D’un tratto ti volti e mi guardi, non me lo aspettavo proprio, mi cogli di sorpresa, non faccio in tempo a fingere indifferenza, non riesco a spostare lo sguardo altrove, per risponderti con qualche constatazione retorica sulla luna, le stelle o la bellezza dei fiori del prato, tu te ne sei accorta, forse, o forse no, magari è solo una mia proiezione, sei troppo sopraffatta dal pensare ad altro –a Quell’Altro- per accorgerti che ti stessi guardando, che stessi contemplandoti. Ho comunque l’impressione che ti sia sentita guardata e che abbia finto di non cogliere, perché non è mai conveniente intraprendere un discorso che in fondo si sa dove potrebbe andare a parare, e che si sa già di non voler affrontare, non so se siano solo mie fantasie, lasciamelo credere, lasciami credere che mi vedi ancora e che in qualche modo ti turbo anche se non sai bene per quale motivo. Con il volto di tre quarti mi sorridi e abbassi gli occhi, ti schernisci, l’intimità ti spaventa, io lo so e per toglierti dall’imbarazzo scimmiotto un inchino con tanto di levata di cappello, e la butto sul ridere: -Bonsoire Madame, c’è la luna a quanto pare! e tu ridi, ridi di gusto, per un momento scompare perfino quel sorriso triste dalla tua fronte, ridi di gusto si vede dagli occhi increspati agli angoli: -Sempre il solito scemo, Monsieur Grandier! riecheggi, “Sempre stupenda, Madame Grandier!” penso, lungi dal dirtelo sorrido e sfumo via via da quel personaggio che avevo inscenato per salvarti da te stessa, da quel sentirsi visti e scoperti che tanto temi quando tolta la divisa che tanto ti fa sentire protetta rimani indifesa e vulnerabile come una tartaruga a cui è stato strappato il guscio. E allora arrivo io, la tua casa, il tuo guscio, il tuo amico, in tuo confidente, la tua ombra e se tu lo volessi, il tuo uomo, il tuo amante, le spalle alle quali appoggiarsi, l’aria da respirare, ma tu non vuoi tutto questo, non puoi volerlo, e così io farò tutto per due, anche amarti come tu non t’ami, sarò tutto quello che tu non saprai essere, perché mi sei necessaria come ad un pesce l’acqua. Mi guardi con quegli occhi da sottinsù, e sorridi timidamente, a me manca un battito, o forse mi manca tutto il cuore che ormai è tuo, non lo so più nemmeno io quale sia il rapporto dialettico tra noi. Sembri una bambina quando fai così ed io ti abbraccerei fortissimo, solo questo vorrei, abbracciarti e respirarti i capelli, infilarci una mano magari e continuare a respirarli, ma non lo faccio, resto come sempre a guardarti innamorato ed eccitato come un ragazzino ed il cuore che accelera il suo ritmo.
-André, è tardi, sarà meglio tornare, tua nonna starà già gridando allo scandalo non vedendoci ancora a casa a quest’ora senza un motivo di servizio, e poi domani sarà una lunga giornata, sarà meglio riposare.
- Sì, Oscar, hai ragione, andiamo! Così ti rispondo faticando non poco nel sembrare impassibile mentre un vortice mi turbina dentro, sciolgo le briglie di Caesar, te le porgo e ti aiuto a montare, un ultimo sguardo da ladro indecente al tuo corpo magnifico, e poi torno in me, o per meglio dire esco da me facendo l’automa, dopo slego anche le briglie del mio di cavallo e vi monto distratto.
-Grazie André, e grazie per la bella serata, dovremmo tornare più spesso in questo posto straordinario nella sua semplicità, mi dà tanta pace.
-Certo, Oscar, quando vuoi, anche a me dà tante sensazioni –che non somigliano alla pace, penso- su, andiamo!
Ti seguo silente mentre mi precedi al passo, forse anche a te dispiace interrompere l’incantesimo di questo luogo, così scegli un’andatura molle che procrastini il più possibile il ritorno in te, al tuo ruolo, alla tua corazza.
La luna ci segue imperiosa e muta, la tua pelle appare ancora più alabastrina ed io il tuo disperato servo.
Cipria