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Autore: Berker    25/01/2009    0 recensioni
7.002.000d.C una cifra con talmente tanti zeri che chi ci vive ha ricominciato a contare gli anni da capo da molto tempo, non siamo esattamente ad un domani particolarmente prossimo, ma qualcosa non è come dovrebbe essere. Esseri del passato fanno capolino in un mondo che non li prevede dettandone prepotentemente le regole, e la presuntuosa razza umana non è che una pedina in un grande mondo selvaggio che la ha travolta ormai da tempo.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo II

 

7^ ERA   2000° CICLO  20/05   11:30 PM
NOTHING LAND

«Merda, merda, merda…»
Zark Dabnik non poteva far altro che ripeterselo di continuo mentre correva tra i bidoni dell’immondizia di un vicolo buio, con il cuore in gola e il fiatone.
«Merda, merda, merda…»
Un fragore tremendo parecchi metri più indietro, clangore metallico di qualcosa che veniva buttato lontano e impattava sull’asfalto.
Un gatto spaventato scivolò tra le sue gambe correndo via miagolando in preda al panico.
Zark non era mai stato un grande corridore.
Si fermò un istante, uno solo per respirare. I rumori dei bidoni sbalzati via erano sempre più vicini.
«Merda, merda, merda…»
Le iridi a taglio scivolarono rapidamente tra le ombre, tentando invano di trovare una via di fuga alternativa, un qualsiasi fottuto buco dove potersi infilare per uscire da quella situazione.
Zark nonostante appartenesse all’unica specie evolutasi direttamente da rettili piuttosto che da dinosauri non aveva mai saputo mantenere il sangue freddo.
E mai aveva amato troppo scappare, lui le cose le ha sempre guardate in faccia, sfidate…purtroppo fino ad ora il suo atteggiamento si è rivelato tutt’altro che soddisfacente.
Ma odiava quella situazione, se l’avessero preso sarebbero stati guai, guai grossi e ormai l’inseguimento durava da qualche minuto.
«Sono ossi duri…» un mugugno detto tra le zanne.
Prese il respiro e si voltò ricominciando a correre, in quei cunicoli c’era un odore infernale, il giubbotto imbottito che indossava aveva iniziato a perdere piume da un bel pezzo, doveva essersi impigliato in qualche reticolo o strappatosi a causa di una sporgenza dei bidoni, ormai era quasi vuoto, lo squarcio si apriva dal gomito alla fine della manica da cui usciva una mano artigliata e coperta da un guanto di lana nero senza dita.
All’altezza del collo si poteva vedere il colletto di una camicia bianca a quadratoni rossi bordati di nero, le gambe erano coperte da un paio di jeans rattoppati alla buona e ai piedi portava delle vecchie scarpe da ginnastica.
Trasandato e sporco, con quel fisico slanciato e gli occhi incavati al momento dimostrava di essere in uno stato ancora peggiore del solito.
I lineamenti rettiliformi del giovane erano evidenziati semplicemente da una pallida luce intermittente proveniente da una lampada al neon fissata alla muratura del vicolo.
Inchiodò di colpo puntando i piedi a terra, solo per un soffio non si era schiantato contro una ampia sezione di rete metallica coperta di ruggine posta nel vicolo per impedire il passaggio.
E come se non bastasse i suoi inseguitori stavano guadagnando terreno, poteva sentirli chiaramente mentre si avvicinavano.
Un varco, serviva un varco, il muso grigiastro del rettile scattò a destra e a sinistra alla ricerca di un buco tra le maglie del reticolo.
Niente da fare.
Un tremendo baccano, poi il coperchio di uno dei bidoni saettò attraverso la stretta via sfiorandogli la testa e rimbalzando contro la rete cadendo al suolo completamente deformato.
Zark deglutì, non voleva di certo fare la stessa fine.
Infine si decise, pochi passi indietro, poi scattò verso l’ostacolo e si aggrappò alla maglia issandosi.
Agilmente si arrampicò fino alla sommità della rete, deciso ci spinse sopra le mani per spingersi verso la salvezza.
Peccato che ci fosse il filo spinato.
Un urlo di dolore, le spine gli entrarono nel tessuto dei guanti, poi sulle mani; preso alla sprovvista non potè che lasciare la presa. Un tonfo secco mentre il suo corpo impattava con forza impressionante contro l’asfalto emettendo un tonfo secco.
Ormai era stanco e il vantaggio che aveva ottenuto si stava rapidamente annullando.
«Non questa volta» ringhiò rimettendosi ancora dolorante sulle zampe e ricominciando la sua scalata.
Si preparò al dolore, quando arrivò in cima strinse i denti e si tirò su lanciandosi dall’altra parte, lasciando che il filo spinato si conficcasse nella carne.
Quando arrivò dall’altra parte sentiva i guanti di lana completamente inzuppati, per il buio non poteva vedere quasi niente ma era sicuro che se avesse potuto avrebbe visto il suo sangue.
Schizzò avanti ricominciando a correre all’impazzata, di tanto in tanto afferrava un bidone della spazzatura ribaltandolo in mezzo al vicolo così da disturbare l’intercedere dei suoi inseguitori.
Gli saettava in continuazione tra i piedi ogni genere di creatura; dai gatti, ai ratti fino ai piccoli copy.
Si trattava di dinosauri non più grandi di un pollo, una specie molto antica che si era adattata perfettamente a vivere nei bassifondi delle grandi metropoli, nutrendosi di rifiuti e di qualsiasi altra cosa commestibile.
Come ratti ma più intelligenti e famelici, trovarsi a fronteggiare un gruppo molto ampio di quelle creaturine era una esperienza per nulla piacevole, anche se quegli animaletti uscivano raramente in gruppo dalle fogne.
Per questo motivo ormai nessuno si azzardava a fare lavori di manutenzione senza un buon arsenale, l’ultimo addetto che aveva fatto l’errore di avventurarsi nei cunicoli sotterranei senza una bomboletta di veleno gassoso era stato trovato completamente scarnificato.
La schiena di  Zark fu percorsa da un brivido, nel caso l’avessero preso avrebbe potuto facilmente fare anche quella fine.
Se non una peggiore.
Improvvisamente il vicolo fu percorso da l’ennesimo clangore metallico, seguito da un tonfo fragoroso poi qualcosa che strisciava contro il suolo, molto simile al rumore che emette una lavagna quando la si gratta con le unghie.
No, non era stato un bidone spostato.
Quegli energumeni avevano sfondato la recinzione sbalzandola in avanti.
E, conoscendo la forza di quelle creature, non si sarebbe stupito se i bestioni l’avessero abbattuta con una sola spallata.
Voltandosi poteva vedere la sagoma del titano; spalle tremendamente larghe, un’altezza che probabilmente superava i due metri e mezzo, peli biancastri che sbucavano dagli indumenti.
«Merda, merda, merda…»
L’uscita del vicolo apparve agli occhi del giovane come una visione paradisiaca.
La luce bluastra delle lampade che illuminavano la strada fu visibile molto prima che il vicolo finisse, ma bastò per far allungare al rettile il passo raccogliendo le ultime energie rimaste, le narici dilatate per lo sforzo, le mani sanguinanti.
Era troppo stanco anche per sentire il dolore ma era sicuro che il giorno dopo ne avrebbe risentito parecchio.
Sempre nel caso che al giorno dopo riuscisse ad arrivare.
Fu proprio in quel momento che la sua mente fu trafitta da una orribile consapevolezza.
Sgranò gli occhi.
I suoi inseguitori prima di entrare nel vicolo erano due.
Si voltò ancora per controllare meglio, torse il collo un attimo solo, effettivamente di bestioni alle calcagna ne aveva solo uno.
Quando si voltò ancora avanti scoprì dove era finito l’altro.
Davanti a lui.
Gli sbarrò la strada proprio alla soglia del vicolo, enorme e ringhiante.
Sembrava essere comparso dal nulla, il bastardo aveva fatto il giro così che il suo amico spingesse avanti la vittima e insieme i due potessero chiuderlo in una morsa.
Il bestione si era piazzato davanti a lui, braccia aperte per afferrarlo; poteva vedere la strada dietro di lui, mal illuminata dai lampioni e semideserta; i passanti di notte erano quasi assenti, e chi passava era ubriaco o preferiva rimanere fuori dai guai altrui.
In quella città era l’unico modo possibile per rimanere vivi e assistere a qualche pestaggio era cosa di tutti i giorni.
Il rettile aggrottò la fronte senza accennare in alcun modo una diminuzione della velocità.
Appena fu abbastanza vicino l’energumeno si sbilanciò in avanti stringendo di colpo le braccia e emettendo un ringhio gutturale, il fuggitivo piegò improvvisamente la gamba destra, tenendo in avanti quella sinistra mentre la prima scorreva dietro di lui.
Si lasciò cadere verso il basso, scivolando tra le gambe del gigantesco inseguitore mentre la sua presa andava a vuoto.
La gamba destra del rettile strisciò violentemente sull’asfalto, il tessuto dei suoi jeans ci mise solo pochi attimi per lacerarsi, che lo stesso destino toccasse anche alla gamba era questione di istanti.
Per un attimo sentì un dolore lanciante al ginocchio e allo stinco, dolore che fortunatamente si perse rapidamente tra gli altri.
Balzò immediatamente in piedi ignorandoli, zoppicante mosse una paio di passi prima che il bestione si voltasse; un ruggito e lo ebbe addosso.
La creatura spostò la mano all’esterno spingendola su di lui, solo la sua buona prontezza di riflessi gli permise di voltarsi e portarsi le braccia davanti al torace per attutire l’impatto.
Lo colpì con una forza tremenda, fu sicuro di sentire il crepitio delle proprie ossa mentre veniva sbalzato all’indietro, verso una automobile parcheggiata sul ciglio della strada.
Si trattava di uno di quei vecchi modelli con propulsori al plasma sporgenti sulla parte inferiore che mantenevano la carcassa del mezzo sollevato da terra quando era spento a causa di problemi di raffreddamento ormai risolti da una cinquantina d’anni.
Ma in quei posti erano i modelli più diffusi.
Il tonfo emesso dal rettile mentre si schiantava contro la lamiera della carrozzeria risuonò nell’aria prima che ricadesse in avanti a peso morto finendo seduto di fianco al mezzo e accanto ad una profonda ammaccatura creatasi nella portiera.
Nel frattempo l’inseguitore, prima occupato a percorrere l’ultimo tratto di vicolo, aveva raggiunto il compare e i due si stavano dirigendo verso di lui.
Appoggiò una mano a terra facendovi perno e spostando il proprio peso sul braccio per girarsi, finì con la pancia contro il terreno e strisciò sotto il veicolo spingendosi in avanti con le braccia, alla ricerca di una improbabile salvezza.
I due bestioni arrivarono davanti alla macchina e si fermarono, Zark tirò un sospiro di sollievo sperando per un attimo che i due l’avessero perso di vista mentre iniziava a risentire delle numerose ferite, ora anche la sua gamba iniziava ad essere umida mentre le mani erano ormai completamente bagnate.
Ma il suo sollievo era prematuro.
Uno dei due indietreggiò, poi con orrore il giovane si trovò davanti al muso le tozze dita scure che proseguivano coperte di peli bianchi sul resto dell’enorme mano, o meglio delle due mani che avevano afferrato il bordo inferiore della macchina.
Zark deglutì, aveva capito cosa aveva intenzione di fare quel gigante.
«Merda, merda, merda…»
Si girò più velocemente che poté ricominciando a strisciare nella direzione opposta a quella del bestione mentre iniziava a sentire gli scricchiolii della carrozzeria.
Fu questione di un attimo.
La bestia puntò le zampe posteriori a terra e alzò rapida entrambe le braccia.
La macchina venne proiettata in avanti, ribaltata come se fosse stata fatta di polistirolo impattò contro la strada ad un paio di metri da Zark concludendo la sua corsa strisciando rumorosamente sulla carreggiata e lanciando alcune scintille nell’aria per l’attrito.
Il rettile rimase completamente scoperto, ancora.
Ansimante scattò in piedi, dandosi prima lo slancio con le gambe, poi bilanciandosi con braccia e coda mentre ricominciava a correre.
Nella strada, molti lampioni erano stati danneggiati e la strada stessa era in condizioni pietose, la criminalità nella città era alle stelle da quando si potesse ricordare.
Era una fortuna che quelle creature non fossero agili né veloci; la sua corsa era scoordinata, il sostegno della gamba destra gli veniva di tanto in tanto a mancare e ormai gli sembrava che il fiatone gli stesse distruggendo i polmoni.
Doveva seminarli alla svelta, il suo fisico era ormai allo stremo da un pezzo.
Appena trovò un nuovo vicolo dove infilarsi vi si proiettò dentro e subito dopo di lui i suoi inseguitori.
Ricominciò a zigzagare tra i bidoni dei rifiuti; questo vicolo, sebbene sembrasse impossibile, era ancora più sporco e malmesso del precedente.
Ma la sua nuova corsa non durò a lungo.
Ora davanti a lui c’era un muro di mattoni.
Spalancò gli occhi.
Sembrava proprio un vicolo ceco.
«Merda, merda, merda…»
Aveva il cuore in gola, si schiacciò contro il muro tastandolo con le mani, ad ogni tocco lasciava una traccia di sangue.
Ma a quanto pare il muro, come il resto del vicolo, non era in ottime condizioni.
La fortuna era dalla sua parte, un grosso varco tra i mattoni si apriva sull’angolo in basso a sinistra della parete.
Il muso di Zark si illuminò mentre si proiettava verso la sua via di fuga, scivolava goffamente attraverso il muro e passava oltre ricominciando la sua corsa.
Sentì i corpi dei due giganti impattare un paio di volte contro il muro e il crepitio di alcuni calcinacci che si staccavano cadendo tra i rifiuti a terra, poi uno dei due si affacciò al buco mostrando un largo muso a tratti scimmiesco, bocca ampia senza labbra, naso schiacciato con narici piccole e occhi ridotti a fessure, una pelle nerastra coperta per la maggior parte da peluria bianca.
Ringhiò qualche parola, poi si alzò e infilò la mano oltre il buco tastando qua e la a caso.
Sul viso di Zark apparve un largo sorriso.
Meglio per lui lasciare quel luogo prima che i bestioni trovassero il modo per superare quel muro.
Si voltò e passò oltre, ancora ansimante e dolorante ma soddisfatto di essere riuscito a cavarsela anche questa volta.
Percorse rapidamente il breve tratto che lo separava dall’uscita opposta del vicolo.
Si levò uno dei guanti grondanti e sporchi dalla mano portandola alla luce di una lampada laterale, numerosi solchi sanguinanti erano stati aperti sul palmo ed era sicuro che guardandosi la gamba avrebbe assistito ad una scena simile.
Lo strizzò e tornò ad indossarlo.
Era decisamente il caso di andare a farsi un giro in un pub per bersi una birra, magari fumarsi una sigaretta.
Forse gli avrebbero dato qualcosa per le ferite, ma soprattutto avrebbe potuto rilassarsi un po’.
Zark era un varanide, una delle specie “di nicchia” tra le varie che rappresentavano i gruppi di esseri evoluti del pianeta.
Una volta erano raggruppati nella zona dell’Indoaustralia ma quando i Raptor invasero quelle zone la sua specie fu schiavizzata, molti fuggirono popolando le zone neutrali tra i vari imperi.
Allungò il passo e varcò la soglia del vicolo entrando nella strada e tirando un lungo respiro.
Fu allora che arrivò, violenta si avvolse attorno alla sua testa e lo spinse contro il muro del vicolo.
Sentì il tonfo sordo del suo cranio che colpiva i mattoni, poi le dita della mano dell’aggressore che si stringevano attorno al suo capo continuando a premerlo contro la parete.
Riuscì a vedere con la coda dell’occhio un muso rozzo e scimmiesco.
Muovendo quel poco che poteva la bocca riuscì solo a sussurrare una parola
«Merda»
Lo avevano preso.
Quei bastardi lo avevano preso.

 

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Rieccoci qui XD spero che l'ultimo capitolo sia stato piacevole e soprattutto che ci sia stata abbastanza azione!

Questa volta, e cercherò di farlo per ogni capitolo, ho inserito uno dei miei disegni, ho l'abitudine di disegnare le scene prima di descriverle, questo disegno era il più rappresentativo del capitolo così lo ho messo "in bella".

Vi sarete accorti che nella scrittura sono tutt'altro che costante...
In ogni caso vi posso dire che ho utilizzato questo ultimo lasso di tempo per porre una revisione alla storia soprattutto in ambito cronologico posizionando il tuttoin ambito relativamente più recente, togliendo e aggiungendo personaggi in modo da poterli caratterizzare meglio e studiacchiandomi alcune cosine su clima e geografia terrestre nei prossimi milioni anni (Per esempio tra 5 milioni anni dovrebbe verificarsi una nuova glaciazione e tra 100 una nuova fase tropicale e la forza gravitazionale della luna sul nostro pianeta allungherà sempre più il dì così come la notte fino a raddoppiarli) oltre a ragionare su evoluzione delle specie e cose così...
Ergo presto porrò alcune modifiche al primo capitolo.

Nel frattempo ecco il planisfero come appare negli anni in cui il racconto si svolge


  
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