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Autore: BlackHawk    03/08/2015    1 recensioni
-Non è il posto che fa per te- disse una voce alle sue spalle. Si voltò sorpresa verso l’uomo che le aveva servito da bere, il cui nome le sembrava di aver capito fosse Jet.
-E chi lo dice?- chiese Emma, inarcando un sopracciglio.
-Ti do un consiglio Emma. Finisci la tua birra e vattene da qui.- disse Jet, appoggiandosi al ripiano del lavandino alle sue spalle.
Era a braccia conserte e la fissava intensamente, come a volerle leggere dentro.
-Ho bisogno di un lavoro. Non è facile trovarne uno di questi giorni.- disse Emma, sorpresa che lui avesse sentito la sua conversazione con Kian e l’avesse chiamata per nome.
-Chi è Karen?- chiese lui, dopo un po’.
Emma prese un sorso di birra, sperando che scacciasse il nodo in gola che le si era formato. -Era la mia migliore amica. Lavorava qui. È stata assassinata due anni fa, ma non hanno trovato il colpevole.- rispose Emma, incapace di mascherare la rabbia.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Emma osservò l’insegna al neon del locale e notò che alcune lettere non erano perfettamente illuminate. Serendipity, diceva l’insegna. Rifletté sul significato di quella parola e rise amaramente, pensando all’ironia della sorte. Prese un respiro profondo ed entrò.
Le luci soffuse e la musica assordante riprodotta dalle grandi casse appese alle pareti beige del locale la costrinsero a fermarsi.
Era stata in quel posto una sola volta, molti anni prima, quando la sua migliore amica Karen l’aveva trascinata una sera per locali, decisa ad annegare i suoi dispiaceri nell’alcool.
Si guardò intorno e si accorse che non c’erano molte persone. Diversi tavoli erano vuoti e c’era solo una ballerina sul palco in fondo alla sala, che si muoveva sinuosamente intorno ad un palo.
Distolse lo sguardo disgustata e si diresse al bancone, cercando di scacciare dalla mente il ricordo di Karen che, seduta a quello stesso bancone qualche anno prima, aveva cominciato ad insultare pesantemente ad alta voce  l’uomo che l’aveva licenziata.
 Si sedette su uno sgabello e attese che il barista si accorgesse di lei. Non aveva fretta, ma aveva paura che le cose non andassero come lei aveva previsto.
 -Ti posso offrire qualcosa, tesoro?- chiese una voce accanto a lei. Si voltò lentamente e  vide un uomo calvo di mezza età con una birra in mano.
Non riusciva a sedere in modo dritto sullo sgabello, aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate, perciò Emma ipotizzò che fosse ubriaco.
-No, grazie-rispose secca, rivolgendo la sua attenzione alla fila di liquori disposti su una delle mensole dietro il bancone.
-Bevi con me, dai- insistette l’uomo, toccandole un braccio con la sua mano sudaticcia. Emma si scansò infastidita.
-Ho detto di no- ripeté seccata.
 L’uomo provò a toccarla di nuovo, ma questa volta Emma si alzò dallo sgabello di scatto e lui perse l’equilibrio, cadendo a terra con un tonfo. La bottiglia si ruppe in mille pezzi e la birra si rovesciò sul pavimento.
–Dannazione- imprecò a bassa voce Emma, notando che l’uomo rimaneva disteso a terra. Notò che un buttafuori si stava avvicinando a loro e temette che l’avrebbe esortata ad uscire dal locale.
-Stai bene?- le chiese il buttafuori, un nero corpulento sulla trentina. Emma annuì debolmente e si sentì sollevata quando lui si concentrò sull’uomo che la stava importunando poco prima, ignorando completamente lei.
-Alzati, Tom. Ogni sera la stessa storia…- sentì dire al buttafuori, mentre lei tornava a sedersi sullo sgabello.
Alzò lo sguardò e incrociò un paio di occhi azzurri, freddi come il ghiaccio, che la fissavano insistentemente. Emma si sentì a disagio, ma non distolse lo sguardo.
-Cosa ti porto?- chiese l’uomo cui appartenevano quegli occhi così belli e terribili al tempo stesso. Aveva una voce profonda e il suo tono sembrava seccato.
Emma si schiarì la voce. -Una birra- rispose, cercando di mostrarsi rilassata.
Non poté fare a meno di osservare l’uomo mentre le preparava la birra. Aveva qualche anno più di lei e immaginò che fosse molto alto perché la sovrastava di parecchi centimetri, nonostante lei fosse seduta su uno sgabello non esattamente basso.
Aveva capelli corti e neri, spalle larghe e muscolose e la maglietta a maniche corte che indossa metteva in risalto il suo fisico scolpito. Notò diversi tatuaggi sulle braccia. Alcuni ricordavano motivi tribali, ma la sua attenzione fu attirata da una fascia nera tatuata sull’avambraccio destro.
 –Ecco-  le disse, porgendole la birra e costringendo Emma a distogliere lo sguardo dai suoi tatuaggi.
Prese un sorso di birra e le sembrò che la tensione inziale stesse svanendo a poco a poco, ma era perfettamente consapevole che non avrebbe dovuto abbassare la guardia.
Bevve un altro sorso di birra e lanciò un’occhiata al suo orologio. Erano le undici e mezza e sperava che Kian, il proprietario del Serendipity, fosse già arrivato.
Si voltò verso il barista e gli fece un cenno. Lui servì un ragazzo e  poi si avvicinò lentamente, fissandola con i suoi intensi occhi azzurri.
-Kian è arrivato?- chiese, con voce incerta.
 -Lo conosci?-chiese sospettoso l’uomo.
-Più o meno- rispose Emma, evasiva.
 L’uomo posò entrambi le mani sul bancone e si sporse in avanti, talmente tanto che Emma riusciva a sentire il suo profumo, intenso e speziato.
-Che ci fa una come te qui, a quest’ora?- chiese, fissandola negli occhi.
-Sto cercando Kian- rispose Emma, cercando di apparire decisa.
 -Ehi Jet. Ci provi con le clienti adesso?- chiese una voce che Emma riconobbe all’istante.
Si voltò di scatto e si trovò davanti Kian, nei cui occhi passò un lampo di sorpresa.
-Ciao Kian- lo salutò Emma, notando che non era cambiato di una virgola in quegli anni.
Continuava ad essere un uomo di mezza età, con capelli neri che ora presentavano qualche filo bianco, ma i suoi occhi sembravano stanchi, molto più spenti rispetto a prima.
-Emma. Non mi aspettavo di trovarti qui. Ci sono forse novità su Karen?- chiese, con un tono che Emma non seppe decifrare.
Emma strinse i pugni e si costrinse a mantenere la calma.
 -No. In realtà hanno archiviato il caso stamattina. A quanto pare non c’erano prove né indizi di alcun genere.- rispose, ricordando le parole del detective Keller.
-Mi dispiace Emma. Volevo bene a Karen come ad una figlia.- rispose Kian.
Emma annuì, fingendo di credere alle sue parole. -Sono qui per chiederti un favore. Sono stata licenziata stasera. Ho bisogno di un lavoro.- disse Emma, sperando che lui avesse bisogno di un’altra cameriera.
 -Non è stata una bella giornata, vero?-chiese Kian, in un tono che a lei sembrò dispiaciuto.
-Già.- confermò Emma.
-Beh a quanto pare la storia si ripete. Sei fortunata, Emma. Ho bisogno di una cameriera perché una delle ragazze è al sesto mese di gravidanza e non riesce più a lavorare. Puoi cominciare da domani. Vieni per le sei.- disse Kian, sorridendo.
La storia non si ripeterà, pensò Emma. -Grazie Kian, ti sono davvero molto grata.- lo ringraziò Emma, costringendosi a sorridere. Kian annuì e si allontanò verso il suo ufficio.
-Non è il posto che fa per te- disse una voce alle sue spalle. Si voltò sorpresa verso l’uomo che le aveva servito da bere, il cui nome le sembrava di aver capito fosse Jet.
-E chi lo dice?- chiese Emma, inarcando un sopracciglio.
-Ti do un consiglio Emma. Finisci la tua birra e vattene da qui.- disse Jet, appoggiandosi al ripiano del lavandino alle sue spalle.
Era  a braccia conserte e la fissava intensamente, come a volerle leggere dentro.
-Ho bisogno di un lavoro. Non è facile trovarne uno di questi giorni.- disse Emma, sorpresa che lui avesse sentito la sua conversazione con Kian e l’avesse chiamata per nome
-Chi è Karen?- chiese lui, dopo un po’. Emma prese un sorso di birra, sperando che scacciasse il nodo in gola che le si era formato
. -Era la mia migliore amica. Lavorava qui. È stata assassinata due anni fa, ma non hanno trovato il colpevole.- rispose Emma, incapace di mascherare la rabbia.
 Non solo non era stato identificato l’assassino, ma la polizia aveva deciso di archiviare il caso per mancanza di prove.
I genitori di Karen erano morti quando lei aveva ventuno anni, perciò il commissario Keller aveva convocato lei quella mattina, in quanto unica persona che presentava un forte legame con la vittima.
 Aveva continuato a ripetere quanto fosse dispiaciuto per l’esito delle indagini, ma di fatto aveva respinto la richiesta di Emma di prorogare l’archiviazione del caso all’anno successivo.
Uscita dal distretto aveva rimuginato durante tutto il tragitto che l’avrebbe condotta in ufficio. Lavorava come assistente in uno degli studi legali più prestigiosi di tutta Chicago, dove era stata assunta terminata l’università.
Scoprire la verità sulla morte di Karen era diventata per lei un’ossessione.
Non si sarebbe data pace fin quando non avesse saputo chi fosse stato tanto crudele da strangolare in modo brutale la dolce e gentile Karen.
Emma era convinta che il colpevole lavorasse al Serendipity, dove Karen aveva lavorato per qualche anno prima di essere uccisa. Perciò Emma aveva deciso di cercare un lavoro nel locale,  aperto solo di sera,  potendo continuare  a lavorare allo studio legale di giorno. Le indagini dall’interno sarebbero state certamente più fruttuose.
 -Non l’ho conosciuta. Lavoro qui solo da un anno-mormorò Jet, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
 -Potresti trovarti qualsiasi altro lavoro.- aggiunse, in tono duro.
 Emma non capiva perché non volesse che lei lavorasse là. -Qua ne ho trovato uno. Fine della discussione.- rispose Emma, seccata.
 -Fai come ti pare- disse Jet, irritato, mentre puliva dei boccali di birra.
 Emma pagò la sua birra e se ne andò, ignorando le occhiate che Jet le lanciava mentre si  dirigeva all’uscita.
   
 
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