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Autore: Sputnik from outer space    01/08/2015    4 recensioni
Da solo, di notte, nel bel mezzo del tuo peggiore incubo.
Genere: Avventura, Azione, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~<< Dai tesoro, non farne una tragedia, torneremo domani pomeriggio!>>
<< Ma mamma...>>
<< Avanti, ragazzo. Hai undici anni ormai, potrai resistere un giorno senza di noi, non credi?>>
<< Sì, papà...>>
<< Bravo Francis, sono molto orgoglioso. Bene, ora usciamo, ci vediamo presto!>> e detto questo il padre di Francis aprì la porta d’ingresso, e scherzosamente si inchinò alla madre.
<< Dopo di lei, mia dama.>>
Lei scoppiò in un’allegra risata.
<< Oh, Laurence, come siamo romantici oggi!>>
Francis chiuse la porta, con in cuore un misto di malinconia e felicità per i suoi, e li ascoltò allontanarsi per le scale mentre ridevano, come se fosse il loro primo giorno insieme.
<< Bene. Adesso ho la casa tutta per me. Cos’è la prima cosa che posso fare?>>
Cos’è la prima cosa che fa un ragazzo una volta che è a casa da solo, senza nessuno che lo controlli?
Ognuno di voi ha una risposta, potreste dire...
<< Dare una festa>>
<< Invitare i tuoi amici a fare casino>>
<< Portarti a casa qualche ragazza carina>>
<< Portarti a casa qualche ragazza facile>>
<< Sbloccare i canali televisivi porno>>
E via dicendo, scendendo sempre più verso i limiti dell’indecenza (probabilmente sorpassandoli).
Ma Francis aveva solo undici anni, perciò il suo mondo era limitato al suo migliore amico, alla televisione e al computer. Probabilmente anche alle console.
<< Se la mamma non c’è... Nessuno mi impedisce di giocare alla Play fino a quando voglio.>>
Buon’idea, non c’è che dire. Si fiondò in salotto, accese la sua PlayStation, inserì il disco del suo gioco preferito e non si scollò dallo schermo se non per andare in bagno.
<< Cinque pagine, manca davvero pochissimo e ce le avrò tutte! Speriamo che gli altri giocatori non le trovino.>>
Giocava sempre più spesso al gioco chiamato “Slender’s War”, un videogame amatoriale sviluppato da una semi sconosciuta casa di programmazione. Il gioco, ispirato ad uno più famoso, consisteva nel raccogliere tutte e otto le pagine sparse in vari punti delle diverse mappe. Gli ostacoli erano diversi: gli animali del bosco, gli altri giocatori e lo Slender, il vero ed indiscusso protagonista. Il giocatore aveva a disposizione varie basi segrete per nascondersi, armi per difendersi (dalla più rudimentale alla più avanzata) e moltissimi sistemi di sicurezza per proteggersi e per localizzare i pericoli.
Insomma, aveva tutte le giuste caratteristiche per far appassionare chiunque ci giocasse, al punto da tenerlo aperto per quantità di ore impressionanti.
E si sa bene, molto bene, che il troppo stroppia.
<< Cavolo, quello deve essere un altro player!>> disse estraendo rapidamente la sua Sig Sauer P226, ultimo acquisto al banco delle armi. Sparò ripetutamente al cespuglio, dal quale cadde un uomo privo di vita.
<< Fuori un altro! Chi si fa avanti, adesso?>>
Da quel momento in poi la frenesia dell’inizio partita rallentò vertiginosamente. I giocatori non volevano rischiare di perdere, perciò si muovevano con strategia, mai scoprendosi. Le pagine restanti erano davvero poche, perciò erano davvero difficili da trovare e lo Slender non si era ancora mai fatto vedere.
Per questi motivi Francis cominciò ad annoiarsi. Si allontanò dalla foresta, rientrò nella sua base, nascosta dentro ad un palazzo diroccato nel vecchio paese, e cominciò a fare l’inventario.
<< Allora, il coltellino svizzero lo lascio qui...>>
Sbadigliò.
<< Prendo questi due caricatori per la pistola...>>
Sbadigliò ancora e smise di parlare da solo.
“Questo cibo è avariato, lo butto.”
Le sue palpebre si fecero sempre più pesanti.
“Prendo la camera di sicurezza e la piazz...”
Si addormentò nel suo salotto, sul divano, con la televisione ancora accesa. Erano le sette del pomeriggio e quando finalmente si risvegliò era notte inoltrata... Non una luce filtrava dalle sue finestre.
<< Ma cosa? Devo essermi addormentato...>> disse con la voce rauca di chi si è appena svegliato. Si alzò e con il telecomando spense la televisione.
Senza neanche andare in bagno a lavarsi entrò in camera sua e si infilò nel suo letto, sotto le coperte.
Stava quasi per riaddormentarsi quando un forte rumore lo destò completamente.
<< Ma... Mamma? Sei tu?>> chiese con voce tremante, sperando in una risposta. Voleva sentire la dolce e affettuosa voce di sua madre, non importava quanti anni avesse e che fosse già un “ometto”. Se la stava davvero facendo sotto.
Entrambe le porte ai lati della stanza erano socchiuse abbastanza da poter vedere una piccola parte dei due corridoi.
Francis si portò le coperte fin sopra il naso.
<< C’è... C’è nessuno?>>
Ancora nessuna risposta.
Nel frattempo la sua immaginazione stava lavorando frenetica.
“Mamma non può essere qui... E se fossero dei ladri? Oh, Dio! Magari sono degli assassini! Forse... Forse... Sono dei mostri! Proprio come quelli dei miei incubi, quei disgustosi cosi a forma di animali!”
<< Mamma!>> urlò ancora, sempre senza esito.
Si costrinse ad alzarsi e con passo leggero si avvicinò alla porta di sinistra.
“Perché non è chiusa? Ricordo di essermela tirata dietro mentre entravo...”
Chiuse di nuovo la porta ed essa si aprì da sola.
“Cavolo, è vero! Il papà diceva che la casa essendo molto vecchia si rompeva spesso, e in questo caso si erano rotti i cardini! Certo che però è strano che si siano rotti i cardini di entrambe le porte...” si domandava, sospettoso.
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da un altro rumore, stavolta più sommesso.
A quel punto Francis era davvero terrorizzato. Corse verso il suo comodino e prese la sua vecchia torcia, quella che aveva utilizzato al campeggio di due anni prima.
La accese e tornò alla porta. La puntò un po’ in giro e non trovò nulla di particolarmente sospetto.
La spense, aspettò un po’ e la accese di nuovo. Nulla.
Rincuorato tornò a letto e per farsi ancora un po’ più di coraggio si disse: << Francis, sei uno sciocco. Sarà stata SOLO la tua immaginazione.>>
Sicuramente per dispetto si verificò un altro botto, stavolta più vicino degli altri, forse nel corridoio.
Il sangue gli si gelò nelle vene.
<< Che diavolo sta succedendo...>>
Accese nuovamente la torcia ed in punta di piedi si avvicinò alla porta. La puntò in fondo al corridoio ed urlò, chiudendola immediatamente. Qualcosa, qualcosa con due occhi gialli, grandi come fari, si era allontanata di corsa non appena il fascio di luce l’aveva illuminata.
Rimase forse più di dieci minuti, ansimante, appoggiato alla porta, aspettando di calmarsi.
Non aveva mai avuto tanta paura in vita sua.
<< Va bene. Va bene. Sono calmo. Sono calmissimo.>> si diceva, ovviamente mentendo.
Si piazzò nel centro della stanza, in modo da poter vedere entrambi gli ingressi.
<< Perché sta succedendo tutto questo? Perché proprio a me?>>
Scoppiò in un pianto incontrollato, finché un’idea non gli passò per la mente come un lampo.
<< IL TELEFONO! Devo riuscire a raggiungere il telefono nell’ufficio di papà!>>
Ma questo comportava il dover uscire dalla sua cameretta, attraversare il buio corridoio, scendere le scale, passare per il salotto, entrare nella cantina e finalmente fare ingresso nello studio.
Praticamente, con un terrificante mostro in casa, era commettere un suicidio a tutti gli effetti.
Nolente o dolente però lo doveva fare. In fondo sarebbe ugualmente morto se fosse rimasto nella camera.
Illuminò il corridoio di destra e non vide nulla di potenzialmente pericoloso. Lentamente mise piede fuori dalla camera e spense la torcia. Insomma, girare con una torcia accesa con qualcuno di ostile in casa è come girare con una sirena in testa in una gabbia di tigri affamate che dormono.
Avanzò con grandissima attenzione. Era tutto bagnato di sudore e aveva gli occhi sgranati per la paura. Aveva anche un grandissimo bisogno di andare in bagno, ma in quella situazione una tappa per il bagno avrebbe solamente aumentato la sua probabilità di essere scoperto.
Ormai era vicinissimo alle scale quando una piccola luce si fece spazio tra le tenebre. Francis si fermò, come paralizzato. Si girò con una lentezza degna di una tartaruga e lo vide.
Alto, con il corpo meccanico martirizzato, nel quale si potevano vedere tanti piccoli cavi, rotelle ed altre componenti meccaniche, con gli occhi, o meglio l’occhio, luminoso, entrambi riconducibili al diavolo in persona, il becco da pollo spalancato, famelico, che lasciava intravedere tre file di denti metallici affilati come rasoi, un bavaglino con su scritto “LET’S EAT” macchiato in più punti di sangue e con una delle due mani orribilmente artigliate sorreggeva un piatto con sopra un muffin dotato di occhi anch’esso deturpato... Proprio come nei suoi recenti incubi.
Non era sicuro che fosse la creatura che lo stava spiando dal corridoio di sinistra, ma non gli interessava. A quel punto poteva fare solamente una cosa.
Fortunatamente fu più veloce del pollo: si voltò e corse con tutte le sue forze giù per le scale, a volte saltando diversi scalini.
Giunto nel salone senza pensarci due volte si gettò dietro al divano ed aspettò, tremando di paura dalla testa ai piedi.
Sentì i pesanti passi del mostro colpire gli scalini, sempre più vicini, sempre più vicini...
Scese l’ultima rampa e giunse in salotto: Francis poteva vedere la sottile luce prodotta dal suo unico occhio puntare in diversi luoghi della stanza, prima sulla mensola, poi sul tavolo, sulla televisione ed infine sul basso tavolino posizionato davanti al divano.
La luce restò lì ferma a lungo e Francis temeva che si sarebbe fatta sempre più intensa, finché il robot non gli sarebbe saltato addosso.
Non fu così. Restò puntata ancora per una ventina di secondi e scomparve, lasciando Francis solo.
Tirò un sospiro di sollievo e fece per alzarsi.
Tentò di riabituarsi al buio, strizzando più e più volte gli occhi, in modo da poter localizzare l’ingresso della cantina.
All’improvviso però la televisione si riaccese.
Francis si voltò per vedere cosa stesse succedendo, e non notò nulla di particolare. La televisione mostrava uno sfondo nero, leggermente luminoso (fu per questo che capì che era accesa).
Rimase a fissarla, in silenzio.
Non accadde nulla per diversi minuti, finché un orribile coniglio, simile al pollo tranne che per il colore porpora, apparve sullo schermo urlando. Francis fece lo stesso, e per indietreggiare cadde di peso sul divano.
<< Oh, no! OH NO!!!>>
Vide gli occhi del pollo in fondo al corridoio che dava sulla cucina avvicinarsi minacciosi, così corse in cantina, rovesciando tutto quello che si frapponeva tra lui e la salvezza.
Entrato chiuse con violenza la porta, girando la chiave.
Sorrise, nervoso, felice di essersela cavata ancora una volta.
Scese fino alla fine la scalinata e trovò il pomello della porta scorrevole dello studio di Laurence, il padre.
La prima cosa che gli saltò all’occhio fu la grande scrivania in mogano al centro della stanza. Vi si avvicinò con passo rapido e cercò a tentoni il telefono. Quando finalmente la sua mano incontrò la superficie lucida e liscia della cornetta si lasciò sfuggire una risatina d’eccitazione.
La sollevò, compose il numero della madre e subito gridò: << MAMMA!!! Ci sono degli estranei in casa, vieni, presto!>>
<< Cosa, tesoro? Non riesco a sentirt...>>
La telefonata venne bruscamente interrotta. Francis provò a digitare una seconda volta il numero, ma stavolta non riuscì a sentire alcun suono.
Tirò il cavo del telefono e questo gli tocco con leggerezza il piede nudo.
<< No... Non ci posso credere...>>
Premette l’interruttore della torcia ed illuminò i suoi piedi.
Il cavo era stato reciso di netto.
Un cigolante rumore lo fece sussultare e subito puntò la torcia sul fondo dello studio.
L’anta dell’armadio si era appena chiusa da sola.
Sospettoso e con uno strano senso di nausea si avvicinò a quest’ultima.
Con un profondo respiro posò la mano sulla maniglia ed aprì di scatto.
Dall’armadio fuoriuscì il muso scheggiato in più parti di una volpe urlante. Francis la colpì con forza con l’anta e scappò fuori dallo studio.
Qualcuno lo stava aspettando all’esterno.
Un enorme sagoma si stagliava su di lui. Essa si tolse il piccolo cilindro che portava sulla testa e fece al ragazzino un piccolo inchino ironico, poi sollevò la testa e mostrò tutti i denti con un minaccioso ringhio.
Francis ormai non ragionava più. Corse urlando su per le scale, afferrò il pomello della porta e cominciò a tirare, inutilmente. L’aveva chiusa a chiave.
<< Avanti, non scappare>> disse una voce alle sue spalle, seguita da pesanti passi. Aveva un effetto molto sgradevole, sembrava una lama sfregata contro una roccia.
<< Vieni da me>>
Francis si tastò freneticamente le tasche e la sua mano incontrò qualcosa di freddo e metallico.
<< Eccola!>>
La inserì tremante nella toppa ma per il troppo movimento gli cadde a terra.
<< Cazzo no!>>
<< Eccoti qui. Sei mio adesso.>>
Era davvero finita.
Si svegliò di soprassalto, con il volto madido di sudore. Era nel suo letto, sotto le coperte. Probabilmente i suoi l’avevano trovato addormentato davanti alla TV e l’avevano portato in camera sua. Guardò le due porte ai lati e con suo enorme sollievo le vide perfettamente chiuse.
<< Tutto bene tesoro?>>
<< Mamma!>>
<< Ti ho sentito urlare, va tutto bene?>>
<< Ho avuto un incubo.>>
<< Non ti preoccupare, amore mio, adesso ti do un bacetto.>>
Poi Francis si ricordò di qualcosa e il suo cuore cominciò a battere freneticamente nel petto.
I suoi genitori non sarebbero tornati prima del giorno dopo.
 
   
 
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