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Autore: nephylim88    30/07/2015    3 recensioni
Mel. un marito. Un figlio. Un altro figlio in arrivo. Una vita felice, normale. Soprattutto felice. Ed è proprio qui, il problema.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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“Prendiamo un caffè?”

Sobbalzai, alzando gli occhi dal progetto che avevo sotto al naso. Per un attimo ebbi la vaga impressione che Sonia fosse stata decapitata. Ma non era così. La mia migliore amica mi guardava dalle scale dell’impalcatura.

“Ma sì! Perché no? Tanto non riesco a cavare un ragno dal buco. Casomai mi dai una mano, più tardi?”

“Ma certo! Qual è il tuo problema?”

“Non riesco a trovare il blu da utilizzare per il cielo dell’affresco. Non riesco a capire se sono io a non essere più capace di fare il mio lavoro, o se è proprio questo blu a essere così fetente.”

“Rilassati, dai! Hai solo bisogno di una pausa, in fondo sei qui da tre ore!”

Annuii. Poi mi alzai in piedi. “Ahio!” mugolai. È vero che non ero molto alta, ma trovarmi sul piano più alto dell’impalcatura significava, almeno in quel caso, trovarmi molto vicina al soffitto, costretta a stare leggermente curva per non sbattere la testa.

“Ehi, fai attenzione! È vero che possiamo sistemare eventuali danni, ma dubito che un buco nell’intonaco rientri nelle nostre competenze!”

Le feci una linguaccia, ridacchiando come se avessi ancora diciotto anni. Anche se quella nave era salpata da un bel pezzo.

“Ho proprio voglia di una bella brioche!” esclamai, pimpante, mentre scendevo le scale.

“Alle undici di mattina? Ti rovinerai l’appetito!”

“E allora?”

“Fai come vuoi! Sei maggiorenne e vaccinata! Ma se ti sento ancora lamentarti che sei grassa ti prendo a calci nel sedere!”

Avere a che fare con Sonia era come avere a che fare con il Grillo Parlante di Pinocchio. A volte era proprio fastidiosa!

“Oh, andiamo, quante volte mi hai sentito lamentarmi che sono grassa?” adesso mi uccide!

Mantenne la calma, stranamente. “Una volta al mese. Vai in crisi mistica, mangi come un’oca all’ingrasso per Natale, poi piangi perché non entri più nei jeans in cui entravi tre anni fa.”

Scoppiai a ridere. In effetti, da quando era nato Paolo, avevo più difficoltà a contenermi nel mangiare. Ormai il mio cucciolo aveva ventisei mesi, ma per me era ancora una novità. E a volte questa novità mi spaventava, ma dovevo restare in me. Quindi, avevo finito con lo sfogarmi sul cibo. Fortunatamente, comunque, l’ansia stava diminuendo, insieme agli attacchi di fame e ai chili. Tranne quando si avvicinava il ciclo. In quel caso, poteva cascarmi il cielo sulla testa, ma niente mi avrebbe tenuta lontana dal frigo. Anche se, di contro, non ci sarebbe stato nulla a trattenermi dal piangere tutte le mie lacrime perché non ero capace a controllare questi attacchi di fame. In pratica impazzivo, con l’arrivo del ciclo. Salvo poi tornare nei ranghi in un paio di giorni pensando che, dopotutto, anche se ero ancora un po’ sovrappeso, non ero mai stata obesa o anche solo grassa, e tutto sommato non potevo lamentarmi troppo. In fondo, ero passata da una 40 pre-gravidanza a una 44 post-parto. Alberto, mio marito, apprezzava le mie curve. Come le apprezzava il mio Paolino, quando lo tenevo in braccio e si addormentava con la testa posata sul mio seno. Quindi, potevo ben sopportare il mio nuovo fisico e qualche crisi l’anno!

“Devo ammettere, però, che ultimamente ti vedo più di buon umore!” esclamò Sonia, rompendo il flusso dei miei pensieri. Stavamo attraversando la strada per andare al bar.

“E perché non dovrei? Finalmente Paolo dorme una notte filata e non strilla quando lo lascio in asilo. Anche Alberto sembra molto più tranquillo, pare che a lavoro si siano sistemate molte cose. E anche il nostro lavoro va alla grande. Ho tutte le ragioni per essere di buon umore!”

Sonia sorrise, prima di andare a sbattere contro qualcuno.

“EHI!” strillò. La afferrai per un braccio, prima che cadesse a terra come un sacco di patate. Era andata a sbattere contro Pamela, una nostra collega, che stava uscendo dal bar. “Guarda dove metti i piedi!”

Pamela la fissò con un’aria vagamente inebetita, prima di scrollare le spalle e bofonchiare uno “scusa” sommesso.

“Scusa un corno! Potevo ammazzarmi!” sbottò Sonia, inviperita. “E mi spieghi che ci fai, qui? C’è il cantiere incustodito!”

“Potevi controllare che ci fossi, prima di svignartela!”

“Va bene, basta così, ragazze. C’è stato solo un malinteso.” intervenni, prima che Sonia perdesse la calma.

Pamela ci guardò, sprezzante, poi rientrò in chiesa.

“Dovevi proprio saltarle addosso così?” sbuffai, una volta dentro al bar.

“Ma l’hai vista? Va in giro come se non ci stesse con la testa!”

“Veramente eri tu ad essere distratta. Senza contare che aveva ragione, prima di lasciare il cantiere dovevamo almeno controllare che ci fosse qualcuno!”

“Adesso la difendi anche?”

“Certo che la difendo, non ho niente contro di lei, e stavolta sei tu ad avere torto!”

Sonia sbuffò. E anche io. Aveva trentadue anni, ma a volte ragionava come se ne avesse sedici. Era molto melodrammatica, e proprio non poteva sopportare quella strana ragazza che lavorava con noi da qualche mese a quella parte. In parte la capivo, comunque.

Pamela era un personaggio molto strano. Era minuta, magrissima, dava l’impressione di potersi rompere da un momento all’altro. Aveva il viso pallido tipico di chi non esce mai al sole, gli occhi grigi e i capelli neri, lunghi, con riflessi viola. Sospettavamo tutti che li tingesse, ma era impossibile stabilirlo, visto che le sopracciglia erano ridotte a due sottilissime righe. Il viso magro e affilato, gli occhi sempre truccati pesantemente di nero, contornati da blande occhiaie violacee, il rossetto nero (o color vinaccia molto scuro, a seconda della giornata), i suoi vestiti… il tutto faceva pensare ad una giovane Mortisia Addams. O a Mercoledì Addams. Con la differenza del carattere. Anche se correvano le voci più disparate sul suo conto, Pamela era gentile. Non amichevole, ma gentile. Se lo eri con lei, ovvio. A quanto pare, in azienda ero l’unica ad andare d’accordo con lei, almeno all’apparenza. In realtà non potevo dire di essere amica sua. Eravamo troppo diverse. Prima di tutto, l’aspetto fisico. In comune avevamo solo il fatto di essere donne e di essere bassine. Ma io sono bionda, con un colorito più sano del suo, ho gli occhi verdi e, almeno all’epoca, ero molto cordiale e sorridente. E, se potevo evitare di truccarmi, ero solamente felice! Senza contare che raramente indossavo vestiti neri, preferivo di gran lunga i colori. Inoltre, io avevo trent’anni, ero sposata da quattro anni, e avevo un figlio, lei… beh, non so nemmeno se avesse amici. Insomma, eravamo persone completamente diverse, come il giorno e la notte. Avevo molta più affinità con Sonia. Almeno, caratterialmente parlando. Lei era una persona molto solare e vitale, nonostante in quell’ultimo anno gliene fossero capitate di tutti i colori. Aveva affrontato un divorzio pesante, con l’ex marito sempre pronto a farle la guerra. Fortunatamente le cose le andavano meglio, tuttavia la vedevo molto più stanca e meno desiderosa di scherzare. Almeno non avevano avuto figli, o credo sarebbe scoppiata. Una volta conclusa definitivamente la questione divorzio, aveva deciso di farsi dei colpi di sole in testa. Abbinati ai suoi capelli rosso scuro, ai suoi occhi verdi e alle sue lentiggini, stava davvero bene!

Qualcosa nel suo carattere era cambiato, comunque. Non era solo la disillusione nei confronti degli uomini. Sembrava molto più astiosa nei confronti di chiunque, anche nei miei. Ma, insomma, non potevo farci nulla, se non sperare che prima o poi le passasse. Anche perché la conoscevo da anni, ormai, e sapevo che era perfettamente inutile provare a parlarle. Avrebbe sviato il discorso, nella migliore delle ipotesi. E comunque, era migliorata moltissimo rispetto a quando litigava costantemente con il suo ex. All’epoca ero incinta di Paolo e ricordo che, per ridurre lo stress, avevo dovuto allontanarmi da lei. Mi dispiaceva, ma non era simpatico sentire lei e il marito litigare anche davanti a me e ad Alberto. Una volta separati, comunque, le cose tra me e lei sono tornate alla normalità.

“Ciao, bellezze! Cos’è questo muso lungo?” Antonio, il vecchio barman, ci guardava dall’altra parte del bancone. Ora, non so voi, ma io sono sempre stata affascinata dai bar, dalle reception, da qualsiasi posto di lavoro che prevedesse un contatto col pubblico con un bancone in mezzo. Mi sembrava sempre un mondo incantato e misterioso, a cui avevano accesso pochi eletti. Quando ero bambina, mi chiedevo sempre cosa ci fosse dietro a quell’enorme banco. Crescendo, ho cominciato a vedere dietro ai banconi, ma comunque la sensazione di mistero è rimasta intatta.

“Nulla, Antonio!” sorrisi “Stavamo parlando di Pamela!”

“Ah, Pamela! È un bel tipo, quella! Anche se, prima o poi, mi aspetto che venga a chiedermi del sangue invecchiato trent’anni in una bara di rovere!”

Sollevai un sopracciglio, mentre Sonia ridacchiava educatamente. Come battuta, non avrebbe fatto ridere neanche una gallina stupida, ma ormai era da un mese che lavoravamo lì, ci eravamo abituate allo strano senso dell’umorismo di Antonio.

“Ci prepari un caffè, per favore?” domandai.

“Macchiato!” Intervenne Sonia.

Antonio sorrise di rimando, prima di mettersi al lavoro.


Rientrammo in chiesa. Salii le quattro rampe di scale che mi portavano al soffitto e mi rimisi al lavoro per trovare la sfumatura di blu adatta a quel cielo che circondava l’agnello dipinto nella mandorla. C’era una cosa che mi sorprendeva di tanti affreschi. Quando entravi in chiesa, e guardavi dal basso quei dipinti, vedevi le cose. Vedevi le espressioni del volto, e ti sembravano anche dettagliate. Ma una volta montata l’impalcatura, una volta vicino a quelle immagini, scoprivi che non erano poi così dettagliate come poteva sembrare. Quelli che sembravano dettagli, in realtà erano un’insieme di linee che, viste da vicino, acquistavano solo un vago senso. Gli affreschi su cui lavoravo non erano tutti così, ma tanti lo erano. Ed era una cosa che, a distanza di anni, ancora mi stupiva.

“Ugh…” un giramento di testa mi fece fermare un attimo. Mi sedetti con molta calma e cercai di prendere fiato. In effetti, era da qualche giorno che mi capitava. Ma non capivo cosa potesse essere, non soffrivo di vertigini. Inspirai profondamente. Espirai. Aprii gli occhi e mi rialzai con molta calma. Niente, il giramento di testa continuava. Dovetti stendermi. Ma che mi stava capitando?

“Tesoro? Hai ancora bisogno di aiuto per quel blu?” La voce di Sonia suonò strana, nelle mie orecchie. Come se provenisse da un pozzo profondo. Mi voltai verso di lei, con la netta impressione che i suoi capelli stessero andando a fuoco. Sbattei le palpebre. La sensazione scomparve.

“Ehi! Mel! Tutto bene?” si tirò su con uno scatto quasi felino e corse verso di me.

“Sì, sì… scusami, ho avuto una vertigine e mi sono dovuta stendere.”

“E ti scusi anche?” Si sedette a fianco a me e mi accarezzò. Aveva le mani perennemente fredde, e il suo tocco mi diede sollievo. Non mi ero neanche resa conto di sentirmi scottare. Tuttavia, non mi sembrava di avere la febbre.

Sospirai. Mi sentivo un po’ meglio, e glielo dissi.

“Sarà, ma tu adesso te ne vai a casa. Lavorare dopo un episodio del genere sarebbe troppo pericoloso. Quindi, appena te la senti, alzi le chiappe e vai a casa a riposare. Penseremo io e la Mortisia dei poveri a chiudere tutto.”

Non me la sentii di dire di no. Dopo qualche minuto, mi alzai e me ne andai verso casa.


Arrivata a casa, mi cacciai in doccia. Avevo ancora qualche ora prima di andare a recuperare Paolo all’asilo. Alberto non sarebbe rientrato prima di sera. Potevo tranquillamente sfruttare quelle ore per riposarmi un po’. Una volta finito, strofinai energicamente la mia testa con un asciugamano. Le gocce d’acqua correvano lungo tutto il mio corpo. Una particolarmente grossa scivolò sul mio seno destro. Passai l’asciugamano lì sopra. Ma… era una mia impressione, o il mio seno era particolarmente gonfio? E da quando il mio seno si gonfiava? Sentivo di donne a cui capitava in prossimità del ciclo. A me non succedeva mai. Mi era capitato solo una volta, quando…

“Oh, accidenti…”

Mi rivestii in fretta e furia e mi precipitai in strada, verso la farmacia in fondo all’isolato. Non ero del tutto sicura della mia ipotesi, ma era meglio verificarla il prima possibile.

Mezz’ora dopo, ero di nuovo in bagno, seduta sul water con due bastoncini bianchi davanti a me. Due test di gravidanza. Positivi entrambi. Ero incinta.

Sorrisi, felice. Il mio desiderio più grande era di avere più di un figlio, e sapere che ne stavo avendo un altro mi rese la donna più felice del mondo.

Guardai la mia pancia, poi le linee rosse dentro alle grigliette del test. E un brivido freddo mi corse lungo la schiena. All’improvviso mi sentii terrorizzata. Non ne capii il motivo. Ma quell’attimo di terrore fu più che sufficiente a guastare il mio buon umore. Cosa mi stava succedendo?



Buona sera a tutti!

Ecco qui un’altra storia! Questa è il risultato di una riflessione che ho fatto sulla mia vita, com’è stata negli ultimi 8 anni.

La storia di una persona come tante. Ha le sue magagne, come tutti, ma, tutto sommato, vive una vita felice. Trattandosi di un horror, però, sicuramente non le andrà tutto liscio.

Al pari de “Le porte di Avalon”, anche questa è molto significativa, per me. Spero vogliate accompagnarmi in questa avventura, anche se, probabilmente, ci metterò abbastanza a scriverla. Scrivere una storia di un certo peso emotivo non è mai semplice. Tanto più se è un horror. Non sarà facile scriverla, lo so già. Innanzitutto, tocca un tema che, anche se non l’avevo mai capito prima di qualche settimana fa, mi ha toccata molto nel profondo. E poi, non voglio fare un horror splatter. Con tutto il rispetto per chi scrive racconti di quel genere, ma io vorrei riuscire a fare qualcosa di più psicologico, pur sfruttando temi molto pesanti. Un’impresa che, almeno per me, è qualcosa di titanico!

Quindi, che ne dite? Siete pronti a seguirmi?

Besos

Nephylim

  
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