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Autore: Lizhp    03/08/2015    4 recensioni
Prima o poi qualcosa o qualcuno avrebbe arrestato anche la sua caduta.
Strinse più forte il foglio che teneva tra le mani, spiegazzandolo con la sua stretta: quello non sarebbe dovuto cadere.
Lo osservò ancora una volta:
“Cold
Drunk
Tired
Dry
Lost”
Così come le gocce del cielo avevano sbavato le parole sulla sua mano, una singola lacrima silenziosa scivolò senza che lui se ne rendesse conto sulla sua guancia, per poi terminare la sua caduta sul foglio, direttamente sull’inchiostro nero
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Dermanis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il buio.
Solo questo riusciva a percepire intorno a sé.
La notte, che di solito era la sua ancora di salvataggio, in quel momento lo stava trascinando a fondo.
Spesso le ore buie della giornata portavano con sé l’ispirazione, quella notte invece solo abbattimento.
Incespicando nello zerbino, attraversò la porta della casa che aveva affittato a Los Angeles, città in cui si era ritirato per non sapeva esattamente quanto tempo a comporre canzoni per il suo nuovo album.
Appena varcò la soglia, lasciò che il suo fisico avesse la meglio: assecondando la fragilità che sembrava aver colpito i suoi arti inferiori, si accasciò a terra, prendendosi il volto tra le mani e respirando profondamente.
Fu invaso dalle stesse sensazioni che lo avevano brutalmente travolto circa quindici anni prima, in una notte molto simile a quella per diversi aspetti.
In entrambi i casi si era ritrovato solo in compagnia di una gelida notte, privo di forze per affrontarla con coraggio.
A distanza di quindici anni si trovava di nuovo seduto su un freddo pavimento, con la mente confusa e il freddo che dall’esterno sembrava essere entrato anche dentro di lui.
Il pianoforte che aveva affittato pareva scrutarlo da un angolo della sala, ma Mika non aveva il coraggio di avvicinarsi, preoccupato di quello che avrebbe potuto creare in una notte simile.
Rimase seduto con la schiena appoggiata alla porta e chiuse gli occhi, ripensando a quando aveva solo sedici anni, a quando era un ragazzo un po’ fuori dalla norma, un po’ stravagante, e per questo fuori posto, ovunque andasse.
 



Forse aveva esagerato a passare la giornata in quel modo.
Intorno a lui tutto sembrava muoversi pericolosamente e non riusciva a fare un passo senza sbandare sulle sue stesse gambe.
Era solo ed era bagnato dalla testa ai piedi.
Faceva freddo, tanto che era continuamente scosso da fastidiosi brividi in tutto il corpo; i denti battevano, senza che lui riuscisse a fermarli.
La pioggia ora si era placata, ma aveva fatto in tempo ad inzupparlo, in netto contrasto a come si sentiva lui dentro: completamente asciutto, prosciugato.
Arido.
Non avrebbe saputo definire quella giornata in altro modo, se non con la parola infernale.
Si sentiva stanco e arrabbiato col mondo.
Sedici anni non erano stati sufficienti per farlo sentire a  proprio agio all’interno di quelle quattro mura in cui, in teoria, avrebbe dovuto imparare qualcosa.
Quando aveva nove anni, suo padre l’aveva allontanato da quell’aula che a volte ancora perseguitava i suoi incubi; ora che ne aveva sedici i problemi sembravano essere cambiati, ma comunque non erano spariti.
Entrare a scuola significava ancora essere additato.
Quel giorno si era nascosto per tutto il tempo, sfuggendo agli sguardi dei suoi compagni; era così stanco di dover sempre subire occhiatacce e parole sussurrate alle sue spalle, non aveva avuto nemmeno il coraggio di ignorarli come era solito fare.
Semplicemente si era nascosto, a riflettere sul perché tutto questo succedesse proprio a lui: non aveva trovato risposta, come sempre.
Mentre fingeva di sparire dal mondo, nascosto nello sgabuzzino della scuola, solo poche parole gli erano saltate in mente e le aveva appuntate sul palmo della sua mano, una sotto l’altra.
“Dry”
“Cold”
“Tired”
“Running away”
Finita la scuola era corso fuori dai cancelli prima che qualcuno avesse potuto vederlo, aveva scritto un messaggio a sua mamma dicendole che sarebbe andato da un amico a studiare e poi a cena, invece si era incamminato per le vie di Londra, solo.
Ogni tanto lo sguardo gli cadeva sulle parole che ora risaltavano in inchiostro nero nel palmo della sua mano sinistra e un sospiro prendeva vita dalle sue labbra.
A quello era destinato?
Si era rinchiuso per qualche ora in un piccolo pub nella periferia di Londra, in cui però non aveva mangiato nulla: anche la fame lo aveva abbandonato, così come la voglia di lottare per uscire da quella situazione.
Quando finalmente aveva deciso di tornare a casa, aveva raggiunto la porta del locale e, come se avesse voluto allinearsi al suo stato d’animo, il cielo aveva permesso alla pioggia di iniziare a martellare insistentemente sulla sua testa.
Con uno sbuffo, Mika aveva iniziato ad incamminarsi verso casa, barcollando sulle sue stesse gambe: forse avrebbe dovuto mangiare qualcosa. Si sentiva un po’ come se fosse ubriaco, come se tutte le sue forze gli fossero state strappate da qualcosa molto più grande e potente di lui.
Quando giunse a casa, non andò subito nella sua stanza, ben consapevole che avrebbe trovato suo fratello di soli sette anni.
Si chiuse nella cantina, raggiungibile oltrepassando una porta a lato delle scale. Quando scese anche l’ultimo gradino, si sedette a terra, stremato.
Di nuovo, gli occhi corsero al suo palmo sinistro, su cui ormai l’inchiostro mostrava evidenti sbavature causate dalle gocce della pioggia; avrebbe preso a pugni qualsiasi cosa in quel momento.
Il ricordo di quella giornata vissuta nell’ombra non faceva altro che aumentare la sua rabbia nei confronti di ciò che la vita gli aveva riservato fino a quel momento.
Era seduto sul pavimento, appoggiato al muro, eppure gli sembrava di essere stato catapultato in uno di quei sogni in cui si cade, si cade e basta, con il peso di tutti i problemi sulle spalle.
Era una sensazione che ormai lo accompagnava in tutte le sue giornate scolastiche, rendendole opache, e che aveva deciso di torturarlo anche quella notte.
Mika si alzò di scatto da terra, avvicinandosi agli imponenti scaffali che ricoprivano la parete della cantina di fronte a lui. Strappò un foglio a caso da un vecchio libro ormai dimenticato da tutti e tornò a sedersi a terra, dove il pavimento era macchiato da una chiazza d’acqua, che il ragazzo aveva lasciato poco prima.
Chinò la testa sul foglio, tirando indietro i ricci lunghi e umidi affinché non gli finissero negli occhi.
Si rese conto che si stava nascondendo anche in quel momento, a casa, l’unico posto in cui poteva essere se stesso in tutto e per tutto.
Eppure restava nell’ombra anche lì.
Ricopiò sul foglio le parole che erano scritte sul palmo della sua mano, mentre la sua mente iniziava a lavorare, veloce come mai prima di allora.
 
“Over my shoulder,
running away.
Feels like I’m falling,
loosing my way”
 
“Cold and dry
Cold and dry”
 
Scrisse queste ultime due parole staccate rispetto all’altra strofa, al centro del foglio bianco. Voleva che risaltassero: non servivano frasi articolate, in quel momento era sufficiente la forza intrinseca di ogni singola parola, ancora più forte ora che era stata messa nero su bianco.
 
“Fog out my daylight,
torture my night,
Feels like I'm falling,
far out of sight”
 
Rilesse le ultime due righe: non aveva potuto fare a meno di riscrivere di quella sensazione di cadere nel vuoto, anche se questa volta l’aveva fatto calcando il tratto, tanto che il puntino sulla “i” di “falling” era ora un piccolo buco che si era fatto spazio sulla carta bianca e aveva permesso alla biro di raggiungere dolorosamente la gamba di Mika.
Con l’ultima frase raccontò invece la sua giornata: lontano dalla vista, nell’ombra, nascosto.
Solo parole vagavano nella sua mente e per lui erano talmente adatte ed esplicative del suo stato d’animo che, di nuovo, non si sforzò di inserirle in una frase.
Sparse, attorno alle due strofe che aveva scritto, aggiunse solamente:
 
“Drunk”
“Lost”
 
Nell’angolino in basso a destra del foglio, come se quelle parole fossero cadute insieme a lui, le riscrisse.
 
“Cold,
Drunk
Cold and drunk”
 
Non c’era bisogno di aggiungere altro.
La biro cadde dalla sua mano, sbattendo contro in pavimento e rotolando su di esso per un secondo, fino a fermarsi contro uno scatolone abbandonato lì accanto.
Mika la osservò per qualche secondo, riflettendo sul fatto che prima o poi la caduta di qualcosa veniva sempre bloccata da qualcos’altro; solo nei sogni si poteva cadere all’infinito e lui forse avrebbe solo dovuto avere pazienza.
Prima o poi qualcosa o qualcuno avrebbe arrestato anche la sua caduta.
Strinse più forte il foglio che teneva tra le mani, spiegazzandolo con la sua stretta: quello non sarebbe dovuto cadere.
Lo osservò ancora una volta:
 
“Cold
Drunk
Tired
Dry
Lost”
 
Così come le gocce del cielo avevano sbavato le parole sulla sua mano, una singola lacrima silenziosa scivolò senza che lui se ne rendesse conto sulla sua guancia, per poi terminare la sua caduta sul foglio, direttamente sull’inchiostro nero; ecco un’altra cosa la cui scivolata era stata bloccata.
Mika si passò una mano sulla guancia, mettendo lui fine alla caduta di quelle lacrime, e si alzò di scatto: non poteva porre fine a quella sua sensazione di precipitare, ma poteva almeno mettere il punto finale a quella giornata, così come aveva fatto sì che la caduta delle lacrime dai suoi occhi terminasse.
Piegò con cura il foglio per poi abbandonare il suo nascondiglio e dirigersi in camera sua.


 
 
Fu strano ricordare quella giornata fuori dal mondo quando ormai di anni ne aveva trentuno e molte cose era riuscito a superarle, a non portarle più sulle spalle, ma bensì a lasciarsele alle spalle.
Eppure le sensazioni che provava quella sera erano molto simili a quelle che lo avevano invaso quando aveva scritto Over My Shoulder.
Si sentiva stanco.
Ripercorrendo il giorno appena trascorso a Los Angeles, non riusciva a trovarne una ragione in particolare; certe giornate erano semplicemente più difficili di altre, eppure, anche se un motivo non c’era, pesavano nello stesso identico modo di quella giornata di molti anni fa.
Forse non avrebbe dovuto allontanarsi da casa per così tanto tempo, anche se doveva scrivere canzoni.
Si sentiva fragile, pronto a infrangersi in mille pezzi da un momento all’altro.
Era di nuovo solo in quella casa, ancora nascosto dal mondo, ancora immerso nel buio della notte, ancora circondato da un rigido e penetrante freddo.
Il pianoforte attirò di nuovo la sua attenzione, ma non si sentiva in grado di premere sui suoi tasti in quel momento.
Si alzò e recuperò un foglio e una biro, per poi tornare a sedersi a terra, contro la fredda parete di una casa che non poteva davvero percepire come tale; non era la sua.
Iniziò a scrivere frettolosamente, lasciandosi guidare come sempre da quella forza invisibile che aveva la meglio su di lui ogni volta che una nuova canzone prendeva vita. Ripensò alla sensazione di debolezza che aveva provato rientrando in casa, quando si era lasciato cadere sul pavimento.
 
“It’s hard to breathe
My knees are weak
It’s a cold bath
And i can’t feel my feet”

 
Si fermò per qualche secondo, ripensando anche a Over My Shoulder; non si sentiva cadere in quel momento, ma si sentiva talmente fragile da potersi rompere anche con un solo soffio.
 
“Porcelain
It’s the state that I’m in
Hold me carefully
Just one breath could shatter me”
 
Era troppo lontano da colui che avrebbe potuto stringerlo tra le braccia e assicurargli che non si sarebbe frantumato. Un intero oceano li separava inesorabilmente, così mentre uno era accasciato sul pavimento a riversare i suoi tormenti su un foglio di carta, l’altro probabilmente in quel momento stava preparando il pranzo.
Anche per questo forse si sentiva così solo quella notte: lui non poteva nemmeno lontanamente immaginare che Mika alle quattro di mattina non stesse dormendo, ma stesse lentamente scivolando su quel pavimento su cui aveva deciso di sedersi, spinto da pensieri troppo pesanti per lui, innescati da una giornata faticosa e da dolorosi ricordi adolescenziali.
 
“‘Cause you and I
Were one of a kind
Unbreakable
How was I supposed to find
Out that I’d crumble”

 
Mika si rese conto che la sensazione di cadere provata quindici anni prima era ben diversa da quella di frantumarsi in mille pezzettini; cadere significava sentirsi gettati nel vuoto, spinti da una forza invisibile che pressa fino a che non si è  terra. Frantumarsi invece significava perdere parti di sé, parti che si spezzano, anche per un motivo che alla maggior parte delle persone può sembrare stupido, che però scatena dentro un urlo potentissimo.
Come quando si tiene tra le mani qualcosa di molto semplice e apparentemente insignificante, come un pezzo di carta, ma lo si fa con poca attenzione, allora il bordo lascia un taglio sul dito e quel taglio non è affatto insignificante, perché pulsa, sanguina e fa male.
Qualsiasi cosa sentisse Mika in quel momento, qualsiasi cosa l’avesse provocata, anche la più stupida del mondo, faceva male.  
 
“It’s a small cry
That is screaming inside
It’s a paper cut
That is bleeding me dry”

 
La sensazione di vuoto interiore non era cambiata, anzi, sembrava fosse tornata quindici anni dopo, con la stessa intensità.
Non riuscendo a rileggere quelle parole, Mika appoggiò il foglio sul pavimento, con il testo rivolto verso il basso e fece un respiro profondo.
Aprì gli occhi e si precipitò in camera a prendere la sua valigia, iniziando a riempirla.
Non aveva più sedici anni e ora aveva intorno a sé le persone giuste, che avrebbero potuto aiutarlo.
Non doveva più nascondersi; forse avrebbe dovuto mostrarsi anche e soprattutto in questo suo momento di fragilità. Anni prima aveva trovato la persona in grado non solo di fermare la sua caduta, ma anche di prenderlo per mano e rimetterlo in piedi, spingendolo a lottare per realizzare i propri sogni.
Sapeva che quella persona era la stessa che avrebbe potuto scacciare anche quella sensazione di fragilità e quella paura di rompersi in mille pezzi.
Mentre continuava a fare la valigia, chiamò un taxi.
Quando terminò, si infilò la giacca e trascinò il bagaglio fino alla porta di casa, mentre il pollice della sua mano destra scorreva rapido sullo schermo del cellulare.
Osservò le quattro lettere che componevano il nome della sua metà e inviò un unico, semplice, messaggio:
 
“Torno a casa”.
 
 


Ma buooooongiorno :D
Allora, chiariamo subito che ho cambiato nick ma sono sempre io (Mikafreak12).. così  mi è più comodo, adesso ho il nick uguale ovunque :P

Pooooi. 
Sono riapparsa presto questa volta, rispetto all'ultima OS, ma mi è venuto da scrivere anche quest'altra cosa, quindi la condivido con voi.
In realtà tutto questo arriva da una cosa un po' strana: non sono mai riuscita ad ascoltare troppo Over My Shoulder (mi lasciava sensazioni strane), nonostante ne apprezzassi testo e significato. Qualche sera fa invece, non so per quale motivo, sono riuscita, finalmente, ad assimilare anche questa canzone (che è ben diverso da apprezzare, nel senso che finalmente sono riuscita a sentirla un po' "mia"). Quando si dice ad ognuno il suo tempo...
A forza di ascoltarla e riascoltarla (è diventata un'ossessione) mi è balenata in mente questa idea. 
Poi LoveMika (che ringrazio) mi ha ricordato che Mika parlava di Over My Shoulder nel track by track per No Place In Heaven, dicendo che Porcelain l'ha scritta in una situazione simile. 
 Beh, quello che avete letto è stato il risultato.

E niente, se vi va fatemi sapere che ne pensate! 
Alla prossima :)
   
 
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