controllando due Pokémon diversi secondo piani diversi... E tutto questo nella sua mente.»

«D-Davvero?! - Iris non credette alle sue orecchie - Quindi sta, tipo, usando la telepatia?»

Esatto. A lei il rumore non piaceva, lo aveva espressamente detto e per rumore doveva intendere anche l'urlare i comandi in battaglia ai Pokémon.

«Catlina può agire con tutta la calma che le serve, dato che nessuno può predire la sua prossima mossa e l'avversario può contrattaccare solo una volta che la mossa è stata effettuata. Solo gli Allenatori di Pokémon Psico di livello altissimo possono destreggiarsi in questa maestria, Allenatori che hanno capacità intellettive superiori a quelle fisiche.»

Guardandola bene, Iris vide che gli occhi spenti della bionda fissavano un punto lontano, come se non guardasse neppure il campo di lotta. 
Aveva un'aria concentratissima. Non si sarebbe mai aspettata che quel cadavere fosse un'avversaria tanto temibile.

Intanto Camilla gettava l'occhio sul come lottassero le tre Allenatrici, fiera di quella specie di gioco che si era inventata. 
Le sue ragazze dovevano innanzitutto divertirsi, poi fortificarsi e infine preoccuparsi di sconfiggersi. 

Per un secondo si domandò sarcasticamente come fosse possibile che la sua cara amica di Sinnoh non l'avesse sconfitta nemmeno una volta. 
Era una ragazza piena di volontà, nonostante la sua espressione perennemente stanca.
Anche quando erano piccole, sei anni appena, quando le mosse dei Pokémon presi in prestito dai genitori di lei erano innocue e leggere, quando il famoso stile e le spudorate tecniche erano limitate ad un mero attacca-e-schiva.

La giovane donna chiuse gli occhi e scosse la testa: un ricordo triste era imperversato. 
Un ricordo che connetteva l'amore per le lotte e la loro amicizia con un filo sporco di sangue.

 

Dallo sguardo incerto che le due sfortunate Capopalestra si erano scambiate, la situazione  era solamente precipitata. 

Si chiarirono le idee: quella non doveva essere la loro giornata, era tutta sfortuna. 
Ma per un Campione non dovrebbero esistere le brutte giornate e la sfortuna. 

Solo l'inettitudine giustificava il fatto che Zebstrika e Swanna a malapena sopravvivessero fuori dalla Pokéball: attaccare era una rarissima chance, la quale finiva inevitabilmente sprecata; schivare era una fuga stancante, che invece non sarebbe più finita.

«Catlina mi deve odiare tanto... Sarà perché io a differenza sua mi prendo cura della mia pelle... Guardala, è pallida da far paura e tutte quelle borse sotto gli occhi non passeranno con qualche goccia di crema...»

Camelia non era nella posizione di distrarsi e fare una battuta scontata, lo faceva tanto per prendersi in giro. 
Gli avversari tosti vanno mandati giù in un colpo, le avevano insegnato. 

Ma se le era difficile perfino realizzare le mosse di Catlina, quanto avrebbe dovuto aspettare prima di trovarsi faccia a faccia con quel Pokémon Cellula, e sopratutto, quante gliene avrebbe suonate se Zebstrika se lo ritrovava di fronte?

A Camelia toccò giocare uno svogliato asso nella manica, gli occhi le bruciavano troppo.
«Scarica!»

Un'onda luminosa di pura elettricità si spanse in tutte le direzioni, creando un campo di luce che avrebbe prima o poi urtato tutti gli ostacoli presenti nel campo di lotta.

«Porca miseria! Ho colpito anche lo Swanna di Anemone...»
Camelia lasciò scappare un sospiro ansimante, coprendosi la bocca con le mani. Non si era accorta di aver commesso un grave errore. 

Le venne per l'ennesima volta voglia di picchiarsi con violenza. 
Solo per la sua brama di liberarsi da quella lotta stressante aveva inconsciamente causato la sconfitta per quella ragazza. 
Si morse il labbro, che fremeva dal bisogno di chiederle sinceramente scusa.

«A-Anemone, scusami, non avevo considerato che Scarica colpisse tutti i Pokémon in campo...»
Si degnò finalmente di rivolgerle la parola, se non altro anche la sua voce era del tutto rotta.

«Tranquilla, non fa nulla.» Anemone cercò di tranquillizzarla. 
La sua compagna non meritava di essere insultata, lo meritava meno di chiunque altro.

«Non fa nulla?! Il tuo Swanna è allo stremo delle forze, hai praticamente perso a causa mia.»

«Vero. Ma... - La rossa si interruppe e diede una forte scossa alla spalla di Camelia - Lo sai che stiamo ancora lottando?!» Le gridò.

«Pensi che me ne freghi ancora di questa stupida lotta? - E si voltò verso Catlina, che non aveva rotto per un secondo la sua concentrazione - Mi arrendo.»

Una Capopalestra che si arrende ancora prima di aver perso... Davvero deplorevole. 

Camelia non ci badò molto, e si avvicinò all'orecchio della ragazza che si era degnata di perdonarla. 
Com'era dolce poter dire le cose come sono... Senza essere odiata.

Indicò Swanna, la cui energia era sull'orlo dell'esaurimento.

«Conosce una mossa che sia potente? Non importa di che tipo sia, ma la tua squadra è veloce, più della mia. Usala ora e finiamo questo strazio.» Le sussurrò.

Quell'alleanza improvvisata (e fuori dalle regole) fu accolta da Anemone, ormai senza speranze. Come una luce nel buio, quella modella buona solo ad insultare stava cercando di aiutarla a modo suo. 

Non ci credette, ma annuì al suo piano.

«Baldeali!» E in quell'ultima mossa ci mise tutta la sua fiducia.

Tutte le ragazze incollarono gli occhi a quella che sembrava la mossa decisiva. O la va o la spacca, come si suol dire...

«Ma Baldeali non fa subire al Pokémon che la usa un contraccolpo pari a un terzo del danno inflitto?»
Iris espresse quel dato di fatto ad alta voce.

Era vero, in effetti. Bisogna sempre considerare i contraccolpi, non si può uscire da uno scontro diretto senza neanche un graffio, specie a quella velocità.

«Oh diamine, me ne sono totalmente dimenticata!»
Anemone si batté fortissimo la fronte.

Sia lei che Camelia avevano fatto la loro becera figura. Desiderò sparire dalla vergogna.

«Iris, perché non impari a stare zitta?!» Le gridò Camelia.

«Scusami se non ho inventato io le dinamiche di lotta. Poi non avevi detto che ti arrendevi e che non te ne fregava niente?»
La ragazzina alzò le mani aperte in segno di moderazione. 

Trovò divertente come neppure la modella sapesse reagire ad una sconfitta.

«A me no, ma a lei penso che importasse! Mi dispiace per te Iris, hai perso l'unica amica che avrai mai qui.» 
Camelia indicò Anemone, che la fissava frastornata. La rossa aveva avuto una brutta serata, e davvero non le andava che si scatenasse qualche litigio, un altro litigio, l'ennesimo fra Camelia ed Iris.

Inoltre era la sua stessa dimenticanza a procurarle la sconfitta, la mora aveva solo cercato di darle un consiglio per evitare il suo stesso errore. Il fallimento infine era pura sfortuna.

«Basta.»

La voce era quella di Nardo che fece trasalire le cinque, cancellando completamente la discussione precedente. Un vero dilemma è da dove fosse uscito ed in che modo avesse assistito alla lotta, se per tutto il tempo non si era visto.

I segreti alquanto equivoci, ma in un certo senso comprensibili di un Campione che desidera che i suoi successori siano allenati al meglio.

«Catlina, - La giovane bionda non reagì alla voce tanto risoluta dell'uomo, essendoci abituata - ottimo lavoro, controlli con sempre più maestria le tue abilità psichiche. Se mettessi tutta questa energia anche durante le lotte alla Lega invece di dormire in piedi... letteralmente...»

Lo aveva detto in senso affettuoso, tanto per non dare troppe arie alla sua dipendente. Catlina invece non batté ciglio. 
Non poteva negare di preferire l'ozio sopra ogni cosa.

Nardo rivolse poi il suo sguardo verso le due Capopalestra. 
Uno sguardo davvero truce, quasi volesse dannarle solo con gli occhi; fece rabbrividire sia la mora che la rossa.

«Per quanto riguarda voi due - Stava per cominciare la predica - "penoso" è l'unica parola che mi viene in mente per descrivere questo scempio di lotta. Sarò dritto al punto: sembravate ubriache, senza alcuna coscienza delle mosse che steste usando... Fino a tal punto da ignorare le regole che la vostra leader vi ha posto. Vergognoso.»

Essere sgridati da Nardo faceva sempre un certo effetto: perfino Camelia si ritrovò ad abbassare leggermente gli occhi. Anemone non riusciva nemmeno a guardarlo.

Che situazione imbarazzante e le situazioni imbarazzanti sono le più difficili da scordare. 

«Esattamente. Siete state smascherate. 
Ero certo che lasciarvi un giorno di vacanza non era una buona idea: voi adolescenti siete davvero prevedibili. - E rivolgendosi a Catlina, Camilla e Iris aggiunse - Questo vi insegni a tenervi lontane dagli alcolici, ragazze.»

La teoria di Nardo era una buona supposizione: secondo lui le due dovevano aver trascorso la giornata precedente fra feste e cocktail, ignorando gli effetti che questi danno al cervello (se una vodka rende quasi impossibile camminare, pensiamo al lottare).

Ma in verità, l'unica nube che annebbiava la mente di Camelia ed Anemone era un dolore interminabile, che non riuscivano ad ignorare per pensare alla vittoria.
Non erano loro stesse quel giorno, ma nessuna di loro due era conscia che la sua compagna stesse condividendo i suoi stessi sentimenti.

Le loro obiezioni si mescolarono in un tartagliare di parole insensate, l'uomo non voleva sentire scuse. 

«Avete bisogno di riflettere. E conosco già il modo in cui potrete dimenticarvi delle vostre serate hard...»

No. Non poteva davvero intenderlo. 

«Tutto -  Si dissero le due sfortunate Capopalestra con gli occhi - tutto ma non... Quello.»

«Magari la prossima volta dovrebbero lottare in doppio. Da sole sono proprio spacciate.»
Si disse Camilla. 

 

Il vecchio garage che si trovava sul retro dell'abitazione del Campione non somigliava minimamente ad una sauna, se non per il fatto che il caldo insopportabile già aveva lo stesso effetto di vapore professionale. 

Perlomeno il lavoro di Camelia ed Anemone nella loro precedente punizione aveva ripulito il pavimento dai calcinacci e dalla muffa.
E se avessero utilizzato la colla per i rivestimenti delle pareti invece che per tirarsela addosso avrebbero anche potuto evitare di venire punite ancora.

Anemone si era domandata se la sua impegnatissima compagna avesse davvero passato la serata precedente a calarsi alcolici ad una di quelle feste per celebrità riccone.

Non se la sentiva di chiarirsi il dubbio però. L'aveva vista diversa. Era pura intuizione.

Entrambe lavoravano per conto proprio, anche se evitare di guardarsi in pochi metri quadrati di spazio era impossibile. 

Osservandosi a vicenda, Camelia aspettava impazientemente che la rossa tirasse fuori uno dei suoi sorrisi venuti dal nulla, facesse un commento o una battuta per nulla divertente, così lei avrebbe potuto prenderla in giro; scherzare; magari ridere.

Camelia si stava macerando le labbra a morsi e la sua bocca aveva il sapore del sangue.
I suoi occhi invece pregavano per essere ripuliti da quel trucco pesante e fastidioso ed infine essere chiusi in un sonno profondo.

Passare il resto della nottata precedente sdraiata sul suo letto, leggendo e rileggendo vecchi messaggi, ad ingrandire i sorrisi che nelle foto apparivano reali ed immacolati, ascoltando a ripetizione la stessa canzone le cui parole descrivevano la sua vita l'aveva distrutta fisicamente e psicologicamente.

Senza accorgersene, per la seconda volta la ragazza dallo yukata giallo lasciò che le lacrime le facessero sfogare la sua frustrazione.

«Ma che ho fatto di male per meritarmi di essere tradita... Corrado...»
La sua voce aveva cambiato totalmente tono, diventando più sottile e piacevole. 

Ed Anemone lo notò subito. 

Non vedeva l'ora di poter finalmente rivedere quel lato di Camelia che le piaceva, che le provava quanto fosse fragile. 
Non ci credeva all'incarnazione dell'egoismo in lei, quale persona egoista si comporterebbe in maniera gelosa e protettiva, com'era stata nei suoi confronti la prima volta?

La rossa sorrise al pensiero di poter essere solo lei l'unica a consolarla, l'unica di cui avesse bisogno in quel momento. 
Le appoggiò la mano sul viso e fece incontrare i loro occhi, sperando di non venire scacciata. 

«Camelia, stai bene?»

Non era riuscita a trovare parole più originali, il suo cervello era troppo occupato a seguire la direzione in cui sue lacrime le scorrevano lungo il viso.

Per essere una modella, era ovvio che dovesse possedere occhi così belli, azzurro chiaro.
Anemone si augurò che la sua fosse solo ammirazione.

Tuttavia la mora non le rispose. 

La modella si ripeteva per l'ennesima volta quanto i suoi sentimenti fossero patetici e vecchi. Si sarebbe auto-minacciata di picchiarsi, ma avrebbe solo pianto di più.

Perché Anemone non la lasciasse sola e non continuasse il suo lavoro evitando che Nardo la potesse punire per la terza volta, si chiedeva. 

Alcune parole le giunsero alle orecchie, come una melodia curativa.

«Se continui a stare zitta finirai per riempirti di tristezza e continuerai a piangere la stessa cosa per sempre... Per quel poco che posso fare vorrei sapere che cosa è successo. Se non me lo vuoi dire significa solo che è una cosa che puoi risolvere da sola.
M-Ma ricordati che io ci sono sempre per te!»

E vide Anemone arrossire spaventosamente, coprendosi la bocca dall'imbarazzo per quelle parole.

Incredibile, esistono davvero le persone altruiste, sebbene sotto forma di Capopalestra rosse con evidenti problemi di schizofrenia, disposte a trasformarsi in psicologhe solo per fare un bel monologo profondo ed intelligente. Ma senza alcuna ipocrisia.

Il rosso sul viso di Anemone diventò intenso quasi quanto quello dei suoi capelli appena Camelia appoggiò la testa sulla sua spalla: non poteva risolvere tutti quei problemi da sola, ne aveva avuto la prova la sera precedente. 

Alla rossa venne l'impulso di accarezzarle i capelli neri, sperando che ora le avrebbe aperto il suo cuore chiuso con mille lucchetti di ferro.

«Anemone... - Glielo sussurrò con una voce limpida, come se avesse ingoiato le sue stesse lacrime salate - ti ha mai lasciato un ragazzo?»

«No. Non mi è mai capitato.» Le rispose piano.

«Stai mentendo. - La sua voce era ancora vellutata - Mi avevi detto che avevi un ragazzo alle medie, che ti ha lasciato...»
Camelia si ricordava il divertimento che aveva provato nel prenderla in giro quella volta, e ripescarlo dai suoi ricordi la fece sentire leggermente meglio.

«Me lo sono inventata, lo ammetto. Figuriamoci. Alle medie i maschi non mi lasciavano giocare con loro perché li picchiavo.
In diciassette anni di vita non ho mai baciato nessuno, vergogna cada su di me...  Ti ha fatto tanto male? Come succede nei film o nei libri?»
La rossa aveva cominciato ad accarezzarle anche la guancia umida, come se si trattasse di un'amica cara.

Sperò tanto che le amiche si comportassero così anche nella realtà, non solo negli anime per ragazzine. La mora infatti la strinse più forte, affondando gli occhi nella sua spalla.

«Peggio. Mi sento la persona più stupida del mondo.
Non riesco a dimenticarlo. Io lo amavo, e lui mi ha tradita... Non puoi capire quanto faccia male... Non riesco ad odiarlo... Ma tanto è solo colpa mia... Non tornerà mai più...
Alla faccia dell'amore che vince sopra ogni cosa.»

Tutte quelle parole miste a singhiozzi silenziosi fecero dimenticare ad Anemone della classica storia d'amore infranta da un tradimento. C'era qualcosa sotto.

«Non mi sembra la prima volta che ti lasci con un ragazzo, che hai quel genere di rapporti ... Non avevi altri fidanzati prima?  Hai reagito così anche per loro?»
Alla rossa parve giusto domandare.

«No... sono stata con molti altri, alcuni li ho anche lasciati io, ma lui... Lo amavo davvero. Significa che lui era davvero la persona più importante per me.» Si convinse ad ammettere Camelia.

«No, idiota. - Anemone le rispose secca, ma con un sorriso sulle labbra. - Significa che hai perso fin troppo tempo a cercare qualcuno a cui appenderti. Hai intenzione di concederti ogni ragazzo della Terra finché non ti rimarrà neanche un pezzo di cuore nel petto?
Io ci tengo a te, e non ti serve un uomo per essere felice.»

Camelia non aveva idea di cosa pensare dopo quel discorso. 

Non ci poteva credere, ma quella logica femminista e alquanto ambigua aveva un senso. 

Ogni ragazzo con cui si metteva e lasciava le portava via tempo, consumando la sua giovinezza come aveva fatto prima con la sua innocenza, poi con la sua verginità. 

Camelia non beveva o fumava ma era riuscita comunque a rovinarsi da sola nel corpo e nello spirito: e sperava che qualcosa sarebbe pure cambiato continuando così.

«E quindi?» Le domandò con lo stesso tono.

«Dammi il tuo telefono.» Le sorrise la rossa.

Pochi secondi dopo la sua disperazione per l'essere stata brutalmente scaricata si era trasformata nel rimorso per aver ciecamente affidato il suo cellulare a quella pazza.

«Cancella, cancella, cancella, cancella...» Ripeteva Anemone come una cantilena.

«Ma che stai facendo?»

«Ti riporto nel presente, mia cara. Il tuo telefono è in diretta connessione con il tuo cervello: quindi ci basta cancellare tutto ciò che ti ricorda le tue vecchie delusioni d'amore. - E continuando a spiare innocentemente la vita privata della modella, Anemone non si risparmiò qualche commento. - Q-Questa foto avrei fatto meglio a non vederla, immagino...»

«Non toccare i numeri in rubrica...» Camelia fu interrotta, mentre cercava di togliere il cellulare dalla stretta di ferro di quella ragazza.

«Salvi troppe persone con il nome "amore"... Di questo passo la prossima sarò io...»

«A proposito, dolcezza, tu non mi hai ancora dato il tuo numero di cellulare...» La investigò la mora.

«Ti prego, non voglio sentire parlare di telefoni almeno finché non me ne pioverà dal cielo uno nuovo. E più resistente alle cadute.»

Le due risero per un po' e provarono a loro stesse che il dolore non è invincibile, fa solo più paura quando si è soli.

 

 

«Non è possibile Camelia, hai avuto più fidanzati tu che delusioni io...»

«Anemone, non ti capisco: dici che si può essere felici anche senza un fidanzato e continui a lamentarti di essere sola, triste e ancora vergine...»

«Non mi sono mai lamentata di essere ancora vergine!»

«Ma i tuoi paradossi confondono me e i lettori, devi spiegarti meglio.»

«Come posso spiegartelo... È una cosa complicata... Aspetta, siamo alle battute di fine capitolo, non possiamo dilungarci! Mi risparmio un monologo.»

«Aspetta! Che significa?!»

«C'è un luogo e un tempo per ogni cosa, ma non è qui e ora.»

«C'è sempre quella persona che riesce a farti sentire meglio con la sua simpatia e le sue battute divertenti e ironiche, anche qui ed ora... Ma non sei tu, questo di certo.»

«...allora fai solo finta di diventare dolce e gentile, sotto sotto rimani sempre la solita Camelia antipatica, prepotente e con manie di bullismo seriale.»

«E tu rimani sempre la solita noiosa, asociale, bisbetica e vergine di sempre, allora...»

«Perché adesso torna in ballo il fatto che io sia vergine?!»

«Vedi che allora te ne vergogni, solo un pochino?»

«...Ti voglio bene, ma ti detesto a morte quando fai così...»

«E un'altra vittoria per la Dea del Sarcasmo, con la "S" maiuscola.»

 

 

Behind the Summery Scenery #9

1. Per quanto a noi occidentali possa sembrare strano, la cultura giapponese del bagno è ancora diffusissima tutt'oggi, se desiderate approfondire vi manderei su wikipedia senza problemi. Oppure guardatevi una VA di Anri Okita e Kaho Shibuya, due esperte nella questione. Eheh.

Update: Kaho-chan si è ritirata. Raga, cosa devo fare io della mia vita di merda ora?

2. A Unima c'è o non c'è un servizio ferroviario per i poveracci senza Pokémon Volante? Dove porta il treno che passa sotto il Ponte Propulsione? Quando gli headcanon incontrano la fantasia.

3. Tuttavia nuotare, lavarsi e sopratutto amoreggiare negli onsen è maleducazione, sappiatelo bene. Solo che Camilla se ne frega perché ho scoperto che la gente dell'Hokkaido è vista dai giapponesi delle altre regioni come cocciuta e individualista. Ma a noi gli stereotipi non piacciono, no?

4. I sub-capitoli servono molto allo scopo di  fanservice. Non sempre, ma spesso.

Update: i sub-capitoli non ci sono più, quindi il fanservice dilagherà anche nelle sezioni che servirebbero a portare avanti la trama principale e voi ne sarete felici.

5. Se pensate che la coppia Camilla X Iris sia del tutto campata in aria, vi suggerirei di guardare i primi episodi della serie Best Wishes 2 dell'anime e di ascoltare bene che cosa dice Camilla quando la si sfida in Nero/Bianco.

Anche per la loro coppia ho trovato un nome totalmente originale, SecretTimeShipping, visto che (quasi) tutte le interazioni amorose fra la Campionessa e la sua eramene avvengono all'insaputa delle altre tre e quindi in segreto. Si tratta di una relazione basata sul forte senso di ammirazione di Iris ed il desiderio di Camilla di amare ed essere riamata, con l'aggiunta di barriere congetturali quali i loro ruoli e la loro età... O forse è qualcosa di più?   

6. I due "notturni" descritti nelle prime due scene altro non sono che un ammasso di pretesti che dovevano essere comuni sia a Camelia che ad Anemone (incontrare indirettamente le cattive, subire un rifiuto, scontrarsi con un personaggio maschile, ecc.) per deprimerle.

7. La scena della lotta, ho notato, prende seriamente troppo spazio nel capitolo, ma d'altro canto, sono quasi tre capitoli che Catlina se ne sta con le mani in mano...

8. Dopo il dialogo finale fra Camelia ed Anemone doveva esserci una scena per risollevare lo spirito dopo tutta questa spirale di tristezza e depressione, ma per motivi d'intreccio è stata spostata al capitolo 13. Spoileratevela, provateci, su, io sto qui ad aspettarvi.

9. Se le due ragazze vi sono sembrate decisamente OOC in questo capitolo, beh, dovreste continuare a leggere: le vostre aspettative non verranno deluse. L'avvertimento è lì apposta.

  
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