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Autore: HabbyandTsukiakari    30/07/2015    3 recensioni
[Autrice: Tsukiakari] [Fantasy/Avventura/Romantico] [Pairing a sorpresa] [Sleeping Beauty!AU con variazioni] [Presenza del Nyo!Magic Trio]
Tratto dal Capitolo Terzo:
"Fu presa improvvisamente da una struggente curiosità, e poggiò una mano sul portone, che inaspettatamente cedette con un gemito sotto il suo lieve tocco. Entrò impaziente – perché era così impaziente? – e quello che vide la fece sussultare: migliaia e migliaia di strani oggetti formati da una specie di scodella bassa e un manico sottile erano ammassati in grossi cumuli, che riempivano gli angoli dell’immensa stanza. Solo uno di quegli strani oggetti era separato dagli altri, Lettore. Era in mezzo alla stanza, proprio davanti ai piedi della principessa. Non sembrava un oggetto prezioso né interessante in alcun modo: era di rame, polveroso e leggermente bruciacchiato sul retro… ma Erzsébet lo desiderava, con tutte le sue forze, sentiva che doveva averlo! Si lasciò cadere vicino all’ oggetto, con gli occhi che le brillavano di una strana luce e le dita che si protendevano verso di esso, tremanti per l’impazienza. E poi successe, Lettore."
Buona Lettura!
Tsukiakari
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 2P!Nyotalia, Altri, Austria/Roderich Edelstein, Bad Friends Trio, Nyotalia, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo Primo

 
 
Un chiacchiericcio insistente proveniva dal corridoio lustro di cera e illuminato della vetrate, che profumava di fiori e pulito e sembrava ancora più enorme del solito.
Le quattro giovani dame di compagnia della principessa, le uniche presenti, ridacchiarono con fare divertito, emettendo di tanto in tanto squittii eccitati e sussurri destinati a restare un segreto frivolo che non scopriremo mai, Lettore. –Eccoli!- strepitò una di loro quando udirono uno scalpiccio di passi avvicinarsi a loro. Fu subito zittita dalle altre tre, che mostrarono automaticamente uno smagliante sorriso al passare dei tre giovani che erano entrati dall’austero portone principale. Essi risplendevano di gloria e bellezza, ognuno trasudante di fascino in una maniera tutta sua.

Il primo del trio, che sembrava esserne il capo, aveva una caratteristica molto particolare: era albino. Anche se molti lo guardavano con disprezzo mormorandogli dietro le larghe spalle “figlio delle streghe”, i suoi penetranti occhi rosso porpora catturavano l’attenzione di numerosissime dame, tutti i nobili gli invidiavano la pelle chiara e liscia, e i suoi capelli chiarissimi dai riflessi argentati, sapientemente spettinati, erano ritenuti affascinanti, per quanto insoliti. Lui ne era consapevolissimo. Lanciava occhiate maliziose alle dame, e poco mancò che una di loro svenisse. Indossava una cotta di maglia con sopra una veste bianca su cui spiccava una croce nera. Era il simbolo dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, Lettore. Portava una spada legata alla cintura, ma era una spada opaca, spenta, che aveva visto molte più guerre che i tre giovani insieme, e sembrava stanca.
Seguiva un damerino elegantissimo, inguainato in una giacca azzurra con le maniche risvoltate e damascate d’oro, sotto una camicia di lino candido traforato e pantaloni violetti seminascosti da alti stivali secondo la moda del tempo. Portava i capelli dorati lunghi fino alle spalle, sempre secondo i dettami della moda, e i suoi occhi blu rilucevano di una luce frivola con una punta di vanità. Una barbetta appena accennata, ben curata, incorniciava il suo mento leggermente pronunciato, e s’addiceva ai suoi lineamenti perfetti e aristocratici. Quando passò davanti alle ragazze, fece loro il baciamano una ad una. Si sfilò teatralmente una rosa rossa che gli ornava la giacca e la porse con una strizzata d’occhio alla più piccola, che arrossì vistosamente e abbozzò un sorriso timido.
Ultimo veniva un allegro ragazzo, che quasi saltellava, tanto sembrava emozionato. Aveva la pelle abbronzata, cosa insolita per un nobile, capelli castani spettinati e grandi e splendidi occhi verdi. Aveva lineamenti mediterranei e una figura slanciata. Sorrideva di continuo, ma non era un sorriso di circostanza: anzi, era il sorriso più sincero e splendente che le giovani dame avessero mai visto – e sì che ne avevan visti parecchi, di sorrisi!
A differenza dei primi due nobili, quest’ultimo non sembrava essere consapevole del proprio fascino. Brillava d’innocenza e d’allegria, ed era vestito con i colori del sole.

Appena svoltato l’angolo e sottrattisi alla vista delle dame, l’albino gridò: -A chi arriva prima alla cucina!- e cominciò a correre, ridendo. Che risata strana aveva, Lettore! Ma gli calzava a pennello: era una specie di kesesesese, e faceva uno strano effetto pronunciata dalla sua voce gracchiante. Il terzo ragazzo scoppiò a ridere e seguì il primo. Il secondo, invece, protestò preoccupato: -Mais mes amis, mi rovinerò la pettinatura!-. Il terzo ragazzo ignorò le sue proteste e gli afferrò il polso per trascinarlo verso le cucine, facendolo inciampare e quasi inciampando a sua volta.

Kesesesese! Ho vinto, mammolette!- -No es justo! Francis mi ha rallentato!- protestò il ragazzo vestito con i colori del sole, senza smettere di sorridere. –Siete fortunati che abbia dei capelli così naturalmente splendidi, mes amis.- -Mai come i miei, Freund- sogghignò l’albino. La cuoca lanciò loro un’occhiataccia. Entrare nelle cucine proprio mentre i preparativi giungevano al culmine non era stata una buona idea. Stavano bloccando il passaggio dei camerieri, e rischiavano di far fare una brutta fine alle squisitezze esposte sui vassoi d’oro e d’argento. –Bonjour, madame Rózsa. Vi trovo splendida, come sempre- commentò Francis, facendole il baciamano con fare vezzoso. La cuoca, una donna piazzata e accaldata dal vapore, con le mani piene di scottature e i capelli scuri raccolti malamente in una crocchia disordinata, squadrò dall’alto in basso il francese biondo e i suoi amici, con un sopracciglio alzato e i pugni puntati sui fianchi. –Sarete diventati più alti di me, ma è da quando avete tre anni che non vi cresce il cervello.- -Non dite così, Rózsa. So che avete una cotta per me- proclamò Francis, ammiccandole. –Sì, certo. E mio padre è il re.- -A proposito, señora Rósza, potreste gentilmente dirci dove si trova Sisi?- chiese cortesemente il ragazzo bruno, senza abbandonare neanche per un istante il suo sorriso. –Intendi dire la principessa Erzsébet? È nella sua camera, si sta preparando. Le ho mandato Mei per aiutarla, ma sicuramente alla fine l’ha fatto da sola.- -Infatti abbiamo visto Mei con le altre, vicino al portone- commentò il ragazzo. –Ah, quelle sciocche! Invece di impedire alla principessa di combinare un  disastro coi suoi capelli se ne stanno a spettegolare. Scommetto che stavano aspettando proprio voi tre.- -Oh, no, credo di no…- replicò l’altro arrossendo. –Sì, invece sì, Tonio- lo contraddisse l’albino ridacchiando. –Mi sembrate dodicenni, smettetela di fare i cretini. Forza, andate, tanto lo so che Gilbert vuole importunare la principessa e voialtri gli date come al solito manforte. Ma non ci provate a correre per i corridoi, che hanno appena pulito.- -Non vi preoccupate, señora Rózsa. Staremo attenti- la rassicurò Tonio, ampliando l’abbagliante sorriso.
–Antonio, ti dispiace dirmi una cosa?- -No, chiedete pure.- -Come diavolo hai fatto a trovarti degli amici così?- domandò la cuoca indicando con un mestolo Gilbert, che stava rubando della marmellata approfittando della sua temporanea distrazione.
–Siamo noi che abbiamo trovato lui, madame- spiegò Francis tentando di coprire l’amico.
–Me lo rovinerete. Perché non l’avete lasciato in pace?-
Antonio rise. Aveva una risata cristallina, gioiosa, sincera. Pareva uno scroscio d’acqua illuminato dalla luce calda del tramonto. –State tranquilla, non sono così male. Scusate, ma temo che siamo in ritardo… andiamo da Sisi, ragazzi.-
Gilbert si leccò le dita con fare non esattamente da nobile quale era, e chiese, con quella sua voce sgraziata: -Come sono i capelli?- -Bianchi, Gil.- l’albino sbuffò e diede una ravvivata con le dita alla chioma candida e spettinata. –Dite che… le piaceranno?- -No. Non le sono mai piaciuti- disse Francis, dandogli una pacca amichevole sulla schiena. –Avanti, Francis, non essere così duro- sorrise Antonio, incamminandosi. –Mais mon ami, è vero! Ha sempre preferito quelli di R…- Gilbert lo guardò ad occhi socchiusi, che riflettevano chiaramente un moto di stizza. -…ma anche i tuoi non sono male, Gil.- lo sguardò dell’albino si illuminò, e la sua voce aspra ridacchiò: -Sono irresistibile! Questa sarà sicuramente la volta buona!

Corsero per scale che parevan senza fine, con tanta fretta che, pur essendo abituati a una tale distanza, arrivarono alla porta della camera di Erzsébet con il fiatone e la milza dolorante. A nulla servì il tentativo di Francis di fermare l’amico per invitarlo a bussare decentemente come un gentiluomo degno di questo nome, perché Gilbert irruppe in modo sgraziato nella stanza (“Quando mai una persona Magnifica come me avrebbe bisogno di bussare?”) infrangendo un centinaio di regole del galateo basilare che teoricamente avrebbe dovuto imparare nella prima giovinezza.
La figurina presente nella stanza, davanti alla finestra, sobbalzò, colta di sorpresa. Voltò di scatto la testa, e i suoi lunghi capelli castano dorato accompagnarono rapidamente il movimento. Era evidentemente preparata per una grande festa: indossava uno splendido abito verde e bianco composto da un corpetto stretto trattenuto da nastri di raso dorato che si riunivano in un unico fiocco dietro la schiena, e un’ampia gonna con uno spacco – dal quale usciva del candido pizzo lavorato – che partiva dalla cintura dorata e arrivava fino al bordo dell’abito.
Diresse i grandi occhi verdi a fulminare il “gentiluomo”, mentre quest’ultimo se la rideva fino alle lacrime. La principessa Erzsébet si sistemò il semplice fiore rosa infilato tra i capelli, si puntò i pugni sui fianchi e sibilò: -In tutti questi anni, non sei riuscito mai ad entrare decentemente e con il mio permesso, Gilbert. Mi domando perché ti faccio ancora entrare nel castello.- -Buongiorno anche a voi, principessa- sghignazzò l’albino facendo un grossolano e sarcastico inchino. La principessa sospirò, accigliata. –Mi domando quando l’influenza di Lord Roderich riuscirà a portarti benefici comportamentali. Poveretto, lo fai dannare.- -Chi, quel damerino? Dovresti smetterla di pensare a lui, liebe, e accorgerti della magnificenza del sottoscritto.- -E tu non dovresti parlare in questo modo del tuo caro e galante cugino- replicò sprezzante Erzsébet. In quel momento, forse per rompere la tensione, Antonio fece capolino dalla porta, esclamò un “Hola, Sisi!” raggiante e corse ad abbracciare l’amica. –Ecco perché ti lascio entrare. Tonio, dove hai trovato un amico così?- disse lei sorridendo e ricambiando l’abbraccio. Poco dopo sbucò anche Francis, che le fece uno dei suoi soliti baciamano. –Siate clemente con questo rozzo plebeo, gentile principessa.- -Non c’è bisogno di tante smancerie, Francis, ci conosciamo da secoli!- replicò Erzsébet, ridacchiando. –Rozzo plebeo a chi, scusa?- la interruppe Gilbert scostando il francese. –Io sono un cavaliere teutonico, porta rispetto!- Francis soffocò una risatina. –Infatti i cavalieri teutonici possiedono un animale da compagnia nobile e virile- commentò indicando un piccolo bozzo che si muoveva sotto il mantello di Gilbert. –Gilbird è mille volte meglio di te!- bofonchiò l’albino estraendo dal mantello un piccolo ammasso di piume gialle da sotto il mantello. L’uccellino scosse la testolina e arruffò le piume, pigolando. –Povero piccolo, che razza di padrone ti è capitato- commentò Erzsébet intenerita passando gentilmente un dito affusolato sul capino di Gilbird. –Dovevo nasconderlo a Rózsa, sai che non vuole animali tra i piedi. Gilbird non ha mai fatto niente di male- si lagnò Gilbert accarezzando la bestiola. –Ma questo non è il momento di pensarci, amigos! Dimenticate che quest’oggi è un giorno speciale!- intervenne Antonio raggiante. Francis si schiarì la gola e si inchinò a Erzsébet. –Mia splendida principessa, questi tre leali amici vi porgono i loro migliori auguri di buon sedicesimo compleanno! Cento di questi giorni!- Antonio la abbracciò e Gilbert cercò di darle un bacio sulla guancia, fallendo miseramente per via dei riflessi della principessa che l’aveva preceduto con una manata ben assestata sulla sua faccia.
–Be’, vogliamo recarci nella sala del trono?- sorrise ella con ingenuità, sistemandosi i capelli, il fiore rosa e l’abito ammaccati dall’espansività dell’amico spagnolo. –Certamente! Mio fratello e quell’altro arriveranno tra poco. Noi li abbiamo preceduti perché volevamo rivederti e teniamo a te più di loro- approvò Gilbert, per nulla turbato dal segno rosso a forma di palmo della mano che gli segnava metà volto. Francis gli diede una gomitata. Il galateo stava andando a farsi benedire.
–Dai, vediamo se c’è qualcosa da mangiare!- propose Gilbert massaggiandosi il fianco. -Dato che c’è una festa di compleanno, ci sarà eccome!- esultò Francis. –Ma avete già mangiato la confettura speciale di Rózsa!- fece loro notare Antonio. –Sapete cos’è capace di fare se anche solo sfiorate i piatti da servire…- ma i due non gli prestavano la più minima attenzione, già incamminati allegramente verso le cucine. La principessa rise e tirò Tonio con sé.

-Non credo ai miei occhi… Rózsa ha dato il meglio di sé!- commentò Erzsébet con gli occhi che le brillavano, guardando i ricchi vassoi posti sullo sconfinato tavolo dove si sarebbe tenuto il banchetto, interrotti di tanto in tanto da centrotavola traboccanti di fiori e frutta. Gilbert fece per prendere uno dei dolci alle noci da un canestro di piccoli giunchi, ma Erzsébet gli diede uno schiaffo sulla mano. –Non toccare!- -Ma io credevo…- pigolò Gilbert increspando le labbra, deluso. –Andiamo in cucina, lì ci sarà sicuramente qualcosa che devono ancora portare in tavola- spiegò la principessa. –Non credo che madame Rózsa ci farà entrare, dopo che Gilbert ha attentato alla sua confiture- commentò Francis. –Perché invece non ci rechiamo in giardino? L’aria è fresca e il sole magnifico quest’oggi!- -Ottima idea!- disse Erzsébet, sorridendo.

Attraversarono il grande corridoio per arrivare al portone principale e, da lì, al giardino, ma furono bloccati da un rumore di carrozze. Gli ospiti scesero in una fila ordinata e composta.
Per primo veniva un altissimo uomo biondo, con lineamenti marcati, duri, tantoché sembravan di granito, pallidi occhi cerulei  e la carnagione candida come quella di un uomo del nord – come quella di Gilbert. Era robusto, ed era di certo un potente guerriero, che sovrastava la fila non permettendo di scorgere chi venisse dopo di lui. Si comprendeva che non era abituato ai vestiti eleganti che indossava, era impacciato dal mantello di broccato e dagli alti e scomodi stivali di camoscio. –Vest!- gridò Gilbert facendogli un cenno. –Sei uno splendore!- lui gli rivolse un’occhiataccia seguita da un sorriso benevolo, e salutò cortesemente i nobili rampolli che sorridevano e ricambiavano gli omaggi. Il suo nome era Ludwig della Corte Germanica, e proveniva da una nobile casata discendente dall’Impero Romano. Per quante sembrasse improbabile, era nientemeno che il fratello minore di Gilbert.
Seguivano due sorelle a braccetto, entrambe brillanti di un fascino mediterraneo, spigliate e alla mano. La ragazza alla loro sinistra era la sorella minore, Felicia. Ella era certamente più solare della maggiore, in quanto un ampio sorriso sbarazzino campeggiava permanentemente sul volto grazioso, e sembrava gareggiare per grandezza e luminosità con i suoi splendidi occhi d’ambra liquida. Aveva un nasino a patata estremamente grazioso, e la pelle era rosea e liscia. I capelli castano-rossicci erano raccolti in un’acconciatura complessa e intrecciata di topazi – in quanto la fanciulla vestiva di giallo – e sfuggiva a quella sfarzosa prigione un unico ricciolo ribelle vicino all’orecchio sinistro. Guardava allo sfarzo del castello con meraviglia, emozionandosi anche per una fremente farfalla che le sfiorava i capelli o la spalla innocentemente scoperta a mostrare il suo candore.
La sorella maggiore, Caterina, era assai diversa da Felicia, giacché esibiva una carnagione più dorata e mediterranea, e i suoi capelli erano di una tonalità più scura, sciolti lungo le spalle e trattenuti da una fascia dorata di seta che non serviva a granché se non per decorazione ai boccoli scuri. Tuttavia, c'era una certa somiglianza nei volti delle giovani, una specie di stampo grazioso e delicato. Inoltre anche Caterina presentava lo stesso ricciolo della sorella, essendo il contrassegno della famiglia Vargas, ma le partiva dalla scriminatura per arricciarsi con energia verso l’alto. Aveva grandi occhi del colore delle foglie in primo autunno, quando tendono a ingiallire pur conservando in parte il fresco verde della primavera; i suoi lineamenti erano sottili e dritti, ma non rigidi, smorzati dalla splendida carnagione, ch’era risaltata dal rosso carminio e dall’oro dell’ampio vestito.
Non sorrideva, a differenza della sorella, e la splendida bocca tinta di rosso era modellata in una smorfia di disapprovazione. Di tanto in tanto sgridava Felicia, che si abbandonava all’emozione saltellando sconvenientemente, o lanciava un’acida occhiata all’uomo che le precedeva. Sembrava odiarlo per qualche oscuro motivo.
Il legame strettissimo  tra le due era evidenziato proprio dai rimproveri di Caterina, perché “non mi far fare  figure indecenti”, “ti sporchi il vestito”, “così un fidanzato non te lo trovi manco se lo paghi” erano espressioni da cui trapelava un grande affetto. Infatti Felicia ingoiava tutto il per poi rivolgere uno sguardo ridente e di sfida alla sorella e riprendere la sua spensieratezza naturale, così in contrasto con la durezza dell’uomo che le precedeva e l’acidità di Caterina. Fecero una riverenza, e la maggiore ricevette uno splendido sorriso a trentadue denti da Antonio, ricambiato con un’occhiataccia e una smorfia di insofferenza.
Altre due figure camminavano dietro di loro, stavolta un giovane e una minuta fanciulla che si tenevano per mano.
Il ragazzo era basso rispetto a Ludwig, ma emanava una serietà che incuteva timore e rispetto. Era biondo, i capelli gli sfioravano il collo; anch’egli era del nord nonostante i lineamenti morbidi, da bambino cresciuto troppo in fretta, deformati dall’innaturale espressione cinica. Non era di brutto aspetto, anzi! Le dame lo guardavano languide, affascinate dalla sua imperturbabilità, e molte gli si erano dichiarate; puntualmente, lui le rifiutava. Presentava due grandi occhi verdi perennemente severi, che scrutavano minuziosamente ogni particolare del paesaggio circostante. Sembrava sospettoso, diffidente, e stringeva con fermezza la mano della giovane al suo fianco come per proteggerla.
Vash Zwingli era il suo nome, e veniva dalla Terra delle Montagne insieme alla sua amata sorellina, Lili.
Quest’ultima era poco più che una bambina, di una grazia straordinaria e di un’innocenza abbagliante, accentuata dai puri, lucenti occhi verde selva e dai fiori infilati nei capelli, che erano d’oro fino; sembravano tagliati dai lei stessa, poiché il taglio era impreciso e titubante in alcuni tratti. Sorrideva dolcemente, le labbra morbide e innocenti delicatamente chiuse, e faceva contrasto con la durezza fratello maggiore, ch’ella guardava con occhi traboccanti d’ammirazione e d’affetto. Era vestita di fiori, di lino bianco, di rosa e di fiocchi. Sembrava una di quelle splendide bambole di porcellana dalle gote rosee e gli occhi ipnotici, ma ella aveva più grazia, e mancava di quella prepotente abbondanza di merletti, perle e boccoli.
Vash accennò un inchino rispettoso e Lili fece un’adorabile riverenza. Gilbert le fece l’occhiolino, e Francis un baciamano; entrambi si beccarono un’occhiata assassina dal fratello maggiore della piccola.
Chiudeva la fila un giovanotto poco più alto di Vash. Appena lo vide, Erzsébet arrossì e iniziò a giocherellare con un sottile boccolo al lato del viso. Egli era castano, non un capello fuori posto, meno che per un piccolo ciuffetto che partiva dalla scriminatura tendente a destra. Aveva lineamenti aristocratici coronati da un piccolo neo a sinistra del mento, il naso dritto e regolare, gli occhi di lavanda dal taglio elegante e affascinante, la bocca lievemente piegata in un sorriso cortese. Indossava una giacca bianca dai bordi viola e blu, che lo fasciava quasi interamente e terminava a coda di rondine. Al collo portava del pizzo decorato vezzosamente da un piccolo fiocco viola. Due bassi e graziosi stivaletti blu gli guarnivano i piedi, e le mani raffinate, da musicista, erano infilate in un paio di affettati guanti candidi.
Egli dava a intendere di essere importante. La sua altezzosità era tuttavia raffinata, limitata, quasi soffice, Lettore. Era consapevole di essere nobile, e spesso non c’è male in questo, prendendo in considerazione Gilbert.
Appena si avvicinò alla principessa, le rivolse un profondo inchino e le baciò la mano. Le gote di lei s’infiammarono e i suoi occhioni verdi si spalancarono, brillando. –Mia principessa, concedetemi l’onore di porgervi i miei più sinceri auguri per il vostro sedicesimo compleanno. Siete più radiosa del solito, la vostra bellezza mi colpisce nel profondo- enunciò il nobile che rispondeva al nome di Roderich di Vienna, anche detto della Pietra Nobile, un’aristocratica casata strettamente imparentata con la Corte Germanica e anch’essa discendente dall’Impero Romano. –G-grazie di cuore, Herr Roderich… mi fareste il piacere di accompagnarmi all’interno?- balbettò Erzsébet abbozzando un sorriso. –Non chiederei di meglio, dolce principessa…- -Vi prego, chiamatemi Erzsébet.- -Ne sono onorato. Voi chiamatemi semplicemente Roderich, se è di vostro gradimento. Vogliamo accomodarci?- -Certamente- acconsentì la principessa, accettando il suo braccio. Conversando amabilmente e ridacchiando, i due entrarono nel castello, seguiti dai tre nobili amici di lei.
–“Non chiederei di meglio, dolce principessa”- scimmiottò Gilbert con una vocetta canzonatoria e una smorfia di fastidio che gli piegava la bocca. –E avete visto quei guanti? I guanti sono per le donne!- –Andiamo, mon ami, almeno sembra che la renda felice- commentò Francis dandogli una pacca amichevole sulla spalla. –Non è vero!- protestò l’albino lanciando un’occhiata alla coppia, che tubava e sorrideva con complicità. –Andiamo, ragazzi, dovreste almeno supportarmi!- -Mi dispiace Gil, ma è così ovvio- disse Antonio senza perdere di vista Caterina, che era impegnata a sibilare contro il fratello di Gilbert. Sembrava stesse cercando di contenersi, ma ogni tanto le scappava un “va’ all’inferno, mangiapatate!” un po’ troppo enfatizzato. Felicia cercava di difenderlo, con scarsi risultati.

La coppia si sedette su uno dei divanetti di velluto posti nel salone delle cerimonie, per conversare in pace. –Gli altri ospiti non sono ancora arrivati… sono lieta che siate in anticipo- sorrise Erzsébet guardando timidamente il suo accompagnatore. –Tenevo molto a rivedervi. Spero che mio cugino non vi importuni più di tanto. Il suo comportamento è al pari di quello di un villano, e le sue buone maniere hanno delle lacune impressionanti- rispose Roderich con la sua voce delicata, ricambiando il sorriso. –Non importa, ci sono abituata. Mi chiedo come possa essere così irrispettoso, con un fratello tanto gentile e un cugino tanto galante.- -Voi mi lusingate, Erzsébet.-.
La principessa fece per replicare cortesemente, quando qualcosa dietro di loro cadde con un fragore assordante e si frantumò in mille, preziosi cocci. Era un enorme vaso di porcellana bianca dipinta di verde e oro, posto sopra un piccolo tavolino che ora era a terra.
Tre teste familiari cercarono di nascondersi dietro di esso, ma ormai era troppo tardi. –Io volevo solo parlare con Caterina!- -Gilbert, è tutta colpa tua!- -Basta!- gridò Erzsébet furiosa scattando in piedi, i pugni stretti, il bel viso oscurato dalla rabbia. –Siete degli idioti! Gilbert, non mi aspettavo arrivassi a tanto, ma a quanto pare mi sbagliavo! Mi hai molto delusa, e non è la prima volta!- -Ma Erzsébet…- -Sta’ zitto! Ti avverto: un altro passo falso, uno solo, che possa rovinare la mia festa o infastidire me e Roderich e ti butterò fuori a calci! Mi hai sentito?- l’albino annuì lentamente, evitando di guardarla.
Roderich si alzò e pose una mano sulla spalla della principessa, come per calmarla. Lei fece un respiro profondo e, tremante di collera, sibilò: -Lasciate immediatamente questa stanza.-. Antonio aprì la bocca per scusarsi, ma lei lo zittì. –Lasciate immediatamente questa stanza. Ora.-.
I tre uscirono a testa bassa, trascinando i piedi.
La ragazza si lasciò cadere sul divanetto. Roderich le prese gentilmente la mano. –Stanno esagerando. Non so più cosa fare, come comportarmi.- sospirò lei, portandosi l’altra mano alla fronte e chinando la testa. –Credete che sia stata troppo dura?- -Non direi, Erzsébet. Sono sicuro che non commetteranno altre sciocchezze durante la festa, non preoccupatevi. Vi prego di perdonarli, sono ancora immaturi, solo voi potete aiutarli a crescere.- -Siete così magnanimo, Roderich. Siete degno di guidare il casato di Vienna, ne sono certa.- -Vi ringrazio, ma credo che non possa esistere una futura sovrana migliore di voi.-. La principessa arrossì, lieta. –Sono lusingata, siete troppo gentile… vorrei chiedervi un favore. So che è un poco improvviso, ma… vi andrebbe di suonare il pianoforte per me?- -Con immenso piacere. Qualunque cosa per voi.-.
Stavano per recarsi allo strumento, quando un sommesso rumore di chiacchiere penetrò nel salone, annunciando la presenza di nuovi ospiti.
–Che peccato, credo che sarà per un’altra volta… anzi, che ne dite di esibirvi davanti agli invitati?- -Se questa è la vostra volontà, ne sarò lieto.-. Erzsébet sorrise di nuovo. –Grazie di cuore.




Angolo dei pomodori lunatici

Eccomi qui! ^^
Scusate il ritardo, gli aggiornamenti possono essere un tantino irregolari... ^^"
Ma andiamo al dunque! Questo capitolo è lunghissimo rispetto agli altri :3 spero che non vi abbia annoiati con le descrizioni e di aver reso i personaggi abbastanza IC - quest'ambientazione è spinosa, argh!
Ed ecco che qui si nota la prima, grande differenza con la storia originale: Erzsébet non è mai stata affidata alle fate, sebbene fosse la cosa più sicura da fare. Perché? Questo si spiegherà in uno dei prossimi capitoli ^^ (inoltre avrebbe reso la situazione molto complicata per me, insomma, come avrebbe fatto a conoscere il Bad Touch Trio e Roderich? Be', avrei potuto trovare una soluzione, ma il vero problema è: come avrebbe fatto a sopravvivere con quelle tre e la pessima cucina di Rose? La cattiva non ha un buon cuore, qui D: )
Oh, e c'è il primo accenno al triangolo: lui ama lei, ma lei ama un altro, e l'altro amerà lei? Peggio di Beautiful.
Ed ecco a voi Rózsa, la cuoca tosta! Che ve ne pare? :3 Questo sarà l'unico capitolo in cui apparirà, credo. Rózsa è un nome ungherese molto comune, l'equivalente del nostro Rosa, probabilmente.
Vi giuro che all'inizio volevo inserire solo Roddy e Luddy, ma niente da fare, le mie dita non mi danno retta. In pratica ho finito per stipare mezzo mondo nel castello, e mica sono solo questi! (Tranquilli, non ci saranno troppe altre descrizioni... non troppe ^^")
Be'... non so cos'altro dire, se non ringraziare le fantastiche ragazze che hanno recensito i due scorsi capitoli: Princess Vanilla, Tay66 e Generale Capo di Urano! <3
Grazie anche a chi dà una sbirciatina e soprattutto a chi arriva in fondo ^^
Al prossimo capitolo!
Adios, churros y abrazos,
Tsukiakari
   
 
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