Il mio compleanno. Una festività stupida date le circostanze. Dato che, non potrai evitarlo, presto il tempo non avrà un senso per me.

Ma tu mi tiri nel tuo entusiasmo, mi trascini con i sensi di colpa pur di farmi entrare in quella casa bianca e candida. Mi osservi, mentre mi stringi la mano. Sei felice, sei soddisfatto, mi hai catturata e mi hai portata dove credi che possa essere felice. Ma l'unica cosa che mi rende felice è quel sorriso che ti corre sullle labbra, quello sguardo semplice e ardente che mi rivolgi. E mentre io sento le mie dita tremare al tuo contatto e vedo sparire tutto quanto, la realtà dura mi investe per mezzo del tuo corpo.

 

 

 

Tremo ancora, ma per il dolore, per la paura. E tu mi sei accanto, stringendomi ancora la mano, ma non con l'allegria di poco fa, non con la soddisfazione di quella piccola vittoria. Tutto è cambiato in pochi istanti. Tutto mi è crollato addosso e le ferite si stanno pian piano accendendo, mentre mi accorgo del tuo sguardo spento che mi nasconde i tuoi pensieri: è calmo, piatto, freddo... mi blocca e non riesco a entrarti dentro. Come se avessi chiuso a chiave il portone del tuo cuore e io fossi lì, davanti a quell'ammasso di ferro così ben congegnato, ad osservare il lucchetto paurosa.

 

 

 

Mentre mi riaccompagni, in qualche modo sorridi, ma tutto si spegne troppo presto. Prima di arrivare ai tuoi occhi, prima di far scorgere una luce dietro a quel metallo freddo, dalla serratura. Sorrido anch'io, ma sai che capisco che c'è qualcosa che non va. E i tuoi tentativi di nasconderlo servono solo a farmi stare male. Ma siamo in due nella partita, non finirà così. Non deve finire così. Non è successo niente. Non è successo niente. Ma tu non ci sei più.

 

 

 

Mi abbracci appena scesa dall'auto e sento il dolore in quel gesto. Non mi guardi più, non mi sfiori quasi nonostante le tue braccia intorno a me. Non mi guardi più. Non ti vedo più. Dove sei?

 

 

 

Tu... non mi vuoi?

No...