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Autore: Nurelnico    31/07/2015    2 recensioni
Newton Creek, una piccola città del South Dakota, dove forse le persone sanno più di quello che vogliono dire. Mentre Ryan e Victoria cercheranno di trovare le risposte ai loro dubbi, tra bugie, rapimenti, incomprensioni e paura, la storia ruoterà intorno ad un circo abbandonato nella zona di Hampton, nella periferia della città, che forse non è poi così abbandonato come si credeva da tempo, ma è il luogo ideale per nascondere qualcosa di importante ed evitare che qualche ficcanaso vada a curiosare.
Però la curiosità è una brutta bestia, soprattutto se alimentata dalla speranza.
Dal capitolo 2 "«anzi, non è bene neanche che vi siate incrociati. Devo gestire meglio gli orari» disse sedendosi sulla poltrona come tante altre volte."
è il mio primo esperimento, quindi vorrei avere dei commenti da voi lettori su come migliorare. Spero che vi piaccia e che con il passare dei capitoli vi appassioni.
Dal capitolo 3 "Salì e partì facendo stridere gli pneumatici sull’asfalto.
-Devo assolutamente tornare a casa.-"
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Ryan era ancora fermo davanti alla macchina dopo essersi congedato dallo psicologo.
La seduta di ipnosi lo aveva lasciato leggermente turbato, perché non si aspettava che avrebbe effettivamente funzionato su di lui.
-Non immaginavo di essere così facilmente influenzabile,- si rimproverò.
Stava per aprire la portiera quando un rumore di passi lo fece girare: una ragazzina, presumibilmente molto giovane, a quanto poteva vedere, si stava avvicinando all’abitazione con passo deciso.
Indossava una giacca grigia leggermente avvitata che lasciava intuire un fisico magro. I capelli castani acconciati in una lunga treccia che ricadeva sulla spalla destra contornavano un viso serio, che sembrava assorto in mille pensieri, eppure era un viso interessante, che trasmetteva intelligenza, ma il vero fulcro erano gli occhi: le due sfere di ghiaccio lo fissavano con sospetto, come farebbe un predatore con la sua preda.
Sostenne il suo sguardo per quell’istante in cui lo incrociò, ma poi decise di salire in macchina per andare via.
Come chiuse la portiera sentì il telefono squillare, ma il numero era sostituito dalla scritta “utente riservato”.
«Pronto?»
Silenzio.
«Pronto?» ripeté, ma ancora una volta non ottenne risposta.
Qualcuno stava parlando, ma sembrava lontano dal ricevitore e non si riuscivano a distinguere bene le parole.
Inoltre si percepiva un suono di fondo, quasi ritmico e ripetuto, come se fosse una litania o una canzoncina.
«Pronto?» disse nuovamente, sperando che qualcuno prendesse il telefono e gli spiegasse cosa stava succedendo.
Spazientito staccò il cellulare dall’orecchio e un urlo lo fece trasalire.
Riavvicinò subito l’apparecchio, provando ancora ad attirare l’attenzione dell’interlocutore, ma riusciva a sentire solo la musichetta e qualcuno che stava piangendo.
-Polizia! Subito!- Fu l’unica cosa che riuscì a elaborare, mentre guidava e cercava di ascoltare cosa succedeva dall’altra parte della linea telefonica. Uscito dal vialetto e prese la prima svolta possibile cercando di fare il più in fretta possibile, perché la chiamata non era ancora stata chiusa e si sentivano sempre più distintamente i lamenti di qualcuno.
L’angoscia cresceva nel petto del ragazzo e il pianto passò a dei versi simili a quelli di un film horror, dove la vittima sapeva di essere ormai arrivata al capolinea. Il tono così acuto gli suggerì che probabilmente la persona che stava piangendo era una ragazza.
Urlava, piangeva, chiedeva pietà, poi gridava di nuovo e il ciclo si ripeteva.
Fino al silenzio.
«Mi sentite?!» gridò di nuovo mentre vedeva la stazione di polizia.
Ancora silenzio, ma la chiamata era ancora aperta.
Lasciò la macchina nel primo posto disponibile, senza curarsi troppo dei dettagli: c’era una persona in pericolo e non era il caso di perdere tempo.
Entrò nella stazione che, come al solito, era deserta tranne che per i soliti due che erano stati fermati per una rissa da ubriachi. Si avvicinò velocemente al bancone dietro il quale un poliziotto gestiva le varie necessità di chi entrava.
«Posso aiutarti ragazzo?»
«Sì, ho appena ricevuto una chiamata da un numero riservato e ho sentito una donna che chiedeva aiuto.»
L’uomo parve destarsi da un sogno come ascoltò il breve racconto, ma subito si rilassò quando, avvicinando all’orecchio il cellulare che Ryan gli stava porgendo, nessuno rispose.
«Hanno chiuso la chiamata, evidentemente.» disse il poliziotto con un tono leggermente sarcastico, restituendogli l’apparecchio.
Prese il telefono quasi incredulo e lo avvicinò all’orecchio come per controllare di non essere stato preso in giro.
Silenzio.
Un silenzio che non lasciava presagire nulla di buono.
«Dove posso trovare l’agente Buxton?». Ricevette delle indicazioni sommarie e si avviò in quella direzione.
Tom Buxton era un suo amico d’infanzia, erano amici fin da piccoli, anche se lui aveva quattro anni in più ed era entrato in polizia dopo aver capito che lo studio non era un mondo per cui era portato.
Trovò il ragazzo biondo nel suo ufficio, con le esili spalle chine sulla scrivania su cui era poggiato un computer smontato. L’ufficio era molto piccolo, con una libreria che occupava un’intera parete, piena di vecchi fascicoli di casi archiviati che ormai facevano solo povere, mentre una finestra alta forniva quella poca luce utile solo in quelle poche ore della mattina. Era talmente assorto nel suo compito che non si accorse dell’amico finché non bussò contro la porta aperta.
«Oh! Ma guarda chi è venuto a trovarmi!» Tom si alzò e andò incontro a Ryan abbracciandolo.
«Allora R, cosa ti porta nella grigia e sgangherata stazione di polizia di Newton, visto che non hai un panino in mano e che sembri uno che ha appena visto un fantasma?»
«Ho un favore da chiederti.» Ryan prese posto su una delle sedie dell’ufficio e raccontò all’amico tutta la storia, comprese le ultime vicende.
«Quindi secondo te è possibile risalire al numero se dovesse chiamare una seconda volta?»
«Mi dispiace, bello, ma credo sia impossibile.» disse il ragazzo lasciandosi andare sulla sua poltrona girevole, picchiettando un dito sulla gamba con fare pensieroso.
«Forse la compagnia telefonica potrebbe darci una mano, ma dovrebbe partire un’indagine, con delle prove concrete e ti posso garantire che non è una cosa rapida.
Se vuoi posso provare a mettere un microfono nel tuo telefono, così intanto registreresti la conversazione se per qualche motivo dovesse richiamare.» aprì un cassetto da cui tirò fuori un minuscolo microfono nero.
«Con questo puoi registrare fino a dieci ore di conversazione e le puoi inviare direttamente al mio computer. L’unico problema è che ascolterebbero tutte le tue conversazioni.» Aggiunse una certa enfasi nella parola “tutte”, come a sottolineare il conseguente annullamento di qualsiasi forma di privacy che la situazione avrebbe comportato.
«Lasciamo stare.» rispose il ragazzo dai capelli scuri.
-Non posso fare nulla.- pensò sconsolato.
«Per quanto riguarda l’effrazione,» riprese Tom «andrò subito dal capo e riuscirò a fare in modo che già da questa sera almeno un agente, anche a costo di essere io stesso, sia nei paraggi del tuo appartamento. Se non altro sarà più sicuro fino a che non cambierai la serratura.»
«Grazie, sei un amico.» Si alzò e abbracciò il ragazzo biondo prima di lasciarlo al suo lavoro, per tornare a casa perché stava cominciando a farsi tardi e doveva sbrigarsi se voleva chiamare anche un fabbro per la nuova serratura.
Uscì a passo svelto dalla stazione di polizia e tornò alla macchina, dove tirò un sospiro di sollievo nel notare che nessuno aveva deciso di multarlo per quello che non si poteva propriamente definire un parcheggio, visto che la vettura era rimasta nel mezzo dello spiazzo con tanto di finestrino dimenticato abbassato.
L’idea che qualcuno potesse aver chiamato per sbaglio il suo numero non lo abbandonava, ma lottava con l’ipotesi che la chiamata fosse intenzionale e collegata agli ultimi eventi, sebbene l’associazione appariva terribilmente forzata, quasi paranoica.
Il tragitto fino a casa però non riservò alcuna sorpresa. Tutto rientrava nei canoni normali.
Davanti alla porta dell’appartamento il dubbio e la paura tornarono a prendere il sopravvento.
-E se qualcuno fosse entrato e mi stesse aspettando?- Si ritrovò a pensare dopo aver poggiato una mano sulla maniglia.
-Che cosa farei se avesse messo delle cimici per spiarmi? Forse ha scoperto della telefonata e ora vuole prendere anche me, così come ha fatto con la ragazza!- Il panico stava prendendo il sopravvento sulla logica.
Sentiva le mani tremare e improvvisamente iniziò a sentire freddo, ma la sensazione peggiore fu quella di sentirsi osservato.
Sicuramente qualcuno lo stava osservando, anche se il corridoio era vuoto ed era certo di non aver sentito rumori sospetti.
Aprì la porta con eccessiva cautela e la richiuse subito alle sue spalle. Costatò che l’ingresso sembrava identico a come lo aveva lasciato poche ore prima, ma non si sentiva ancora tranquillo, perciò fece un giro completo dell’appartamento prima di sentirsi soddisfatto e al sicuro.
Prese il telefono e si fece mettere in contatto con il fabbro più vicino dalla voce del centralino.
«Capisco perfettamente il problema,» disse l’uomo all’altro capo della linea, «domani, se vuole, posso passare anche in tarda mattinata con la serratura nuova e dovrei risolvere la questione in massimo un’ora.»
«Perfetto. Allora a domani.»
I due si congedarono e il ragazzo sentì alleviarsi il senso di oppressione e di pericolo che lo perseguitava da quando si era svegliato.
Non passarono neanche dieci secondi che il telefono riprese a squillare.
Ryan rispose sovrappensiero, non notando l’identità riservata del numero.
«Ti è piaciuto lo spettacolo?» disse la voce dall’altro capo del telefono.
«Prova a chiamare la polizia e lei muore. Prova a dirlo a qualcuno e lei muore. Prova a non seguire le mie istruzioni e lei muore.» La voce molto profonda parlava in maniera perentoria e autoritaria.
«So benissimo che sei andato alla polizia dopo la mia telefonata, perché io ti vedo, Ryan. Ti vedo in ogni momento, anche adesso che sei nel tuo appartamento. Sai, mi piace molto. E forse dovrei farmi un altro giro, magari facendomi vedere questa volta. Sai com’è, l’altro giorno ero molto di fretta e non sono potuto rimanere neanche per un caffè.»
Il ragazzo sbiancò all’istante.
Era lui il rapitore e la stessa persona che era entrata e che gli aveva lasciato quello strano biglietto.
«Dimmi cosa vuoi da me e perché hai scelto proprio me?» rispose il ragazzo, cercando di mantenere la calma.
Anni di telefilm polizieschi gli avevano insegnato che era meglio non far alterare gli squilibrati, specialmente se avevano un ostaggio che minacciavano di uccidere.
«Scoprirai tutto a tempo debito. Vieni al circo a cercare le risposte. Preferibilmente senza polizia, e ricordati di portare un amico.» disse lo sconosciuto.
«E sarebbe utile anche una torcia, perché ci verrai questa notte, altrimenti lei morirà.»
Ryan stava per replicare ma la chiamata era già stata chiusa.

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Angolo dell'autore:
In questo periodo la mia fantasia è scesa ai minimi storici. sarà il caldo, la stanchezza o i mille impegni estivi, eppure non ho mai tempo per scrivere.
a parte queste banali scuse, voglio innanzitutto ringraziare tutte le persone che stanno leggendo e commentando la mia storia, perchè questi feedback mi danno la carica per andare acanti a scrivere.
Non commenterò il capitolo (questo è il vostro compito), ma credo di essere arrivato al punto della svolta e dai prossimi capitoli l'azione sarà sempre maggiore.
  
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