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Autore: nuvolenere_dna    01/08/2015    5 recensioni
Ancora una volta le sue iridi non ridono.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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suono delle cicale
Ciao a tutti. Benvenuti :-) Vi presento questa nuova one-shot molto breve, scritta dal POV di Bulma. Inizialmente doveva essere una flashfic ma non sono riuscita a stare nelle 500 parole. Spero che vi piaccia e di essere riuscita a trasmettervi un sentimento. Mi farebbe piacere ricevere un vostro feedback.
Premetto che questo non è il mio genere e non penso di esserci molto tagliata. Io preferisco l’angst ma avevo bisogno di “ripulirmi” dalla mia ultima fiction scrivendo qualcosa di più leggero. Anche per esercitarmi un po’. Buona lettura.
PS: La fiction è situata all'inizio della loro convivenza alla Capsule Corporation, quindi proprio agli albori della loro storia.

 

Adonide 
 

[ I can see the light 
But in the darkness 
I'll follow you ]
Nero – Into The Past


Il suono delle cicale tesse l’aria in un canto malinconico. Le lanterne disseminate nel giardino brillano di fuoco, agitate dal vento fresco della sera. Nella penombra tutto sembra congelato, immobilizzato nel tempo. Il profumo dell’estate che finisce, le prime foglie accartocciate allontanate in un fruscio impercettibile.
Cammino a piedi nudi, lieve fra la coltre di smeraldo. Mi avvicino a una candela e con un soffio la estinguo, grata per il bacio dell’oscurità sempre più densa. Arrivo in fondo, nella parte del giardino più lontana dalla casa, più osservata dalle stelle e noto una sdraio, la mia sdraio, voltata verso il cielo immenso. I miei passi accelerano, mia madre deve averla dimenticata nel pomeriggio. Ma non è vuota.
I suoi lineamenti sono scavati dal crepuscolo, profondi come strade, più dolci di quanto li ricordassi. Non avevo mai notato quanto i tratti di Vegeta fossero delicati, incisi nella sabbia. La sua alterità sgorga dagli occhi, pietre affilate e impietose, pronti a secernere veleno come le fauci di un serpente. Ora quelle braci nere sono celate, dimenticate nell’abisso. Sdraiato su un fianco e completamente addormentato, non sembra diverso da un uomo normale plasmato dalle sue debolezze.
Noto la camicia azzurra che gli ho comprato giorni fa, tesa sui muscoli del petto, i bottoni danzanti in un equilibrio precario. Noto i pantaloni stretti, gli osservo i piedi, le vene in evidenza, immagino le miglia che ha percorso. Probabilmente io in tutta la vita non camminerò la metà di quanto ha camminato lui, non potrò osservare quanto ha osservato lui, carpire la vastità dell’universo che lo ha toccato.
A volte dimentico che Vegeta non è Goku, non è un terrestre. Questo cielo non è suo, quest’aria non gli appartiene, questa terra non ha impastato il suo sangue. E il cielo che gli apparteneva, l’aria che gli apparteneva, la terra che ha partorito le sue vene non esistono più, dilaniate nella luce spietata. Gli sfioro un tallone, gelido, ruvidissimo. Vado a prendere una coperta e quando ritorno vicino a lui le mani mi tremano. Immagino di abbracciare il suo corpo con quel tessuto, vorrei proteggerlo da quelle stelle morte, dai suoi ricordi, da quel cielo autoritario che sussurra terre infrante, bruciate nella devastazione. Ma rimango immobile, Vegeta non vuole essere accudito da me. Immagino la vergogna e l’umiliazione infiammargli la faccia. Appoggio la coperta al fondo della sdraio. Se ne avrà bisogno potrà coprirsi da solo, come ha sempre fatto.
Improvvisamente mi rendo conto delle sue pupille fredde, attente nell’esplorare i miei movimenti.
Non riesco a dire nulla, colta di sorpresa. Vegeta mi guarda circospetto, mentre la diffidenza gli sporca il volto, stringendogli le labbra.
Il suo silenzio mi sfonda i timpani, improvvisamente non sento più le cicale, il fruscio delle foglie. Sono sorda al resto del mondo, esistono solo i centimetri che ci separano, solidificati dalla tensione.
«Cosa stavi cercando?» sussurro in un misto di timidezza e audacia.
«Cercavo di dimenticare la noia di questo pianeta e la feccia che ci abita.» sibila e la sua bocca si stringe in un ghigno ma i suoi occhi non lo seguono. Le sue iridi si riempiono di una cupa inquietudine macchiandosi di luce. La smorfia di scherno sul suo volto svanisce in fretta, come disciolta, lasciando il posto a un’espressione confusa e disorientata. Prendo anche io una sdraio e una coperta e mi sistemo accanto a lui. In fretta divengo una crisalide calda, soltanto il viso sferzato dal vento fresco. Mi giro nella sua direzione e lo fisso impudentemente. Il suo sguardo mi invade, mi viola, sento la mia anima spogliata, le sue ombre annerire le mie pareti. Per un attimo avverto le voci dei miei amici preoccupati, le loro raccomandazioni, le loro angosce, le loro fantasie. Non rimanere mai sola con lui. Non provocarlo. Stai attenta, potrebbe ucciderti. Potrebbe ferirti. Le loro voci si allontanano, disperse nella nebbia.
Io non ho paura di Vegeta, non ho paura degli incubi che abitano nei suoi occhi. La sua oscurità mi chiude la gola in un dolore sordo. Sento la malinconia, fortissima, invadermi, polvere di vetro insinuarsi nelle vene e frantumarmi dall’interno. Non riesco più a controllare le lacrime, singhiozzo così forte che il mio corpo si scuote, le lacrime mi scivolano nelle orecchie, sul collo, le respiro, le divoro.
«E ora cosa c’è? Ti ho offesa?» sbotta, girandosi supino. Vegeta è un adonide, un fiore di sangue. La porpora dei suoi petali mi annienta, incoerente con la sua bellezza fine, stentorea. Spore di veleno si insinuano nelle mie narici sbranandomi i polmoni.
«Questa è la tristezza che io vedo in te.»
La lama delle mie parole lacera l’aria. Dalle sue labbra sgorgano risate sguaiate. Ride ancora, il petto che si alza e abbassa velocemente in respiri spezzati. Ma il suo corpo lo tradisce, paralizzato, le mani strette spasmodicamente al bordo della sdraio.
Ancora una volta le sue iridi non ridono.
«Io non so che cosa sia la tristezza.» ribatte mentre le labbra gli tremano facendo vacillare l’alterità dei suoi lineamenti. Mi fissa, serio. Ed io comprendo che la dolcezza di prima, quella dolcezza che mi sembrava di scorgere in lui era solo un’illusione, uno sciocco fraintendimento.
È la tristezza il segreto celato nel suo volto. Nei suoi occhi fioriscono preghiere mute, rovi di malinconia, fantasmi di morte dai pepli di porpora, abissi di tenebra che implodono inesorabili, spettri di ricordi scorticati, sfibrati da una vita spietata.
Ed io posso vederli.

 
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