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Autore: Sara Orwell    02/08/2015    3 recensioni
Questa raccolta di drabble prende ispirazione da una challenge presente ormai da anni sul web.
L’ “Alphabet! Challenge” si associa solitamente al genere romantico, in questo caso ho scelto di trattare un tema diametralmente opposto.
Il tema di questa raccolta è la VIOLENZA SESSUALE.
So che si tratta di un tema delicato e spero di essere in grado di trattarlo in modo adeguato.
Non troverete riferimenti specifici a luoghi, persone, periodi storici. Non ci saranno descrizioni fisiche dei personaggi.
Nessuna specificità, perché questo crimine può purtroppo colpire dovunque e a chiunque.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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La sua volontà non conta

Un grazie speciale a Lilith,
la Beta di questa storia,
che mi ha aiutato in modo fondamentale.

Ambra siede sul coperchio del water, zitta, immobile, lo sguardo fisso sulla porta chiusa a chiave. Precauzione ormai inutile. Ha i capelli spettinati, le forcine fuori posto le tirano le ciocche ai lati del viso e sente fitte dolorose propagarsi sotto la cute. Il mascara sbavato si è ormai seccato sulla pelle intorno agli occhi arrossati e gonfi. In bocca ha un sapore amaro, talmente disgustoso che deve sforzarsi per non vomitare. Tremante, respira a fondo cercando di calmare il cuore che batte impazzito. Altre lacrime scendono, incuranti del suo desiderio di smettere di piangere. La sua volontà non conta.

« Basta » sussurra, la voce strozzata dal pianto e una mano serrata intorno alla gola. Basta. Basta. Ripete quell’unica parola come fosse una cantilena, incapace di pronunciare un’altra sillaba, il pensiero ipnotizzato in quell’unico termine che racchiude tutto ciò a cui aspira in quel momento. Basta a quel dolore fisico pungente che sente in tutto il corpo. Basta alla pesantezza che avverte alla testa, come se un masso le premesse sulla fronte e sulle tempie, pronto a schiacciarla per sempre. Basta ai ricordi incontrollabili che le riportano alla mente ciò che è successo. Basta alla sensazione di sporco che la pervade.

Chinata in avanti, perché il dolore è troppo grande per riuscire a rimanere dritta, stringe le mani l’una nell’altra, alla ricerca di forza. Le unghie sono rovinate, si sono spezzate nel tentativo di aggrapparsi a qualsiasi cosa la aiutasse a lottare, nel disperato sforzo di trovare un oggetto da usare come arma. La sua abitudine di tenere sempre il banco su cui lavora pulito e ordinato le si era rivoltata contro: non c’era niente che potesse aiutarla a portata di mano. Sapeva che la sua era una battaglia persa in partenza, ma aveva comunque tentato tutto il possibile per liberarsi.

Domande che non aveva mai pensato di porsi le attraversano la mente e mettono alla prova il suo fragile stato. Cos’ho fatto per meritarlo? Non riesce a richiamare alla memoria niente che giustifichi una tale punizione. L’ho provocato senza accorgermene? Quand’ era entrato era stata sorridente e cordiale, com’era con tutti. Si trattava di gentilezza, non credeva di aver lanciato segnali ambigui. Ho detto qualcosa che non avrei dovuto dire? Non ricorda esattamente le parole che gli aveva rivolto prima che tutto iniziasse, ma è quasi certa di non aver detto nulla che potesse essere frainteso. Allora perché è successo?

È stata colpa sua? Ambra sa che quella è una domanda che non dovrebbe porsi perché rispondere « sì » mentre si trova in quello stato d’animo è fin troppo facile. Dentro di sé, sa che lei non ha nessuna colpa, che non c’è nulla che possa aver fatto che giustifichi ciò che le è successo. Ma la sensazione di sporco e di disgusto che prova in quel momento la porta a credere di essere davvero dalla parte del torto. È un pensiero breve, pochi secondi in cui quest’idea si fissa nella sua mente con convinzione. Presto capisce che non è così.

Fa un respiro profondo, ancora tremante, e chiude gli occhi cercando di calmarsi. Non è sicura che la consapevolezza di non avere colpa la possa aiutare. Ciò che ha subito è stato talmente orribile, talmente indescrivibile che sapere che potrebbe capitare a chiunque, che potrebbe capitarle ancora la riporta nel vortice di disperazione da cui sta tentando con tutte le sue forze di uscire. Ambra non è una sciocca, sa che questo è capitato a infinite donne prima di lei, ma non era mai successo a nessuna delle sue conoscenti e, seppur indignata, si era sempre ritenuta estranea alla vicenda.

Getta la pallina di carta che aveva stretto tra le mani contro il muro, esausta. Ormai le lacrime sono finite, ma il dolore permane. Si solleva e appoggia le mani sul bordo del lavandino per sostenersi, insicura sulle gambe deboli. Non ha il coraggio di alzare lo sguardo per vedere il suo riflesso sullo specchio. Non sa cosa ci troverà, ma è certa che non sarà un’immagine positiva. Apre il rubinetto dell’acqua fredda e vi allunga esitante le braccia. Si morde il labbro già martoriato quando il getto le colpisce i polsi che portano ancora il segno della sua stretta.

« Ho subito… » tentenna, incapace di terminare la frase. Ricorda di aver letto da qualche parte che per superare un trauma è necessario accettare che sia successo. Prova a dire ad alta voce ciò che pensa, tenta di dare un nome a ciò che le è capitato ma non ci riesce. Conosce quella parola, risuona forte nella sua mente, ma pronunciarla è troppo difficile. Non è sicura di essere pronta ad accettarlo, non ancora. È successo davvero? Non è possibile che sia stato solo un orribile incubo? « No » mormora, guardandosi le braccia livide. Non è stato un incubo. Era la realtà.

« Io… » la sua voce si blocca quando Ambra alza gli occhi e si vede nello specchio. No, quella persona non è lei. Non può essere lei. Ha un aspetto devastato. Il viso è sporco di trucco colato per via delle lacrime, ma non è questo che la colpisce così tanto. È lo zigomo tumido, gonfio e violaceo. Lo tocca con la punta delle dita, sconvolta. Il loro lieve passaggio lascia scie infuocate di dolore, rabbia e vergogna. Vergogna ingiustificata ma incancellabile. Perché mi sento così? Sa che non dovrebbe provare quel sentimento, ma per qualche motivo non riesce a scacciarlo.

L’acqua mista a sapone brucia mentre si lava delicatamente il viso. Ambra si morde l’interno delle labbra per non lasciar scappare un gemito di dolore mentre continua quell’operazione. Vorrebbe lavar via tutta la pelle che ha sul corpo, tutto ciò che lui ha toccato, ma l’unica cosa che può fare in quel momento è togliere il trucco che, lo sa, sta ancora nascondendo parte di quel livido che vede diventare più angosciante di secondo in secondo. Si tampona il volto con l’asciugamano, lasciando macchie nere dove non è riuscita a togliere il mascara. Con un respiro profondo, rialza gli occhi.

« Mi hanno stuprata » sussurra, fissando l’immagine rovinata della donna che era e che sente di non essere più. Era bella, forte, sicura di sé, sempre con il sorriso sulle labbra. « Mi hanno stuprata » ripete, un po’ più forte, osservando ciò che è rimasto di lei. Una figura distrutta, tremante, che lotta anche solo per guardare se stessa nello specchio. Una lacrima scende sulla sua guancia e lei la spazza via, veloce. Ripete il movimento ancora e ancora, mentre altre stille della sua anima escono dai suoi occhi. Pensava di aver esaurito le lacrime, ma la sofferenza sembra crescere senza fermarsi.

« Non ce la faccio più » mormora, sfinita, tornando a sedersi e appoggiando il capo contro il muro alle sue spalle. Non ce la faccio più. A pensare. A ricordare. A piangere. A lottare. A guardarmi allo specchio. A vivere. Sente le forze venirle meno e accoglie grata l’oblio che sente scendere pian piano nella sua mente. Non vuole più pensare o provare nulla. Ha bisogno di una pausa da tutto e da tutti, senza sogni né incubi. Chiude gli occhi e prova a rilassare i muscoli tesi, invano. Quasi senza accorgersene, però, ha smesso di piangere. Finalmente, l’agognato buio arriva.

Occhi verdi la fissano con cattiveria, con malizia. Occhi piccoli e stretti, malvagi. Occhi verde-azzurro, occhi color ghiaccio, pronti a ferirla, senza rimorso. Occhi nascosti da un battito di palpebre, occhi che riemergono di un intenso color nocciola; potrebbero essere belli, forse, se non avessero un’espressione tanto pericolosa. Occhi neri, senza fondo, senza anima. Occhi rossi, inumani. Gli occhi del Male. Occhi confusi, che vorticano davanti a lei, che non riesce a identificare. A chi appartengono? A quale nome rispondono? Non ricorda, non lo sa, forse non l’ha mai saputo. L’unica cosa certa è che sono gli occhi di lui.

« Puttana, stai zitta! » Una voce roca le risuona nelle orecchie mentre torna in sé. Ambra spalanca all’improvviso gli occhi, spaventata, terrorizzata. Si guarda intorno, nonostante la debolezza le faccia girare la testa, tanto che deve allungare una mano e afferrare il bordo del lavandino per non perdere il suo precario equilibrio. Non c’è nessuno. Era solamente un ricordo. Un ricordo fisicamente doloroso, tremendamente vivido e reale. Si sente invasa dal panico, tutta la calma acquisita prima del risveglio è scemata in un attimo. L’idea di uscire da quella stanza, di lasciare quello che ora sembra essere l’unico luogo sicuro, l’atterrisce.

Quanto tempo passerà prima che riesca a riprendersi, a tornare se stessa? Ci riuscirà mai davvero? In questo momento sembra impossibile. Tornare a sorridere, ad avere fiducia nel mondo, a non cercare di ridurre al minimo ogni pericolo… La mia vecchia vita è finita. Il suo futuro non è come se lo aspettava fino a poche ore prima, ora è totalmente mutato e non c’è modo di recuperarlo. Anche se potesse un giorno svegliarsi felice, sicura, senza timori, quest’esperienza sarà sempre alla base della sua esistenza. Il mondo ora è diverso. La sua fede nell’umanità si è spezzata. Per sempre.

Ridere è ormai diventato impossibile. Ambra cerca di formare un sorriso; è un’azione fisicamente dolorosa ma che tenta comunque, nella speranza di superare, almeno esteriormente, ciò che le è successo. Sa che anche se riuscisse a sorridere non cambierebbe niente. La sofferenza, la tristezza e il disgusto rimarrebbero. Ma almeno potrebbe dire con certezza di avere ancora il controllo del suo corpo, potrebbe affermare che, nonostante tutto, è ancora padrona di sé. Pian piano riesce a sollevare gli angoli delle labbra e, soddisfatta, si guarda allo specchio. In un attimo, non appena vede i suoi occhi spenti, ripiomba nella malinconia.

Stanca nonostante abbia recuperato i sensi da poco, si appoggia di schiena alla porta e chiude gli occhi. Devo andarmene da qui. Prima o poi dovrò farlo. Posa le mani a palmo aperto contro la superficie liscia e fresca, cercando la forza di afferrare la maniglia e uscire dalla stanza. E se fosse tornato? Il pensiero che, una volta fuori, possa trovarsi davanti a lui o a qualsiasi altro estraneo le impedisce di muoversi. Non è sicura che ci sia qualcuno con cui si sentirebbe al sicuro; non può nemmeno chiamare la sua famiglia, non ha il telefono con sé.

Trova il coraggio dentro di te. Ambra si guarda intorno, cercando qualsiasi cosa possa essere utilizzata come un’arma: con essa tra le mani, così da poter almeno tentare di difendersi, potrebbe uscire. Trova un paio di forbici nella valigetta di primo soccorso e, sebbene non siano molto grandi, queste le infondono forza. Le stringe tra le dita e, la mano pronta a colpire, torna a posarsi contro la porta. Questa volta si prepara a girare di scatto la chiave e spiare al di fuori della stanza; le servirà solo un istante per tornare a richiudervisi dentro, in caso di necessità.

Un rumore di passi le giunge alle orecchie e lei richiude immediatamente la porta semiaperta, facendo attenzione a non farla sbattere per non rivelare la sua presenza. Gira la chiave e fa due passi indietro, andando a finire contro il lavandino. Impugna meglio le forbici e tiene gli occhi fissi sulla maniglia, in posizione di difesa, ma il suo corpo sta tremando, è terrorizzata. È tornato qui. Non riesce più a sentire nulla, non sa se lui si stia muovendo, se la stia cercando, se sia uscito o se sia in silenzio a pochi metri da lei. Non posso muovermi.

Volge lo sguardo alla finestra, alla ricerca di una via di fuga. È troppo alta perché possa riuscire a raggiungerla e, anche se fosse in grado di trovare un supporto per facilitarsi la scalata, non potrebbe mai toccare terra all’esterno senza rompersi almeno una gamba. Potrebbe valerne la pena… La sua attenzione torna ai passi che ora sono nuovamente udibili e che, ne è quasi certa, si stanno avvicinando alla porta del bagno. Cosa faccio? Osserva la stanza, disperata, senza speranze. Non può andarsene, non può proteggersi, non può fare nulla per salvarsi. Poi una voce: « Ambra? Sei qui dentro? »

Zitta, per un istante pensa di esserselo immaginata. Il sollievo all’udire una voce familiare è talmente grande che crede di essere sul punto di svenire. Non è lui. Non è qui. Le lacrime riprendono a scendere dai suoi occhi, ma questa volte sono di gioia. Sono il segno che è ancora viva, che non è più in pericolo. Apre la porta, tremante, e incontra due occhi conosciuti e protettivi. Apre le labbra per parlare ma si rende conto che non ne ha bisogno. Cerca nel suo abbraccio la forza di lottare, perché sa che la sua battaglia è appena iniziata.






   
 
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