Crossover
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Autore: Theorel    25/01/2009    0 recensioni
Crossover ispirato al mondo dei Final Fantasy in generale; mi sono ispirato alle ambientazioni alle armi e alle filosofie senza però, per scelta, utilizzare i protagonisti dei vari Game. Un Guerriero in procinto di morire riflette sulle sue ultime ore e in generale sul come il suo mondo sia cambiato e quale sia stato il suo ruolo; in breve, il bilancio di una vita.
Genere: Azione, Introspettivo, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Videogiochi
Note: Alternate Universe (AU), Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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I

I

 

Respira, piano.

Respira, profondamente.

Respira, polvere e terra; sangue e sudore.

Quando vieni colpito, respira e basta.

Questo gli insegnavano, ventitre anni prima, in accademia.

Respira.

 

Il vento caldo passa sul suo corpo esanime, respira come gli insegnavano; aspetta cure che non arriveranno, aspetta compagni che non esistono più.

Sdraiato al suolo cerca di stringere nel pugno un po’ di terra, cerca la forza di rialzarsi ma la mano guantata non serra solo polvere, piccole gocce rosse ricadono al suolo, le gambe non si muovono più, l’aria fatica ad entrare ed il sole secco non riscalda il suo corpo spezzato.

 

Prima di morire, dicono, la mente ricrea in un istante le immagini di una vita; accelerate, senza che seguano un filo logico eppure intensamente vive. Istanti così solidamente radicati da essere vissuti due volte, immersi in un’ondata di emozioni: paura, rimpianto, delusione, desiderio, amore, gioia, entusiasmo e commozione.

Eppure quegli occhi verdi non vedono il loro primo amore seduto sul bordo di una fontana; non vedono i loro genitori stretti in un abbraccio, orgogliosi di un giovane eroe, non vedono la loro figlia stringerli il pollice con quella piccola mano. Non ricordano le grandi battaglie che hanno vissuto; si spengono lentamente mentre rivivono, invece, quelle poche ultime ore.

 

Le sirene, i briefing sui mega-schermi; tutto diventa più nitido, voci che non aveva sentito, persone che non aveva visto: <…Imbarco unità C-12…Imbarco unità A-21…Attacco imminente…Imb…> la voce impersonale che dagli altoparlanti scandisce gli ordini, volta il capo a destra e a sinistra, Stand tutti uguali ai quali sono appese le armi, le armature, i ricordi di ogni soldato, di ogni ufficiale. Corruga la fronte, sente le voci di due ragazzi:

“Hai visto? Era ora di scendere in campo; le simulazioni erano diventate ripetitive”

“Tsk…lo dici solo perché ho fatto un punteggio più alto del tuo, ma adesso vedremo. Una cena che ne faccio fuori più io.”

“Presa!”

Ridono, si stringono la mano al volo, indossano la tuta stringendola bene sui fianchi. Lui espira, li ha allenati lui, lui è il loro comandante, in un certo senso lui gli ha insegnato a comportarsi così; si chiede per un momento se anche sua figlia farà questa fine, si domanda se la matricola dai capelli neri, pochi stand a destra del suo, sia sua figlia tra qualche anno; capace di giocare con la sua vita per una cena.

 

“Papà!”

 

Si volta di scatto; le sirene tacciono, gli altoparlanti spariscono; nella sua casa, nella sua cucina con una tazza di cioccolata in mano, alle sue spalle: sua moglie; non la guarda ma sa benissimo com’è vestita: una canottiera rossa, un paio di poco femminili pantaloni grigi, piedi scalzi appollaiati tra le gambe di una sedia, l’altra tazza di cioccolata tra le dita sottili, gentili, i capelli mossi e gli occhi stanchi che nonostante tutto la rendono ancora, bellissima.

Lui sa com’è, se la ricorda, ma vorrebbe guardarla ancora, ancora una volta e invece ha occhi solo per la bimba; la raggiunge in un paio di passi e piegandosi sulle ginocchia la guarda dritta negli occhi blu di sua madre.

“Piccola; dovresti essere a letto, è tardi.”

“Ho paura, ci sono i mostri”

Sorride, volta appena il capo verso la donna che ricambia appoggiando il mento sul palmo della mano; ama quelle labbra sottili.

“Su! Andiamo a vedere questi mostri”

La bambina gli tende la mano, lui le porge il dito e lei, stringe forte.

 

Entrano insieme nella stanza ora illuminata, lei veloce si siede sul letto, lui fa un giro della stanza, apre gli armadi, i cassetti.

Secondi che sembrano minuti all’infruttuosa ricerca delle paure di una bambina. Si siede infine accanto a lei mettendola a letto e carezzandole i capelli.

“Non devi avere paura dei mostri. Visto che non ci sono?!”

“Ma io li ho visti, li ho sentiti”

“Forse li abbiamo spaventati”

“Si si, loro hanno paura di te; stai qui?”

Vorrebbe dirle si; vorrebbe sdraiarsi accanto a lei e proteggerla per sempre ma si limita a sorriderle.

“Ho un idea migliore”

Lentamente si leva la catenella a cui è appeso il cristallo azzurro, incrinato, ruvido; lo mostra alla bimba avvicinandolo a lei.

“Ti ricordi di lui, si?”

La bimba annuisce.

“Dormirà lui con te e ti proteggerà tutta la notte; i mostri avranno così tanta paura di lui che non torneranno mai più”

“Perchè?”

“Perché lui ti ama proprio come me”

 

Una pacca sulla spalla, le sirene riprendono a suonare, il caos; la matricola dai capelli neri non c’è più. Uno dei suoi ragazzi gli sorride.

“Comandante ha visto? A quanto pare Systemia ha bisogno di noi. E lei che voleva farci allenare ancora.”

Lo osserva andare via mentre stringe appena quel cristallo, un po’ più rovinato, con qualche crepa in più con troppi pochi anni addosso.

Abbassa lo sguardo fissandolo sul quel piccolo frammento di pietra semitrasparente, luminoso; lo tiene stretto tra l’indice e il pollice sentendone il potere pulsante; un potere antico dimenticato dai più.

Inspira ancora indossando il ciondolo, lo stringe di nuovo per poi tornare alla sua vestizione.

Perché ricorda quegli istanti, perché rivede quei gesti? Indossare una tuta da combattimento; possibile che sia solo questa la sua vita? Possibile che il suo essere possa essere riassunto in questo?

Stringe i rinforzi sui fianchi; ricontrolla le fibbie degli stivali e dei guanti, scuote le spalle e rigira il collo per essere sicuro che le placche rinforzate non gli impediscano i movimenti.

Alza solo ora lo sguardo posandolo su quelle foto, su quel disegno. Le mani nascoste dai guanti neri, le dita si posano su un’istantanea sgualcita cercando di farsi delicate, carezzano quei piccoli volti per cui combatte, per cui ha sempre combattuto anche quando ancora esisteva un Regno, quando non era un contractor quando ancora c’era un Re a cui giurare fedeltà.

 

Afferra distrattamente i suoi regula; anelli in pietra poco più larghi di un centimetro sui quali sono disegnati rune e simboli; un’arma antica, la cui origine si perde nel tempo; la magia che risiede in tutti loro il cui vero potere è sconosciuto. Li infila insieme al polso sinistro come fossero dei bracciali, rimangono sospesi in aria iniziando a ruotare sfregando tra loro e producendo un leggero e continuo stridore; le rune si illuminano aritmicamente per tempi diversi e in diversi colori.

Piega lo sguardo sui suoi soldati, armi sempre più tecnologiche, sempre più avanzate; gli altri ufficiali lo deridono spesso per la sua ostinazione ad usare un’arma antica ma nessuno lo ha ancora battuto in un combattimento vero.

I soldati e gli ufficiali si affrettano, afferrano caricatori, armi, caschi e via, di corsa.

Lui si ferma, se lo è sempre permesso; s’inginocchia un momento chiedendo scusa, ancora una volta, alla sua famiglia; ricorda di averlo pensato, ricorda di averli salutati anche se solo mentalmente, ricorda di aver afferrato il suo vecchio gunblade nero e di averlo fissato al cinturone.

 

Ricorda di aver indugiato sulla fede appoggiata ad uno scaffalino dello stand; quel piccolo anello d’oro che prima o poi sarebbe stato consegnato a sua moglie insieme a una lettera ed alle sue piastrine.

< Ultima chiamata…imbarchi imminenti >

  
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