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Autore: Briciole_di_Biscotto    02/08/2015    2 recensioni
Velocemente, Kiku si portò alle spalle di Yao e menò un altro fendente: una profonda ferita slabbrata si aprì in diagonale per tutta la sua schiena. Yao sgranò gli occhi e spalancò la bocca in un grido muto, poi si accasciò per terra.
Kiku rimase qualche istante a guardarlo con occhi freddi, come se si fosse dimenticato che il ragazzo appena ferito fosse il proprio fratello. Gli salì cavalcioni sul petto e sollevò la lama, pronto a decretare la fine di quella battaglia.
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Per mia disgrazia, NON è una CinaxGiappone. In questa fic sono solo due fratelli separati dalla guerra.
Genere: Angst, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cina/Yao Wang, Giappone/Kiku Honda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 La pioggia batteva incessantemente su quel campo desolato, ricoperto di cadaveri e sporco di sangue.
 Cina osservava quello spettacolo lasciando che l’acqua lo bagnasse e il vento gli sferzasse i capelli, in una silenziosa disperazione. Aveva fallito, non aveva protetto il suo popolo.
 Un rumore di passi si fece strada nel silenzio, e si fermò dietro alla Nazione.
 Yao non si voltò, sapendo già chi avesse alle spalle.
- Giappone, perché sei qui?
 Il ragazzo non rispose, rimanendo a fissare la schiena del maggiore in silenzio.
- Perché non sei a festeggiare la vittoria con il tuo popolo?
 Kiku strinse il pugno sull’elsa della katana: oh si, quanto avrebbe voluto essere con i suoi soldati a divertirsi e bere sake, invece di essere lì. Sarebbe voluto fuggire, lasciarsi il maggiore alle spalle, fare la figura del codardo pur di non dover portare a termine il compito che gli era stato assegnato, ma non poteva. Rimase fermo al suo posto.
 Yao ridacchio piano, di una risata amara e senza gioia.
- Sei venuto ad uccidermi, didi*?- chiese con ironia.
 Kiku sussultò. Didi… era da tempo che non lo chiamava più così. Era stato davvero crudele da parte di Yao usare quel nomignolo in quella situazione. Fratellino… perché ormai lui non era più il fratellino di Cina, e non sarebbe mai potuto tornare ad esserlo.
 Strinse i denti fino a sentirli stridere, e sfoderò la katana puntandola alla schiena dell’avversario.
- Combatti, Cina.
 Combatti, e difenditi, e vinci. Ti prego.
 La Nazione si voltò e sorrise, sfoderando la sua dadao** e facendola incrociare con l’arma del giapponese.
 Kiku rimase sconvolto nel leggere tutto l’odio e la tristezza riflessi negli occhi del maggiore. Non avrebbe mai creduto che un giorno l’odio di Cina si sarebbe potuto rivolgere a lui.
- Vediamo quel che sai fare, didi.
 Con un movimento fluido, Yao sollevò la lama e la abbatté sull’avversario, che ebbe solo il tempo di sollevare la katana e parare il colpo. Velocemente disimpegnarono le armi e Kiku lanciò un fendente, che fu abilmente schivato.
 Cina era forte: la sua dadao si muoveva senza sosta con forza e violenza, facendo indietreggiare il giapponese che aveva a malapena il tempo di difendersi. Parò l’ennesimo fendente diretto alla sua gola, e lama vibrò: il contraccolpo si insinuò su per le braccia e giù per la schiena, facendolo gemere dal dolore.
 Yao lo guardò.
- Non è questo che ti ho insegnato! Ti ho istruito molto meglio! Combatti, didi, fammi vedere quanto sei diventato forte! Mostrami di essere degno di conquistare le mie terre!
 Kiku si paralizzò: si, Yao lo aveva istruito bene. Si allenavano ogni giorno per almeno due ore, senza mai fermarsi, estraniandosi dal mondo intero. Facevano incrociare le lame, si muovevano veloci: era proprio come se danzassero. Poi, quando infine, esausti, si lasciavano cadere supini tra l’erba, le teste vicine e il respiro pesante, si fermavano a guardare in silenzio il cielo, e non servivano parole: se avessero potuto, sarebbero rimasti per sempre così, dimentichi del fatto che a casa i fratelli li aspettavano, dimentichi dei loro doveri e delle loro spossanti vite da Nazioni. Solo loro due, in pace.
 Kiku si morse il labbro. Calde lacrime cominciarono a scivolargli sul volto, e ringraziò il fatto che stesse piovendo, nascondendo il suo pianto.
 Con uno scatto fece ruotare la katana, disimpegnandola, e cominciò ad attaccare. Il volto di Yao si addolcì leggermente.
- Eccoti, finalmente.
 Velocemente Giappone riconquistò terreno: Yao era forte, sì, ma stanco, e inoltre la condizione del Paese che rappresentava si stava riversando sul suo corpo indebolendolo ulteriormente.
 Kiku muoveva la lama spinto da un sentimento di frustrazione e disperazione: non voleva, non voleva, ma doveva. Non solo per sé, ma per il suo popolo. Per il suo esercito che per questa guerra aveva dato tutto sé stesso; per coloro che in Patria lavoravano senza sosta nei campi affinché una volta tornati a casa i loro cari non avessero di che preoccuparsi; per il suo Imperatore che aveva creduto in lui fin dall’inizio e a cui aveva giurato eterna fedeltà.
 La katana fendette l’aria con un sibilo, e la dadao non fece in tempo ad intercettarla: un profondo taglio lungo tutta la spalla di Cina andò ad unirsi alle altre  innumerevoli ferite più o meno gravi che aveva su tutto il corpo.
 Con un movimento fluido Giappone incrociò la sua lama con quella dell’avversario e con una fulminea rotazione del polso gli fece perdere la presa sull’arma. La dadao disegnò una parabola in aria e andò a conficcarsi nel terreno fangoso, tre metri più in là.
 Velocemente, Kiku si portò alle spalle di Yao e menò un altro fendente: una profonda ferita slabbrata si aprì in diagonale per tutta la sua schiena. Yao sgranò gli occhi e spalancò la bocca in un grido muto, poi si accasciò per terra.
 Kiku rimase qualche istante a guardarlo con occhi freddi, come se si fosse dimenticato che il ragazzo appena ferito fosse il proprio fratello. Gli salì cavalcioni sul petto e sollevò la lama, pronto a decretare la fine di quella battaglia.
 Nel momento in cui Yao incrociò il proprio sguardo con il suo, il giapponese fece calare la lama. Il maggiore gli sorrise dolcemente, di quel sorriso caldo e rassicurante di quando, da bambino, lo trovava nascosto da qualche parte singhiozzante dopo aver rotto un vaso costoso o un prezioso arazzo. E allora, a vedere quel corpicino scosso dai singhiozzi e gli occhioni neri profondamente pentiti, tutta la rabbia svaniva e Yao sospirava rassegnato, perché non sarebbe mai riuscito a sgridarlo se il bambino lo avesse guardato in quel modo. Quindi si accovacciava accanto a lui e gli carezzava piano il capo per rassicurarlo, rivolgendogli il sorriso più dolce del mondo.
  Kiku spalancò gli occhi, disperato. La lama si conficco nel terreno accanto al viso di Yao, a distanza di pochi centimetri. Il cinese lo guardò sorpreso.
 Giappone abbassò il viso e i capelli gli caddero in avanti, andandogli a coprire gli occhi. Sussurrò qualcosa a voce così bassa che nemmeno Yao riuscì a capire cosa avesse detto.
 Il ragazzo parlò ancora: era come una lenta cantilena straziante, e Yao spalancò gli occhi sorpreso quando afferrò il suono di quell’unica parola che Giappone continuava a ripetere.
- Gege… Gege… Gege…***
 Sollevò piano lo sguardo, e Yao ebbe un tuffo al cuore quando vide le calde lacrime scivolare copiose sulle gote bianche del minore: non aveva mai sopportato di vederlo piangere.
 Kiku continuava a chiamarlo incessantemente.
 Gege, gege, gege…
 Fratellone… era passato così tanto tempo dall’ultima volta che il suo didi gli era corso incontro con le braccia spalancate per farsi abbracciare chiamandolo in quel modo.
 Ora le spalle di Kiku erano scosse dai singhiozzi che faticava a trattenere.
 Lo chiamò.
- Didi…
 Yao allungò una mano e la posò delicatamente sulla sua guancia, sporcandola di fango e sangue.
Il giapponese sussultò e lo guardò, mentre lui gli sorrideva dolcemente e lo chiamava di nuovo.
- Didi. Non piangere.
 Gli asciugò una lacrima carezzandolo piano.
- Non piangere. Gege jiù zài zhèli****.
 Kiku annuì, passandosi una mano sotto un occhio nel vano tentativo di fermare le lacrime. Uggiolò e ricominciò a singhiozzare piano. Yao rise piano e sollevò anche l’altra mano, facendola passare dietro alla nuca del minore, per poi tirarlo giù attirandolo verso il suo petto.
 Kiku artigliò la divisa lacera e affondò il volto nel suo petto, cercando di soffocare i singhiozzi.
- Gomennasai… gomennasai…*****
 Yao annuì piano con il capo e cominciò ad accarezzare piano la testa del minore, cullandolo proprio come in passato.
- È tutto okay. Sh, va tutto bene. Sono qui, sono qui. Non piangere.
 Kiku annuì e si strinse di più contro il suo petto, come a voler confermare la veridicità di quelle parole. Yao continuò a cullarlo a lungo, finché non senti le sue spalle cominciare a rilassarsi e i singhiozzi cessare.
 Il minore tirò su il capo e lo guardò.
- Ti sei calmato?
 Kiku annuì mordendosi il labbro.
- Mi… mi odi?
 Yao sorrise e lo attirò verso di sé, facendo aderire le loro fronti e sfiorare i loro nasi.
- Sei il mio nini, capito? Non ti odio né ti odierò mai. Forse potrò arrabbiarmi, ma ciò non cambierà mai il fatto che ti voglia tutto il bene dell’anima. Ricordatelo, questo. Qualunque cosa accada, anche se nei fatti dovessimo essere nemici come ora, nello spirito io sarò sempre dalla tua parte. Sempre. Capito?
 Kiku annuì e un piccolo sorriso gli apparve sulle labbra.
- Va bene.
 Lo abbracciò stretto e nascose il volto nell’incavo del suo collo, sorridendo nel sentire che Yao ricambiava.
 La guerra non era finita. C’erano da combattere altre battaglie nelle quali loro si sarebbero inevitabilmente scontrati come nemici, ma al momento non importava.
 Contava solo l’essere vicini, abbracciati stretti tanto da sentire l’uno il battito dell’altro, e quel magnifico sole che piano piano faceva capolino da dietro le nuvole, riscaldando i loro animi e regalando speranza.
 Perché, in fondo, erano insieme, e allora niente era impossibile.



*Didi = fratello minore, fratellino (in cinese)
**Dadao = arma tipica cinese, simile ad una scimitarra
***Gege = fratello maggiore, fratellone (in cinese)
****Gege jiù zài zhèli = il fratellone è qui. (in cinese)
*****Gomennasai = scusa (in giapponese)


 Che dire, scusate lo sclero ma l'ho scritta alle 23 di ieri sera, con la testa ciondolante e la mente già nel mondo dei sogni. Ma l'ispirazione era troppa e non potevo non usarla. La storia è ispirata ad una doujinshi Nichu, credo, dato che io ho visto solo una tavola (quella in cui Cina dice "Big brother's here") in un video spulciando youtube.
 Mi sono un po' soffermata a pensare se far chiamare Cina "gege" o "aniki", in giapponese, da Kiku, ma alla fine ho optato per il cinese poiché all'epoca era sotto la sua influenza e probabilmente lo chiamava così. Spero di aver fatto bene.
 Beh, che dire. Sarei felicissima se mi lasciaste una piccola recensione.
 A presto
  
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