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Autore: slanif    03/08/2015    5 recensioni
Spettegolare era sempre stata la cosa che Franz Shuster amava fare sopra ogni cosa.
Era sempre stata una passione, per lui. Ma ora, di fronte a quello, Franz quasi non riusciva a credere che fosse reale! Cosa udivano le sue orecchie? Nonostante stesse sempre attento a fiutare nell’aria una possibile situazione compromettente, mai e poi mai avrebbe immaginato di avere così tanta fortuna!
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Pettegola Del Wender Brema
di slanif

 
 
 
 
Spettegolare era sempre stata la cosa che Franz Shuster amava fare sopra ogni cosa. Sopra il calcio, sopra le cure di bellezza, sopra l’imbellettarsi e l’incremarsi… andava dal parrucchiere solo per poter leggere le riviste di gossip! E tutte le chiacchiere che sua madre faceva al telefono con la loro vicina? Origliava tutto, pronto ad assorbire ogni scoop nuovo o ogni nuovo dettaglio per scoop più vecchi. Era sempre stata una passione, per lui. Ma ora, di fronte a quello, Franz quasi non riusciva a credere che fosse reale! Cosa udivano le sue orecchie? Nonostante stesse sempre attento a fiutare nell’aria una possibile situazione compromettente, mai e poi mai avrebbe immaginato di avere così tanta fortuna! O, chiamandola col suo nome corretto: culo. Perché di quello si trattava, dopotutto. Solo avendo un gran culo ci si trovava al posto giusto al momento giusto senza nemmeno volerlo.
Di chiacchiere in quei giorni ce ne erano state parecchie. Di avvisaglie anche.
Genzo filava via appena si concludevano gli allenamenti e tutte le sere e i week-end era irrintracciabile. Nonostante nemmeno prima fosse un animale da compagnia nel vero senso della parola, rimanendo comunque un orso solitario qualche volta usciva con loro. Non sempre, ma almeno un paio di volte a settimana accadeva senza problemi! Mentre da cinque mesi a quella parte, il portiere si era praticamente volatilizzato.
All’inizio avevano pensato tutti che fosse semplicemente stanco. Gli allenamenti si erano intensificati molto e le ore passate in campo si erano allungate. Persino loro erano sfiniti! Ma quando questa scusa non aveva retto più, avevano cominciato a tartassarlo di domande. Aiutato da tutti gli altri, avevano cominciato a chiedergli le cose più disparate. Dal: «Sta male qualcuno?», a: «Hai deciso di vivere in esilio?», passando per: «Ci stai evitando?», fino a degenerare in: «Ma sei sicuro che non sei diventato un vampiro?» Ecco. Insomma. Di cose gliene avevano chieste tante! E Genzo li aveva stoicamente ignorati tutti, dicendo solo «No.» come risposta a tutte le domande. Zero spiegazioni, solo «No.» Ma d’altronde Genzo non era mai stato uno di grandi discorsi…
Però poi quella buon’anima di Manfred Margas, suo amico sin dall’infanzia, aveva scalfito la corazza del loro mega super portiere con una battuta fatta tanto per fare e che invece aveva colpito nel segno: «Non è che hai la ragazza?»
Nell’udire quella domanda, la faccia di Genzo era diventata di tutte le possibili sfumature di rosso fino ad assumerne una tonalità peperone che aveva dato loro la conferma che sì, Genzo Wakabayashi aveva la ragazza; nonché il colpo di grazia a quest’ultimo, perché poi nessuno lo aveva più lasciato in pace nemmeno un secondo!
Lo avevano tempestato di domande senza sosta: «È bionda? È mora? È alta? È bassa? È magra? È burrosa? È simpatica? Ha le tette grosse? Ha gli occhi azzurri o verdi? Lavora? Studia? È intelligente?»
«No, se era intelligente non si metteva con lui.», aveva sentenziato Herman, beccandosi un calcio in culo dal diretto interessato, piccato da quell’affermazione detta così seriamente da quello che considerava un caro amico.
Ma tutte quelle domande non avevano trovato risposta. Genzo aveva continuato a fare il sordo e il muto come il servo di Zorro, e a non rispondere nemmeno ad una domanda. Aveva solo risposto «Tedesca.» alla domanda: «Ma di che nazionalità è?» Fine. Questo è tutto quello che sapevano della fidanzata di Genzo.
Da due mesi, Franz non riusciva a scoprire null’altro.
E adesso aveva la risposta proprio sotto al naso. Dopo sotterfugi e mezze parole, dopo aver tentato in tutti i modi di sbirciare il cellulare di Genzo per scoprire chi era la fortunata che era riuscita ad aggiudicarsi il cuore del tenebroso giapponese, improvvisamente la risposta era lì.
Nell’unico giorno in cui non la stava cercando.
Era semplicemente tornato indietro per riprendere la sua felpa dimenticata nell’armadietto.
È proprio vero che le risposte arrivano quando meno te le aspetti...
Allungò il collo cercando di rimanere quanto più nascosto possibile.
Sentì la risata di Genzo e vide la sua schiena e le sue (notevoli, pensò) natiche. Le gambe lunghe e quasi del tutto glabre. Il corpo era bagnato a causa della doccia. Sì, perché il caro Genzo, pensando di essere solo, si era chiuso in una doccia con la sua bella a farci – Franz ne era sicuro – un mucchio di cose zozze.
Franz, che per anni si era battuto con l’amministrazione affinché montassero delle porte alle docce, improvvisamente fu grato all’amministratore per non averlo mai ascoltato. Grazie a quella mancanza, poteva vedere cosa succedeva in quella doccia, anche se non benissimo.
Vedeva Genzo di spalle col collo chinato in avanti e sentiva parlare piano. Due mani pallide e curate improvvisamente spuntarono e carezzarono la pelle delle spalle del portiere, completamente fradicio dalla doccia. Proseguirono in una lenta carezza fino alla sua nuca e poi giù sulle spalle e i bicipiti scolpiti del portiere. Scesero per i gomiti, gli avambracci e poi sui polsi prima di intrecciare le proprie dita a quelle dell’altro. Genzo si sporse in avanti e il rumore di un bacio si udì per tutto lo spogliatoio. Subito ne seguirono altri e il bacio si intensificò. Le dita si slacciarono dalla presa e corsero ad accarezzare ogni angolo del corpo dell’altro. Le mani pallide di lei andarono ad afferrare le natiche abbronzate del portiere, che si spinse in avanti sorridendo e mormorando qualcosa.
Franz arrossì, anche se solo di poco. Non era uno che si imbarazzava facilmente, ma era chiaro quello che stava succedendo in quella doccia e Genzo era pur sempre un suo compagno di squadra. Per quanto gli volesse bene, non avrebbe mai voluto assistere ad un suo atto sessuale con la bella di turno.
Perciò, prima che la situazione degenerasse e dovesse ritrovarsi ad assistere a un porno in diretta, Franz si tirò su dal suo angolo dove si era accucciato e si schiarì forte la gola, in modo da palesare la sua presenza.
I due nella doccia si bloccarono all’istante e Genzo si voltò di scatto. Appena lo riconobbe, sbarrò gli occhi, arrossì e balbettò: «Franz...»
«Genzo...», lo salutò lui cercando di non ridere. «Signorina...», aggiunse, giusto per essere educato, anche se lei non era uscita e le mani si erano ritirate dalle natiche del portiere.
Genzo si legò di corsa l’asciugamano sulla vita, cercando di nascondere la sua – molto evidente – eccitazione, senza grossi risultati. «Pensavo foste andati via tutti.», disse il portiere, uscendo dalla doccia e facendosi avanti verso di lui.
Franz gli scoccò un’occhiata dall’alto in basso: «Ho dimenticato la felpa.», spiegò.
«E la felpa è nelle docce?», domandò Genzo, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto. Nonostante la situazione, Franz dovette ammettere che era davvero un bel bocconcino, tutto bagnato e mezzo eccitato sotto l’asciugamano bianco, con ancora la sua bella nascosta nuda come un verme dentro la doccia.
«Ho sentito dei risolini e sono venuto a controllare. Non pensavo di trovare te e...» Guardò la doccia di sfuggita. «Beh, chiunque ci sia lì dentro.»
L’accappatoio appeso al gancio fuori dalle docce fu sfilato furtivamente e infilato da chiunque fosse lì dentro. Finalmente, pensò Franz, conoscerò la fantomatica fidanzata di Genzo...
Se l’era figurata in tutti i modi possibili, fin quando era giunto ad un’idea che lo soddisfaceva: tedesca, bionda, occhi chiari, fisico asciutto ed atletico, altezza notevole. Non sapeva perché, ma immaginava che a Genzo piacessero le tipe toste. Tipe che sapevano tirarti un calcio, se te lo meritavi; o mandarti a ‘fanculo se era lì che dovevi andare. E aveva immaginato un chiaro aspetto per lei, con il naso alla francese e la bocca carnosa, le ciglia chiare, i capelli lunghi fino alla vita.
Ma quando lei uscì dalla doccia, qualunque cosa avesse pensato si frantumò contro la realtà. Gli diede un pugno in uno stomaco, lo masticò e poi lo sputò a terra lasciandolo frastornato.
Si era immaginato un mucchio di scenari su come l’avrebbe conosciuta e su cosa le avrebbe detto. Ma mai e poi mai si sarebbe aspettato di conoscerla lì nelle docce dello spogliatoio.
Ma soprattutto, mai e poi mai si sarebbe aspettato di trovarsi davanti chi si trovava davanti.
Arrossendo, balbettando e indicando, cominciò a gracchiare: «K... K... K... K... KARL!», urlò infine.
Il Kaiser di Germania, stretto nel suo accappatoio, con le braccia incrociate al petto, alzò gli occhi al cielo: «Franz, sei sempre il solito guastafeste.», lo rimbeccò all’istante, completamente privo dell’imbarazzo che invece ancora imporporava le guance del portiere. Genzo, infatti, era così imbarazzato che non sapeva più da che parte guardare.
«Non ci credo...», balbettò il capitano del Wender Brema, osservando i due.
La figona coi capelli lunghi e il seno generoso si era trasformata nella realtà. E nella realtà non era una figona ma un figone, i capelli erano lunghi ma non tanto e il seno generoso non poteva essere più piatto. Le ciglia lunghe c’erano, il naso però era dritto e la mascella squadrata, la bocca fina e dritta, tagliente come le parole che ne uscivano. E, più di tutti, di sicuro la bella di Genzo non aveva una vagina nascosta tra le sue cosce, ma un pene che vi pendeva in mezzo.
«Oh Signore Santissimo...» Stava per svenire. Se lo sentiva. Le gambe erano molli e tremanti come budini e si sentiva tutto il corpo come se fosse fatto di gelatina. Aveva le mani ghiacciate e la testa gli vorticava furiosamente.
«Franz, senti... lo so che è un po’ strano, ma volevamo dirvelo almeno a te, Manfred e Herman... solo che non sapevamo come e quando e...», balbettò il portiere, cercando di non far implodere il suo Capitano.
Ma Karl lo fermò afferrandogli un avambraccio: «Non dobbiamo lui nessuna giustificazione, Gen.»
Wakabayashi sospirò: «Lo so.», concordò. «Ma è nostro amico ed è chiaro che non l’ha presa bene.», gli fece notare, osservando il pallore preoccupante che aveva improvvisamente preso possesso del viso di solito roseo del suo Capitano.
«Magari è la volta buona che ce lo togliamo dai piedi.», commentò sarcastico Karl Heinz, ricevendo in risposta un’occhiata di ammonimento da quello che era, a ragion veduta, il suo ragazzo.
Il.
Suo.
Ragazzo.
Ma sul serio?, pensò Franz, sconvolto. Cioè, Genzo era gay? Veramente? Karl ci poteva stare. Insomma, chi è che aveva quelle ciglia? Chi è che aveva quella pelle così curata? Chi è che si faceva ogni due settimane la ceretta? Lui. Cioè, Franz. Solo Karl e lui. E Franz, diamine!, era così gay che più gay non si poteva! Quindi di Karl lo aveva sempre immaginato ma... Genzo! Genzo! Sul serio? Genzo? Questa sì che era bella.
Senza nemmeno rendersene conto, scoppiò a ridere. Si piegò in avanti poggiando le mani sulle ginocchia flesse per non cadere e rise fortissimo. Le guance tornarono a colorarsi di rosa e rise così forte che cominciarono a fargli male gli addominali, già provati dalle quattro serie da duecento che quel sadico del mister aveva fatto fare loro nemmeno tre ore prima a inizio allenamenti.
«Franz... stai bene? Mi sto preoccupando...», disse Genzo, allungando una mano a toccargli la spalla.
Franz alzò un poco lo sguardo e la prima cosa che vide fu la patta di Genzo, finalmente a riposo. Il pensiero lo fece ridere ancora più forte e alla fine dovette sedersi a terra per non collassare, continuando a ridere come un indemoniato.
«Non è mai stato bene di suo... magari gli abbiamo dato il colpo di grazia!», commentò Karl, e lo fece con un insano tono soddisfatto. In fondo lo sapevano tutti che loro due non andavano propriamente d’accordo. Karl faceva di tutto per farsi gli affari suoi e Franz faceva di tutto per coinvolgerlo, infastidendolo oltre ogni dire. Le loro rimbeccate sarcastiche erano leggendarie! Perciò non c’era da stupirsi se gli augurava una brutta e cruenta fine, in preda al delirio.
Ma Franz non era impazzito, tutt’altro. Era improvvisamente tornato sano. La curiosità nebulosa che riempiva il suo cervello da cinque mesi aveva finalmente lasciato il posto alla soleggiata verità: Genzo e Karl stavano insieme.
Cercando di non soffocare, il Capitano del Brema domandò ridacchiando: «Da quando?»
Genzo e Karl si fissarono un attimo sorpresi, poi fu il portiere a rispondere: «Quando l’Amburgo ha contattato Karl, la consapevolezza che se ne stava andando mi ha fatto aprire gli occhi. Gliel’ho detto, lui l’ha detto a me e ora siamo qui.»
«Cinque mesi.», precisò il Kaiser.
«E vi vedete tutte le sere?», continuò a chiedere Franz, asciugandosi le lacrime d’ilarità che gli imperlavano gli occhi verdi.
Genzo guardò un attimo Karl di sottecchi, indeciso sul da farsi, ma poi rispose: «Ci vediamo nel week-end quando Karl torna qui a trovare la sua famiglia. La sera ci sentiamo su Skype. Una volta a settimana riusciamo a vederci ad Amburgo, perché lo raggiungo.»
Franz li osservò con un sorriso sereno sulle labbra. I due, dal canto loro, lo guardavano come se fosse completamente impazzito. Ma come dargli torto? Lui stesso si sentiva così eccitato che era ebbro di adrenalina!
«Franz, ma stai bene?», domandò Genzo, piegandosi in avanti e allungando una mano verso di lui, con un’espressione sinceramente preoccupata dipinta sul volto dai lineamenti squadrati ma aggraziati.
Franz gliela strinse con un sorriso e si fece aiutare ad alzarsi. Quando fu di nuovo in piedi mise le mani sui fianchi e con aria felice ma leggermente sconsolata, sospirò: «Su Karl avevo dei dubbi, ma su di te, Genzo, non me lo sarei mai immaginato...»
«E quindi?», lo incalzò il Kaiser, fissandolo con sufficienza.
Franz roteò gli occhi verso di lui e osservandolo con aria birichina cinguettò: «E quindi se lo avessi anche solo lontanamente immaginato, mi sarei buttato io tra le sue possenti braccia e l’avrei fatto mio!» E si lanciò, letteralmente. Si attaccò al collo del portiere come una scimmia e prese a baciargli il collo e lo sterno con grossi e rumorosi schiocchi di labbra e carne.
Genzo rimase immobile per lo shock qualche secondo, ma poi urlò: «FRANZ! Che diavolo stai facendo?» Ovviamente avvampò, da bravo pudico qual’era.
Franz rise e strinse la presa, allacciandosi con anche le gambe alla vita dell’altro, chiudendogli le braccia sotto le cosce e impedendogli così di muoversi e allontanarlo con forza. Sembrava un koala attaccato all’albero. Ed effettivamente Genzo era così grosso che sembrava un armadio. E di cosa erano fatti gli armadi? Ma di legno, ovviamente! Quindi tutto tornava!
Ma Karl non era della medesima idea e afferrandolo per i capelli lo tirò via ringhiando: «Molla subito la presa, stronzetto. Genzo è mio
Franz mollò la presa e quel che successe dopo fu un groviglio indistinto di braccia, gambe, ceffoni, grugniti e ringhi. Genzo cercò di dividerli, ma ci mise un po’ e alla fine pure lui beccò un ceffone da Karl.
Quando gli animi si furono finalmente placati, avevano tutti e tre il fiatone, anche se Franz aveva dipinto su quel bel viso a forma di cuore un’espressione per nulla raccomandabile. Il sorrisetto furbo e divertito fece gelare il sangue nelle vene sia di Genzo che di Karl che, già percependo il pericolo, domandarono in coro: «Che cos’è quella faccia?»
Franz sorrise di più e cinguettò: «Domani avrò uno scoop eeenooorme da raccontare a tutti!» E corse via, inseguito dagli urli disumani degli altri due. Schizzò in macchina e partì a razzo, osservando Genzo e Karl imprecare nel parcheggio ancora mezzi nudi e poi rientrare negli spogliatoi ricordando la loro nudità.
Nemmeno a dirlo, il giorno dopo, non appena Genzo aprì la porta dello spogliatoio, un boato di risa lo accolse e commenti del tipo: «Con Karl? Cazzo che coraggio, amico!», o: «Ma almeno quando fate sesso è un po’ meno frigido?», o ancora: «Stai sopra tu, vero? Voglio dire, sei così grosso... come diavolo fa Karl a montarti?», per concludere con l’infelice uscita di Manfred: «Ma quindi farete tanti piccoli bambini giappo-tedeschi?»; che lo fecero letteralmente uscire di testa. Prese a picchiare tutti e a urlare contro loro insulti in tedesco e in giapponese e quando finalmente acciuffò Franz, lo buttò nella doccia e tentò di annegarlo, ricevendo solo in cambio delle grasse risate dal suo maledetto Capitano che, tanto per cambiare!, non aveva saputo tenere la bocca chiusa.
«Sei peggio di una fogna, Franz!», urlò. «Odio la gente con la bocca larga!»
«Mi auguro che Karl ce l’abbia larga, Genzino, sennò come fa a prendere in bocca quel coso enorme che ti pende tra le gambe?», rise più forte Schuster, facendo scoppiare a ridere tutti quanti in maniera sguaiata.
«FRANZ!», urlò il giapponese, in preda al più crudele imbarazzo.
Ma nessuno se ne curò. Continuarono a sbeffeggiarlo per tutta la settimana e nessuno lo aveva trattato male, dimostrandosi veri amici oltre che compagni di squadra. E quando Karl chiamò Franz per maledirlo, esattamente sette giorni dopo essere stati scoperti nelle docce, tutto quello che si sentì furono un: «Ah-ah.», seguito da un: «Sì.», a un: «No.», per concludere poi con: «Grazie del consiglio, bel Kaiser, ma farò esattamente di tutto per finire da solo in una doccia con Genzo...»
Il brivido freddo che corse in tutta la schiena del portiere, fece capire a Genzo che no, il peggio doveva ancora arrivare. Non era la bocca larga di Schuster o la sua voglia incommensurabile di pettegolezzi. Era la consapevolezza che sì, Franz Schuster ci avrebbe provato con lui e non avrebbe avuto scampo.
«Genzinooo!», cinguettò il Capitano, correndogli incontro a braccia spalancate.
L’Inferno era in Terra.
Adesso Genzo ne era certo.
E portava il nome di quella gran pettegola di Franz Schuster.
 
 
 
 
FINE

   
 
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