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Autore: Cipria    03/08/2015    9 recensioni
" Ti osservo, e penso che tu non lo sai cosa sei, ti osservo e penso che ti vorrei, ti osservo e penso che non ti avrò mai"
Fanfiction di carattere introspettivo dal punto di vista di André, sono presenti pochissimi dialoghi, è quasi un flusso di coscienza mentre in riva al lago lui è insieme ad Oscar, non ho stabilito un momento esatto delle loro vicende biografiche, si intuisce solo che sia già in scena Fersen perché André solleva in sé il dubbio che lei lo stia pensando, ma non ho indicato esattamente a che punto dell'anime.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La luna e il suo lago La luna stasera è opulenta, una perla luminosa e perfetta che si tuffa nelle acque del lago, si tuffa e pure resta lì, distante chissà quanto da noi,  il paradosso è credere di poterla toccare sullo specchio dell’acqua, ma se provi ad allungare una mano a sfiorarne il pelo, partono una serie di cerchi concentrici che la fanno sparire, come te accanto a me, vicinissima, ma al contempo distante da me, perfino distante da te stessa, che se ti sfioro, lo so, sparisci… Ti osservo, sei di profilo, i capelli sciolti, biondi, lunghissimi, superba la linea che va dalla fronte al mento e poi continua giù per il collo, lungo, lunghissimo, peccaminoso. Sei in borghese, i tuoi soliti pantaloni di fustagno marrone a fasciare lunghe gambe nervose, da gazzella, e una semplice camicia bianca, identica alla mia, solo un po’ più piccola, ed in questo momento pericolosamente accattivante, non so se in te viva un qualche barlume di vanità, o semplicemente tu sia noncurante di questi dettagli; hai tolto le fasce, hai il seno piccolo, piccolissimo, forse per questo non ti curi dei bottoni fuori dalle asole all’altezza del torace, eppure per quanto sia minuscolo io lo trovo bellissimo, ed incredibilmente minaccioso stasera. Respiri tranquilla con movimenti regolari, su e giù, come in un leggero fluttuare di ali di farfalla, io non posso fare a meno di notare la meraviglia del tuo essere donna, la poesia di quelli che alla brezza serale posso chiaramente intuire essere i capezzoli inturgiditi. Ti osservo, e penso che tu non lo sai cosa sei, ti osservo e penso che ti vorrei, ti osservo e penso che non ti avrò mai, e così mi vergogno a pensare a tutte quelle sere passate in osteria in cui dopo qualche bicchiere di vino di troppo, mi perdo tra le grazie di qualche signora compiacente, tra le sue braccia accoglienti, tra le cui cosce c’è spazio per me, tra i suoi seni morbidi e invitanti, sulle sue labbra succose. È sempre una donna diversa, ed è sempre diversa da te; sono in genere tutte rubiconde, carnose, morbide, belle, e sono contento siano così distanti dalla tua fisicità asciutta, dai tuoi fianchi stretti e dal tuo seno infantile, mi sembra di non farti torto, mi sembra di non far torto all’amore che ti porto dentro, perché tu sei altro, sei fuori dal competere con loro, sei proprio di un’altra categoria. Poi però mi vergogno lo stesso, anche se non stiamo insieme, se non altro perché tu neanche mi vedi come uomo, alle volte dubito che mi veda in generale, ma a questo non voglio pensarci, perché significherebbe non farsi bastare la nostra “amicizia”. Io in cuor mio ti ho giurato fedeltà, mi pare di mancarti di rispetto, ma in fondo sono un uomo ed ho una carne che brucia e tra quelle cosce aperte, che pago, mi sento per un po’ pacificato, ma dura poco, il tempo di tornare dall’oblio dei sensi e la febbre di te mi torna potente, mi toglie il respiro, mi risucchia la vita. Sei bella stasera, bella e pensierosa, hai una ruga orizzontale che ti percorre la fronte come un sorriso triste, come sempre, come sempre più spesso accade, vorrei esserti dentro la testa per sapere a cosa pensi, e poi penso che forse no, forse non mi conviene, forse così posso seguitare a coltivare l’illusione che un giorno potrà esserci un “noi”, che potremo urlarlo al mondo senza che nessuno si scomponga pensando al ceto tanto diverso.
D’un tratto ti volti e mi guardi, non me lo aspettavo proprio, mi cogli di sorpresa, non faccio in tempo a fingere indifferenza, non riesco a spostare lo sguardo altrove, per risponderti con qualche constatazione retorica sulla luna, le stelle o la bellezza dei fiori del prato, tu te ne sei accorta, forse, o forse no, magari è solo una mia proiezione, sei troppo sopraffatta dal pensare ad altro –a Quell’Altro- per accorgerti che ti stessi guardando, che stessi contemplandoti. Ho comunque l’impressione che ti sia sentita guardata e che abbia finto di non cogliere, perché non è mai conveniente intraprendere un discorso che in fondo si sa dove potrebbe andare a parare, e che si sa già di non voler affrontare, non so se siano solo mie fantasie, lasciamelo credere, lasciami credere che mi vedi ancora e che in qualche modo ti turbo anche se non sai bene per quale motivo. Con il volto di tre quarti mi sorridi e abbassi gli occhi, ti schernisci, l’intimità ti spaventa, io lo so e per toglierti dall’imbarazzo scimmiotto un inchino con tanto di levata di cappello, e la butto sul ridere: -Bonsoire Madame, c’è la luna a quanto pare! e tu ridi, ridi di gusto, per un momento scompare perfino quel sorriso triste dalla tua fronte, ridi di gusto si vede dagli occhi increspati agli angoli: -Sempre il solito scemo, Monsieur Grandier! riecheggi, “Sempre stupenda, Madame Grandier!” penso, lungi dal dirtelo sorrido e sfumo via via da quel personaggio che avevo inscenato per salvarti da te stessa, da quel sentirsi visti e scoperti che tanto temi quando tolta la divisa che tanto ti fa sentire protetta rimani indifesa e vulnerabile come una tartaruga a cui è stato strappato il guscio. E allora arrivo io, la tua casa, il tuo guscio, il tuo amico, in tuo confidente, la tua ombra e se tu lo volessi, il tuo uomo, il tuo amante, le spalle alle quali appoggiarsi, l’aria da respirare, ma tu non vuoi tutto questo, non puoi volerlo, e così io farò tutto per due, anche amarti come tu non t’ami, sarò tutto quello che tu non saprai essere, perché mi sei necessaria come ad un pesce l’acqua. Mi guardi con quegli occhi da sottinsù, e sorridi timidamente, a me manca un battito, o forse mi manca tutto il cuore che ormai è tuo, non lo so più nemmeno io quale sia il rapporto dialettico tra noi. Sembri una bambina quando fai così ed io ti abbraccerei fortissimo, solo questo vorrei, abbracciarti e respirarti i capelli, infilarci una mano magari e continuare a respirarli, ma non lo faccio, resto come sempre a guardarti innamorato ed eccitato come un ragazzino ed il cuore che accelera il suo ritmo.
 -André, è tardi, sarà meglio tornare, tua nonna starà già gridando allo scandalo non vedendoci ancora a casa a quest’ora senza un motivo  di servizio, e poi domani sarà una lunga giornata, sarà meglio riposare.
 - Sì, Oscar, hai ragione, andiamo! Così ti rispondo faticando non poco nel sembrare impassibile mentre un vortice mi turbina dentro, sciolgo le  briglie di Caesar, te le porgo e ti aiuto a montare, un ultimo sguardo da ladro indecente al tuo corpo magnifico, e poi torno in me, o per meglio dire esco da me facendo l’automa, dopo slego anche le briglie del mio di cavallo e vi monto distratto.
-Grazie André, e grazie per la bella serata, dovremmo tornare più spesso in questo posto straordinario nella sua semplicità, mi dà tanta pace.
-Certo, Oscar, quando vuoi, anche a me dà tante sensazioni –che non somigliano alla pace, penso- su, andiamo!
Ti seguo silente mentre mi precedi al passo, forse anche a te dispiace interrompere l’incantesimo di questo luogo, così scegli un’andatura molle che procrastini il più possibile il ritorno in te, al tuo ruolo, alla tua corazza.
La luna ci segue imperiosa e muta, la tua pelle appare ancora più alabastrina ed io il tuo disperato servo.
 
Cipria
   
 
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